Il Gruppo Tecnocasa, leader nell’intermediazione immobiliare e nella mediazione creditizia con circa 14 mila collaboratori in tutto il mondo, ha scelto Hootsuite come partner strategico per trasformare la comunicazione delle 2300 agenzie immobiliari presenti sul territorio italiano, con la social transformation.
Il tessuto socio-economico italiano ha intrapreso un deciso processo di transizione verso nuove forme di impresa e di commercio, che incorporano all’interno dei processi aziendali strumenti dapprima poco valorizzati, come i canali digitali.
Complice il biennio pandemico, i social media hanno amplificato la loro valenza, superando la definizione di canale d’intrattenimento e attestandosi come un vero e proprio ecosistema digitale in grado di favorire lo scambio di beni e servizi tra aziende e utenti finali.
In questa agorà digitale, è nato e si è affermato il fenomeno del social commerce, ovvero la trasposizione di una parte o dell’intera esperienza d’acquisto di beni e servizi nell’ecosistema digitale, al fine di integrare ed arricchire la customer journey degli utenti.
In un contesto sociale in cui oltre il 68% della popolazione adopera i social media, l’ottimizzazione di questi canali come ulteriori punti di contatto per la promozione del proprio prodotto e servizio, è l’obiettivo che ha guidato Tecnomedia, società del gruppo Tecnocasa che si occupa di editoria, comunicazione e grafica nella scelta di Hootsuite, società leader a livello globale nel social media management con oltre 200.000 clienti e milioni di utenti, come partner per trasformare la comunicazione delle 2300 agenzie immobiliari affiliate al Gruppo sul territorio italiano.
Le agenzie già avevano una presenza sui social media, ma il Gruppo Tecnocasa e Tecnomedia volevano rendere i canali digitali degli asset strategici al fine di valorizzare le iniziative delle stesse e coordinare la comunicazione con un adeguato supporto per lo sviluppo della rete e dei collaboratori.
Racconta Stefano D’Orazio, Regional Director Italy di Hootsuite.
Tutte le agenzie delle reti Tecnocasa e Tecnorete si sono dotate di Facebook Local Page, pagina Google My Business ed eventuali profili Instagram, collegati ad Hootsuite Enterprise. Attraverso la piattaforma, inoltre, le agenzie sono in grado di creare un piano editoriale, accedendo ad una repository di asset creativi e ottenere insights sui competitor locali. I moduli avanzati di analytics all’interno di Hootsuite Enterprise, infatti, aiutano a comprendere al meglio le complesse dinamiche del mercato e i segmenti di clientela per attuare eventuali cambiamenti.
Anche il CEO di Tecnocasa, Luigi Sada, commenta con soddisfazione la collaborazione, soprattutto in ottica futura di crescita del settore.
Il futuro del Real Estate sarà sempre più integrato tra offline e online, per offrire ai clienti un’esperienza di acquisto positiva. La partnership con Hootsuite ci permette di guardare al domani gestendo il cambiamento con successo. Ottimizzare ed amplificare il potenziale dei social media, grazie a uno strumento semplice, valido ed efficace, rappresenta una ricchezza per tutte le nostre agenzie oltre che un modo per coinvolgere maggiormente tutti i collaboratori.
Oggi, più del 67% delle agenzie del gruppo adopera il software Hootsuite quotidianamente producendo oltre 12.000 contenuti al mese, attingendo dalla libreria multimediali di oltre 1000 contenuti. La strategia comunicativa del gruppo ha beneficiato sensibilmente dell’approccio comune ai nuovi canali, in grado di delineare un comportamento coerente ed armonico su scala nazionale.
I nuovi punti di contatto rappresentati dai canali digitali hanno apportato importanti benefici alle agenzie, favorendo il dialogo con il pubblico e arricchendo l’esperienza di acquisto degli utenti, incentivando l’interesse nei confronti dei beni proposti.
La partnership con Tecnomedia si inscrive in un progetto di ampio respiro che vede Hootsuite decisa ad affiancare un ventaglio di settori, che spazia dal real estate al healthcare, nel processo di transizione verso un modello di business che includa i canali digitali come asset strategico.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/Social-transformation-Hootsuite-Tecnocasa.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-12-09 16:24:182021-12-09 16:29:06Hootsuite guida il gruppo Tecnocasa nella social transformation
Quando si lancia un nuovo business online è necessario comprendere a fondo le sfide da affrontare per far crescere un’impresa da zero e portare risultati di fatturato.
Chiunque sarebbe disposto a pagare a peso d’oro i consigli e i suggerimenti di imprenditori che sono riusciti a trasformare una ditta individuale in una società dal valore di 1 miliardo di dollari.
Se c’è una persona che possiamo definire un vero “guru” in fatto di crescita di business online è senza dubbio Neil Patel. Per chi si occupa di marketing, un nome che non ha bisogno di presentazioni.
Per chi ancora non lo conoscesse, è l’uomo che ha dato vita a famosissimi portali dedicati alla Search Engine Optimization, autore best-seller per il Wall Street Journal, riconosciuto dal Presidente Obama tra i 100 migliori imprenditori Under 30, nonché tra i migliori 10 secondo Forbes.
Bene, Neil ha scritto una guida su come far crescere un’attività online – basata sulla propria esperienza personale e su casi di successo da lui stesso analizzati – e chiunque può scaricarla gratuitamente in italiano grazie a GetResponse, la piattaforma completa di marketing online utilizzata da oltre 350.000 aziende in tutto il mondo.
La metodologia di business spiegata da Neil Patel in questo Ebook si focalizza prevalentemente sulle fasi che compongono un conversion Funnel o funnel di marketing.
È come quando si versa un liquido da un grande recipiente ad uno più piccolo: per fare in modo di non perdere nemmeno una goccia, ottimizziamo l’operazione con un semplice ma praticissimo imbuto.
La stessa cosa accade nei Conversion Funnel.
Il funnel di conversione (o marketing funnel) è il percorso che un utente compie attraverso un sistema di campagne pubblicitarie o di ricerche online per atterrare sul sito web di un’azienda o di un brand per poi essere convertito in cliente.
In questo caso l’utente è esattamente la goccia del liquido. Mentre il sito web è il piccolo recipiente che dovrà essere pronto a raccoglierlo. Ti stai chiedendo cosa rappresenta l’imbuto? È proprio il conversion funnel.
La peculiarità di un funnel di marketing è infatti quella di fornire la soluzione giusta per ogni fase del percorso del cliente (tecnicamente il customer journey).
TOFU, MOFU, BOFU. Ovvero Top, Middle e Bottom of the Funnel.
Quando una persona si trova all’ingresso del funnel, riceverà un certo tipo di informazioni di “ampia portata”. Queste cambieranno di volta in volta che la persona prosegue l’interazione con l’azienda nella parte centrale del funnel. Fino a raggiungere la parte finale: la conversione.
In questo modo è molto più probabile portarlo, passo dopo passo, a compiere un acquisto – o qualsiasi altro tipo di obiettivo commerciale che è stato stabilito nel conversion funnel.
“Il conversion funnel è la strategia per ottenere, mantenere e far crescere la customer base di un’azienda utilizzando tecnologie e strumenti dedicati a soddisfare le esigenze del tuo pubblico target in modo efficiente.”
