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Come siamo arrivati ad aver bisogno dell’App Tracking Transparency

“L’App Store è progettato per essere un luogo sicuro e affidabile in cui gli utenti possono scoprire app create da sviluppatori di talento in tutto il mondo. Le app sull’App Store sono tenute a uno standard elevato per la privacy, la sicurezza e i contenuti perché niente è più importante che mantenere la fiducia degli utenti”.

Questo è quanto viene mostrato nella sezione “User Privacy and Data Use” (Privacy dell’utente e utilizzo dei dati) del portale dedicato agli sviluppatori di applicazioni per iOS. Per chi non lo sapesse, iOS è il sistema operativo dello smartphone che ha rivoluzionato la categoria dei telefoni mobili: l’Apple iPhone.

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La rivoluzione dello smartphone

Oltre ad aver rivoluzionato il mondo dei telefoni (prima non esisteva quasi nemmeno la categoria smartphone), questo device, sin dalle prime versioni del proprio sistema operativo, ha introdotto l’AppStore dando la possibilità a sviluppatori terzi di poter creare una propria applicazione e poterla distribuire (gratis o a pagamento) tramite il proprio store digitale.

Ogni applicazione offre servizi all’utente che la utilizza e, spesso, usa i sensori del telefono per raccogliere dati (audio, coordinate GPS, foto, preferenze dell’utente, etc…).

Ogni giorno, utilizzando il nostro telefono, facciamo centinaia, migliaia (e forse anche di più) operazioni: monitorare una corsa, acquistare su diversi store, ascoltare canzoni, vedere video, cercare indicazioni stradali, scattare foto, svagarsi con qualche gioco o app, mandare messaggi, navigare sul web.

Ognuna di questa operazioni produce tantissimi dati che, se opportunamente combinati, possono valere oro.

Non per niente Clive Humby, data scientist e matematico inglese, nell’ormai lontano 2006 coniò lo slogan: “I dati sono il nuovo petrolio”.

LEGGI ANCHE: Fermi tutti! Google posticipa il blocco dei cookie di terze parti

La profilazione utente

Lo smartphone, essendo sin da subito diventato un oggetto indispensabile per ogni essere umano ed essendo sempre presente nelle tasche o nelle borse di chiunque, ha generato problemi di privacy legati all’utilizzo che ogni applicazione fa dei dati personali raccolti.

Alcune app hanno da sempre dichiarato l’utilizzo dei dati (evidenziando in maniera trasparente l’utilizzo a fini di marketing), altre lo hanno nascosto in maniera fraudolenta e, altre ancora, sono state vittime di furti mettendo, così, a rischio i dati dei propri utenti ogni volta.

L’azienda capitanata da Tim Cook deve aver capito quanto realmente conta la privacy dell’utente e che tutti i dati che ogni giorno produce con il proprio telefono sono molto importanti. Il vero proprietario di questi dati è l’utente stesso e, in quanto tale, deve essere lui stesso a poter scegliere, in maniera chiara, come e quando condividere i propri dati.

tim cook

A scopi di marketing, la profilazione utente e la compravendita di dati hanno un grandissimo valore e molte applicazioni/siti web hanno generato tantissimi profitti “maneggiando” e vendendo proprio questi dati.

L’impero di Zuckerberg

Nel 2020, a soli 36 anni, Mark Zuckerberg è diventata la terza persona più ricca del mondo: questo è quanto attesta il “Billionaire Index”, la classifica stilata annualmente da Bloomberg, dove sono indicate le persone in funzione del loro patrimonio.

Al giorno d’oggi, l’impero di Zuckerberg, conosciuto come “Facebook INC.,” può vantare, oltre all’omonimo social network Facebook, il social network dedicato alle foto Instagram, acquisito il 9 aprile 2012 per circa 1 miliardo di dollari, e la nota applicazione di messaggistica Whatsapp messenger (comprato il 19 febbraio 2014 per ben 19 miliardi di dollari).

Facebook è completamente gratuito per gli utenti, così come anche gli altri servizi. Nonostante questo, Facebook INC. ha un fatturato di 70 Miliardi di dollari nel 2019 con un utile netto di 18,4 Miliardi di dollari. Come fanno servizi di questo tipo a generare profitti di tale portata?

mark zuckerberg - cripto economia

L’attenzione alla privacy di Apple

Apple si è da sempre mostrata molto attenta alla privacy degli utilizzatori dei propri devices e ha, da sempre, cercato di introdurre cambiamenti nei propri software per impedire un elevato tracciamento da parte di aziende terze a discapito degli ignari utenti. Nel 2018 ha rilasciato una serie di aggiornamenti volti a migliorare il proprio browser (Safari), per impedire il tracciamento dei propri utenti mediante la navigazione web.

A partire dal rilascio di iOS14, Apple ha avviato una serie di cambiamenti all’interno dei suoi sistemi operativi e nell’AppStore, volti a restituire il controllo dei dati al legittimo proprietario. In occasione del WWDC 2020, la mela di Cupertino ha pre-annunciato una nuova funzionalità chiamata “App Tracking Transparency” (ATT), già operativa in uno dei successivi update di iOS14, volta a gestire il consenso dell’utente per il monitoraggio degli annunci: agli sviluppatori di app sarà richiesto di utilizzare questo framework se la loro app raccoglie dati sugli utenti e li condivide con terze parti per scopi di monitoraggio tra app e siti web.

La stessa Apple, in onore del Data Privacy Day dello scorso 28 gennaio, ha annunciato che la sua funzione App Tracking Transparency sarebbe arrivata su tutti i suoi dispositivi con il successivo aggiornamento Software iOS 14.5, come è poi effettivamente successo.

Nello stesso annuncio è stato pubblicato anche un nuovo documento denominato “A Day in the Life of Your Data”, che illustra come le aziende tengono traccia dei dati degli utenti su siti web e app, riportando alcuni esempi tratti dalla vita quotidiana.

Apple afferma che, in media, le app mobili includono sei “tracker” di società terze per “l’unico scopo di raccogliere  informazioni e monitorare le persone e le loro informazioni personali”, alimentando un settore del valore di 227 miliardi di dollari all’anno.

A Day in the Life of Your Data

Questo documento mira a mostrare ciò che inserzionisti, broker di dati, società di social media e altre aziende possono apprendere su un padre e una figlia che trascorrono una piacevole giornata al parco: un padre e la figlia scattano un selfie al parco, modificano la foto con un’app di terze parti e la condividono sui social media.

Apple le descrive come una serie di azioni apparentemente innocenti, che hanno comunque portato alla raccolta e al monitoraggio dei dati su più app.

Ora che questa funzione è effettiva, ogni utente visualizza un popup appena apre una nuova app per la prima volta, che lo informa sull’intenzione dell’applicazione di tracciarlo.

Questa nuova funzionalità permette di limitare il tracciamento pubblicitario per gli annunci personalizzati, applicazione per applicazione, a seconda delle esigenze personali. Ci sono infatti due opzioni tra cui scegliere: “Chiedi all’app di non monitorare” o “Consenti”.

Sin da subito Facebook si è sentita minacciata da questi aggiornamenti e ha cercato in tutti i modi di tirare acqua al proprio mulino, temendo di veder svanire quello che per anni è stato il centro del proprio profitto: i dati dei propri utenti. Facebook contro Apple: “Tutte le aziende che guadagnano dalle pubblicità sono sotto assalto”.

Disponibile a partire da iOS 14.5

Con il rilascio di iOS 14.5, avvenuto il 26 Aprile scorso, gli utenti si sono trovati tra le mani la possibilità di scegliere liberamente se essere tracciati o meno e di sapere esattamente quale tipo di dato, e in che modo ogni app lo utilizzerà, pena la cancellazione dell’applicazione stessa dall’AppStore per violazione delle linee guida dello Store.

Al momento, sembra che quelli che hanno beneficiato dei vari dati senza tanti scrupoli abbiano accusato il colpo e stiano pensando alle contromosse per convincere le persone a condividere i loro dati, ma ci vorrà ben altro per cascarci nuovamente e volontariamente.

Insomma, pare che Apple abbia davvero preso a cuore la vicenda, concretizzando le parole del proprio fondatore, nonché predecessore di Tim Cook, Steve Jobs:

I believe people are smart and some people want to share more data than other people do.
Ask them. Ask them every time. Make them tell you to stop asking them if they get tired of your asking them. Let them know precisely what you’re going to do with their data.

azienda su tiktok

Manuale strategico per portare la tua azienda su TikTok

TikTok ormai non ha più bisogno di presentazioni e se lavori in un’azienda o hai un’attività imprenditoriale autonoma, hai decisamente bisogno di comprendere come sia possibile sfruttare le potenzialità di questo canale per il business.

