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Fondo Nazionale Innovazione, presentato il Piano Industriale 2020-2022

  • Assegnate risorse per 1 miliardo di euro, con quattro fondi già attivi e ulteriori due in avvio per favorire l’innovazione.
  • Deliberati investimenti per oltre 100 milioni di euro nei quattro mesi dall’avvio della SGR che avranno un impatto su circa 160 startup.

 

Il Consiglio Amministrazione di CDP Venture Capital, presieduto da Francesca
Bria, ha approvato il Piano Industriale 2020-2022 “Dall’Italia per innovare l’Italia” presentato dall’amministratore delegato e direttore generale Enrico Resmini.

Nel prossimo triennio, l’obiettivo è di rendere il Venture Capital un asse portante dello sviluppo economico e dell’innovazione del Paese investendo rapidamente e in modo efficace i capitali assegnati e creando i presupposti per una crescita complessiva e sostenibile dell’intero ecosistema.

francesca brina fondo nazionale innovazione

I fondi per l’innovazione

La dotazione dei fondi della SGR è di circa 1 miliardo di euro (di cui circa 800 milioni di euro già sottoscritti), grazie alle risorse allocate pariteticamente dal Governo – in particolare dal Ministero dello Sviluppo Economico – e dal Gruppo CDP (attraverso la sua controllata CDP Equity).

Ad oggi la sottoscrizione è prossima a raggiungere circa 800 milioni di euro, di cui 260 milioni di euro attraverso il Fondo di co-investimento Mise (dotazione target pari a 310 milioni di euro), che co-investirà sistematicamente con i fondi gestiti da CDP Venture Capital.

Quattro i fondi già attivi, con un equilibrato mix di investimenti diretti e indiretti:

  1. Fondo Italia Venture I: operativo dal 2015, investe in start up e PMI innovative in Italia. Opera principalmente nei settori digitale, biotech, medicale e high tech. Ha una dotazione pari a 80 milioni di euro e attualmente gestisce un portafoglio di 20 aziende in fase growth.
  2. Fondo Italia Venture II – Fondo Imprese Sud: il fondo ha l’obiettivo di accelerare la competitività e lo sviluppo di start up e PMI innovative nel Mezzogiorno. Investe in tutte le fasi del ciclo di vita di un’impresa, dal seed al growth/expansion. Dispone di una dotazione di 150 milioni di euro.
  3. Fondo di Fondi VenturItaly: investe in fondi di Venture Capital, inclusi first time team/first time fund, allo scopo di generare nuovi operatori sul mercato e nuovi team all’interno di gestori già attivi sul mercato, nonché supportare i fondi successivi di gestori esistenti. Ha una dotazione di 300 milioni di euro (sottoscritti da CDP Equity e dal fondo di co-investimento MISE).
  4. Fondo Acceleratori: il fondo, diventato operativo a fine maggio 2020, ha lo scopo di aiutare la creazione e/o lo sviluppo di programmi di accelerazione verticali su settori strategici, investendo nelle start up che partecipano ai programmi supportati dal Fondo. Il fondo interverrà, in modo diretto e indiretto, per dare sostegno finanziario e/o manageriale a favore di acceleratori di impresa e di startup innovative ad alto contenuto tecnologico, operanti in settori ad elevato potenziale di crescita. Il Fondo ha una dotazione iniziale di 125 milioni di euro (sottoscritti da CDP Equity e attraverso le risorse del fondo di co-investimento MISE).

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Nei prossimi mesi CDP Venture Capital lancerà, inoltre, due nuovi fondi:

  • il Fondo Corporate Venture Capital, che coinvolgerà direttamente come Limited Partners alcune tra le principali aziende partecipate dal Gruppo CDP e che investirà direttamente in start up focalizzate su alcuni degli ambiti strategici del Paese. Il Fondo avrà una dotazione iniziale di 150 milioni di euro.
  • Il Fondo Tech Transfer, con l’obiettivo di supportare la filiera del trasferimento tecnologico mediante il co-investimento selettivo nelle start up più promettenti e l’investimento in fondi verticali specializzati. Il Fondo avrà una dotazione iniziale di 150 milioni di euro.
  • Nei primi mesi del 2021, è previsto, infine, il lancio del Fondo Late Stage, con una dotazione iniziale di 100 milioni di euro, con lo scopo di sostenere direttamente le start up già in fase “matura” che necessitino di capitali per ulteriore consolidamento ed espansione sui mercati internazionali, contribuendo così allo sviluppo di aziende ad alto contenuto tecnologico, con potenziale prospettico anche per la grande industria.

Complessivamente la SGR ha oggi in valutazione una pipeline di oltre 200 opportunità e conta di deliberare, complessivamente, investimenti per oltre 250 milioni di euro entro la fine del 2020.

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fondo nazionale innovazione

Cosa è stato già fatto per l’innovazione in Italia

Da febbraio 2020 sono state approvate e sono in corso nuove importanti iniziative che portano ad oltre 100 milioni di euro il totale degli investimenti deliberati – che avranno un impatto sulla vita di circa 160 startup – e che includono alcune azioni di sostegno nate dalla situazione di emergenza Covid-19 e dalla conseguente forte difficoltà nell’ecosistema start up:

  • AccelerORA: intende finanziare, entro settembre 2020, prevalentemente start up in fase seed/pre-seed con interventi fino ad un massimo di 300mila euro, tramite il Fondo Acceleratori per un ammontare complessivo fino a circa 9 milioni di euro.
  • Seed al Sud: mira a finanziare, sempre entro settembre 2020, start up basate al Sud Italia in fase seed/pre-seed con interventi fino ad un massimo di 300mila euro tramite il Fondo Italia Venture II, per un ammontare complessivo fino a 6 milioni di euro.
  • ItaliaXStartup: Web Series settimanali per favorire la condivisione di esperienze di start up che stanno affrontando la fase CoVid-19 e per creare opportunità di business/investimento su specifiche filiere.

Da oggi sono inoltre disponibili il sito web e la pagina LinkedIn di CDP Venture Capital che riporteranno le principali attività e iniziative della SGR.

whatsapp pay

Il Brasile sospende WhatsApp Pay (e i sogni di gloria di Facebook)

Il Brasile, il secondo mercato per importanza per WhatsApp, ha sospeso il servizio di pagamento mobile dell’applicazione di messaggistica istantanea nel paese una settimana dopo il suo lancio.

In una dichiarazione, la banca centrale brasiliana ha dichiarato di aver preso la decisione di “preservare un ambiente competitivo adeguato” nello spazio dei pagamenti mobili e di garantire “il funzionamento di un sistema di pagamento che sia intercambiabile, veloce, sicuro, trasparente, aperto ed economico”.

Le banche del Paese hanno chiesto a Mastercard e Visa, che sono tra i partner di pagamento di WhatsApp in Brasile, di sospendere il trasferimento di denaro sull’applicazione. Il mancato rispetto dell’ordine comporterebbe per le società di pagamento l’applicazione di multe e sanzioni amministrative.

Nella sua dichiarazione, la banca centrale brasiliana ha suggerito di non aver avuto la possibilità di analizzare il servizio di pagamento di WhatsApp prima del suo lancio.

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whatsapp pay

La battuta di arresto per WhatsApp Pay

L’annuncio di martedì è l’ultima battuta d’arresto per Facebook, che ha iniziato a testare WhatsApp Pay in India due anni fa e non ha ancora ricevuto l’approvazione normativa per espandere il servizio di pagamento a livello nazionale.

Oltre all’India, che è il più grande mercato per l’app, WhatsApp sta testando Pay anche in Messico.

L’azienda ha lanciato il suo servizio di pagamento mobile in Brasile la scorsa settimana. È stata la prima volta che WhatsApp è stata in grado di condurre un rollout del proprio servizio di pagamento a livello nazionale.

Il servizio consente agli utenti di scambiare denaro tra loro e di pagare anche le aziende, senza commissioni per gli utenti nell’invio o nella ricezione di denaro, mentre per le aziende è prevista una commissione di elaborazione del 3,99% per ricevere i pagamenti.

Non è chiaro se WhatsApp, Mastercard e Visa abbiano già recepito l’avviso della banca centrale brasiliana. Il richiamo però costituisce un precedente che il social non può ignorare nei suoi progetti di espansione del servizio.

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Investire su sostenibilità e responsabilità sociale oggi è ancora più importante per i brand

  • Il Covid-19 ha insegnato ai brand una necessaria modifica delle strategie di produzione e comunicazione.
  • La solidarietà globale ha creato aspettative più alte anche per la sostenibilità.