– Neil Patel, Imprenditore, investitore e influencer
Perché progettare un Conversion Funnel?
Progettare un funnel di marketing significa sviluppare un sistema di azioni finalizzate a trasformare un semplice visitatore in un cliente fidelizzato. Si tratta di mixare efficacemente gli obiettivi aziendali con i desideri della target audience.
Tiene traccia dei risultati, automatizza il processo di ingaggio dell’utente e riduce la quantità di tempo necessaria a investire nel processo.
Questo modello di marketing permette di sapere esattamente a che punto del customer journey si trova ogni singolo contatto presente nel database aziendale in un determinato momento.
Perciò più un funnel di conversione riesce a monitorare tutti i dati e le informazioni acquisite dagli utenti nelle varie fasi del percorso, tanto più riuscirà a generare risultati utili al business per l’incremento del fatturato dell’azienda.
Il Conversion Funnel spiegato da uno dei top 10 marketer mondiali
Secondo Neil è necessario partire dallo studio della parte superiore del funnel.
È qui che si trova la parte più larga dell’imbuto, ovvero quella dove la comunicazione si focalizza nell’attirare il maggior numero di persone possibile verso il brand o l’azienda.
Una volta che si è riusciti ad attirare l’attenzione, sarà il momento di trasformare un’opportunità commerciale in cliente.
In base alle sue esperienze di conversione e crescita, Neil afferma che il sistema più efficace per attirare le persone all’interno dell’imbuto e nutrirle lungo il percorso sia quello del content marketing.
Ovvero produrre quei contenuti che il pubblico target si aspetta di trovare per soddisfare le proprie necessità. Fornire informazioni utili è il modo migliore per emergere nel mercato.
A metà del marketing funnel è possibile selezionare gruppi di persone che dimostrano qualcosa in più di un semplice interesse generale.
È in questa fase che il processo di conversione deve lavorare per rafforzare l’idea che il prodotto o servizio possa risolvere i loro problemi.
Arrivati alla fine dell’imbuto, chi è entrato in contatto con i contenuti creati, ha elevate probabilità di acquistare un prodotto o sottoscrivere l’abbonamento ad un servizio. Ovviamente non è finita qui: mantenere una relazione attiva (e proficua) con il cliente è fondamentale per qualsiasi Conversion Funnel di successo.
La domanda che sorge spontanea è sempre questa: ma per fare content marketing e generare tutti gli step necessari per un conversion funnel di successo, quali tecnologie e strumenti è necessario utilizzare?
In genere, ciò che serve è almeno:
Una piattaforma web dove pubblicare articoli, guide e approfondimenti per fare in modo che le persone entrino in contatto con il brand o l’azienda;
Un processo che trasformi queste persone in iscritti alla newsletter o follower;
Un sistema per creare email e contenuti gratuiti (ma utili e di valore) da inviare ai contatti;
Un metodo per convertire gli iscritti o i visitatori dei contenuti gratuiti in clienti;
Un processo che riattiva i clienti passati e continui a generare nuovi acquisti.
A prima vista potrebbe sembrare un meccanismo troppo complicato da governare. In realtà è come provare a guidare una “fuoriserie” per la prima volta. Con un po’ di attenzione, è facile assaggiare il piacere che si prova quando si affonda il pedale dell’acceleratore.
In questo caso la supercar per il Conversion Funnel è GetResponse, la piattaforma completa di marketing online che offre e-mail marketing, automation, siti web, landing page, funnel di marketing, webinar, live chat e notifiche push in un unico strumento.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/Conversion-Funnel-Neil-Patel.jpg10801920Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2021-12-07 12:53:402021-12-09 15:41:43I segreti del Conversion Funnel svelati da Neil Patel
Tutto pronto per la premiazione del BEA Italia Festival 2021: poche ore al fischio d’inizio!
Per i 18 anni del premio di ADC Group, il regalo più bello: il ritorno delle celebrazioni ‘dal vivo’ con una dinner ceremony powered by FeelRouge – Balich Wonder Studio Business Unit Events and Brand Experiences.
BEA Italia Festival 2021
Un finale col botto quello che chiuderà il BEA Italia Festival 2021, con una dinner ceremony che segna il ritorno alle celebrazioni in presenza per le premiaizoni della XVIII edizione del BEA Italia.
A fare gli onori di casa il presidente di ADC Group Salvatore Sagone affiancato dal presidente di giuria Gianmaria Restelli, Responsabile Comunicazione Esterna e Corporate Image di Gruppo Unipol. La conduzione della cerimonia è affidata a Marco Maccarini.
Durante il galà verranno consegnati i premi assegnati dalla giuria di aziende composta da 42 manager, che si è riunita lunedì 29 e martedì 30 novembre in occasione delle digital live presentation delle agenzie finaliste.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/BEA-Italia-2021.jpg10801920Rossella Pisaturohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRossella Pisaturo2021-12-02 16:17:592021-12-29 16:15:10Non perdere la premiazione della XVIII edizione del BEA Italia Festival 2021
Mentre vorticosamente veniamo risucchiati dalle informazioni sul Metaverso, mondi dematerializzati e contatti virtuali, negli annunci stampa di novembre esplode l’out-of-home.
Complice la riduzione delle restrizioni in alcuni Paesi, Amazon e Volkswagen, tra gli altri, si sono lanciati in ardite execution dai risultati formidabili. L’advertising fisico permette, al momento e forse molto più di altri canali digitali, di lasciar correre l’ispirazione e la creatività e immaginare forme totalmente nuove di comunicazione con le persone.
Per esempio, ascoltare i suoni della natura mentre si aspetta l’autobus, come ha fatto E.ON in Ungheria.
Godiamoci insieme la selezione degli “annunci molto fisici” di questo mese.
Prime Video promuove il lancio dell’epica serie fantasy The Wheel of Time con un’affissione in 3D in live-action creata da Amplify e con la star della serie Rosamund Pike.
È la prima volta che un cartellone anamorfico viene utilizzato da una società di intrattenimento per promuovere una serie.
Prime Video ha debuttato in Piccadilly Circus, a Londra, il 15 novembre, ma l’out of home apparirà anche in siti iconici nei mercati chiave, tra cui il Big Kahuna di New York City a Times Square e il Cross Shinjuku Vision di Tokyo.
Advertising Agency: Amplify, London, United Kingdom
H&T Pawnbrokers – Ready to be loved again
H&T Pawnbrokers è il più grande banco dei pegni del Regno Unito e ha diffuso la sua nuova campagna natalizia, “Ready to be loved again“.
Si tratta del primo prodotto pubblicitario che il marchio ha lanciato in collaborazione con M&C Saatchi da quando ha iniziato a lavorare con l’agenzia all’inizio di quest’anno.
La nuova campagna festiva di H&T cerca di guidare le vendite di gioielli con diamanti pre-loved. Spinge anche le persone che potrebbero non aver mai pensato di acquistare regali da un’agenzia di pegni a considerarla come un modo per regalare qualcosa di unico a un amico o a una persona cara.
M&C Saatchi ha lavorato a stretto contatto con H&T per sviluppare una serie di straordinarie execution, ognuna delle quali porta in vita il concetto di pre-loved fondendo una fotografia vintage in bianco e nero con un’immagine moderna a colori.