Come dimostrano i risultati delle campagne su TikTok di alcuni importanti brand e l’attenzione sempre maggiore da parte dei marketer verso questo canale, che si sta gradualmente ricavando uno spazio nelle strategie di Social Media Marketing delle aziende, rimanere estranei al fenomeno del momento può significare perdere ghiotte opportunità di raggiungere il pubblico, specie se il target di riferimento è fra i giovanissimi.

Perché i brand usano TikTok

Il settore agricolo potrebbe non essere il primo che viene in mente quando si contemplano le statistiche di utilizzo di TikTok, ma una rapida ricerca su Google rivela che ben 1,8 miliardi di persone hanno guardato video con l’hashtag “farm”.

Durante la pandemia, l’app è stata molto utilizzata per permettere agli agricoltori di rimanere in contatto con i consumatori, e questo dice molto sulle potenzialità dello strumento anche in settori meno mainstream che spesso sottovalutiamo.

TikTok è stata una rivelazione per gli agricoltori cinesi, offrendo loro, per la prima volta, una linea diretta con i consumatori finali. È proprio il modello Direct to Consumer a svelare il potenziale della piattaforma.

Tuttavia, aprire un profilo aziendale e iniziare a pubblicare contenuti su TikTok (così come su qualunque altro social) senza una precisa strategia di web marketing potrebbe risultare inefficace e far perdere risorse e tempo prezioso.

why brand use tiktok

L’importanza di avere una strategia

Prima di iniziare qualunque attività sarà quindi necessario impiegare una adeguata quantità di tempo alla preparazione di un piano di marketing che tenga conto dei tuoi obiettivi e definire la strategia per raggiungerli.

In maniera schematica, le fasi da seguire per lo sviluppo di un piano di web marketing sono quelle mostrate nella figura qui sotto.

 

strategie per TikTok marketing

Analisi

In questa fase dovrai analizzare le informazioni disponibili e che sono necessarie per elaborare la strategia, quali sono i tuoi elementi distintivi (cioè quelli che rendono il tuo brand unico e specifico), le risorse a tua disposizione, le caratteristiche del mercato, la tipologia degli utenti, gli obiettivi e i risultati attesi.

Strategia

Sulla base delle informazioni raccolte nella prima fase, potrai preparare un piano di marketing che definisca quale strategia utilizzare (organica, a pagamento o un mix delle due) e le relative tempistiche di realizzazione.

Piano operativo

In questa fase dovrai dettagliare gli aspetti pratici e operativi della tua attività su TikTok, come:

  • Risorse (eventuale coinvolgimento di creator, influencer, video-maker);
  • Contenuti e frequenza di pubblicazione, che costituiranno il tuo piano editoriale;
  • Strumenti di marketing da utilizzare (es: integrazione con altri social network, creazione di landing page su un sito web, inserzioni pubblicitarie);
  • Obiettivi e criteri di misurazione (qualitativi e/o quantitativi).

Misurazione

Si tratta di un aspetto fondamentale per valutare se l’impegno profuso è in grado di guidare la tua azienda verso il raggiungimento dell’obiettivo. Durante tutta la durata del progetto, dovrai infatti tenere sotto controllo i dati statistici del tuo profilo aziendale per valutare l’efficacia delle tue attività e la bontà dei contenuti pubblicati.

A tale scopo, potrai avvalerti dell’apposita funzionalità di TikTok o di altri numerosi servizi online disponibili sul mercato.

Aggiornamento

La misurazione delle performance può evidenziare i punti di forza della strategia ma anche alcune criticità. In questo caso, bisogna essere pronti a cambiare rotta e rimettersi sulla giusta strada.

A questo proposito, è consigliabile prevedere, all’interno del piano operativo, alcuni momenti di verifica in cui analizzare i dati statistici ottenuti e apportare eventuali modifiche al piano delle attività (es. modificare il tipo di contenuti, partecipare ad hashtag challenge, pubblicizzare il profilo TikTok su altri social network, etc).

Sotto questo punto di vista, infatti, occorre considerare il processo indicato nello schema precedente come un flusso continuo di attività da ripetersi nel tempo.

Anche se sei un imprenditore o un libero professionista è particolarmente utile adottare questo approccio, che non è una procedura esclusivamente adatta solo a organizzazioni strutturate e di grandi dimensioni: la stesura di un piano di marketing aiuterà a evidenziare criticità e aspetti che potrebbero essere stati tralasciati, qualunque siano le dimensioni del business e il budget allocato.

Non in tutti i casi, infatti, sarà necessaria un’analisi lunga e dettagliata. Per partire, può essere sufficiente stilare un sintetico documento dove riportare obiettivi, elementi distintivi, mercato target,  tipologia dei contenuti e altre informazioni di base.

Da dove iniziare

Il primo passo per l’elaborazione di questo documento è trovare risposta ad alcune domande fondamentali:

  • Il tuo cliente target  o il pubblico che vuoi raggiungere appartiene alla Generazione Z?
  • I tuoi prodotti sono visivamente accattivanti?
  • La tua azienda lavoro opera nel settore dell’intrattenimento, del lifestyle o della moda?
  • Hai le risorse per postare regolarmente su TikTok?
  • Per la tua attività puoi utilizzare un “tono di voce” che sia simpatico, disinvolto e trendy?
  • Quale tipo di contenuti ti sarà più naturale creare e quale risulterà maggiormente in linea con il tone di voce del tuo brand?

Naturalmente, la lista appena stilata non è assolutamente esaustiva ma può aiutare a comprendere se il tuo business della tua azienda è compatibile con il pubblico di riferimento che frequenta TikTok e può contare già al suo interno su collaboratori dotati delle skill necessarie per approcciarsi con successo e interagire su questa piattaforma.

main vibes on tiktok

In ogni caso, uno dei consigli più utili da osservare prima di mettersi all’opera, è quello di osservare con molta attenzione come si comportano altri brand o creators, in particolar modo le strategie e il tone of voice dei competitor, e di sperimentare di persona prima di prendere una decisione definitiva e passare alle fasi successive del piano di marketing.

In relazione a questo, va assolutamente tenuto presente che l’82% degli utenti di TikTok si aspetta che i brand siano divertenti/leggeri e coinvolgenti.

global web index tiktok

Le possibili strategie di crescita su TikTok

Completata la fase di analisi avrai certamente le idee più chiare su quello che vorrai fare e di quali risorse avrai bisogno.
Ciò ti consentirà di scegliere la strategia di crescita da adottare, che può essere classificata essenzialmente in due tipologie: la strategia di crescita organica e quella di crescita a pagamento (v. Fig. 2).

strategia marketing per TikTok

Nella strategia di crescita organica rientrano tutte quelle tecniche che hanno a che fare con una crescita naturale del proprio profilo: oltre alla creazione dei contenuti, entrano in gioco la scelta degli hashtag, la ricerca dei suoni e l’utilizzo di strumenti quali duetti o stitch.

La strategia di crescita a pagamento, invece, come dice il nome stesso, comprende le tecniche che richiedono un investimento monetario, come lancio di hashtag challenge, coinvolgimento di influencer, e utilizzo di TikTok Ads.

Comunque, questi due tipi di strategie possono anche essere usate insieme, come fanno molte aziende, ed essere integrate nel piano generale di marketing che si deciderà di adottare e che potrà prevedere l’integrazione anche con altri social network o canali di marketing.

Le principali tecniche di crescita organica e quelle a pagamento, meritano di essere approfondite in un contesto separato.

Rimane decisamente necessario puntualizzare che, a queste tecniche, come accade su altri social network, è necessario abbinare una presenza continua sulla piattaforma e un engagement con gli altri utenti attraverso like, commenti e messaggi per creare relazioni personali, genuine e spontanee.

Qualche numero su TikTok

  • 689 milioni di utenti di TikTok a livello internazionale (mensile)
  • 600 milioni di utenti Douyin in Cina (ogni giorno)
  • 100 milioni di utenti TikTok negli Stati Uniti (mensile)
  • 100 milioni di utenti TikTok in Europa, con 17 milioni nel Regno Unito, 11 milioni in Francia e 11 milioni in Germania
  • I download di TikTok 2020 sono stimati tra 850 milioni e 987 milioni, esclusi i download di terze parti cinesi (Apptopia/Sensor Tower)
  • La penetrazione globale di TikTok è stimata al 18% degli utenti internet globali tra i 16 e i 64 anni (GlobalWebIndex)
  • TikTok 2020: entrate stimate a 1 miliardo di dollari (Reuters)
  • TikTok è valutato a 50 miliardi di dollari (Reuters)
link building e backlink

Link building e backlink: consigli essenziali per una strategia vincente

Quando parliamo di strategia di link building o backlink ci riferiamo alla pratica di creare collegamenti ipertestuali unidirezionali tra le pagine del nostro sito e quelle di altri siti web, con l’obiettivo di aumentare la visibilità e migliorare il posizionamento.