 

La pandemia di Coronavirus ha spinto aziende e governi a mobilitarsi rapidamente per qualcosa che non è mai accaduto prima: fronteggiare in tempi rapidissimi un’emergenza sanitaria, economica e sociale che non ha eguali nella società moderna, con chiusure di negozi e ordini a domicilio che si protraggono da mesi.

Alcuni analisti ritengono che la risposta alla crisi sia una sorta di anteprima di come la società potrebbe affrontare il peggioramento dei cambiamenti climatici, anche se questo non è un pensiero prioritario per i consumatori.

L’altro lato della medaglia: un mondo sostenibile

Per gli esperti di marketing, i cambiamenti climatici e la sostenibilità dovrebbero essere al centro dell’attenzione sia per costruire la fiducia dei clienti durante un periodo di profonda incertezza, sia per proteggersi da future catastrofi ambientali legate sicuramente all’inquinamento.

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Guardando l’altro lato della medaglia la diminuzione dell’impatto nocivo ambientale e il ritorno in città degli animali selvatici hanno fatto sì che la pandemia in realtà creasse l’opportunità di orientarsi più rapidamente verso strategie orientate alla sostenibilità.

Con la pandemia sono emersi effetti positivi sull’ambiente. Alcune analisi di Axios prevedono un calo fino al 6% su base annua delle emissioni globali di CO2 per il 2020.

Prima, il tema sostenibilità era molto vicino ai giovani Millennial e della Gen Z, il Coronavirus sembra abbia allargato il raggio di interesse a tutti i gruppi demografici.

È quindi questo il momento propizio per i brand di creare un impatto comunicativo forte, strettamente legato alla sostenibilità. I marchi hanno concretamente l’opportunità di essere parte di un cambiamento forte per la comunità e i consumatori.

Raramente c’è una causa che risuona così profondamente con così tante persone contemporaneamente.

ha affermato Julia Wilson, vicepresidente responsabile della sostenibilità di Nielsen.

Investire nella sostenibilità e nella responsabilità sociale è un buon business

I marketers potrebbero fare un passo in avanti investendo nella sostenibilità, nonostante le pressioni economiche della pandemia. Una ricerca congiunta condotta tra lo Stern Center for Sustainable Business e l’IRI della NYU, ha rilevato che i prodotti sostenibili commercializzati sono stati responsabili del 50% della crescita del mercato tra i prodotti confezionati tra il 2013-2018.

Pre-pandemia, secondo i dati di Nielsen c’era anche un tasso di crescita dell’8% per gli attributi o le rivendicazioni dei prodotti di responsabilità sociale.

Al momento non è chiaro se aree come i prodotti sostenibili torneranno a quei livelli nei prossimi mesi, ma è possibile che l’interesse potrebbe effettivamente essere più alto di prima.

Se i brand contribuissero davvero al bene pubblico e si assumessero la responsabilità di una risposta concreta al benessere del pianeta, potremmo ipotizzare un futuro diverso.

sostenibilità brand

Per esempio, se l’incremento di utilizzo di biciclette in Italia (dovuto a diversi fattori come il bonus del Governo o la necessità di non utilizzare l’auto o i mezzi pubblici sovraffollati) cambierà la percezione delle necessità dei singoli e di conseguenza della comunità, in quel caso staremo compiendo un primo passo importante.

Il marketing del futuro potrebbe essere autentico

Riuscite a immaginarlo? Potrebbe realmente raccontare i valori migliori di un brand, contribuire al contenimento dell’inquinamento, garantire diritti equi dei lavoratori e sbandierare con orgoglio ogni passaggio della catena produttiva.

La pandemia ha provocato una solidarietà globale mai vissuta in precedenza: il malessere e le mancanze sanitarie ed economiche hanno rafforzato la necessità di condivisone dei diritti, di cui probabilmente in precedenza non ci preoccupavamo troppo.

LEGGI ANCHE: Cosa fare (e cosa non fare) per comunicare ai tempi del COVID-19

sostenibilità brand

Il comportamento dei consumatori sta cambiando

Un recente studio di Accenture ha suggerito che le abitudini di acquisto dei consumatori potrebbero essere modificate dalla pandemia e che il “consumo etico” è in aumento. Il 45% degli intervistati ha riferito di fare scelte più sostenibili e probabilmente continuerà a farlo in futuro.

“L’ampiezza dei cambiamenti identificati nei nostri risultati suggerisce chiaramente che si tratta di un cambiamento a lungo termine“, ha dichiarato Oliver Wright, Ad di Accenture, “Mentre osserviamo queste tendenze da un po’ di tempo, ciò che sorprende è il ritmo: comprimere in settimane i cambiamenti che probabilmente avrebbero richiesto anni“.

Allo stesso tempo, le aspettative dei consumatori riguardo alla sostenibilità saranno probabilmente più alte di prima. È come se la pandemia avesse ribaltato totalmente le aspettative dei consumatori, rendendo tutto possibile. Di conseguenza i brand se non vorranno perdere in termini di credibilità dovranno adattarsi.

LEGGI ANCHE: 5 esempi di Brand Activism da cui trarre ispirazione

Brand Activism

Il futuro deve essere sostenibile

Il continuo e prolungato degrado ambientale, tra cui la deforestazione, l’estrazione mineraria dilagante, lo sfruttamento intensivo dei terreni, renderà le pandemie più frequenti e più dannose per l’economia futura. Ignorare tutto questo, oggi, significherebbe pagarne conseguenze disastrose in futuro. I consumatori cercheranno qualità e longevità e ridefiniranno il rapporto con gli acquisti. Il cambiamento dovrà essere rapidissimo.

I consumatori hanno modificato alcune abitudini di acquisto durante il lockdown, favorendo il km zero, le botteghe di quartiere e le aziende agricole, ove presenti, in prossimità.

Alcuni colossi hanno già annunciato i primi cambiamenti come la sostituzione di bicchieri di plastica con quelli di carta e confezioni per cibo da asporto riciclabili ed ecosostenibili.

Altre categorie, incluso il settore della vendita al dettaglio gravemente compromesso, potrebbero dover esaminare più attentamente le opzioni di prodotti riciclabili o riutilizzabili.

Starbucks

La roadmap e il mindset per reinventare la tua Customer Experience

  • Siamo entrati nella fase 3: perché nessuno compra?
  • La Customer Experience come asset per fare riemergere il business
  • Tre traiettorie dove orientare gli sforzi di marketing e business

Siamo entrati da qualche settimana nella fase 3, ma aziende e business faticano ad accorgersene. Si chiama ‘Effetto Caverna’ e può essere riassunto così: in queste condizioni e dopo 3 mesi di stanziamento domestico, chi ha più voglia di rimettere la testa fuori casa?

E così, soprattutto in Europa, mentre ci sarebbe gran bisogno di spendere e tornare (con senno e nel rispetto delle regole) a uscire e consumare per fare ripartire l’economia, noi fatichiamo. Se aggiungiamo poi i timori del futuro imminente, il pranzo è servito.

E allora, cosa possiamo fare come marketer, imprenditori, consulenti e business strategist? La risposta finora ha un nome, ho meglio un acronimo: CX, ovvero Customer Experience. Tutto, o almeno la maggior parte, sta lì. Se le crisi sono gravi ma offrono tante opportunità ai pensatori laterali, comprendere per davvero cosa vogliono i consumatori e come deliziare le persone oggi – qualcosa di molto diverso rispetto a 3 mesi fa – è decisivo.

Cosa significa Customer Experience e perché oggi più che mai è decisiva

Partiamo dai fondamentali, ovvero da cosa significa CX.

Per Customer Experience intendiamo le reazioni emotive che i nostri utenti hanno quando entrano in contatto con noi attraverso una comunicazione, un’interazione, un touchpoint, …

Dunque, il focus della CX è sull’output, sul risultato concreto. Da sempre, sulla stessa Customer Experience aleggiano miti e leggende, già in una ricerca di alcuni anni fa, SAS e Harvard Business Review sottolineavano numeri contraddittori:

  • il 53% degli executive intervistati valutava la CX una leva di vantaggio competitivo;
  • di conseguenza, il 45% considerava la gestione della CX una priorità strategica;
  • nonostante tutto, la stessa percentuale (45%) valutava difficile misurarne il ROI.

Oltre a queste statistiche sfidanti, capiamo un altro motivo per cui oggi, rispetto alla CX, è davvero il tempo di passare dal dire al fare. Perché è cambiato tutto!