Advertising Agency: M&C Saatchi, London, United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland
Media Agency: M&C Saatchi Performance
Photography Studio: Horton Stephens Productions
Photographer: Nick Dolding
I migliori annunci stampa di novembre: Santander – Santander cashback campaign
Santander ha installato rubinetti giganti dai quali zampillano monete su alcuni cartelloni a Londra e Manchester per pubblicizzare l’offerta della banca di cashback mensile sulle bollette domestiche.
L’obiettivo è promuovere in modo memorabile l’offerta. Sembra che sia stato centrato in pieno.
Pubblicità esperienziale creata da Engine Creative, Regno Unito per Santander, nella categoria: Finanza.
Advertising Agency: Engine Creative, UK Creative
Strategy Director: Nicola Dyball
Account Management: Nick Pawlak, Marianne Roberts, Tom Butler, Shannel Darko
Agency Senior Project Manager: Chelsea Chapman
Agency Designer: Aaron Pacey
Production Co: Posterscope, MediaCo
Artworking: Hogarth
Media planning/buying: Carat
E.ON Hungary Group – Budapest tram stops feature music generated by living plants
L’agenzia pubblicitaria ACG e E.ON hanno creato dei “paradisi verdi sonori” come parte della campagna dell’azienda, focalizzata sull’importanza di combattere il cambiamento climatico.
Grazie alle installazioni uniche, i passeggeri che transitano alle fermate del tram nelle piazze Széna e Szent Gellért non solo sono accolti da piante vive, ma possono anche immergersi nel suono della natura: la musica alle fermate viene infatti generata dalle biovibrazioni delle piante.
Advertising Agency: ACG Budapest, Hungary
Creative Group Head: Rita Alberti
Copywriter: Tímea Maróti
Art Director: Dániel Kitai
Head of Studio: Mihály Harazin
Account Director: Petra Kriston
Senior Account Manager: Szilvia Kránicz
Senior Social Media Manager: Csilla Erdei
PR Group Head: Brigitta Kedves
PR Specialist: Bálint Mikola
Sound Studio: Avidio System
Out-of-Home Partner: JCDecaux Hungary
Creative Director: László Nagy
Integration Director: Bianka Bujdosó-Nagy
Volkswagen Commercial Vehicles – BRING THE SHUTTERS DOWN ON OVERWORKING
Volkswagen Commercial Vehicles e Mental Health UK portano avanti il loro messaggio #DownTools direttamente in strada con una serie di sorprendenti lavori di street art.
I dipinti sono stati realizzati dal noto artista di murales Peter Barber e appaiono sulle serrande di una tintoria, di una macelleria e di una panetteria, condividendo il messaggio “Abbassiamo le serrande sul superlavoro” insieme all’hashtag #DownTools.
Advertising Agency: BBH, United Kingdom
Head of Marketing Press and Public Relations: Kate Thompson
National Communications and PR Manager: Laura Bignall
Communications Manager: Louise Willis
Communications Manager: Matthew Mann
BBH Creative Team: Luke Till, Lawrence Bushell
BBH Creative Director: Remco Graham
BBH Strategist: Thandi Mbire
BBH Strategy Director: Selina Khuu, Aparna Bangur
BBH Senior Account Director: Andrew Connolly
BBH Account Manager: Arabella Johnston, Caitlin Quigley
BBH Account Executive: Amber Sidney-Woollett
Film Credits
BBH Producer: Nikola Oksiutycz
Production Company: Spindle
Director: Spencer MacDonald
Executive Producer: Lou Gagen
Producer: Mike Carr
DoP: Jake Scott
Post Production
Editor/Editing House: Rich Woolway
Post House: Framestore
Post Producer: Jake Saunders
Sound: 750mph
Sound Studio Engineer: Marcin Pwalik
Print Credits
BBH Producer: Beth Mechem
Down Tools Designer: Rob Wilson
Shutters Illustrator: Toby Triumph
Shutters Photographer: Dan Sims
Shutters Install Team: Peter Barber
Media agency: PHD
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/annunci-stampa-di-novembre.jpg540958Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-12-02 13:50:462021-12-29 16:03:20Amazon, Volkswagen e Santander: i migliori annunci stampa di novembre
Social Media Trends 2022: per grandi e piccoli brand comunicare attraverso i social media dal prossimo anno sarà impegnativo.
C’è un forte cambiamento che bolle in pentola e gli esperti sono sicuri che il piatto sarà presto servito nel giro di qualche mese (per alcuni la tavola è già stata imbandita).
Forse non tutte le grandi società hanno colto le principali innovazioni che stanno trasformando il modo di fare social media marketing.
Tuttavia il mix perfetto tra innovazione tecnologica ed evoluzione relazionale legata agli effetti della pandemia sulla società, è pronto a scatenare i suoi effetti.
Tutto conduce a una macro-dinamica generale: il passaggio – neanche tanto graduale – dal Social Listening come lo abbiamo sempre conosciuto, alla Conversational Intelligence.
C’era una volta il Social Listening
Cos’è il Social Listening? Si tratta di una serie di tecniche e strumenti che permettono di mappare tutti i termini associati al proprio marchio e comprenderne il valore positivo, neutrale o negativo.
Oggi i dati confermano che solo una piccola minoranza di utenti online commenta o condivide effettivamente i contenuti: la stragrande maggioranza di tutti i media online viene consumata passivamente.
Ci piace tanto guardare, ma non sempre partecipiamo al dibattito o esponiamo le nostre idee o sensazioni.
Ciò rende molto difficile monitorare le conversazioni che avvengono, per esempio, tramite Instagram Stories, LinkedIn, TikTok o messaggi privati in generale, e questo può distorcere le informazioni che si ottengono.
Un esempio di dashboard su Talkwalker relativa al Social Sentiment del brand Coca-Cola.
Come rimediare a un gap che sembra incolmabile?
Trasformando il Social Listening in uno strumento di Intelligence che aiuta le imprese a prendere decisioni più consapevoli sulla base delle mutevoli esigenze dei clienti.
Benvenuta Conversational Intelligence
Gli sviluppi del marketing omnicanale e della gestione sinergica delle diverse piattaforme di comunicazione d’impresa, permettono di colmare i gap del Social Listening con la Conversational Intelligence.
Grazie ai progressi raggiunti dall’intelligenza artificiale è possibile incrociare dati e analizzare su larga scala informazioni rilevanti sulle conversazioni attorno a uno specifico brand.
Dall’analisi del social sentiment, delle discussioni sul web, del visual analysing fino al clustering delle conversazioni in piattaforma.
Tutte queste informazioni aiutano un’azienda a migliorare il ROI delle campagne di marketing online. Ottimizzare l’esperienza del cliente, dall’inizio del customer journey fino alla sua fase conclusiva, così da riprodurre la miglior esperienza di brand possibile in fase di engagement, conversione e fidelizzazione.
Le aziende innovative devono essere in grado di analizzare rapidamente questa massa critica di conversazioni tra utenti online e clienti. Ottenendo così una visione a 360 gradi delle mutevoli preferenze e dei comportamenti di quelli che sono i player decisivi per la reputazione e il successo di un marchio sul web.