Il backlink è uno dei fattori di ranking più importanti che il motore di ricerca utilizza per determinare l’authority di un sito web.

Collegare le pagine del tuo sito a fonti autorevoli, ovvero domini ben posizionati e siti web che godono già di una certa notorietà, aiuta il motore di ricerca a comprendere non solo di cosa parla la tua pagina, ma anche quanto è affidabile ciò che sta dicendo.

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Attenzione però: affinché la tua strategia di backlink risulti efficace, è necessario selezionare molto accuratamente i backlink, ovvero collegare le pagine del tuo sito ad altre pagine il cui contenuto sia pertinente a quello della tua.

Non è sufficiente creare una certa quantità di link in entrata e in uscita, ma è altrettanto importante che i link in entrata e in uscita vadano ad “avvalorare” il contenuto della nostra pagina.

Come riuscirci? Creando solo collegamenti “di alta qualità”.

Cosa s’intende per qualità del backlink

A questo punto, la domanda sorge spontanea: cosa rende un link “di qualità”? Quali sono i fattori che Google prende in considerazione per determinare se i collegamenti del tuo sito sono rilevanti ai fini del posizionamento SEO?

Page Authority (PA)

Al primo posto c’è l’autorità della pagina web, ovvero un punteggio che viene attributo alla pagina, per determinare la sua capacità di posizionamento in relazione ad una serie di fattori che includono il numero di collegamenti presenti, i volumi di traffico, ecc.

L’autorità della pagina viene determinata da PageRank, l’algoritmo di Google che classifica l’importanza delle pagine web, basandosi sul numero di collegamenti che la pagina riceve.

Detto con un’estrema semplificazione, il funzionamento di PageRank parte dal presupposto che i siti Web più importanti ricevano più collegamenti da altri siti Web.

PageRank è stato sviluppato da Larry Page e Sergey Brin presso l’università di Stanford nel 1996, come parte di un più ampio progetto per la creazione di un nuovo motore di ricerca, sulla base dell’intuizione che le informazioni nel web potessero essere ordinate in base a un criterio di “link Popularity”. Due anni dopo sarebbe stato pubblicato il primo prototipo di Google.

LEGGI ANCHE: Google Update Timeline: come l’algoritmo di Google ha imparato a interpretare il linguaggio umano

Domain Authority (DA)

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L’autorità del dominio è un concetto molto simile a quello descritto nel paragrafo precedente, se non per il fatto che in questo caso ciò che viene calcolato è la rilevanza di un intero dominio e non della singola pagina.

La metodologia e i criteri applicati sono pressoché i medesimi, ovvero “affidabilità” e “popolarità”.

Affinché il motore di ricerca consideri il nostro sito affidabile, il suo “curriculum storico” deve risultare impeccabile ai suoi occhi. In altre parole, è necessario che la sua affidabilità venga validata nel tempo.

Per fare un esempio pratico, tanto banale quanto utile, un dominio come economist.com avrà un peso maggiore rispetto a quello di un blogger o di un piccolo magazine indipendente, che parla degli stessi argomenti.

Stesso dicasi per la popolarità, ovvero il numero di visualizzazioni, ma sopratutto di menzioni che il tuo sito riceve, che sono un’indice altrettanto importante di quanto può essere considerato affidabile.

Quindi più sono i link che rimandano al mio sito, più il sito diventerà popolare, meglio sarà posizionato. Giusto? Non proprio. Non tutti i link influiscono positivamente sul posizionamento, come stiamo per vedere nel paragrafo seguente.

Rilevanza del sito

Un criterio fondamentale per determinare la qualità del backlink è la rilevanza, ovvero la pertinenza del sito verso cui il backink punta.

Parliamo di una pertinenza a livello tematico del contenuto della pagina verso cui si è indirizzati dal link. In parole povere, questo significa che le pagine web collegate devono interessare la stessa nicchia di lettori.

Se nel contenuto della pagina sono presenti frasi, parole e temi semanticamente rilevanti, viene considerato un backlink tematicamente rilevante e di alta qualità.

Questo andrà ad incrementare quella che in gergo SEO è definita come link equity o link juice, ovvero, il valore e l’autorità che i link trasmettono a un’altra pagina, che i motori di ricerca premiano con un buon ranking.

Selezione dell’ancor text

Il testo di ancoraggio o anchor text è il la porzione di testo a cui viene associato il collegamento ipertestuale.

La selezione della parola chiave cliccabile deve seguire anch’essa un criterio di pertinenza con il contenuto della pagina che andrà ad aprire. Questo perché i motori di ricerca hanno adottato negli anni metodi sempre più sofisticati per determinare se il link punta effettivamente ad un argomento correlato e attinente con ciò di cui si sta parlando in una pagina.

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La scelta dell’ancor text da inserire è legata sopratutto al contesto: non deve trattarsi sempre e solo di parole chiave a corrispondenza esatta, ma in alcuni casi è corretto inserire anche parole o frasi più generiche (Clicca qui, Scopri di più).

L’importante è che il testo di ancoraggio non sia mai fuorviante rispetto alla pagina di destinazione, in modo da rispettare una logica di coerenza nel percorso di navigazione dell’utente.

Attenzione a non inserire un surplus di parole chiave nel testo di ancoraggio: con l’aggiornamento dell’algoritmo Penguin, Google ha imparato a esaminare nel dettaglio la scelta delle parole chiave.

Se troppi anchor text contengono la stessa keyword questo potrebbe essere per Google un campanello d’allarme che i collegamenti non siano stati inseriti in modo naturale. In generale, è sempre meglio selezionare una parte di testo descrittiva della pagina di destinazione.

Co-occorrenze del link

Le co-occorrenze sono le parole chiave correlate, la cui combinazione va a circoscrivere un contesto semantico. Una co-occorrenza si verifica quando, per trattare un determinato argomento, vengono impiegate combinazioni di parole ricorrenti.

Nel caso del backlink, anche le parole inserite attorno a un collegamento ipertestuale servono a Google per stabilire se quel collegamento è più o meno pertinente.

Nofollow vs. Dofollow

I link nofollow e nofollow si differenziano in base all’utilizzo dell’attributo rel che stabilisce se devono o meno avere valore agli occhi del motore di ricerca.

In altre parole, serve a comunicare al motore di ricerca se prendere o meno in considerazione quel link, durante la fase di scansione dei contenuti. I link dofollow sono la tipologia più utile ai fini SEO per attribuire un feedback di qualità verso il sito linkato.

L’attributo rel=dofollow non va impostato manualmente ed è già presente di default in ogni nuovo link che viene inserito. Quando invece si vuole comunicare a Google che un link non ha rilevanza ai fini di posizionamento e, dunque, di ignorarne la lettura, è necessario applicare manualmente l’attributo rel=nofollow.

Per applicare il nofollow ad un link basta inserire questo codice HTML sul singolo collegamento:

<a href=”URL” rel=”nofollow”>ANCHOR TEXT</a>

Migliorare backlink esterno: le pagine che puntano al tuo sito

Una volta chiarito cosa determina la qualità di un backlink e come selezionare i collegamenti all’interno delle pagine del tuo sito, il passo successivo è invece capire come ottenere più link in entrata da altre pagine web.

Affinché altri siti web inseriscano collegamenti al tuo è fondamentale che ci sia “trust”, ovvero che i contenuti del tuo sito dimostrino un’elevata credibilità e autorità nel proprio settore.E, come ben sappiamo, il modo migliore per ottenere trust è lavorare sulla qualità dei contenuti.

Ma non solo. Ci sono alcune tipologie di contenuti che possono aiutarti ad ottenere una maggiore qualità di backlink.

Visual Asset

I contenuti visivi sono sicuramente in cima alla lista. Parliamo di immagini, infografiche, grafici, tabelle e altri contenuti che si prestano in particolare modo alla ricondivisione.

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In particolare, infografiche contenenti dati e statistiche sono elementi molto facili da collegare, meglio se si tratta di contenuti originali, prodotti svolgendo analisi e ricerche sul web.

Secondo alcuni dati pubblicati da Search Engine Watch, “un contenuto con immagini rende il 90% in più in visualizzazioni rispetto a un contenuto senza immagini”.

Una corretta ottimizzazione di questi contenuti, inoltre, può aiutarti ad incrementare il traffico e ad essere trovato dagli utenti mediante la ricerca per immagini sul motore di ricerca.

Google Immagini genera automaticamente un titolo e uno snippet che descrivono il contenuto in modo da associarlo con le query di ricerca digitate dall’utente. Per essere sicuri di ottimizzare nel modo giusto le immagini del vostro sito, è sempre bene affidarsi alle linee guida di Google.