  1. I consumatori sono sul divano;
  2. Anche se possono muoversi, valutano questa opzione ancora poco conveniente;
  3. Amazon ha scardinato tanti indecisi digitali, facendo capire loro che con 2 soli click possono avere a casa e il giorno dopo (quasi) tutto ciò che serve;
  4. [Potrei continuare con decine di altre motivazioni…]

Una notizia positiva, è che il consumatore comunque non è sparito; come citato nel punto uno, è ‘semplicemente’ a casa e vuole buoni motivi per spostarsi dalla conca del divano che si è comodamente creato in queste settimane di remote working e social distancing. Dopo le settimane dell’empatia digitale, dove tutte le ricerche – in primis, quella di McKinsey legata a come declinare la Customer Experience al tempo del Coronavirus – erano concordi sulla necessità di rimanere digitalmente vicini ai clienti, dobbiamo adesso passare all’azione.

Tre stimoli di Customer Experience a prova di Covid-19

Ne abbiamo sentiti tanti, forse troppi: webinar, consigli, white paper, ricerche più o meno solide contenenti le linee guida per reinventare il dialogo con i customer.

Ma poi, cosa funziona davvero? Da tutto questo mare magnum di stimoli e contenuti, ti riporto tre pensieri su cui consiglio di ragionare e iniziare a lavorare.

Pensa poli-canale, non (più) omni-canale

Ivan OrtenziChief Innovation Evangelist del Gruppo BIP – ha provato a tracciare una nuova architettura dell’esperienza. Tra gli stimoli, uno mi sembra particolarmente efficace: almeno per un po’ di tempo, sarà difficile pensare omni-canale.

Se per anni abbiamo disegnato e progettato con il cliente al centro, semplicemente adesso il cliente al centro non vuole stare. Ha paura, preferisce mettersi di lato o non esserci proprio. Alcuni canali, dunque, saranno molto meno efficaci rispetto a prima: uno tra tutti lo store fisico. Il suo suggerimento è di pensare invece poli-canale, dando la precedenza ad alcuni touch-point rispetto ad altri.

Tieni comunque il mindset omni-canale nel tuo cassetto in ufficio: tornerà, tornerà. ?

Ripensa gli spazi

A proposito di precedenze, è indubbio che gli spazi fisici stanno soffrendo. Già soffrivano in parte prima del Coronavirus, ora fanno proprio fatica a riemergere. Non parlo solo del +400% che ha segnato l’eCommerce nelle ultime settimane: come anticipato le persone hanno paura, temono il contatto diretto, e in generale non vivono una bella esperienza in store con tutta quell’amuchina e quei guanti.

L’ultima trimestrale Inditex – il gruppo di Zara, per intenderci – non lascia spazio a dubbi ed è ben analizzata sul suo blog da Romano Cappellari, Professore di Marketing e Retailing: saranno chiusi nel triennio 1.000-1.200 punti vendita (il 13-16% della rete attuale e il 10-12% della superficie complessiva), ma nonostante queste chiusure la superficie complessiva della rete fisica è destinata a crescere del 2,5% annuo per effetto di 450 nuove aperture. Saranno negozi più grandi, più belli, più sostenibili e in grado di offrire una migliore Customer experience completamente integrata con l’esperienza online.

Già, l’online… non pensare che anche gli spazi digitali non debbano essere rivisitati. Come ho avuto modo di sottolineare in un recente articolo pubblicato sul mio blog, qualsiasi trasformazione digitale deve partire dai disobbedienti. Troppo spesso progettiamo per noi, o anche solo per una personas ‘media’: di ceto medio, di consapevolezza digitale media, e così via. Dobbiamo invece progettare per coloro che di digitale non capiscono molto, che fanno fatica ad avvicinarsi per via delle paure che solo il nome mette. La UI di Amazon è brutta, diciamocelo. Ma funziona benissimo. Pensa a spazi digitali a prova di… chiunque.

Rispetta il cliente

Una banalità, vero?

Quello del(la) cliente al centro è un grande mantra, che ogni tanto si perde in moda o in semplice linguaggio. Basta dire ‘Customer Centricity’ e pouf, ci sentiamo in pace verso il customer: stiamo facendo la cosa giusta, qualunque cosa sia. Tale dinamica ci fa perdere il contatto reale con le persone. Altre volte, il troppo successo ci rende sbruffoni e poco rispettosi, quasi come di così tanti clienti non ne avessimo bisogno. Quante volte abbiamo dovuto fare la fila, al caldo, per entrare in un posto? E quante volte abbiamo avuto a che fare con un front office poco cortese? Tutti abbiamo notato il cambio di orientamento della forza vendita nel post Covid-19: grandi saluti, grandi cerimoniali, grandi sorrisi (nascosti dalla mascherina, ma l’occhio non mente). Il problema, è che questo dovrebbe essere lo standard!

Approfitta di queste settimane per fare formazione di Customer Centricity ai sales assistant e a tutte le persone che si interfacciano giornalmente con gli utenti: è una buona occasione per allacciare i rapporti con clientela nuova, o per riscoprire un ‘pezzo’ di customer base che se ne stava lì, dormiente.

Magari seguendo casi eccellenti come Gucci, che ha nella boutique Gucci Wooster di New York ha sperimentato un nuovo modello di vendita attivando i Gucci Connectors. I visitatori sono infatti accolti da questo gruppo di ambasciatori della marca, il cui scopo sarà quello di coinvolgere i clienti nel brand storytelling. Il loro scopo? Non è solo la vendita, ma piuttosto la creazione di un legame profondo fra Gucci e il cliente.

Il rispetto del(la) cliente passa anche però da tutte le variabili che compongono il prodotto, prezzo compreso. L’economia ci insegna che il rapporto tra il prezzo di un servizio e il suo costo determina il markup che desideriamo ottenere. La riorganizzazione degli spazi, dei servizi e di molto altro che Covid-19 ha reso necessaria ha comportato per tutti investimenti più o meno ingenti, certamente sostanziosi. Diversi giornali hanno riportato una presunta tassa Covid-19 che alcuni commercianti e imprenditori hanno esplicitamente incluso nello scontrino mostrato al cliente finale.

Mi trovo ancora una volta pienamente d’accordo con l’analisi di Romano Cappellari: se certamente le spese ci sono state a discapito dell’efficienza e dei margini, considerare i costi il principale riferimento per determinare il prezzo è sbagliato. Il cliente oggi compra la maggior parte dei prodotti e dei servizi perché vuole sentirsi coccolato, servito, e desidera vivere un’esperienza. Paga volentieri per questo motivo; considera invece implicito che il prezzo copra anche il fatto che vengano adottate tutte le precauzioni e le norme attualmente in vigore per la migliore igiene, qualunque esse siano e qualunque cosa esse comportino.

In effetti, è anche generalmente poco interessato a capire che impatto abbiano tali precauzioni sui costi di chi gli fornisce il servizio. Evita dunque di mostrare la tassa Covid-19 e concentrati al contrario su come incrementare il valore percepito dell’offerta attraverso l’esperienza più opportuna: se il cliente è disposto già a pagare 40 Euro per un servizio completo, forse puoi proporgli un’esperienza ancora più ricca capace di inglobare implicitamente i costi sostenuti? Così facendo, tra l’altro, quando in futuro i protocolli di sicurezza consentiranno di tornare a una maggiore efficienza potrai anche godere di un incremento del markup.

Facebook Shop

Facebook Shops: come funziona nel dettaglio la nuova opzione per vendere online

  • Finalmente è arrivata la possibilità di aprire il proprio eCommerce sui social media.
  • Facebook Shops è una super novità facile da attivare, gratuita, intuitiva e che ci aspettiamo porti un’evoluzione nel mondo del social commerce.

 

È stato annunciato in una diretta Facebook da Mark Zuckerberg a metà maggio e non è ancora attivo in Italia, ma manca veramente pochissimo… Oggi vediamo nel dettaglio Facebook Shops.

LEGGI ANCHE: Arriva Facebook Shops, per creare eCommerce direttamente sul social

Facebook Shop

Che cos’è Facebook Shops e perché sarà utile

Facebook in questo periodo di pandemia ha pensato soprattutto a strumenti per piccoli business e attività locali che possono aver bisogno di supporto ed ecco che arriva un’altra super novità, per chi ancora non ha un vero e proprio eCommerce, ma vorrebbe buttarsi nella vendita online.

A brevissimo sarà possibile crearsi il proprio Shop sui i social media, direttamente su Facebook e Instagram, ma in un prossimo futuro integrando anche Messenger e Whatsapp.

Le persone spendono sempre più tempo sui social media e perché non trovare un modo per mostrargli anche i propri prodotti preferiti da acquistare. Facebook non si è lasciato sfuggire questa opportunità di business, ora che le vendite online continuano a crescere.