La Conversational Intelligence va oltre l’ascolto sociale, oltre le intuizioni dei media, oltre le tradizionali ricerche di mercato. I brand possono accelerare la loro attività online, restare rilevanti all’interno dei social trend ed essere percepiti come thought leader del proprio settore.
È il sistema perfetto per ascoltare e monitorare la voce del cliente in tempo reale. Altrimenti si rischia di restare fuori da quella che è definita l’Era del Consumatore.
Conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro
La massima di Tucidide, storiografo ateniese del 400 a.C., è ancora attuale.
La transizione da Social Listening a Conversational Intelligence è il frutto di una naturale evoluzione sociale ed economica: anche se le aziende continuano a detenere una grande rilevanza decisionale, sono i consumatori a guidare le scelte e i temi della comunicazione di brand.
Valori, identità e azioni assumono un ruolo imprescindibile nelle scelte quotidiane di ciascuno di noi. La centralità delle persone nella strategia di marketing di un’azienda sarà sempre più decisiva.
Ecco perché è bene conoscere come grandi aziende e noti brand dovrebbero comportarsi sui social media.
Cosa conta davvero nella relazione digitale con il proprio pubblico? Come direbbero negli USA, cosa separa the best from the rest del social media marketing del 2022?
Le tendenze 2022 decisive per la sorte dei brand sui social media
Ecco alcuni dei trend che, assieme a molti altri, vengono illustrati, analizzati e rivisti in chiave strategica dal report di Talkwalker per una corretta comunicazione social a partire dal prossimo anno.
Quali saranno le tendenze che porteranno un brand al successo?
TikTok leader indiscusso
TikTok diventerà il leader dei social media e le piattaforme online non potranno fare altro che adattarsi a questa egemonia.
Gli utenti chiedono sempre più contenuti personalizzati, un servizio rapido, fluido e un’esperienza di brand migliore. Le nuove generazioni esprimono un senso di urgenza senza troppi fronzoli.
Le caratteristiche tecniche di TikTok si prestano perfettamente ai nuovi canoni di comunicazione di marca tra utenti e organizzazioni.
Generare viralità, rafforzare la community e lanciare una comunicazione d’intrattenimento su TikTok funziona molto meglio che sugli altri social tradizionali.
Il Programmatic Advertising e l’intero scenario dell’industria pubblicitaria dovranno farsi trovare pronti davanti ai cambiamenti che porterà con sé la Cookie Apocalypse.
Gli annunci social dovranno agire su meccanismi differenti man mano che i cookie avranno un margine d’azione sempre più ridotto.
I cookie stanno morendo e molti brand hanno già intonato il loro de profundis.
Quale impatto porterà questo cambiamento sul futuro della pubblicità sui social?
In che modo i brand potranno continuare a offrire servizi personalizzati e allo stesso tempo rispettare regole e disposizioni che proteggono dati e informazioni sensibili?
La Conversational Intelligence è l’elemento che ci permette di dire che la partita è ancora tutta da giocare.
Accorciare il Buyer Circle sui social
Se è vero che la pandemia ha spinto le persone a cercare online le risposte alle proprie esigenze di consumo, il Social Media Trends 2022 di Talkwalker esamina in maniera approfondita come le diverse piattaforme online stiano affrontando il tema del social commerce.
Esiste un modo per rendere ancora più fluido il customer journey di un’azienda e facilitare la vendita tramite social? Come stanno elaborando questa esigenza – sempre più evidente – le grandi piattaforme online?
Accorciare il ciclo di conversione è possibile, ed è utile farlo lì dove l’utente è più attivo e a contatto con il brand online.
Il Content Marketing post-pandemico
La creazione di contenuti di marca nell’era post-pandemica è un altro elemento che non può prescindere dalle esigenze dei consumatori.
Le dinamiche di chiusura, quarantena e distanziamento hanno innalzato fortemente i livelli di consumo di contenuti online.
Si può dire che la pandemia abbia creato un mondo di consumatori di contenuti online.
Le persone nutrono maggiori aspettative nella fruizione di contenuti. Sensibilità, inclinazioni e gusti diventano sempre più raffinati.
I nuovi livelli cognitivi e una maggiore confidenza con video, dirette streaming e on demand plasmeranno il content marketing del futuro.
Alla ricerca dei nostri Metaversi
Il metaverso continuerà a essere un argomento di conversazione tra il pubblico online e offline.
I diversi sviluppi hanno fatto passi da gigante sulla strada verso un un mondo virtuale online che incorpora realtà aumentata, realtà virtuale, avatar olografici 3D, video e altri mezzi di comunicazione.
Man mano che lo studio sul metaverso si espande, si aprono scenari – prima impensabili – in mondi alternativi iperreali che coesistono tra loro.
Si può dire che i metaversi saranno la futura connessione tra consumatore e brand. Potremmo fluttuare a bordo della navicella di Rick Deckard e districarci nei meandri dello skyline di Blade Runner, ma a massima definizione e interagendo con i nostri brand preferiti.
Conversational Intelligence, come valutare il presente per prepararsi al futuro
Queste sono solo alcune delle tendenze chiave che Talkwalker ha analizzato nel suo report e che aziende e organizzazioni devono attendersi nel 2022.
Sebbene sia molto complesso prevedere esattamente come andranno le cose, sulla base di ciò che abbiamo vissuto negli ultimi due anni è possibile prendere coscienza di alcuni evidenti indicatori sulle tendenze che stanno influenzando il modo di comunicare online con le persone.
Stiamo ancora cercando di adattare le nostre abitudini alle evoluzioni post-pandemiche e sotto molti aspetti il momento appare decisivo e carico di cambiamenti significativi per la società, così come l’abbiamo finora considerata.
Il futuro della ripartenza potrebbe aprire nuove importanti opportunità, soprattutto per coloro che prestano attenzione all’evoluzione delle relazioni interpersonali nel mondo digitale e desiderano allinearsi con le tendenze evolutive per facilitare la crescita e l’esposizione mediatica del brand.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/Social-media-trends-2022.jpg10801920Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2021-12-02 10:30:002022-03-22 11:24:25Social Media Trends 2022: cosa devono sapere i brand per puntare al successo
Fino a due anni fa, in Italia, l’82% dei dipendenti lavorava in ufficio, il 12% in modalità ibrida, il 6% da remoto. Il lavoro flessibile non faceva parte dei piani aziendali.
Secondo le ultime indagini Randstad nel 2021 siamo passati al 32% di lavoratori in ufficio, 31% in modalità ibrida e 38% da remoto. L’86% delle aziende ha confermato la modalità a distanza nel 2021 e due terzi lo farà in futuro con un mix tra presenza e remoto. Mediamente, oggi lavora in modalità “agile” il 54% della forza lavoro per 2,5 giorni a settimana.
Sette aziende su dieci (71%), inoltre, hanno progettato di consentire un pieno ritorno in ufficio su base volontaria entro la fine dell’anno, mentre il 47% non sono ancora sicure di quando termineranno i protocolli anti-COVID e solo un 10% prevede di fermarli prima del 2022.
Questi i trend secondo Willis Towers Watson, che prevede che nei prossimi anni solo due dipendenti su cinque lavoreranno in azienda: nel dettaglio il 42% in presenza, il 35% in modalità ibrida e il 23% da remoto.
