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  • Crescono gli abbonati all’informazione digitale: i numeri di Reuters

    I consumatori hanno adottato nuovi comportamenti digitali aprendo nuove opportunità ed evidenziando nuove sfide

    29 Giugno 2021

    Più di un anno dopo il suo inizio, la pandemia continua a mostrare i suoi effetti anche sull’industria dell’informazione. La crisi, ad esempio, ha accelerato la scomparsa dei giornali stampati, impattando ulteriormente sulle società di media e anche gli inserzionisti sono spaventati di fronte alla flessione economica globale. Nuovi modelli di business come abbonamenti e membership per l’informazione digitale sono stati accelerati dalla crisi, ma nella maggior parte dei casi, questo non ha ancora compensato il reddito perso altrove. Questo è quello che emerge chiaramente anche dall’ultimo Digital News Report di Reuters Institute, per analizzare il quale abbiamo raggiunto telefonicamente Federica Cherubini, Head of Leadership Development (puoi ascoltare il contributo audio nella versione gratuita della Ninja PRO Information oppure dal lettore qui sotto).

    L’impatto della pandemia sull’informazione

    I consumatori hanno rapidamente adottato nuovi comportamenti digitali durante i periodi di lockdown e questo sta al tempo stesso aprendo nuove opportunità ed evidenziando nuove sfide. Il report di Reuters mostra che abbonamento e membership stanno diventando un modello sostenibile per un numero crescente di pubblicazioni di  nicchia e di alta qualità, e in alcuni paesi per gruppi di media locali. Ma è anche chiaro che i contenuti a pagamento non sono la panacea per tutti gli editori. Né funzioneranno per tutti i consumatori. La stragrande maggioranza, infatti, non è ancora disposta a pagare per le notizie online e con sempre più contenuti di alta qualità che scompaiono dietro i paywall, ci sono preoccupazioni pressanti anche su chi non può permettersi l’accesso all’informazione. LEGGI ANCHE: HubSpot acquisisce The Hustle. Obiettivo, creare la migliore rete media al mondo
    Federica Cherubini, Head of Leadership Development @Reuters Institute

    Cosa è successo in Italia

    In particolare in Italia, il COVID-19 ha esacerbato alcune delle debolezze storiche del settore dei media, contribuendo al calo dei ricavi complessivi, al calo dei lettori di giornali, e all’abbassamento degli standard editoriali  adottati nelle notizie cronaca. Le conseguenze della pandemia sembrano essere state state meno gravi per le grandi piattaforme piattaforme online. L’ambiente mediatico italiano è tradizionalmente caratterizzato da un settore televisivo particolarmente forte e un settore dei giornali debole e in declino. Tuttavia, i ricavi pubblicitari online hanno superato i ricavi pubblicitari televisivi per la prima volta nel 2019, e ora rappresentano quasi la metà (49%) dei ricavi pubblicitari complessivi nel settore dei media italiani. A causa della gravità della pandemia nel Paese, i media italiani hanno aumentato lo spazio dato a queste notizie, e sia la televisione che i notiziari online hanno hanno visto un aumento significativo dell’audience. Durante i mesi di marzo e aprile 2020 per esempio, i telegiornali italiani in prima serata hanno attirato oltre il 50% di pubblico, con un aumento di circa il 5% rispetto l’anno precedente. Tuttavia, la pandemia ha anche prodotto un forte calo delle entrate pubblicitarie, che sono la principale fonte di finanziamento per molti editori italiani, e ha accelerato il declino della carta stampata. Nei primi nove mesi del 2020, i ricavi totali per il settore dei media italiani sono scesi di 780 milioni di euro, con considerevoli diminuzioni osservate sia nei giornali (-15%) che nelle trasmissioni radiotelevisive (-8%), mentre la pubblicità online è cresciuta (+7%). Come ha sottolineato l’autorità italiana per la comunicazione, sono le grandi piattaforme piattaforme online, che già generano circa l’80% della pubblicità online in Italia, a beneficiare di questo aumento (+11%) , mentre gli editori e le agenzie pubblicitarie stanno subendo ulteriori perdite significative anche in questo mercato (-7%). I media d’informazione italiani hanno risposto in vari modi. Molti dei principali organi di informazione hanno aumentato il numero di annunci sui loro siti web, così come la loro invasività. La tendenza verso modelli a pagamento per l’informazione digitale si sta sviluppando ulteriormente e, sebbene sia finora stato usato principalmente dai siti web dei quotidiani, anche alcuni siti di notizie nati già come digital hanno iniziato a introdurre schemi di abbonamento. La proporzione di persone che pagano per le notizie online è comunque ancora bassa, pari a un 13%.

    Chi è disposto a pagare per le notizie online?

    «In 20 paesi dove gli editori hanno spinto attivamente gli abbonamenti digitali, il 17% dei lettori ha dichiarato di aver pagato per qualche tipo di notizia online nell’ultimo anno (tramite abbonamento, donazione o pagamento una tantum). Questo è in aumento di due punti percentuali nell’ultimo anno e cinque in più dal 2016 (12%)». Nonostante questo, è importante notare che la grande maggioranza dei consumatori in questi paesi continua a resistere al pagamento per l’informazione digitale. Troviamo il maggior successo in un piccolo numero di paesi ricchi con una lunga storia di alti livelli di abbonamenti a giornali cartacei, come la Norvegia 45% (+3), la Svezia 30% (+3), la Svizzera 17% (+4), e i Paesi Bassi 17% (+3). Circa un quinto (21%) ora paga per almeno una fonte di notizie online negli Stati Uniti, il 20% in Finlandia e il 13% in Australia. Al contrario, solo il 9% dice di pagare in Germania e l’8% nel Regno Unito Gli abbonamenti multipli stanno diventando più comuni solo «nei mercati maturi come negli Stati Uniti, dove la media arriva a due», mentre nella maggior parte dei paesi, una grande percentuale di abbonamenti digitali va a pochi grandi marchi nazionali, «secondo una tendenza che indichiamo come winner-takes-most dynamics», spiega Federica Cherubini.

    Prospettive future dell’informazione digitale

    Gli abbonamenti stanno cominciando a funzionare per alcuni editori, ma non è  chiaro se funzioneranno per tutti i consumatori. La maggior parte della gente non è abbastanza interessata alle notizie, o non ha sufficiente reddito disponibile per dare priorità alle notizie rispetto ad altre esigenza della propria vita. Tra coloro che non pagano per l’informazione digitale, solo una piccola minoranza afferma che probabilmente lo farà in futuro per le pubblicazioni online che gli piacciono. I tassi sono più alti nei paesi che sono già avanzati (16% in Norvegia) rispetto a quelli che non lo sono (8% nel Regno Unito), il che suggerisce che c’è ancora spazio per la crescita anche nei paesi con mercati maturi e che un’abbondante offerta di notizie gratuite, sia da fornitori di servizi commerciali che pubblici, è un fattore chiave per alcuni di coloro che attualmente non pagano.