È uno strumento gratuito, facile ed intuitivo da creare e si discosta dalla tab Vetrina che abbiamo visto fino ad ora sulla pagine e che ci permette di avere il nostro catalogo prodotti condiviso anche su Instagram per i tag shopping. Ha un’interfaccia pensata per il consumatore sempre più attivo da mobile che in modo veloce potrà acquistare i suoi prodotti preferiti.

Come funziona Facebook Shops e chi lo può attivare

Facebook Shop

L’apertura dello Shop è gratuita, ma diventa fondamentale gestire i nostri account social con Business manager, lo strumento che ci mette a disposizione Facebook per avere sotto controllo tutte le nostre risorse collegate alle sue piattaforme social.

Per settare Facebook Shops si deve infatti essere:

  • Amministratore della pagina Facebook (o della pagina Facebook collegata all’account Instagram sul quale si vuole lavorare)
  • Amministratore del Business Manager
  • Gestire pagina Facebook e Catalogo nello stesso Business Manager

Sembra infatti che questa funzione si attiverà gradualmente per tutti, dando priorità a chi già gestisce un catalogo prodotti e Instagram Shopping.

Arriverà una notifica e tutto sarà gestibile tramite ‘Gestore delle vendite’ che avrete già iniziato a vedere impostato e dovrete configurare.

Gestore delle vendite include una serie di strumenti pensati per vendere prodotti, gestire l’inventario ed evadere gli ordini della tua azienda su Facebook e Instagram.

Cosa potremo fare con Facebook Shops

  • Sarà possibile caricare un numero illimitato di prodotti sul proprio catalogo e personalizzare il look and feel del negozio a livello base.
  • Si potranno organizzare i prodotti in collezioni e categorie.
  • I consumatori potranno comunicare direttamente con noi tramite la pagina. Potranno sfogliare i prodotti e salvarli.
  • Potremo vedere statistiche di vendita, di visite e altro ancora.
  • I nostri prodotti appariranno anche nel Facebook Marketpalce, dandoci sicuramente più possibilità di visibilità.
  • In Italia il check out non sarà diretto su Facebook, ma verremo ancora rimandati ad un sito web esterno dove concludere l’ordine, negli Stati Uniti invece è disponibile anche la funzione di check out diretto. Sono molte però le integrazioni possibile e tra i partner più accreditati Shopify, piattaforma per creare eCommerce.

Altra novità molto interessante legata a Facebook Shops è la feature Live Shopping: a breve sarà possibile taggare i propri prodotti prima di andare Live sia su Facebook che su Instagram e quindi venderli direttamente durante la diretta stessa, nella quale verrà mostrato sempre il prodotto in questione sulla parte inferiore del video, con possibilità di acquisto immediato.

Cosa si potrà vendere e quali sono le restrizioni

Come recita la policy di Facebook:

“I prodotti e i servizi venduti su Facebook e Instagram devono rispettare i nostri Standard della community e le Normative sulle vendite di Facebook. Le nostre Normative sulle vendite forniscono regole su quali tipi di prodotti e servizi possono essere offerti per la vendita su Facebook e Instagram. I venditori sono anche responsabili del rispetto di tutte le leggi e le normative applicabili. La mancata osservanza può comportare una serie di conseguenze, fra cui la rimozione dei contenuti pubblicati. Se pubblichi ripetutamente contenuti contrari alle normative di Facebook, potremmo intraprendere ulteriori azioni nei confronti del tuo account. Ci riserviamo il diritto di rifiutare, approvare o rimuovere gli annunci per qualsiasi ragione, a nostra esclusiva discrezione”.

Trovate qui l’elenco di tutti i prodotti vietati, al momento non è infatti possibile mettere in vendita:

  • Servizi
  • Medicine
  • Contenuti scaricabili e in abbonamento
  • Prodotti per adulti di carattere espressamente sessuale
  • Alcolici
  • Animali
  • Parti del corpo o fluidi corporei
  • Offerte di lavoro
  • Integratori quali vitamine, chitosano, barrette proteiche
  • Abbonamenti e prodotti digitali
  • Dispositivi medici e per smettere di fumare
  • Prodotti a base di tabacco
  • Esplosivi, munizioni e veleni

È inoltre limitata la vendita di buoni regalo, voucher e biglietti per eventi.

Ora non ci resta che aspettare di ricevere la notifica per poi iniziare ad impostarlo e capire cosa ci aspetta.

Il comparto del lusso: dalle riconversioni alla ripresa nelle vendite grazie alla Cina

  • Anche il comparto del lusso ha subito forti contraccolpi a causa della pandemia, con fatturati che sono calati fino al 30%.
  • La Cina, primo mercato di riferimento, però, è in piena fase revenge spending, con numeri che fanno ben sperare.
  • Big news: anche il lusso finalmente si apre al digitale puntando alle esperienze d’acquisto personalizzate.

 

Da questa pandemia stiamo uscendo cambiati e sicuramente non fa eccezione l’economia, con abitudini del consumatore mutate, aziende ancora non del tutto operative, nuove misure di “distanziamento sociale”.

Non è da meno il comparto del lusso, un mercato in cui la crisi è bivalente: brand e subappaltatori italiani in difficile ripartenza e il miglior e maggior cliente, la Cina, con forti conseguenze da totale lockdown.

Ma nulla è perduto! Le stime confermano un trend di crescita positivo, seppur meno del previsto e viene finalmente sdoganato lo shopping online per i beni di lusso.

LEGGI ANCHE: Il mondo dopo il Covid: dati, previsioni e ipotetici scenari

Dal calo di fatturato al digitale

Il mercato del lusso ha, negli ultimi anni, attirato milioni di investimento e il trend si conferma in questo periodo di neo post lockdown con previsioni di incremento fino al 70% di nuovi fondi che stanno guardando a questo comparto come la prossima mossa per il 2020.

Perché? I dati parlano chiaro: il settore prevede una crescita del 10% iniziata nel 2019 fino al 2025 con un +1,9% annui e, dopo questa pandemia, con ampia manovra di sviluppo in campi come digital, shop online e tech inesistente prima del febbraio 2020.

I settori che vedranno arrivare più capitali sono quelli del beauty come la cosmetica e i profumi, gli accessori moda e il lusso digitale e sono anche i settori che hanno tenuto di più durante il periodo COVID, mentre contraccolpo negativo per hôtellerie, auto ed orologi.

Se da una parte i nuovi investimenti nel settore non sembrano rallentare, dall’altra, inevitabilmente, i consumi e le produzioni hanno subito una brusca frenata, con un calo del 30%. Questo è dovuto soprattutto al fatto che la clientela del settore è rappresentata per il 35% dalla Cina, Paese primo ad entrare in lockdown con forti conseguenze sulla sua capacità di spesa e potere di acquisto.

In periodi come questi è fisiologico che le priorità di acquisto cambino, seppur possedere ed acquistare beni di lusso rappresenti anche l’appartenere ad uno status quo, è necessario procedere per priorità, le spese per nuovi beni impossibili però sembrano solo posticipate, niente cancellazione quindi soprattutto tra i giovani e la Gen Z, i maggiori acquirenti del mercato.

In Cina, infatti, sono le nuove generazioni e le zone emergenti ad essere affamate di beni nuovi grazie anche all’influenza dei social, un pubblico che in questo momento è pessimista per il peggioramento della loro condizione economica a causa del lock-down, ma che dichiara anche di voler tornare a comprare come prima appena tutto sarà finito.

Due cose il comparto dovrebbe imparare dopo questo trimestre: il lusso al giusto prezzo e che l’online non è il diavolo, ma un’opportunità.

Il lusso al giusto prezzo, infatti, ha dato un segnale al mercato importante sul fatto che potrebbe essere l’occasione per ampliare la clientela con una corretta segmentazione il settore potrebbe rispondere in maniera più solida ai contraccolpi di cali di fatturato.

L’online è un’opportunità soprattutto per chi non lo ha ancora esplorato e questa è un’inevitabile conseguenza che ci porteremo tutti dietro dopo questa pandemia, d’altronde se non si può stare “vicini” come prima è necessario trovare un altro modo, un’esperienza d’acquisto online personalizzata, store digitali con assistenti reali che guidino il cliente nel suo shopping o un processo d’acquisto online che si finalizzi nello store, ma il negozio fisico seppur di alto livello ormai non è più sufficiente.

Una cosa mi ha stupita, lo “store” in cui avvengono i maggiori acquisti del comparto sono gli aeroporti e con il turismo limitato è il punto vendita che ha in assoluto registrato numeri negativi ed è da sempre stata la fonte maggiore di guadagno per il settore.

La luce a fine tunnel c’è e si vede. Gli esperti dichiarano che tra il 2022 e il 2023 si ritornerà al livello di spesa pre Covid con la Cina sempre in testa nella ripresa, anche per il 2020 anno in cui sarà l’unica a chiudere in positivo.