La modalità ibrida e di lavoro flessibile, ovvero sia da remoto sia in presenza, tra due anni resterà comunque più diffusa di quella completamente a distanza. In questi mesi sta iniziando un riassestamento della percentuale di dipendenti che lavorano solo da remoto (tra due anni scenderanno dal 38% al 23%), mentre stanno aumentando di contro quelli che lavorano in presenza (tra due anni saliranno dal 32% al 42%) e in modalità ibrida (dal 31% al 35%).
In uno studio americano segnalato dal World Economic Forum, alcuni ricercatori stimano che la forza lavoro ibrida aumenterà la produttività nell’economia post-pandemia del 4,6%. La maggior parte di tale guadagno verrà da una riduzione del tempo di spostamento.
In questo sondaggio meno del 30% degli intervistati afferma che tornerà completamente alle attività pre-COVID; il resto rimane diffidente nei confronti dei trasporti di massa, degli ascensori affollati e dei pasti al chiuso.
Lo studio prevede che, nel complesso, il 20% delle giornate lavorative complete sarà eseguito da casa dopo la fine della pandemia. Il lavoro a distanza è fattibile per metà dei dipendenti e il piano aziendale tipico prevede che quella metà trascorra due giorni – il 40% – della settimana lavorativa a casa.
Il management aziendale segnala la volontà di avere i dipendenti in loco almeno tre giorni alla settimana per motivi che mettono in gioco la motivazione, la collaborazione e la cultura del posto di lavoro. “Per la maggior parte dei lavoratori, l’economia post-pandemia comporterà più WFH [Work From Home] rispetto all’economia pre-COVID, ma notevolmente meno di quanto vorrebbero”.
Come afferma Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano «Lo smart working è una tendenza ormai inarrestabile. Nei prossimi mesi, tuttavia, assisteremo a dinamiche differenziate tra grandi imprese, PMI e PA. Nelle grandi imprese si andrà verso un consolidamento e un’estensione del lavoro agile, con modelli che prevedranno un equilibrio tra lavoro in presenza e in ufficio che lascerà un forte livello di flessibilità ai lavoratori».
Il dibattito e le strategie su come applicare i “Nuovi Modi di Lavorare” sono all’ordine del giorno su tutti i tavoli aziendali.
Di piccole e grandi imprese. Il cigno nero pandemico ha inevitabilmente messo alla luce l’importanza del come lavorare. E interrogarsi sui processi, sugli stili e sugli strumenti è un esercizio oneroso, che si accompagna all’inevitabile attenzione al COSA, ovvero gli obiettivi di performance economica e produttiva da raggiungere.
Lavoro flessibile tra Smart working, Remote Working, Home Working, Telelavoro ed Hybrid Working
Mentre sperimentiamo uno status ibrido organizzativo, in questi mesi si vivono paradossi e situazioni surreali: negli uffici dove si dovrebbe stare insieme, spesso si continua ad essere isolati tra una videocall e l’altra; abbiamo acquisito la conoscenza di numerosi strumenti digitali che dovrebbero permetterci una giornata di lavoro più duttile, ma non siamo mai stati così poco “smart” (se non addirittura al limite del burnout digitale); a livello emotivo lo stato di estenuazione e abbattimento fisico e psichico dovuto al periodo di emergenza che abbiamo vissuto si traduce in rilassamento e in un “languore” soprattutto sul piano professionale; non stiamo coinvolgendo le nuove generazioni nel confronto con i senior nel formulare gli stili di lavoro del futuro.
Non possiamo biasimare del tutto le decisioni manageriali di questo periodo, in fondo ci troviamo in una piena e nuova rivoluzione del lavoro e ce ne sarà ancora per molto.
Il periodo è sperimentale, e necessariamente si andrà per tentativi (si spera iterativi e incrementali), di innovazione.
L’evoluzione del lavoro a distanza
Nel guardare a questa evoluzione, purtroppo, molti sono vittime delle etichette mediatiche che vengono attribuite allo “smart working”, confuso sprovvedutamente con l’“home working”, il “telelavoro” o il “remote working”, che sono state le effettive modalità di lavoro sperimentate durante la pandemia.
Senza essere pedissequi è bene ricordare in ogni occasione la traduzione italiana che viene fatta di questo termine, soprattutto in termini legislativi (già prima del Covid-19):“Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
In questa giungla terminologica la speranza è che ci sia la possibilità di recuperare la dimensione vera dello smart working, per la quale si impara ad essere nel posto migliore in cui poter raggiungere i risultati oppure, nel caso in cui dobbiamo prevalgono altri interessi (come, ad esempio, il work-life balance) si impara a lavorare al meglio nella condizione in cui ci si trova.
Il nodo cruciale dell’applicazione del lavoro flessibile e agile non può passare solo per i vincoli orari e spaziali su cui tutti ci siamo fissati per inevitabili motivi tecnici, normativi o sindacali.
Il cuore del problema è sulla riformulazione di “fasi, cicli e obiettivi”: perché ci siamo accorti che lavorare “a distanza” ottimizza e semplifica alcune cose, ma ne inficia altre; perché incontrarsi fisicamente contribuisce alla creatività, forse alla motivazione, e di certo alla cultura aziendale, al senso di appartenenza e, probabilmente al perché lavorare presso un brand anziché un altro.
La grande scommessa allora per le aziende e il management è quella di mettere mano ai processi di lavoro: alcuni cristallizzati da decenni e semplicemente riconfermati negli audit di qualità di anno, in anno; altri più avanzati e già declinati nei team di lavoro ma tutti da rodare e migliorare alla luce delle difficoltà tecniche oggettive, o delle resistenze al cambiamento delle popolazioni aziendali.
Oppure no?
Può essere una strategia innescare una restaurazione dei processi consolidati e ben rodati del 2019? Magari anche solo per far respirare ai dipendenti il “ritorno alla normalità”, il conforto delle routine di una volta.
Sarebbe possibile privilegiare la sicurezza psicologica della propria popolazione aziendale e la cura di quei collaboratori che trovano nel lavoro “rifugio” dalle difficoltà di gestione familiare; oppure maggiore focus favorito dal workplace (anziché dallo strapuntino ricavato in un angolo di casa, sollecitati continuamente dalle faccende domestiche) e anche maggiore tempo per sé (magari proprio nel tragitto casa-lavoro).
Non possono esserci risposte univoche per tutte le aziende e per tutti i gruppi di lavoro. In ogni azienda ci sono persone disorientate dall’idea di non avere più una propria scrivania con i propri talismani, o intimorite dal dover prenotare tramite app una postazione di lavoro nel proprio headquarter in cui si sono recati per 20 anni, ed entusiasti del “full remote” che non metterebbero mai più piede in quel luogo, se non per cause di forza maggiore.
Lavoro flessibile: il south working e il nuovo rinascimento del nomadismo digitale
Sono comunque molte le persone che riportano un senso di gratificazione e soddisfazione all’idea che potranno anche in futuro gestire parte della loro attività lavorativa non in sede: la combinazione di flessibilità oraria e flessibilità “geografica” fa sentire meglio le persone, almeno sulla carta. Ma perché?