List Post

Il cosiddetto “List post” o Listicle si conferma un format molto d’appeal, che ad oggi è ancora tra quelli che ricevono un maggior numero di clic e che sembra fatto apposta per l’inserimento di backlink.

Facciamo riferimento a quei post strutturati come veri e propri elenchi, in cui sono enumerati diversi motivi o modi per fare qualcosa, suggerimenti su acquisti, luoghi da visitare e così via.

Perché funziona così bene? Semplicemente perché, già dal titolo, il lettore ha già un’idea molto chiara di ciò che troverà nell’elenco. Inoltre, i vari passaggi, consigli o elementi elencati nel post, spesso contengono spiegazioni o nozioni “in pillole”, che invogliano facilmente la lettura da parte dell’utente.

Riuscendo a far includere una delle pagine del tuo sito in un list-post di un sito con una buona authority, potrai facilmente vedere in poco tempo un’impennata della visibilità acquisita dal tuo sito.

LEGGI ANCHE: Come scrivere un Listicle e creare una lista perfetta secondo tecniche SEO

Guide dettagliate

Creare guide approfondite su un argomento specifico, è un modo per ottenere molte più condivisioni e collegamenti rispetto ad un articolo standard.

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Parliamo di un contenuto più dettagliato e corposo di un semplice blog-post, suddiviso in paragrafi, meglio ancora se con un indice iniziale, contenente immagini, tabelle, dati, infografiche, che risponda in maniera pertinente e approfondita ai dubbi degli utenti su un determinato tema.

Che si tratti del modo per impostare la migliore strategia di advertising o di una guida sul turismo sostenibile, assicurati di svolgere un’analisi preliminare sulle query di ricerca più cliccate sul web, al fine di comprendere quali sono le domande più frequenti dei lettori su quel dato argomento.

Black Hat Link: cosa viene sanzionato da Google

Ciò che in gergo SEO si chiama Black Hat fa riferimento a tutta una serie di pratiche che violano le linee guida dei motori di ricerca, per ottenere un posizionamento più alto.

L’algoritmo di Google è diventato sempre più abile nel riconoscere i siti web che utilizzano questi sistemi e a penalizzarli. In questi casi il sito può perdere posizionamento o scomparire del tutto dai risultati di ricerca.

Per quanto riguarda la costruzione di backlink, la prima cosa da evitare sono i link a pagamento. Nelle linee guida di Google è dichiarato espressamente che “qualsiasi link inteso a manipolare il PageRank o il posizionamento di un sito nei risultati di ricerca di Google può essere considerato parte di uno schema di link e una violazione delle Linee guida per i webmaster di Google”. La compravendita di link è sicuramente in cima a questa lista.

Se hai già ottenuto dei link in entrata al tuo sito a pagamento, la cosa migliore da fare è interrompere quanto prima e utilizzare lo strumento disavow per il rinnegamento dei link, che indica di ignorare i link a pagamento quando calcola il tuo Pagerank.

Altra cosa da cui tenersi lontani sono le link farm, cosiddette “fabbriche di link”, delle pagine o a volte interi siti web, sviluppati esclusivamente per la creazione di collegamenti.

Sono totalmente prive di contenuti o di indicazioni informative utili all’utente, e hanno come unico scopo quello di incrementare artificialmente, e in maniera scorretta, la popolarità dei siti che ne fanno uso.

Si tratta comunque di un metodo che sta progressivamente perdendo la sua popolarità e che, negli ultimi anni è stato sempre più individuato dagli spider nella fase di scansione dei contenuti e, di conseguenza, penalizzato.

Storia del primo computer a transistor: ad inventarlo fu un italiano

Continuano le storie del Ninja Van Tour che tanto ci hanno appassionato. Questa volta ci fermiamo a MilanoMirko Pallera incontra una persona unica nel suo genere, un amico d’infanzia, illustratore, artista e filologo: Matteo Demonte.

Matteo ci porta a visitare Porta Vittoria, ex scalo commerciale oggi diventato un “non-luogo”. Mentre ne sperimentiamo l’incredibile senso di spaesamento, ci racconta del suo progetto di ricerca dedicato a Mario Tchou, l’ingegnere italiano di origine cinese che ha contribuito all’invenzione del primo computer a transistor della storia.

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LEGGI ANCHE: Podcast, Steve Jobs e stampa 3D: intervista a Massimo Temporelli

Mario Tchou era un ingegnere elettronico, ci ha lasciato un sacco di insegnamenti, grazie alle sue invenzioni. Figlio dell’Ambasciatore della Repubblica Cinese in Italia, nasce nel 1924 e si laurea a Roma in ingegneria elettrotecnica. Il percorso di Mario diventa subito interessante: vince da ragazzo una borsa di studio, grazie alle sue doti intuitive, e inizia a lavorare come calcolatore sul progetto delle valvole termoioniche, già a 27 anni insegna all’università della Columbia.

ELEA 9003

Verrà selezionato poi dall’azienda Olivetti per dirigere il laboratorio di ricerca elettronica. Mario è noto per essere l’inventore e direttore della squadra di tecnici e scienziati che costruirono non solo il primo computer italiano ma il primo computer allo stato solido della storia dell’informatica a transistor, con dentro delle piastre di metalli particolari, sostituendo le valvole termoioniche, che scaldavano molto.

Mario Tchou

Mario Tchou

Quindi Mario progetta e realizza in tempi brevissimi, prima di tutte le case dei calcolatori, il primo computer transistor della storia con Olivetti e verrà presentato poi nel 1959, in occasione della fiera campionaria di Milano, nello stand elettronico, viene inaugurato ELEA 9003 (questo il nome scelto). Mentre invece, dalla parte opposta nello stand IBM, nello stesso momento viene presentato una creatura ibrida, un computer metà valvole e metà transistor.

Pochi anni dopo Mario, purtroppo, muore in un incidente il 9 novembre del 1961. Era un cittadino cinese, realizzato lavorativamente però in Italia, quindi perfettamente un italiano. Olivetti ha prodotto quindi il primo computer a transistor, ELEA 9003, avendo un successo strepitoso. Dopo la morte di Mario, viene progettato il Programma 101, un Desktop Computer.

ELEA 9003, primo computer a transistor

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Dalle parole di Matteo Demonte, riecheggiano ancora tutti gli insegnamenti e l’eredità che ha lasciato Mario Tchou: uno sviluppo senza conoscenza produce degli effetti a lunga distanza devastanti. Negli anni 60 la corsa era cominciata, l’automazione era dietro la trama tecnologica, oggi è diventata una struttura gigantesca.

Affidiamo, attraverso l’intelligenza artificiale, le scelte che prima erano affidate ad esseri umani. Ci fidiamo delle macchine, del calcolo, del linguaggio che è rimasto lo stesso, e questa è la chiave che unisce l’elettronica con l’algebra.

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Kellogg innova i suoi cereali integrando la prima tecnologia al mondo per ciechi e ipovedenti

Un passo significativo verso una shopping experience più inclusiva, che permetta maggiore autonomia alle persone cieche e ipovedenti, aiutandole a orientarsi sia nella scelta dei prodotti che nella gestione degli stessi una volta all’interno della “dispensa”: Kellogg Europa annuncia oggi l’avvio di un progetto paneuropeo che renderà, entro la fine del 2022, tutti i pack di cereali dell’azienda più accessibili ai non vedenti e agli ipovedenti, grazie all’integrazione della tecnologia NaviLens, la prima al mondo sviluppata per le persone con disabilità visive. 

Il progetto, partito l’ottobre scorso con un test pilota in UK che ha ottenuto una percentuale di gradimento da parte dei soggetti interessati uguale al 97%, è pronto a raggiungere gli scaffali dei supermercati di tutta Europa già a gennaio 2022 con i pacchi di Special K, per diventare parte integrante di tutte le confezioni di cereali Kellogg entro la fine del 2022. Kellogg diventa così la prima azienda food al mondo a integrare una tecnologia per non vedenti e ipovedenti on pack. 

Pack di cereali

La tecnologia NaviLens si basa sulla scansione, attraverso il proprio smartphone, di uno speciale codice integrato nel design delle confezioni del prodotto: così vengono rese accessibili, in forma audio, le informazioni sugli ingredienti, gli allergeni e le informazioni sul riciclaggio di ciascun prodotto specifico. Informazioni spesso non accessibili alle persone con disabilità visive. 

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A differenza delle altre tecnologie presenti sul mercato (QR code o barcode), la tecnologia NaviLens è realizzata con colori ad alto contrasto per l’individuazione anche da parte degli ipovedenti e può essere inquadrata a una distanza dodici volte superiore a quella delle alternative (fino a un massimo di tre metri di distanza). Inoltre il consumatore non ha bisogno di sapere esattamente dove si trova il codice sul pacco perchè la tecnologia funziona anche senza un’inquadratura “a fuoco”.