Insomma, la situazione non è così nera come ci si aspetta, ma sicuramente sarà una nuova ripresa, diversa e che avrà cambiato anche un settore così tradizionale ad ancorato agli store fisici.

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Il Revenge Spending dalla Cina

Si sa, gli autoregali e la voglia di avere qualcosa di nuovo sono i migliori antidoti a malumore e depressione. Anche con l’apertura delle attività post Covid si conferma questo trend che ha un vero e proprio nome: Revenge Spending, la voglia di riscattarsi dopo un periodo di limitazioni attraverso lo shopping, insomma il classico shopping consolatorio.

Tra i settori più colpiti da questo shopping compulsivo ci sono ristoranti, viaggi, locali e, naturalmente, i negozi, brand del lusso compresi.

Non solo Cina, anche il mercato indiano è sotto la lente d’ingrandimento dei brand di lusso che si aspettano da questo altro Paese emergente una crescita di volume d’affari tra il 10 e il 15 percento, ma non solo nell’ambito “grandi marchi internazionali” che sicuramente traineranno il comparto, ma anche dai luxury brand indigeni come abbigliamento e accessori sotto il marchio Indian Apparel, ma anche servizi, turismo, auto e beni immobili con un settore che vale circa il 30% del mercato totale.

Il mercato asiatico, ma più in generale il mercato dei beni di lusso, oltre a registrare le sue maggiori vendite nel contesto turistico ed aeroportuale, rappresenta per l’acquirente l’occasione di essere arrivato, di ostentare, anche, il suo potere di acquisto e di sentirsi parte di un’élite.

Se in India la fetta più ampia di clientela è rappresentata dagli uomini di affari e dalle loro famiglie, per il popolo cinese è la Generazione Z, oltre ai Millennials, quella che guida la classifica con previsioni di spesa che si aggirano sui 43 miliardi di dollari entro il 2024.

Per questo segmento, infatti, non è più l’ostentazione la motivazione d’acquisto, ma il “social capital” sentirsi, cioè, parte di un gruppo. Vedetela come: per noi in adolescenza se non avevi il motorino non eri nessuno, ora gli adolescenti nel 2020 se non hanno l’ultimo paio di scarpe droppato da Nike o un bell’orologio importante si sentono ai margini del loro gruppo.

Sicuramente il periodo che stiamo attraversando ha significato un parziale cambio di rotta e di regole per i player del settore che, pur di non perdere il loro mercato principale, hanno abbassato prezzi e tassazione puntando sul comparto digitale, pensate che Burberry, Guerlain o La Mer hanno deciso di aprire un loro store su Alibaba.

Queste scelte strategiche, fatte anche di acquisti di prossimità, hanno portato fin dal mese di aprile ad una ripresa, per marchi come Louis Vitton, Dior ed Hermès i dati parlano già di +50%.

Oltre a ciò un trend importante viene avanti: la valorizzazione di marchi cinesi coppia della volontà di ridurre, soprattutto dopo questa pandemia, la dipendenza del Paese dal mercato estero che per i brand stranieri, anche quelli più conosciuti vuol dire prendere in considerazione una distribuzione diretta in Cina o ad installare parte della produzione direttamente sul territorio asiatico.

Dopo questo Covid si parlerà, insomma, di Km0, o quasi, anche per lo shopping di alto livello.

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Una promettente ripartenza dei più grandi marchi del comparto del lusso

I veri imprenditori non rimangono mai con le mani in mano e ce lo hanno dimostrato anche e soprattutto i grandi nomi della moda e del lusso durante questa emergenza, c’è chi ha convertito la propria produzione per offrire un prodotto utile alla comunità e c’è chi ha voluto fare donazioni alle strutture sanitarie. Insomma tutti hanno voluto dare una mano.

Per citare alcuni degli esempi più chiacchierati: Dior e Armani hanno convertito le loro produzioni tessili, la prima per mascherine produttive e la seconda per camici monouso; lo stesso gruppo Armani e l’omonima squadra di basket hanno voluto donare dei capitali alle terapie intensive milanesi e lombarde; lo stesso ha fatto il gruppo OTB devolvendo in beneficenza il 10% del ricavato di ogni vendita, Valentino, Geox e Diadora anche loro protagonisti di cospicue ed utili donazioni; Gucci e Prada forzando la loro produzione alla realizzazione di mascherine e camici monouso; LVMH, invece è passata dai profumi al gel disinfettante distribuito in modo gratuito agli ospedali.

Ma se anche i big del Made in Italy e non solo hanno registrato cali di fatturato causati da pandemia e contrazione dei consumi, il settore più colpito sarà quello dei piccoli artigiani a cui i grandi brand subappaltano parte della produzione per garantire la qualità del fatto a mano.
Un esempio rilevante viene dalla produzione del cuoio, scorte accantonate su stime del periodo che però ora non possono essere lavorate per mancanza di richiesta. Quindi cosa fare? Comprare i piccoli produttori o lasciarli fallire?

Come già detto sopra i segnali positivi di ripresa ci sono, come le cifre record incassate da Hermès nella sola giornata dell’11 aprile: 2,5 milioni di euro registrati dalla boutique locale di Canton. E per l’occasione non volevamo lanciare la nuova Birkin tempestata di diamanti?

Sicuramente questi dati incoraggianti avvalorano di nuovo la tesi della Revenge Spending, i consumatori si sono stufati di spendere solo per le spese essenziali, c’è voglia di ritornare a concedersi qualche vizio in più.

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Dopo ogni momento di cambiamento è necessario capire quali sono le nuove strategie e i nuovi comportamenti da adottare per non farsi cogliere impreparati e rimanere il più possibile sul mercato.
Sicuramente dopo questa pandemia i brand, non solo del lusso, si sono resi conto di due leve ancora forse inesplorate: le vendite online e le vendite di prossimità.

  • La vendita online rappresentava prima del 2020, per alcune aziende, una strategia di mercato lontana o inesplorata, ma i lock-down ha portato i consumatori in modo più o meno consapevole ad accelerare le loro abitudini e il loro salto culturale verso il digitale, sia in termini lavorativi con lo smart-working, sia in termini di abitudini d’acquisto con la preponderanza dello shopping online.
  • In netta contrapposizione, le vendite di prossimità, che non significa solo lo store fisico dietro l’angolo, ma anche l’iniziare a pensare al proprio cliente come persona ricca di valori e necessità e non solo un numero da mettere a budget. Questo vuol dire che le comunicazioni e le strategie pubblicitarie devono iniziare ad apprendere un tone of voice più umano portavoce di valori aziendali veri e condivisi

Sicuramente i grandi brand del comparto del lusso stanno sperimentando queste due nuove leve, con l’apertura di esperienze di shopping online prima impensabili e con la creazione di store fisici o esperienze d’acquisto più personali e personalizzabili.

La luce in fondo al tunnel c’è, basta vederla.

instagram stories come usarle

Instagram Stories: perché non devono più mancare nella tua Social Media Strategy

  • Grazie alle Instagram Stories, raccontare i valori aziendali di un brand non è mai stato così immediato.
  • L’enorme vantaggio di utilizzare le Instagram Stories è nel disporre di uno spazio aggiuntivo all’interno della stessa piattaforma così da poter comunicare con i propri fan ed essere ben visibili nella barra di navigazione in alto con la propria foto profilo all’interno della home di ogni utente.

 

Correva l’anno 2016 quando Instagram introdusse la nuovissima funzionalità definita come Stories. Fino ad allora, la possibilità di postare dei video effimeri, visibili soltanto per 24 ore, era una prerogativa della sola piattaforma di Snapchat.

E come sottolinea un noto articolo pubblicato su SocialMediaExaminer, già nel 2017 si prospettava un sensibile miglioramento dell’esperienza dell’utente all’interno di Instagram, proprio grazie al loro utilizzo. La piattaforma fu premiata, e tanto, da parte degli utenti che la utilizzavano. A differenza di Snapchat, v’era sorprendentemente la meravigliosa possibilità di poter effettuare più azioni all’interno di un’unica piattaforma: Instagram, per l’appunto.

Una tendenza positiva che ha riscosso, fin dai suoi primi utilizzi, grande successo e risonanza. Conseguenza di questo trend positivo, anche l’aumento della quota di mercato di Instagram nei confronti di Snapchat. In quest’ultima, non viene semplificato la connessione con altri utenti. Su Instagram, invece, è possibile connettersi con amici e follower anche di Facebook: si può cercarli e decidere di seguirli.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

È apparso chiaro, da subito, come coloro che dapprima popolavano Snapchat si sono via via spostati inevitabilmente verso Instagram. E così, le incredibili novità introdotte dalle Instagram Stories hanno conquistato sempre più utenti.