C’è un’idea sottesa di libertà e di personalizzazione nel lavoro flessibile: poter scegliere in autonomia, avere capacità decisionale nel poter scegliere di volta, in volta il contesto privilegiato per portare a termine un compito o un progetto, o attribuzione di responsabilità e fiducia nell’altro.
Non è un caso che per i dipendenti aziendali alcune riflessioni si siano coagulate sull’idea del lavoro non necessariamente in uffici incardinati in zone urbane (nel nostro Paese storicamente nel Nord Italia).
Stiamo parlando del south working, un lavorare delocalizzato per aziende del Nord o comunque di tutto il mondo; prevalentemente al Sud o, come è avvenuto per molti nelle “seconde case” al mare, in montagna o dai parenti in provincia. Un’idea che implica a livello di sviluppo sociale una rinascita dei borghi e delle provincie soprattutto nel Meridione, e dove le difficoltà del lavoro da remoto si equilibrano con un minore costo e una maggiore qualità della vita.
Con questo approccio si prefigura un mercato del lavoro molto più inclusivo quello che trasmette offerte di lavoro “100% anywhere” soprattutto per i giovani che spesso non hanno la possibilità di trasferirsi nelle grandi città.
Ma dietro l’idea del southworking è ben radicata una filosofia molto attuale: adattare la professione al proprio stile di vita, e non il contrario.
La community dei Nomadi Digitali lo ha previsto già da dieci anni quanto il modello sano e sostenibile di lavoro sia collegato a godere di maggiore libertà nella gestione del tempo e di avere la possibilità di spostarsi secondo le proprie necessità.
Le ragioni che oggi spingono le persone al “nomadismo digitale” sono molteplici, e si tratta di una tendenza crescente non solo tra i giovani, anzi.
Come emerge dal “Primo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia”, anche nel nostro Paese il fenomeno nomadi digitali sta assumendo dimensioni considerevoli e non incontra più solo l’entusiasmo dei giovani “millennials” che vogliono girare il mondo come backpackers, con lo zaino sulle spalle. Questo stile di vita e di lavoro è sempre più ambito da persone di tutte le età, con esperienze professionali differenti, ma soprattutto da una forte prevalenza di donne (54% contro il 46 degli uomini) che in questo modo riescono a gestire meglio il work-life balance.
Non sono solo nerd e travel blogger: tra gli amanti del lavoro flessibile sono in crescita anche professionalità che operano in settori come l’architettura, il servizio clienti, l’eCommerce, le risorse umane, oltre agli storici ambiti informatici e di comunicazione digitale.
A definirsi “nomadi digitali” sono soprattutto i freelance e i liberi professionisti (il 41% degli intervistati), ma non sono da meno anche i lavoratori dipendenti (38%), mentre una percentuale più ridotta è quella rappresentata dagli imprenditori (8%).
Colpisce tra i dati che la motivazione che spinge i più giovani a diventare nomadi digitali è la possibilità di muoversi liberamente nello spazio, mentre tra gli adulti prevale la maggiore flessibilità nella gestione del tempo.
Dalla ricerca emerge che le persone interessate al lavoro flessibile e al nomadismo digitale mostrano di aver assunto, anche a seguito della maggiore esperienza di remote working accumulata durante la pandemia, una marcata e diffusa consapevolezza che questo nuovo stile deve essere sostenuto anche da un cambiamento culturale nel mondo delle imprese.
La Great Resignation e la fuga dall’azienda verso il lavoro flessibile
Ma che succede se i desideri di nomadismo digitale collidono con le politiche di smart working che i datori di lavoro non stanno adottando, preferendo un ritorno all’ “Old Normal” del 2019 senza valutare forme di lavoro flessibile?
Quanto conta lo smart working e la riformulazione dei processi verso il lavoro flessibile con la Great Resignation?
Tra aprile e giugno di questo anno ci sono state 484mila dimissioni, in crescita dell’85% rispetto al 2020. Il numero di rapporti di lavoro dipendente cessati per dimissioni del lavoratore è in forte aumento, sia rispetto al trimestre precedente sia rispetto agli anni passati. E nel mondo del lavoro ci si inizia a chiedere se in questa “grande rassegnazione”, sicuramente accelerata dall’esperienza pandemica, sia implicata anche l’esperienza frustrante del lavoro da remoto “forzato” degli ultimi tempi.
Oltre alle dinamiche di tipo economico (come la crisi di alcuni settori come il turismo e la ristorazione che hanno costretto molti a migrare verso settori in crescita come il green, il digitale e la salute), l’eterno tema delle retribuzioni troppo basse rispetto ad altri Paesi Europei e gli effetti della Yolo Economy (con un’impennata di oltre 14o.000 aperture di P.IVA nel nostro Paese nel secondo trimestre 2021 – che riguardano giovani fino ai 35 anni) il tema del come tornare a lavorare incide e non poco su questi effetti.
Il World trade Index 2021 di Microsoft ha rilevato che più del 33% della forza lavoro globale intendeva lasciare il proprio datore di lavoro attuale entro il 2021 e il 38% prevedeva di trasferirsi cogliendo l’opportunità di lavorare da remoto. Valori più alti tra i Gen Z che addirittura in un caso su due hanno valutato seriamente la possibilità di lasciare i propri datori di lavoro.
Un altro fattore che potrebbe spiegare il trend in crescita delle dimissioni è quindi la fine dello smart working per 1,5 milioni di dipendenti: 800mila privati già tornati in presenza al 100% e 700mila dipendenti statali.
Le stime dell’Osservatorio sul lavoro agile del Politecnico di Milano segnalano per circa 4 milioni di lavoratori la volontà delle aziende di consolidare la modalità di lavoro ibrida. Emerge comunque che l’84% delle persone punta al lavoro agile e oltre il 50% lo vorrebbe per più di 3 giorni alla settimana. In moltissimi dichiarano che la qualità della vita è migliorata e che questa esperienza ha permesso loro di acquisire nuove competenze.
Secondo questa analisi, lo smart working rimarrà o sarà introdotto nell’89% delle grandi aziende, dove aumenteranno sia i progetti strutturati sia quelli informali; nel 62% delle PA, in cui prevalgono le iniziative strutturate ma anche molta incertezza sul futuro e nel 35% delle PMI, fra cui prevale un approccio informale ed è però forte la tendenza a tornare indietro.
È bene ricordare che sebbene molti lavoratori di età e provenienze demografiche diverse esprimano il desiderio di continuare a lavorare da casa, i lavoratori altamente istruiti e ad alto reddito avranno un’opportunità molto maggiore di farlo.
Agile Working e nuove generazioni
Lo smart working sembra allora essere diventato più una leva per la retention delle persone in azienda, mentre sembrava essere solo una leva di attraction per i nuovi talenti nel 2019, laddove il lavoro flessibile rappresentava un fattore «determinante» per la scelta del lavoro “solo” per il 62% dei candidati.
Secondo un’ultima ricerca di Radical HR Club, su 600 HR Manager sembrano esserci dati confortanti rispetto al fatto che il 90% delle aziende rispondenti fa Smart Working, dando in alcuni casi anche piena libertà e autonomia nella scelta e 7 HR su 10 hanno guidato questa trasformazione nell’organizzazione.