In Italia, secondo una rilevazione INPS del 2019, sono oltre 122 mila le persone parzialmente o totalmente non vedenti. Questa innovazione sul packaging si colloca all’interno dell’impegno di Kellogg in ottica di diversità e inclusione, e vuole essere anche una prima esperienza da condividere con altri brand per rendere gli scaffali dei supermercati più accessibili per le persone con disabilità visive, così che possano fare acquisti in modo più indipendente e accedere alle informazioni su una gamma sempre più ampia di prodotti e confezioni. 

L’integrazione della nostra tecnologia nelle confezioni di cereali Kellogg è un passo importante verso la realizzazione di un’esperienza di shopping più inclusiva per le persone con disabilità visive, aiutandoli a diventare più indipendenti e autonomi anche nella scelta dei prodotti.

Commenta Javier Pita, CEO di NaviLens.

In Italia, come nel resto d’Europa, le persone cieche e ipovedenti non sono ancora autonome nel fare la spesa o nell’avere accesso a informazioni fondamentali sui prodotti, come quelle relative alla shelf life o agli allergeni. Per questo, l’iniziativa di Kellogg rappresenta un passo molto importante, poiché per la prima volta contribuisce a migliorare non solo l’esperienza di spesa, ma anche la gestione dei prodotti a casa. Si tratta di un cambiamento che, se adottato su larga scala, potrebbe davvero restituire ai clienti non vedenti la stessa libertà, autonomia e indipendenza che hanno i clienti vedenti. Progettare un packaging in modo che “funzioni per tutti” è un impegno fondamentale se vogliamo costruire una società più inclusiva, e speriamo che altri marchi seguano l’esempio di Kellogg nel rendere le informazioni sulle confezioni più accessibili.

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Spiega Mario Barbuto, presidente dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti

In linea con i valori del nostro fondatore W. K. Kellogg, continua il nostro impegno per contribuire a creare una società guidata da principi di equità, diversità e inclusione. In Europa ci sono oltre 30 milioni di persone che convivono con disabilità visive, la cui shopping experience può essere migliorata da soluzioni come NaviLens. Sono estremamente orgoglioso che Kellogg sia la prima azienda food al mondo ad utilizzare questa tecnologia.

Conclude Giuseppe Riccardi, General Manager di Kellogg Italia.

Nel futuro il cliente è al primo posto: 5 aziende l’hanno capito grazie alla pandemia

Nel corso di quasi 15 mesi da quando è stato annunciata la pandemia da COVID-19, la vita è cambiata radicalmente. La maggior parte di noi ha stravolto i propri piani – sia personali che professionali – e ha maturato una comprensione molto più profonda di cosa significhi adattarsi. 

Abbiamo osservato enormi cambiamenti nel modo in cui le persone interagiscono con le aziende a livello mondiale. Il comportamento d’acquisto è estremamente cambiato: i clienti hanno iniziato a esplorare, cercare e pianificare la maggior parte dei loro acquisti sul web. La nuova realtà della pandemia ha costretto molti brand a cambiare radicalmente le loro strategie di marketing; altri, invece, hanno accelerato strategie già avviate.

Fra tutte le sfide dell’anno scorso, i brand si sono mostrati ai consumatori come mai prima d’ora, creando un modello di marketing ancora più incentrato sul cliente. Puntando su soluzioni come i dati di prima parte e l’automazione, le aziende ora garantiscono maggiore tutela della privacy, personalizzazione e convenienza alle persone che interagiscono con il brand e lo vivono.

Mentre gli Stati Uniti iniziano a immaginare il ritorno a una parvenza di normalità, abbiamo parlato con cinque leader del marketing in diversi settori che hanno messo in atto dei cambiamenti customer-centric per preparare le loro aziende al futuro.

Di seguito spiegano come hanno utilizzato i dati di prima parte e l’automazione, dando consigli chiave agli altri marketer, indipendentemente dal settore di appartenenza.

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Promuovere le connessioni per creare una community

Nel mondo dei servizi finanziari, è facile concentrarsi sull’utilità dei prodotti che offriamo. Ma alla fine della giornata, il denaro e la gestione di un’azienda riguardano soprattutto le persone. I proprietari delle piccole imprese dipendono dalle relazioni con gli altri, e i video ci aiutano a raccontare queste “storie di persone”. Su YouTube possiamo raggiungere venditori in cerca di ispirazione e idee su come sopravvivere e prosperare.

Lauren Weinberg, Chief Marketing Officer di Square

La missione di Square – permettere a tutti di accedere agli strumenti per avere successo, in base alle proprie caratteristiche – è stata ideata l’anno scorso. Il COVID-19 è arrivato proprio mentre l’azienda stava preparando la sua prima grande campagna di brand, facendo slittare il lancio. Square ha immediatamente riallocato il suo budget di marketing per offrire software gratuiti e rimborsi ai proprietari delle piccole imprese profondamente colpite dalla crisi.

Nel corso della pandemia, Square ha deciso che non poteva continuare a basarsi sul performance marketing, come faceva da tempo; i proprietari delle aziende stavano cercando consigli su come adattare le loro attività, e Square aveva le soluzioni e gli strumenti per aiutarli.

L’azienda ha trasformato la sua strategia iniziale di messaggistica mettendo in evidenza le soluzioni indispensabili agli imprenditori per affrontare le nuove modalità di fare business, come i pagamenti contactless, gli shop online, il ritiro e la consegna sul marciapiede, e i Prestiti Paycheck Protection (PPP).

Poi, per sostenere ulteriormente la comunità delle piccole imprese, Square ha invitato i clienti a condividere le loro storie di lotta e resilienza chiamando un numero verde. I messaggi ricevuti hanno dato il via alla serie di video Seller Stories di Square, che unisce storie d’ispirazione di piccole imprese, come quella del più antico rivenditore di abbigliamento maschile di Detroit che ha creato un e-commerce per rimanere aperto, con dei consigli su come prosperare in tempi difficili.

Sviluppando questo duplice approccio, Square ha ottenuto un aumento dell’82% del traffico web di prospect rispetto all’anno precedente e ha aumentato il tempo trascorso sulla landing page della campagna di oltre 3 volte.

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Trasformare i clienti in superfan fedeli

Abbiamo cercato con tutte le forze di ridurre la distanza tra l’ispirazione e l’acquisto per i nostri clienti. Quando qualcuno è ispirato da un prodotto, vogliamo essere lì per aiutare a concludere l’acquisto, quindi abbiamo fatto una serie di progressi in ambito social commerce. La centralità del cliente è sempre stata un obiettivo della nostra azienda, e stiamo continuando a migliorare in questo senso.

William White, SVP e Chief Marketing Officer di Walmart U.S.

Come più grande rivenditore al mondo, Walmart serve circa 220 milioni di clienti e membri nel mondo ogni settimana. Quindi, quando i consumatori di tutto il mondo hanno dovuto affrontare le difficoltà economiche legate alla pandemia, la missione dell’azienda – aiutare le persone a risparmiare per poter vivere meglio – è diventata più importante che mai.

Per soddisfare le mutevoli esigenze dei clienti, Walmart ha accelerato e ampliato i servizi esistenti di ritiro sul marciapiede, ritiro in negozio, consegna in giornata e consegna a domicilio. E per semplificare ulteriormente l’esperienza d’acquisto online dei clienti, l’azienda ha unito le sue app, un tempo separate, per i prodotti alimentari e gli acquisti.

Walmart sapeva anche di dover rafforzare l’amore per il brand per avere clienti fidelizzati in un mercato ipercompetitivo. La soluzione è stata Walmart+, un nuovo tipo di abbonamento che offre ai clienti dei vantaggi per risparmiare tempo e denaro, tra cui il pagamento “scan-and-go” sullo smartphone nei negozi al dettaglio e una spedizione veloce e gratuita per gli acquisti online. Inoltre, Walmart ha iniziato a offrire “esperienze di brand” su larga scala, come ospitare film drive-in nei parcheggi dei negozi, per favorire le relazioni con i clienti.

Walmart ha già visto il risultato del cambiamento verso una maggiore customer-centricity. Il suo impegno ha contribuito a una crescita del 37% delle vendite online e una crescita del 6% delle vendite totali negli Stati Uniti per il primo trimestre dell’anno fiscale in corso.

Contestualizzare i contenuti attraverso dati di prima parte

I viaggi con le tecnologie contactless non devono essere meno personalizzati. Quando conosciamo le preferenze di un cliente o l’iscrizione a un programma di fidelizzazione, possiamo offrire le promozioni giuste e condividere i contenuti più rilevanti, come i dettagli sui nostri ristoranti, se è un buongustaio, o le informazioni sulla spa, se ama il relax. Usare i dati di prima parte in questo modo ci permette di personalizzare le esperienze e far risparmiare del tempo ai nostri colleghi in azienda per garantire esperienze eccezionali.