A conferma di ciò, l’enorme fetta della Generazione Z ha visto un incredibile avvicinamento della piattaforma alle proprie esigenze. Ed a poco a poco, il loro utilizzo, si è fatto sempre più concreto e formidabile anche in ambito B2B. Ad oggi, infatti, rappresentano una vetrina attraverso cui comunicare i propri valori aziendali.

Ma c’è di più…

Le Instagram Stories incoraggiano gli utenti non solo a rimanere sulla piattaforma più a lungo, ma in particolare a farci ritorno molto più frequentemente: i dati registrano che gli utenti sotto i 25 anni trascorrono in totale più di 32 minuti al giorno su Instagram, mentre il restante, trascorre più di 24 minuti al giorno.

I numeri su cui riflettere

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

Le 3 caratteristiche da tenere in considerazione

  • Spontaneità e velocità
    Le stories nascono per immortalare momenti di vita quotidiana (e non solo) in maniera rapida e divertente, tramite un formato verticale, proprio come normalmente teniamo in mano il nostro smartphone, con adesivi, effetti speciali, pennelli ed una vasta gamma di colori tra cui scegliere. Il mondo delle stories è naturale e meno artefatto dei contenuti che solitamente si possono pubblicare sui vari canali social media. È proprio questa l’aspettativa gli utenti hanno ogni volta che accedono alle Instagram Stories ed è proprio questa curiosità che la maggior parte dei brand cercano, ormai, di soddisfare.
  • Durata a scadenza
    Instagram, negli ultimi anni, ci hanno ricredere come i cosiddetti “contenuti effimeri” rispecchino un carattere speciale. Sono percepiti come più credibili ed autentici. È un qualcosa si può perdere e che non può più avere l’occasione di rivedere. Ecco come l’arma dell’ansia di perdere un’occasione di poter vedere qualcosa possa giocare sulla mente degli utenti, e quindi su quella dei potenziali consumatori.
  • Continua evoluzione
    Dal loro inserimento, Le Instagram Stories, la loro evoluzione non è mai cessata, anzi! Sono in continuo mutamento e vengono, ormai, rilasciate nuove funzionalità di continuo, o comunque ottimizzate le esistenti. Ciò consente alle stesse stories di essere dinamiche e mai noiose.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

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Perchè le IG Stories piacciono così tanto?

L’enorme vantaggio di utilizzare le Instagram Stories è nel disporre di uno spazio aggiuntivo all’interno della stessa piattaforma così da poter comunicare con i propri fan, ed inoltre, essere ben visibili nella barra di navigazione in alto con la propria foto profilo all’interno della home di ogni utente.

Per i digital marketers più esperti, ciò incrementerà, potenzialmente, alcuni parametri, vediamo quali:

Traffic Generation

Quando pubblicate le vostre stories incrementerete l’aumento dei contenuti social in target con le vostre esigenze. Sarete, quindi, più visibili certamente, supportati possibilmente da una buona costanza di pubblicazione per mantenere “vivo” l’interesse dei vostri utenti.

Brand Awareness

Le Instagram Stories assicurano, attualmente, se adotterete tutte le misure necessarie, un’ottima visibilità per il vostro brand: esse, infatti, rappresentano uno dei migliori strumenti per alimentare il cosiddetto Brand Storytelling.

Customer Loyalty

Le Instagram Stories valorizzano e stimolano in maniera immediata il legame tra utente e brand: non sfruttare appieno il loro potenziale rappresenta un errore, a volte imperdonabile, per tutti i social media marketers che non conoscono le funzionalità messe a disposizione dalla piattaforma. La narrazione del vostro brand, adesso, passa anche da QUI!

Social Engagement

Grazie all’utilizzo delle nuove features di Instagram, le Stories possono davvero esplodere di creatività e quindi essere apprezzate dalla vostra audience: perché non registrare eventuali dati in merito alle reazioni degli utenti e veicolarvici, al massimo, i valori del vostro brand?

Advertising&Promotions

Instagram dà la possibilità di sponsorizzare, o meglio, “mettere in evidenza” le Stories che pubblicate. Perché non riflettere sull’enorme potenziale che possono costituire le sponsorizzazioni tramite le vostre stories? Servitevi di uno dei numerosi tools presenti sul mercato e date sfogo alla vostra creatività! Gli utenti vi ringrazieranno di certo!

Brand Storytelling VS Instagram Stories

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

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Grazie alle Instagram Stories, raccontare i valori aziendali di un brand non è mai stato così immediato.

Non dimentichiamoci che Instagram è un social network caratterizzato dall’aspetto visivo.
Oggi, più che mai, il cosiddetto “Visual Storytelling” è uno degli elementi fondamentali per poter veicolare costantemente i propri valori aziendali. Ed è proprio grazie alle Instagram Stories che tutto ciò è reso più intuitivo ma soprattutto altamente condivisibile!

Va inoltre tenuto presente che le stories sono spesso più visualizzate rispetto alle foto del profilo stesso. C’è da aggiungere altro…?

Instagram descrive le Stories come qualcosa che permette di “condividere tutti i momenti della tua giornata, non solo quelli che vuoi tenere nel tuo profilo”. V’è anche la possibilità di condividere più foto e video contemporaneamente, comparendo in tal modo all’interno di un “formato slideshow”. Ricordatevi, comunque, che queste foto e/o video scompariranno dopo 24 ore.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

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11 hacks da tenere a mente

  1. Formato: considerate che le stories usano un formato verticale
    Ciò vi consente di caricare i contenuti in orizzontale, ma le foto perdono qualità e i video verranno capovolti.
  2. Integrate l’utilizzo delle Instagram Stories con altri elementi/contenuti
    Se
    avete intenzione di utilizzare testi brevi ed accattivanti, gli adesivi possono conferire un tocco più ricercato e divertente.
    Senza tralasciare l’eventuale utilizzo dei diversi filtri disponibili.
  3. Individuate la versione migliore di voi
    Capire quali sono i contenuti di tendenza apprezzati dai propri follower è il primo passo per tentare di innalzare il Social Engagement (coinvolgimento dei contenuti social) delle stories. Cercate anche di analizzare gli insight per poter capire cosa piace di più: vi consiglio di sperimentare ed insistere. Pubblicare contenuti differenti permette di capire cosa funziona e cosa va abbandonato o magari ottimizzato. Per trovare la versione migliore di voi stessi è necessario investire del tempo sperimentando nuove idee per catturare l’attenzione.
  4. Tag, hashtag e menzioni
    Se desiderate personalizzare ulteriormente le vostre stories, non esitate a posizionare l’adesivo di posizione da condividere con i followers per indicare dove vi trovate. Potete conferire maggiore visibilità usando l’hashtag o la relativa menzione. Pensate, se come succede per i post, se navigando nel feed, gli utenti trovano la vostra storia all’interno della sezione Esplora! Se la trovano interessante, potenzialmente potrebbero visitare il vostro profilo interagendo con altri contenuti pubblicati fino ad iniziare a seguirvi. Nelle Instagram Stories è possibile aggiungere fino a 10 hashtag: vi consiglio di utilizzarli tutti.
  5. Le GIF
    Rappresentano un elemento sempre più utilizzato e valorizzato nella stories, possono apportare maggiore creatività ed empatia grazie alle animazioni di cui la vostre storia necessita. Anche i brand, ormai, li usano in larga parte, non solo sono divertenti ma permettono anche di realizzare storie più vivaci e che arrivano dritte al cuore dell’utente finale.
  6. Utilizzo di sondaggi, domande ed emoji
    Questi tre elementi conferiscono alla storia maggiore interazione e permettono di sapere cosa pensano o vogliono sapere i vostri followers dal vostro brand. Perchè non utilizzarli subito?!
  7. SWIPE UP (scorrimento verso l’altro)
    Questa funzione è divenuta la più utilizzata sia da aziende che piccoli brand/attività: rispecchia un chiaro invito all’azione che può far guadagnare contatti, incrementare il traffico verso il vostro sito Web ed aumentare, potenzialmente, le vendite!
  8. Fate in modo che i vostri contenuti diventino virali.
    Per creare engagement e farvi notare da più utenti possibili, le stories devono rispecchiare un carattere ed identità unici. In poche parole, devono  spingere a chi le osserva ad interagire con noi, chiedendogli, perchè no, di esprimere un’opinione e convincerlo a condividere il contenuto proposto.
  9. Non dimenticate la reale forza degli UGC (User Generated Content)
    I cosiddetti User Generated Content rappresentano il reale passaparola, come nella vita di tutti i giorni: le persone sono maggiormente propense a fidarsi dei contenuti prodotti dalle persone, considerati più vicini ed autentici rispetto a quelli prodotti dalle aziende. Se siete stati menzionati in una storia o taggati nel feed, sappiate che l’algoritmo vi premierà senz’altro.
  10. Attenzione agli orari di pubblicazione
    Conoscere i giorni ed orari nei quali i nostri followers sono più attivi risulta molto utile per incrementare le visualizzazioni delle nostre Instagram Stories. Quando pensate di pubblicare, cercate di sfruttare gli orari con maggiore frequenza ed utilizzo dell’applicazione da parte degli utenti: permetterete ai vostri contenuti di essere visti da quante più persone possibili.
  11. Rispondere sempre alle domande che arrivano dagli utenti in DM
    I Direct Message rispecchiano la nuova frontiera della “vecchia” posta elettronica. Utili per raccogliere messaggi, menzioni, domande ma anche preziosi feedback da parte degli utenti. Se ricevete un messaggio in risposta ad una storia, cercate di rispondere sempre. Cercherete, così, di far capire che dietro all’account Instagram c’è realmente una persona. Umanizzerete, in tal senso, il vostro account… E quindi anche il vostro brand!