Rimane ancora una fetta importante di aziende in cui la leadership è ancorata a vecchi schemi di pensiero e diverse aziende iniziano a perdere talenti per la mancanza di fiducia nelle persone.
Come abbiamo visto, la possibilità di avere spazio geografico e flessibilità di tempo per la conciliazione lavoro-vita personale è un fattore determinante per tutte le generazioni.
Non è possibile immaginare un New Way of Working senza coinvolgere tutte le generazioni nel disegno di quello che sembra essere davvero una nuova rivoluzione del lavoro. Fruire nel pieno benessere dei luoghi e degli stili di lavoro nel futuro, rinnovare il concetto di workplace, ma soprattutto rendere efficaci ed efficienti i tanti strumenti digitali che abbiamo a disposizione, (senza dimenticare quelli analogici).
Le forme di lavoro ibride verso le quali ci si sta dirigendo, suggeriscono un modo di lavorare più umano e più armonioso con la nostra vita personale e professionale. Il mindset più efficace è quello in cui i dipendenti vengono trattati da adulti di cui fidarsi e non come individui da controllare. Le aziende devono fidarsi delle loro persone.
Come in tutti i fenomeni sociali, però, la popolazione aziendale tenderà a disporsi su una curva gaussiana, dove ci sarà un quinto di estremisti del “full remote” e un’altra di “conservatori” che vorrebbero ritornare alle modalità che abbiamo utilizzato fino al 2019. Come fare per implementare correttamente lo smart working, comprendendo tutte i valori e le istanze generazionali?
Rimane importante conoscere da vicino i processi di lavoro delle persone che collaborano nell’organizzazione, perché non è detto che una policy di giorni/periodi/ore di smart working vada bene per tutti nello stesso modo.
È fondamentale valutare il valore aggiunto della presenza fisica per ogni singola attività, a livello di funzioni, di sedi e di team. Con una stima (e perché no, un’autovalutazione bottom-up che coinvolga tutte le generazioni) sarà possibile distinguere le attività eseguibili in full-remote da quelle in presenza, così come la possibilità alle persone di auto-organizzarsi in base ai task settimanali.
Contemporaneamente sarà necessario lavorare sui gap che innesca il lavoro ibrido o remoto, rispetto al senso di appartenenza con il brand, di collaborazione e apprendimento reciproco.
Il lavoro agile nel pieno senso del termine non può non piacere che a tutte le generazioni. Lavorare per obiettivi condivisi, autodeterminati nei gruppi, col giusto work-life balance, tramite una leadership attuale è il sogno di chiunque lavori in azienda.
Il remote working è ben altro: la predisposizione alla mentalità digitale (non necessariamente abilità) da parte dei giovani implica una predisposizione maggiore a lavorare in una forma ibrida, poiché vicina alla cultura della scelta e della personalizzazione continua a cui sono stati esposti da sempre.
Questo non significa necessariamente prediligere un “full remote”, se non per alcune specifiche figure (solitamente digitali per cui è quasi naturale considerare il “datore di lavoro” come un “datore di stipendio”, indipendentemente dal brand).
Vivere senza socialità e senza momenti di creazione condivisa può isolare fortemente i “newbie”, così come le generazioni più senior.
Per X Gen e Boomers la questione è segnante perché implica il superamento di modelli mentali acquisiti, di fare fronte a gap tecnologici e di autogestione del proprio lavoro. Forse più di altre urgenze, quella dello smart working va coordinata nell’ottica dell’age inclusion, tentando il métissage delle prospettive generazionali diverse puntando all’obiettivo comune del lavoro sereno, adattivo e probabilmente ibrido.
Senza un ripensamento in termini di competenze e processi manageriali non può essere risolta la questione del tempo: è consapevolezza di tutte le generazioni che nel post-pandemia questa sia diventata la risorsa più importante, nel, e per il lavoro.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/lavoro-flessibile.jpg537959Giulio Beroniahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulio Beronia2021-12-01 14:00:022021-12-29 16:01:17Back to office: numeri e prospettive delle forme di lavoro flessibile
Finalmente il momento tanto atteso è arrivato: oggi Spotify presenta New G, il primo video podcast originale in Italia. Gli utenti potranno quindi non solo ascoltare ma anche vedere lo show, prodotto da Show Reel Agency (parte di Show Reel Media Group), i cui protagonisti sono un gruppo di content creator molto popolari su TikTok: Momo, Raissa, Nimi Abdoulaye (alias Isabo), Tasnim Ali e Dayoung Clementi.
Il primo video podcast italiano
I cinque, molto diversi tra loro per storia personale e background culturale, sono uniti da un importante filo conduttore: un nuovo modo di vivere le diversità e approcciare il dibattito intorno ad essa, tipico della Generazione Z. Il mondo dei social media sarà certamente al centro delle 50 puntate di cui si compone il podcast, ma ci sarà ampio spazio per parlare di scuola e di futuro, del rapporto con la generazione dei loro genitori, di sogni, fallimenti e molto altro.
La generazione dei protagonisti di questo video podcast è molto diversa dalle precedenti: i ragazzi e le ragazze che ne fanno parte sono cresciuti in tempi di grandi trasformazioni e hanno ridefinito ciò in cui credono, i propri valori, ambizioni e obiettivi. Sono aperti alla diversità, consapevoli che ognuno ha un proprio bagaglio identitario e sono disposti ad esplorare contenuti di intrattenimento che superano i confini della propria cultura.
Questi sono solo alcuni degli aspetti fondamentali di uno show che permetterà agli ascoltatori di ogni età di comprendere meglio il mondo dei più giovani e scoprire cosa muove una generazione che sta dando un contributo decisivo alla creazione di un Paese più aperto e inclusivo.
Siamo molto felici di essere gli host del primo video podcast di Spotify e, soprattutto, siamo orgogliosi che questa opportunità ci abbia permesso di dare voce a ciò che conta davvero per la generazione di cui siamo parte. Siamo in cinque a parlare in New G, anche parecchio diversi uno dall’altro: non siamo, infatti, sempre d’accordo sulle cose ma è giusto che sia così perchè è importante dare spazio a tutto e rispettare tutti. Questo per noi è New G: uno sguardo di più occhi sul mondo per accendere dibattiti.
Dopo l’annuncio globale del luglio 2020, New G segna l’arrivo dei video podcast originali in Italia, un formato che ha già permesso agli ascoltatori di tutto il mondo di entrare in contatto in maniera ancora più profonda con i contenuti dei propri creator preferiti.
Commenta Eduardo Alonso, Head of Studios for Southern & Eastern Europe di Spotify.
Siamo entusiasti di annunciare finalmente anche in Italia il primo video podcast originale Spotify. Vogliamo continuare a fornire ai creator sempre più strumenti per esprimere la propria creatività e avere il controllo sui propri contenuti, oltre che a proporre agli ascoltatori esperienze uniche e all’insegna dell’interattività. New G è uno show imperdibile per chiunque voglia conoscere meglio il mondo dei più giovani, i valori che li ispirano e il loro approccio alla diversità.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/New-G-2.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-11-29 10:58:242021-11-29 10:58:24Spotify lancia il primo video podcast originale in Italia
Lavorare nel Metaverso è possibile o è soltanto una visione distopica di un’umanità sempre più connessa ma scollegata dalla realtà non virtuale?