Julia Vander Ploeg, vicepresidente e responsabile globale del settore digitale e tecnologico di Hyatt Hotels

Hyatt ha capito da tempo l’importanza di unire i manager del marketing, dei dati e dell’analisi, dell’ingegneria, dei prodotti e non solo attorno a un pensiero condiviso: segnali in entrata, segnali in uscita. Questo ha permesso all’azienda di integrare le piattaforme di dati con quelli di ogni team perché questi attingano alle stesse informazioni, al fine di fornire esperienze allineate con i valori del brand.

Il COVID-19 ha poi dato la spinta per accelerare l’uso, da parte di Hyatt, dei segnali dei clienti per offrire interazioni personalizzate più smart. L’azienda è passata da una strategia di dati di terze parti a un approccio basato sulla privacy e sui dati di prima parte. Questo ha permesso a Hyatt di costruire relazioni dirette con gli utenti e offrire contenuti di valore in cambio delle loro informazioni. L’offerta di “contenuti in contesto” includeva dettagli personalizzati e rilevanti sulle destinazioni, come ristoranti vicini, eventi sportivi, concerti e anche ritardi dei trasporti locali.

Dando priorità ai dati di prima parte e offrendo un’esperienza più personalizzata, Hyatt ha raggiunto 13 volte più clienti nel 2020. L’azienda continuerà a sfruttare il successo delle esperienze di brand customer-centriche per promuovere la fidelizzazione dei clienti in tutto il Gruppo.

Supportare i clienti in modo autentico

I marketer devono essere sempre pronti a cambiare direzione. Man mano che ci avvicinavamo al 2021, abbiamo percepito più volte l’ottimismo dei nostri clienti per il futuro. Il loro ottimismo, unito al ruolo importante che gli imprenditori svolgono nel creare nuove idee e incrementare l’economia, ci ha aiutato a trasformare #OpenWeStand in un messaggio per il 2021: – Make a Different Future.

Fara Howard, Chief Marketing Officer di GoDaddy

Con lo scoppio della pandemia, GoDaddy si è resa subito conto che i clienti avevano bisogno di aiuto in modi nuovi e diversi. Questo ha portato GoDaddy a lanciare #OpenWeStand, una campagna che ha riunito oltre 70 partner aziendali con l’obiettivo di aiutare gli imprenditori a gestire una piccola impresa in tempi incerti. Sul sito della campagna, GoDaddy ha creato un’ampia gamma di strumenti per aiutare la comunità delle piccole imprese a riunirsi per una forte causa: “Come rimanere aperti, anche se le vostre porte sono chiuse”.

Per capire quanto successo ha avuto #OpenWeStand tra il pubblico, GoDaddy ha collaborato con Google per sviluppare una metodologia e un sistema di misurazione. L’azienda ha usato gli studi di Brand Lift per misurare i cambiamenti nell’awareness del brand, nella consideration e nell’interesse di ricerca, e ha applicato il modello dell’attribuzione per misurarne gli effetti durante il custumer journey.

Sulla base dei risultati ottenuti, GoDaddy è stata in grado di ottimizzare la campagna nel tempo. Ha incrementato l’utilizzo dell’offerta automatica e ha introdotto annunci adattabili della rete di ricerca (responsive search ads) per raggiungere, ad esempio, i clienti nei momenti giusti con un messaggio pertinente.

Ad oggi, più di 70 grandi aziende si sono unite alla causa di GoDaddy per sostenere le piccole imprese e il video dell’inno #OpenWeStand ha totalizzato oltre 65 milioni di visualizzazioni.

Offrire esperienze diversificate

Per quanto riguarda l’adozione dei servizi online nel settore Automotive, ciò che avrebbe dovuto richiedere dai tre ai cinque anni ha richiesto soltanto sei mesi. Durante la notte si sono verificate importanti curve di apprendimento. Non è stato facile, ma ci sono state molte nuove opportunità. I clienti possono creare relazioni con i brand che non avrebbero mai creduto possibili. Quindi, come brand, dobbiamo pensare a come soddisfare le esigenze dei clienti ed essere davvero presenti per loro, usando i dati. Stiamo cercando di cambiare l’intero modello di relazione con i clienti.

Suzy Deering, Global Chief Marketing Officer di Ford Motor Company

Se molte aziende si stavano focalizzando solo su come rimanere a galla durante la pandemia, Ford aveva una visione più grande. In un momento in cui le vendite dell’industria automobilistica erano scese del 15%, l’azienda ha colto un’opportunità di trasformazione del business e ha iniziato a delineare un piano.

Guidata da un nuovo CEO, Ford ha iniziato a mettere in discussione tutto, dai silos organizzativi alla leadership, fino al futuro dei suoi veicoli. Come parte del processo, il brand ha intrapreso una partnership strategica con Google per reinventare completamente l’esperienza del cliente attraverso nuove tecnologie, come migliori veicoli connessi, e servizi più personalizzati, come richieste di manutenzione in tempo reale.

Tra le altre attività di marketing, Ford sta mettendo al primo posto anche le relazioni con i clienti. L’azienda sta rapidamente passando da un modello di acquisizione a un modello basato sulla fedeltà che le permetterà di soddisfare le continue esigenze delle persone in modo più personalizzato.

Senza sapere come sarebbe stata la “nuova normalità”, queste aziende hanno dato priorità alla soddisfazione dei bisogni dei loro clienti investendo in dati di prima parte e nell’automazione. Anche se non possiamo prevedere quali sfide ci aspetteranno, trovare nuovi approcci che mettano i clienti al centro del vostro business è un ottimo modo di prepararsi a quel che accadrà nel prossimo futuro.

Articolo di: Kate Stanford

Traduzione a cura di: Debora Melania Martuccio

Diversity, inclusion, equality: Spotify contro la discriminazione di genere

Libertà di esprimere la propria unicità. Ispirare un cambiamento positivo ed aprire nuove strade per la parità di genere verso una cultura del rispetto delle differenze, nel tentativo di abbattere disuguaglianze, stereotipi e clichè.

L’onda rainbow si propaga in Italia per il Pride Month, per celebrare la difesa dei diritti delle persone, oltre le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

Attivisti, star system, brand e aziende in campo per contrastare l’omofobia e la transfobia, l’avversione e l’intolleranza nei confronti delle persone, gay, lesbiche, bisessuali e transessuali.

Diversità che può tradursi in leva di business o nella necessità, per i brand, di prevedere all’interno dell’organizzazione aziendale anche un Chief Diversity Officer per l’inclusione della diversità e della disabilità.

La rivoluzione dei modelli culturali

Una spinta rivoluzionaria che parte dalle icone indiscusse del pop mondiale, da Madonna, a Cher e Lady Gaga con messaggi di sensibilizzazione  rivolti all’affermazione della dignità e dell’uguaglianza, alle grandi big tech, come Spotify, eBay, Facebook, Google e TikTok, riunite in Italia nel progetto #Tech4Pride con l’illuminazione arcobaleno del Palazzo storico del Comune di Milano in occasione della Pride Week.

“Un’illuminazione fisica, ma soprattutto metaforica – spiegano le big company – per accendere i riflettori sull’importanza di sostenere un luogo sicuro per ragazze e ragazzi respinti dalle loro famiglie dopo aver fatto coming out”.

Un’iniziativa congiunta tesa al sostegno di Casa Arcobaleno, una Casa per i ragazzi discriminati per il proprio orientamento sessuale e identità di genere o per il percorso di transizione avviato. Un luogo sicuro dove sentirsi accolti per realizzare il proprio progetto di vita, seguendo i propri desideri.

«La musica, nella storia, ha sempre offerto alle minoranze culturali oppresse il modo per far sentire la propria voce. E noi, che nasciamo come piattaforma di streaming musicale, abbiamo fatto nostro questo ruolo di “amplificatori”»,

esordisce Ester Gazzano, Head of Consumer Marketing, Southern and Eastern Europe di Spotify, che si racconta a Ninja Marketing sul tema delicato della Diversity & Inclusion.

 

 

Diversity, inclusion, equality: Ester come si costruisce una strategia D&I, su quali principi etici si fonda?

«Nel caso di Spotify, la Diversity & Inclusion rappresenta una parte fondamentale del Dna aziendale: ha nella sua mission la volontà di dare a tutti la possibilità di esprimere la loro arte, e quindi incoraggia, supporta e a volte fa da pioniere a queste voci che sono segnale di un cambiamento sociale importante. Oltre a essere parte integrante della mission aziendale, la D&I nel nostro caso è rispecchiata dalle stesse persone che sono parte dell’azienda: in Spotify arrivano talenti di ogni cultura, razza e genere, per poter rappresentare ogni punto di vista, incoraggiare la creatività, perseguire l’innovazione e capire meglio ogni tipologia di utente e creator».