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

Non rimane che creare il contenuto visual adatto, e perchè no, scegliere l’opportunità di creare un sondaggio…

Oppure ancora aggiungere l’adesivo ed iniziare a monitorare ciò che succede. Che tu sia una grande azienda o una piccola realtà, ti consiglio di non perdere altro tempo ed iniziare subito.

whatsapp pay

Week in Social: da WhatsApp Pay a Brand Connect di YouTube

L’universo social è inarrestabile. Anche questa settimana, ti proponiamo tutti gli aggiornamenti che non puoi assolutamente perdere. Sei pronto? Ecco le notizie principali.

Arriva WhatsApp Pay

È ufficiale! Facebook ha comunicato il lancio di WhatsApp Pay, il servizio per i pagamenti digitali che funziona attraverso la celebre app di messaggistica istantanea.

Una notizia già annunciata dallo stesso Zuckerberg lo scorso gennaio, durante la presentazione dei risultati finanziari aziendali.

Pochi giorni fa, il CEO di Facebook ha dedicato al lancio di WhatsApp Pay un post nel quale rivela “Il Brasile è il primo Paese in cui stiamo estendendo ampiamente i pagamenti via WhatsApp. Ne arriveranno presto altri!”.

E in attesa che questo servizio giunga anche in Italia, esploriamolo insieme più nel dettaglio.

Come funziona WhatsApp Pay

Dai primi indizi relativi al lancio del servizio in Brasile, si intuisce che WhatsApp Pay funziona sia come metodo di pagamento fra aziende e utenti (quindi, nell’ambito di una chat di un sito eCommerce che si affida a WhatsApp Business, adesso il compratore può pagare senza bisogno di uscire dall’applicazione), sia per le transazioni di denaro fra persone.

“Rendere semplici i pagamenti può aiutare a portare più aziende nell’economia digitale, aprendo nuove opportunità di crescita. Inoltre, stiamo rendendo l’invio di denaro ai propri cari facile come inviare un messaggio. Poiché i pagamenti su WhatsApp sono abilitati da Facebook Pay, in futuro vogliamo rendere possibile alle persone e alle aziende di utilizzare le stesse informazioni di pagamento in tutta la suite di applicazioni Facebook”, spiega il blog ufficiale di WhatsApp.

whatsapp pay

Non mancano gli accorgimenti per la sicurezza: “Abbiamo costruito questo servizio di pagamento pensando alla sicurezza, – dichiara Facebookper evitare transazioni non autorizzate, sarà necessario uno speciale PIN a sei cifre o l’impronta digitale (o il riconoscimento del volto, per alcuni smartphone ndr)”.

Al momento, in Brasile WhatsApp Pay supporta le carte di debito e di credito del Banco do Brasil, Nubank e Sicredi sulle reti Visa e Mastercard.

Facebook lancia il Centro Informazioni per il Voto

In vista delle imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti, Facebook lancia un Centro Informazioni per il Voto.

Stando a una dichiarazione rilasciata da Zuckerberg a USA Today, il Centro per le Informazioni di Voto svolgerà un ruolo chiave per incentivare la partecipazione alle urne.

Stiamo creando un nuovo Centro Informazioni per il Voto con informazioni autorevoli, tra cui come e quando votare, nonché i dettagli sulla registrazione degli elettori, sulle votazioni per posta e le informazioni sulle votazioni anticipate […] Questa novità comparirà nella parte superiore del feed di Facebook e su Instagram per assicurarci che tutti possano vederlo.

Facebook pubblicherà anche un promemoria per il giorno delle elezioni – feature dimostratasi particolarmente efficace nel favorire la partecipazione degli elettori in passato.

Inoltre, la piattaforma  ha reso nota l’imminente release di una nuova opzione per bloccare le inserzioni politiche.

“Gli utenti saranno in grado di disattivare gli annunci a tema politico, elettorale sociali provenienti da candidati politici e altre organizzazioni che hanno il disclaimer politico ‘pagato per’ [….] questa funzione sarà disponibile per tutti gli user statunitensi nelle prossime settimane”.

Facebook sta lanciando l’opzione negli Stati Uniti, ma prevede di estenderla anche ad altri Paesi, in futuro.

In pratica, quando vedremo un annuncio politico nel nostro feed, dovrebbe comparire un’opzione nel menu a discesa dell’ad per disattivare tutte le future inserzioni analoghe.

LEGGI ANCHE: 11 cose da fare sui Social Media per stare al passo con i tempi

Youtube aggiorna il suo Marketplace per l’Influencer Marketing

La crescita dell’influencer marketing, soprattutto per le piattaforme video, ha spinto YouTube ad aggiornare il suo marketplace dedicato. Ecco che FameBit diventa BrandConnect.

Finora FameBit ha agevolato la connessione tra i brand e gli influencer selezionati da YouTube attraverso il processo di pubblicazione delle campagne di seguito illustrato:

week in

Come spiegato da Youtube, BrandConnect mira a “rendere più semplice per i creatori e i marchi la creazione di branded content autentici ed efficaci […]  Per i creatori di contenuti, abbiamo sviluppato strumenti per agevolarli a trovare un match con possibili brand partner […] Per i brand, abbiamo aggiunto nuovi indicatori come il Brand Interest, il Peso dell’Influencer, e le visualizzazioni organiche attraverso le conversazioni, tutti dati che forniscono misurazioni delle campagne in tempo reale, rendendo evidenti i loro risultati”.

La nuova piattaforma BrandConnect prenderà il posto di FameBit il 1  agosto. Gli influencer interessati a registrarsi per ricevere proposte dai brand devono avere almeno 25.000 iscritti.

Brand Activism

5 esempi di Brand Activism da cui trarre ispirazione

C’è chi, come Oberalp, trasforma i materiali di scarto delle tute da sci in cinture e accessori. Chi, come Loop, realizza packaging riutilizzabili. E chi, come Flowe, si serve di gaming ed educazione finanziaria per spingere le persone ad acquisti più consapevoli e per riforestare il Pianeta.

Esperienze diverse tutte accomunate da una parola: brand activism, ovvero la ricerca di uno scopo, di un impatto positivo sugli altri e sull’ambiente, che superi la mera logica del guadagno.

L’espressione è immortalata in un libro, considerato uno dei testi più importanti sulla materia, “Brand Activism. From purpose to action”, scritto da due guru del marketing come Philip Kotler e Christian Sarkar, per i quali il brand activism è la responsabilità che l’azienda si assume in ambito sociale, con una serie di iniziative volte al raggiungimento di un bene comune.

Dalla teoria alla pratica: abbiamo raccolto cinque esempi di “brand activism” nel mondo, dall’Italia, agli Stati Uniti, fino all’Australia. Li raccontiamo in questo articolo.

brand activism

1. Oberalp lotta contro i perfluorocarburi

Gruppo storico di Bolzano, nato nel 1846 e specializzato nei prodotti di abbigliamento e attrezzature per sport alpini, da circa un decennio ha deciso di puntare fortemente sulla sostenibilità ambientale. Per farlo ha creato un gruppo di lavoro interno dedicato proprio alla Corporate Social Responsibility, che sta lavorando su più fronti.

La riduzione dei perfluorocarburi (si tratta di composti sintetici molto impiegati nell’abbigliamento sportivo) con un impatto dannoso sull’ambiente: l’azienda ha, per esempio, deciso di non utilizzare fluorocarburi nel 65% della sua produzione. Inoltre, ha puntato sul riutilizzo, trasformando i materiali di scarto delle divise di sci in cinture e altri accessori, e sul riciclo di vecchi appendiabiti, che diventano oggetti di design grazie alla collaborazione con l’Università di Bologna.