Spotify, eBay, Facebook, Google e TikTok in campo, per la prima volta insieme, per sostenere la comunità LGBTQA+ e celebrare la Milano Pride Week. Come nasce questa sinergia?

«La sinergia nasce dalla volontà, come ha citato il Sindaco di Milano Giuseppe Sala a commento dell’iniziativa, di fare la differenza insieme nella promozione dei diritti e nella diffusione della cultura della condivisione, della solidarietà e della tolleranza. Noi di Spotify, come le altre big tech coinvolte, siamo un po’ uno specchio di quello che accade nella società, in termini di costumi, tendenze, movimenti sociali: il movimento a favore dei diritti della comunità LGBTQ+ cerca una rappresentanza anche attraverso le aziende che sono, appunto, in grado di veicolare i loro messaggi e amplificare la loro voce, e Spotify lo è certamente. La cronaca di quest’anno ha visto protagonisti diversi casi di ragazzi e ragazze discriminati dalle proprie famiglie dopo aver fatto coming out. Abbiamo dunque ritenuto fondamentale attivarci e unire le forze per supportarli, affinchè possano avere un luogo sicuro, quale è Casa Arcobaleno, in cui essere accolti e trovare una nuova famiglia».

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L’importanza dell’autenticità della vision D&I per un’azienda

Inclusione: è una strategia di marketing da cavalcare per le aziende o una reale conquista nella lotta contro ogni forma di discriminazione?

«Non esiste strategia di marketing legata alla D&I che possa essere efficace senza che l’azienda non abbia l’inclusività nel suo DNA. Le persone oggi chiedono, se non pretendono, autenticità da parte delle aziende, così come chiedono che le aziende si esprimano e agiscano in maniera concreta su determinati temi e accadimenti. Dunque l’inclusione, così come la diversità, prima di tutto devono essere parte integrante di un’azienda».

La narrazione podcast della cultura queer: nasce PRIMA

Quali sono le iniziative ideate da Spotify per garantire diversità e inclusione all’interno dell’azienda e, in contemporanea, permettere ai propri creator di manifestare la propria libertà di espressione.

«Negli anni durante il mese del Pride siamo stati presenti con diverse attivazioni volte a creare uno spazio più ampio e permanente per la cultura queer, sia sulla piattaforma che nella società. Quest’anno in Italia abbiamo lanciato PRIMA, un nuovo podcast originale che racconta la storia di Mariasilvia Spolato, la prima donna in Italia ad aver dichiarato pubblicamente la sua omosessualità nel 1972. Questo podcast vuole celebrare, a 50 anni dalla nascita dei primi movimenti omosessuali, il coraggio di chi, esponendosi in prima persona, ha aperto nuove strade e cambiato la vita delle generazioni successive. Abbiamo inoltre rinnovato Pride, un hub editoriale che promuove artisti, podcaster e playlist LGBTQIA+. Dell’hub fa parte anche la playlist Pride Italia, che celebra la musica di artisti e artiste che fanno parte della comunità italiana LGBTQIA+ o che a essa sono legate, in modo iconico. Spostandosi sul tema a noi caro del gender gap, abbiamo di recente lanciato la nostra campagna globale EQUAL».

Ester Gazzano, Head of Consumer Marketing, Southern and Eastern Europe di Spotify

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In cosa consiste EQUAL?

«È dedicata a promuovere la parità di genere e a celebrare il contributo delle donne nel mondo dell’audio. Tramite Equal, intendiamo far conoscere sempre più le artiste e le podcaster a livello locale e internazionale, attraverso partnership globali, attivazioni, nuovi contenuti e supporto concreto sulla piattaforma come all’esterno.

La cultura della D&I viene trasmessa da Spotify sia ai creators che alla sua audience anche attraverso le persone che sono parte dell’azienda: a livello centrale vengono promossi diversi programmi, progetti ed eventi orientati a favorire l’inclusione, come ad esempio l’Inclusion Summit, che nel tempo ha ampliato il numero di delegati da diversi uffici nel mondo proprio per garantire massima rappresentanza e favorire un momento globale di confronto su questi temi».

Da creator ad inspirator: quanto sarà fondamentale ispirare modelli positivi contro qualsiasi forma di odio razziale, di genere, etnico o religioso?

«Sicuramente è fondamentale. Anche per questo la nostra campagna sulla parità di genere, EQUAL, mette in primo piano ogni mese delle nuove artiste. Il primo volto che abbiamo scelto, ad esempio, è stato quello di Madame, che sul tema si è personalmente esposta e che rappresenta un modello di riferimento per tutti i giovani, essendo stata grado di parlare di diversità, inclusione e di ricerca della propria identità con un linguaggio accessibile a tutti: quello della musica».

Pari opportunità di genere anche nelle progressioni di carriera: le statistiche, purtroppo, dimostrano un gap salariale e anche di crescita professionale delle donne rispetto agli uomini. Qual è la vision di Spotify in proposito?

«È un gap che conosciamo, avendo rilevato che, ad esempio, solo 1 artista su 5 nelle classifiche è donna, un dato in netto contrasto con il ruolo chiave e la grande influenza delle donne sia nel successo di Spotify che dell’industria musicale in generale. Un dato che prendiamo come punto di partenza per dare il nostro contributo e costruire progetti che possano colmare il gap. Nell’ambito di EQUAL, ad esempio, abbiamo lanciato un Board attraverso cui 15 organizzazioni di tutto il mondo si impegnano a offrire un incentivo economico, una tantum, per supportare le artiste e lavorare in collaborazione con loro per scoprire metodi tangibili per rendere l’industria audio più equa. Abbiamo inoltre rinnovato, sempre a livello globale, anche programmi di successo come Sound Up per dare sempre nuove opportunità alle donne nel mondo dell’audio. Il tutto oltre alle playlist dedicate alle artiste donne, che promuoviamo sempre nell’ambito di EQUAL».

Nasce Spotify Greenroom: come sarà possibile bloccare eventuali contenuti offensivi della dignità umana? È possibile, inoltre, tracciare un primo bilancio a meno di due settimana dal lancio in Italia?

«Abbiamo lanciato Greenroom consapevoli che il potenziale dell’audio è illimitato, quindi anche con l’obiettivo di sperimentare nuovi format che aiutino i creator a interagire con la propria audience e viceversa. Non abbiamo risultati da condividere a così poco tempo dal lancio, ma siamo convinti che questo possa rappresentare un ulteriore strumento da offrire alle persone, artisti o utenti, per esprimere la loro creatività. Per garantire a tutti un’esperienza piacevole e sicura su Greenroom, non sono ammessi contenuti che fomentano l’odio o l’esaltazione della violenza, la promozione dell’autolesionismo, le molestie, la pubblicazione di contenuti sessualmente espliciti e violazioni delle condizioni d’uso di Greenroom. In generale stiamo lavorando per assicurare che le policy legate alla gestione dei contenuti su Greenroom siano coerenti con quelle delle altre piattaforme da noi acquisite (es. Anchor, Megaphone) e continueremo a investire in quei team che svolgono un ruolo nel garantire che le nostre piattaforme siano sempre sicure da utilizzare».

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temporelli copertina

Podcast, Steve Jobs e stampa 3D: intervista a Massimo Temporelli

Sposare una tecnologia, sposare l’innovazione significa guardare al futuro con ottimismo. Nessuna delle persone che dicono di voler abbandonare la tecnologia sarebbe disposta a fare a meno del wi-fi o dei viaggi in aereo, a meno di non essere davvero ortodossi“.

In questa tappa degli appuntamenti con gli Unbreakable Speaker protagonisti di N-Conference, Mirko Pallera di Ninja ha incontrato Massimo Temporelli, fisico e co-founder della start up innovativa sulla fabbricazione digitale TheFabLab.

>> Iscriviti al canale Unbreakable Tour per seguire tutte le tappe del viaggio alla scoperta delle aziende indistruttibili <<

F***ing Genius e stampa 3D

Massimo è anche protagonista di un seguitissimo podcast, “F***ing Genius“, che racconta le grandi figure che hanno cambiato la nostra evoluzione, da Nikola Tesla a Steve Jobs, da Marie Curie a Leonardo da Vinci: assolutamente consigliato!

Secondo lui, fare ricerca e sviluppo sulle nuove tecnologie è l’unico modo per far incontrare innovazione e sostenibilità. Il suo F***ing Genius ideale è quasi un antropologo, oltre che uno scienziato, più umano e meno tecnico, in grado di proporre alla società quello che non sa ancora di volere: quello che rappresentano ad esempio Steve Jobs ed Elon Musk.

Audacia, coraggio, tecnologia, progettualità, innovazione sociale e tecnologica: questa la ricetta di Massimo Temporelli per essere unbreakable.

massimo temporelli the fablab

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Il grande potenziale della digital fabrication è che permette di passare facilmente dall’idea al progetto e dal progetto alla produzione con pochi passaggi, senza dover frequentare la vecchia filiera industriale.

Infatti, nel corso del viaggio all’interno di TheFabLab, il suo spazio in Talent Garden, tra “Umarell” di ogni dimensione e altri prodotti di artigianato digitale da scrivania stampati in 3D come il “Made in Italy” (la famosa manina “all’italiana” che oscilla), Massimo ci spiega perché ha dato vita al suo podcast verticale sul percorso di alcune delle personalità più innovative della storia:

Se i giovani ascolteranno le storie di Marie Curie, che nell’800 fece di tutto per diventare una scienziata e ricercatrice quando era complicato per le donne; se sentono le storie di Elon Musk, di Steve Jobs, di Edison, di Laura Bassi, di Archimede, si innamoreranno della scienza e porteranno il messaggio anche in quest’epoca: portare la scienza e la tecnologia a compiersi nel business“.

L’hacking delle maschere per trasformarle in respiratori

La passione per la scienza e la tecnologia può portare a risultati inattesi: “Quando è scoppiata l’emergenza Coronavirus, mancava tutto: valvole, siringhe, mascherine. Così mi ha chiamato la direttrice de Il Giornale di Brescia, chiedendomi di realizzare le valvole con la stampa 3D. Grazie a Cristian Fracassi, che ha fatto reverse engineering sulle valvole esistenti, abbiamo realizzato i primi prodotti. Poi, una cosa incredibile: grazie alla collaborazione di Decathlon, siamo riusciti a trasformare un tipo di maschera in uno strumento per la respirazione assistita. Tanti Fab Lab si sono messi a disposizione del progetto e abbiamo contribuito a salvare probabilmente migliaia di persone in diverse parti del mondo“.

In questa storia ci sono tutti gli elementi per diventare unbreakable: audacia, coraggio, tecnologia, progettualità e innovazione, sociale e tecnologica.

>> Viaggia assieme a Mirko Pallera sul Ninja Van per scoprire le aziende Unbreakable. Iscriviti qui <<

abbonamento informazione digitale

Crescono gli abbonati all’informazione digitale: i numeri di Reuters

Più di un anno dopo il suo inizio, la pandemia continua a mostrare i suoi effetti anche sull’industria dell’informazione. La crisi, ad esempio, ha accelerato la scomparsa dei giornali stampati, impattando ulteriormente sulle società di media e anche gli inserzionisti sono spaventati di fronte alla flessione economica globale. Nuovi modelli di business come abbonamenti e membership per l’informazione digitale sono stati accelerati dalla crisi, ma nella maggior parte dei casi, questo non ha ancora compensato il reddito perso altrove.

Questo è quello che emerge chiaramente anche dall’ultimo Digital News Report di Reuters Institute, per analizzare il quale abbiamo raggiunto telefonicamente Federica Cherubini, Head of Leadership Development (puoi ascoltare il contributo audio nella versione gratuita della Ninja PRO Information oppure dal lettore qui sotto).

L’impatto della pandemia sull’informazione

I consumatori hanno rapidamente adottato nuovi comportamenti digitali durante i periodi di lockdown e questo sta al tempo stesso aprendo nuove opportunità ed evidenziando nuove sfide. Il report di Reuters mostra che abbonamento e membership stanno diventando un modello sostenibile per un numero crescente di pubblicazioni di  nicchia e di alta qualità, e in alcuni paesi per gruppi di media locali.

Ma è anche chiaro che i contenuti a pagamento non sono la panacea per tutti gli editori. Né funzioneranno per tutti i consumatori. La stragrande maggioranza, infatti, non è ancora disposta a pagare per le notizie online e con sempre più contenuti di alta qualità che scompaiono dietro i paywall, ci sono preoccupazioni pressanti anche su chi non può permettersi l’accesso all’informazione.

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Federica Cherubini, Head of Leadership Development @Reuters Institute

Cosa è successo in Italia

In particolare in Italia, il COVID-19 ha esacerbato alcune delle debolezze storiche del settore dei media, contribuendo al calo dei ricavi complessivi, al calo dei lettori di giornali, e all’abbassamento degli standard editoriali  adottati nelle notizie cronaca. Le conseguenze della pandemia sembrano essere state state meno gravi per le grandi piattaforme piattaforme online.

L’ambiente mediatico italiano è tradizionalmente caratterizzato da un settore televisivo particolarmente forte e un settore dei giornali debole e in declino. Tuttavia, i ricavi pubblicitari online hanno superato i ricavi pubblicitari televisivi per la prima volta nel 2019, e ora rappresentano quasi la metà (49%) dei ricavi pubblicitari complessivi nel settore dei media italiani.

A causa della gravità della pandemia nel Paese, i media italiani hanno aumentato lo spazio dato a queste notizie, e sia la televisione che i notiziari online hanno hanno visto un aumento significativo dell’audience. Durante i mesi di marzo e aprile 2020 per esempio, i telegiornali italiani in prima serata hanno attirato oltre il 50% di pubblico, con un aumento di circa il 5% rispetto l’anno precedente.

Tuttavia, la pandemia ha anche prodotto un forte calo delle entrate pubblicitarie, che sono la principale fonte di finanziamento per molti editori italiani, e ha accelerato il declino della carta stampata. Nei primi nove mesi del 2020, i ricavi totali per il settore dei media italiani sono scesi di 780 milioni di euro, con considerevoli diminuzioni osservate sia nei giornali (-15%) che nelle trasmissioni radiotelevisive (-8%), mentre la pubblicità online è cresciuta (+7%). Come ha sottolineato l’autorità italiana per la comunicazione, sono le grandi piattaforme piattaforme online, che già generano circa l’80% della pubblicità online in Italia, a beneficiare di questo aumento (+11%) , mentre gli editori e le agenzie pubblicitarie stanno subendo ulteriori perdite significative anche in questo mercato (-7%).

I media d’informazione italiani hanno risposto in vari modi. Molti dei principali organi di informazione hanno aumentato il numero di annunci sui loro siti web, così come la loro invasività. La tendenza verso modelli a pagamento per l’informazione digitale si sta sviluppando ulteriormente e, sebbene sia finora stato usato principalmente dai siti web dei quotidiani, anche alcuni siti di notizie nati già come digital hanno iniziato a introdurre schemi di abbonamento. La proporzione di persone che pagano per le notizie online è comunque ancora bassa, pari a un 13%.

Chi è disposto a pagare per le notizie online?

«In 20 paesi dove gli editori hanno spinto attivamente gli abbonamenti digitali, il 17% dei lettori ha dichiarato di aver pagato per qualche tipo di notizia online nell’ultimo anno (tramite abbonamento, donazione o pagamento una tantum). Questo è in aumento di due punti percentuali nell’ultimo anno e cinque in più dal 2016 (12%)».

Nonostante questo, è importante notare che la grande maggioranza dei consumatori in questi paesi continua a resistere al pagamento per l’informazione digitale. Troviamo il maggior successo in un piccolo numero di paesi ricchi con una lunga storia di alti livelli di abbonamenti a giornali cartacei, come la Norvegia 45% (+3), la Svezia 30% (+3), la Svizzera 17% (+4), e i Paesi Bassi 17% (+3). Circa un quinto (21%) ora paga per almeno una fonte di notizie online negli Stati Uniti, il 20% in Finlandia e il 13% in Australia. Al contrario, solo il 9% dice di pagare in Germania e l’8% nel Regno Unito

Gli abbonamenti multipli stanno diventando più comuni solo «nei mercati maturi come negli Stati Uniti, dove la media arriva a due», mentre nella maggior parte dei paesi, una grande percentuale di abbonamenti digitali va a pochi grandi marchi nazionali, «secondo una tendenza che indichiamo come winner-takes-most dynamics», spiega Federica Cherubini.

Prospettive future dell’informazione digitale

Gli abbonamenti stanno cominciando a funzionare per alcuni editori, ma non è  chiaro se funzioneranno per tutti i consumatori. La maggior parte della gente non è abbastanza interessata alle notizie, o non ha sufficiente reddito disponibile per dare priorità alle notizie rispetto ad altre esigenza della propria vita.

Tra coloro che non pagano per l’informazione digitale, solo una piccola minoranza afferma che probabilmente lo farà in futuro per le pubblicazioni online che gli piacciono. I tassi sono più alti nei paesi che sono già avanzati (16% in Norvegia) rispetto a quelli che non lo sono (8% nel Regno Unito), il che suggerisce che c’è ancora spazio per la crescita anche nei paesi con mercati maturi e che un’abbondante offerta di notizie gratuite, sia da fornitori di servizi commerciali che pubblici, è un fattore chiave per alcuni di coloro che attualmente non pagano.