2. Burwood Brickworks e i carrelli di bottiglie riciclate

Nato a Melbourne, in Australia, il Burwood Birckworks è il centro commerciale più sostenibile del Pianeta, secondo una classifica di Living Future Institute.

A partire dall’utilizzo dell’acqua, che viene riciclata nell’edificio per il sistema di raffreddamento o per l’irrigazione dell’orto sul tetto, aperto ai visitatori che possono coltivare liberamente verdure e mangiarle. L’elettricità necessaria arriva da pannelli solari e da centri di energia pulita, situati nei pressi della struttura. Nel parcheggio esterno sono installate stazioni di ricarica per auto elettriche. Oltre a soluzioni davvero originali: come il carrello della spesa fatto di bottiglie di latte riciclate.

3. Flowe e la better being economy

Apri un conto via app in otto minuti, ottieni una carta in legno certificato e pianti un albero nella regione del Pèten in Guatemala. Questo e tanto altro è Flowe, la startup guidata da Ivan Mazzoleni, che opera all’interno di Banca Mediolanum, il gruppo guidato da Massimo Doris.

L’app fintech, pensata per attrarre i giovanissimi, ambisce a creare un nuovo mercato unendo finanza, educazione, sostenibilità e gaming. Grazie a partnership con altre startup, consente di tracciare l’impatto economico generato dai propri consumi, contribuire alla riforestazione del Pianeta, finanziare progetti idrici in villaggi bisognosi.

“Abbiamo creato un ecosistema, una better being economy, dove l’individuo impara ad avere uno stile di vita più sostenibile, a vivere in armonia con gli altri e con la natura. Il nome stesso del brand e il pittogramma riconducono gli esseri umani a una goccia d’acqua, unica ma parte di un flusso”, spiega Mazzoleni nel giorno della presentazione della startup al Campus Mediolanum, alla presenza del già citato Doris, e di Oscar di Montigny, Chief Innovation, Sustainability & Value Strategy Officer di Banca Mediolanum.

Di Montigny evidenzia nel suo intervento come “Flowe non vuole essere un’azienda, ma una piattaforma, un ecosistema, che aiuta i suoi utenti ad avere consapevolezza dell’impatto dei loro comportamenti sugli altri e sull’ambiente. E sulla base di questa consapevolezza possono migliorarsi continuamente”.

Per coinvolgere un pubblico di giovanissimi, Flowe ha attinto dal linguaggio del gaming. Gli utenti, sulla base di alcune azioni virtuose, ottengono delle gemme, cioè dei punti premio, che possono poi convertire per comprare gift card su Amazon, Decathlon, Media World.

“Rispetto ai competitor abbiamo costruito una dimensione comunitaria, un senso di appartenenza forte che va ben oltre il mondo finanziario. Oggi abbiamo già 15mila utenti sulla piattaforma”, conclude Massimo Doris.

4. Loop e il ritorno del fattorino del latte

“Abbiamo chiesto alle aziende di considerare il packaging come un asset e non come un costo”, spiega a Fast Company, Tom Szaky, imprenditore del New Jersey, fondatore di Loop, specializzata nell’ideazione di packaging riutilizzabili.

Il concetto è un po’ simile a quello del “fattorino del latte” che portava la bevanda in bottiglie di vetro riciclabili direttamente dietro la porta di casa. Il cliente usa il prodotto in un packaging originale e alla fine, quando l’ha consumato, chiama Loop che va a ritirare gratuitamente la confezione, pronta per essere riutilizzata.

L’iniziativa ha già visto l’adesione di brand come Procter & Gamble, Unilever, Mars, Nestlé, PepsiCo e Coca-Cola, tra gli altri.

brand activism case study

5. Refurbed rigenera dispositivi elettronici

Innovazione e sviluppo tecnologico devono vivere in totale armonia con la natura. Questo è il credo di Kilian Kaminski, austriaco, ideatore di Refurbed, piattaforma che si occupa di rigenerare e rivendere dispositivi elettronici.

I vecchi telefoni sono riparati, testati, reimballati e rimessi in vendita. Ex Amazon, Kilian ha iniziato sviluppando un programma di vendita per prodotti rigenerati, internamente al gruppo di Jeff Bezos. Ma poi ha compreso che il colosso non aveva interesse a investire nel settore. Allora ha scelto di “mettersi in proprio”.

I numeri gli hanno dato ragione: in tre anni, l’azienda ha superato i 100 mila clienti.

Non solo eCommerce, il Gruppo Campari compra Champagne Lallier per 21,8 milioni

  • L’operazione, volta ad ampliare la gamma dei prodotti “premium” nel canale dei punti vendita rafforza la presenza di Campari in terra di Francia.
  • L’investimento sembra piacere anche agli azionisti che, attraverso una frenetica attività di compravendita, hanno portato ad un aumento del titolo in Borsa, tutt’ora in crescita ( + 1,80 % rispetto al mese scorso).
  • L’acquisizione di questo “gioiello” enologico, è il terzo colpo messo a segno dal Gruppo Campari nel primo trimestre 2020, oltre a quello della startup italiana Tannico.

Lo scorso 17 aprile Campari aveva avviato una trattativa con la francese SARL FICOMA, holding familiare di Francis Tribaut, per l’acquisizione di una partecipazione dell’80% e, nel medio termine, della totalità del capitale azionario di SARL Champagne Lallier.

L’accordo è stato siglato il 5 maggio, con un esborso di 21,8 milioni di euro da parte della società milanese.

champagne

Campari conquista la Francia e il titolo vola in Borsa

L’operazione, volta ad ampliare la gamma dei prodotti “premium” nel canale dei punti vendita on-premise (ritenuto strategico per le attività di brand building), rafforza la presenza di Campari in terra di Francia, dov’è da poco presente con una propria struttura commerciale.

E l’investimento sembra piacere anche agli azionisti che, attraverso una frenetica attività di compravendita, hanno portato ad un aumento del titolo in Borsa, tutt’ora in crescita.

champagne lallier campari

Lallier, un brand storico

A rendere così appetibile il brand Lallier, oltre che la buona reputazione, è anche la sua grande storicità. La Maison infatti, nasce nel 1906 ad Aÿ, per volere di René Lallier e sua moglie, figlia di importanti vigneron francesi. Sono gli anni dell’ascesa per questo straordinario terroir, riconosciuto e classificato nel 1936 come Village “Gran Cru” in Champagne.

Passa il tempo, ed è il turno di René james Lallier – nipote del fondatore – che, deciso a rivoluzionare l’intera linea di produzione, modernizza gli impianti e le cantine, ormai vetuste.

Anziano, René James Lallier, cede l’attività al suo enologo di fiducia, l’allora giovane Francis Tribaut, che ancora oggi riveste il ruolo di managing director all’interno della società, e continua a dispensare preziosi consigli, forte di una solida esperienza, tra etichette classiche ed esclusive, di cui l’ “Ouvrage” rappresenta la punta di diamante.

Lo Champagne Lallier conserva il proprio posto nell’Olimpo delle bollicine, con una produzione che non supera le 400.000 bottiglie, fedele al celebre motto “less is more”, per un fatturato attorno ai 20 milioni di euro.

LEGGI ANCHE: Campari acquisisce il 49% di Tannico per puntare sull’eCommerce

borsa campari

La terza mossa di Campari

L’acquisizione di questo “gioiello” enologico, è il terzo colpo messo a segno dal Gruppo Campari, prima di quella di Tannico, nel primo trimestre 2020, assieme all’acquisto del distributore francese  Baron Philippe de Rothschild France Distribution (Rfd) (per 54,6 milioni di euro) e alla joint-venture con la Ct Spirits Japan.

La scelta di uno Champagne, può sembrare lontana dalla logica Campari, focalizzata soprattutto sui superalcolici – che garantiscono un ritorno di gran lunga superiore a quello del vino -, ma in realtà è motivata da ben due elementi: in primo luogo dalla volontà di aumentare la propria quota di mercato in Francia e, in secondo luogo dal fatto che lo Champagne è considerato un prodotto di lusso, capace di fidelizzare il consumatore al marchio.

Il Gruppo Campari continua dunque, a passo veloce, la marcia conquistatrice in Europa, fagocitando icone alcoliche di forte appeal, che porteranno non solo ad una diversificazione dell’offerta, ma anche ad una maggiore copertura del mercato, e quindi ad un ruolo sempre più rilevante nel commercio mondiale degli spirits e non.