Il mondo del lavoro è in un costante cambiamento, oggi più che mai, e la portata di questa rivoluzione è stata al centro del Forum HR 2021.
Sono molte le discussioni che è necessario affrontare ora che le sfide tecnologiche, ma anche ambientali, ci mettono davanti a scelte sempre più nette.
Digital Transformation, welfare, wellbeing, recruiting, learning e hybrid working. Questi e altri importanti temi legati al mondo HR sono stati al centro dell’edizione 2021 del Forum delle Risorse Umane, quest’anno alla sua tredicesima edizione.
L’evento è finalmente tornato dal vivo, anche se con alcune limitazioni sul numero del pubblico.
Il Forum HR 2021 è stata anche l’occasione per la redazione di Ninja di entrare in contatto con le più importanti voci del mondo HR italiano e noi di Ninja non ci siamo fatti sfuggire l’occasione per fare loro qualche domanda sul futuro del lavoro in relazione a una delle tecnologie più impattanti annunciate recentemente: il Metaverso.
Le tecnologie emergenti di virtual communication e virtual collaboration promettono di unire una forza lavoro sempre più dispersa grazie ad avatar, riunioni olografiche, mondi virtuali. Molto prima dell’annuncio di Mark Zuckerberg, ne avevamo parlato approfonditamente in questo articolo.
Se come si deduce dalle dichiarazioni degli esperti saranno necessari ancora diversi anni prima che questa rivoluzione abbia luogo, è importante gettare uno sguardo sui prossimi anni e anticipare i possibili sviluppi di una tecnologia così disruptive.
Lavorare nel metaverso è possibile? Diventerà presto realtà?
La domanda che abbiamo posto ai rappresentanti del panorama HR italiano è stata proprio questa: possiamo aspettarci, a breve, di lavorare in spazi virtuali, uffici nei quali muoverci con il nostro avatar e interagire con le rappresentazioni cibernetiche dei nostri colleghi? Ecco cosa ci hanno risposto.
Simona Liguoro – HR Director Italy – Nestlé Nespresso
In futuro lavoreremo con gli avatar e sono particolarmente sicura di questo, ma per conquistare le persone e farle legare all’azienda sarà sempre necessario e fondamentale il contatto fisico.
Dal mio punto di vista i sensi sono la cosa più importante.
Serena Rossi – Human Resources Director – Stryker
Incontrarsi di persona sarà sempre essenziale: eventi come il Forum HR 2021 lo dimostrano. Non potremo mai essere sostituiti dal nostro avatar, o almeno ci proviamo. Magari, però, il nostro avatar potrà occuparsi di cose per noi che non riusciamo a gestire.
Non credo che la sostituzione completa sia una strada da seguire: l’essere umano ha bisogno di essere fisico, toccare, guardare negli occhi, ma certamente la tecnologia potrà aiutarci semplificandoci la vita.
Guido Stratta – Direttore People & Organisation Gruppo Enel
Secondo me dobbiamo far sì che questa nuova tecnologia non ci schiacci: credo sarà una buona dimensione da gestire con equilibrio.
Io penso che la relazione umana sia ancora determinante, abbinata però a tutte queste belle novità.
Annalisa Alberti – Human Resources, Facility Management, ICT & Compliance Director – Rheinmetall Italia S.p.A.
Il contatto umano resta fondamentale: dovremmo invece ragionare un po’ fuori dagli schemi e pensare che non ci si può più limitare a “un classico orario di lavoro” dalle 8.00 alle 16.30, perché viviamo in un mondo che è interamente connesso e abbiamo bisogno di ripensare il nostro modo di lavorare focalizzandoci sugli obiettivi.
Detto questo, il contatto umano e la vicinanza faranno la differenza per le aziende.
Tiziana Carnicelli – Group Education and HR Communication Head presso Angelini Holding
È un argomento che mi intriga molto: nell’esperienza vissuta durante il Covid, la cosa che abbiamo sofferto di più nel fare formazione era il non poter guardare negli occhi la persona e comprendere la comunicazione non verbale.
La possibilità di avere un’aula di formazione, nella quale posso dialogare con il professore anche se a distanza vedendolo come fosse dal vivo, e magari interagire con un mio collega, anche se il collega è dall’altra parte del mondo, può significare molto.
Tutto dipenderà da quanto saranno “intelligenti” questi avatar e ologrammi, se ci permetteranno davvero una reale interazione. Altrimenti, dubito che funzionerà.
Giuseppe Conte – Direttore centrale Formazione e sviluppo risorse umane · INPS
Già oggi, tendenzialmente, molte riunioni che si organizzavano in presenza e che richiedevano spostamenti si possono fare tranquillamente a distanza.
Vi saranno però sempre dei momenti importanti in cui sarà utile incontrarsi in presenza, magari per appuntamenti di tipo laboratoriale o di brainstorming. Sarà sufficiente trovare un giusto equilibrio.
Fabrizio Tripodi – HR Director at Brown-Forman, the Jack Daniel’s company
La tecnologia mi piace molto, perché si evolve velocemente, ma ho un punto fermo: deve essere al servizio dell’uomo; uno strumento attraverso il quale risparmiamo, ottimizziamo e ci concentriamo maggiormente su quello che è il valore aggiunto del contatto umano.
Tutti quelli che sono gli strumenti digitali sono benvenuti: si aggiungono e aiutano e non sostituiscono il contatto umano, ma permettono che il contatto umano sia usato nel modo migliore, laddove necessario per motivi professionali ma soprattutto per una connessione empatica tra le persone.
Accogliamo con entusiasmo il metaverso proprio considerandolo come una piattaforma di supporto e non di sostituzione del contatto umano.
Elisabetta Maiocchi – Head of HR di Siae Microelettronica
È un percorso che considero realizzabile: per determinati tipi di funzioni aziendali, come ricerca e sviluppo e funzioni amministrative, c’è una compatibilità di fondo; per altri ambiti, come il mondo del commerciale, sarà necessario capire se la soluzione può essere valida, perché spesso l’incontro in presenza rimane la via preferibile.
Sul mondo training e academy mi sento ottimista sull’argomento: ci si può dotare di postazioni adatte allo scopo per le persone che non dispongono di strumentazione e connessioni adeguate.
Fabio Salvi – Head of HR/Team Lead People Partner Italy, Spain, Portugal, Serbia, Croatia and Romania presso FlixBus
Questo scenario mi sembra un po’ una deriva dello sviluppo tecnologico, una sorta di puntata di Black Mirror.
La tecnologia, dal mio punto di vista, è uno strumento per abilitare in modi diversi le relazioni, ma la relazione è e resta umana. La tecnologia è solo uno dei canali che va sfruttato per quello che è nei suoi significati, funzionale quando ci sono team distribuiti e separati da una distanza fisica.
Quello che però è il rapporto umano è inalienabile. Se questo scenario degli avatar si realizzasse staremmo davvero ripensando alla natura stessa dell’essere umano e, almeno personalmente, non vorrei andare in questa direzione.
Federica Visioli – Head of Human Resources – CDI Centro Diagnostico Italiano
Se ne parla molto e conosco le possibilità del metaverso. Non so però se il nostro contesto nazionale sia già pronto per arrivare a queste dinamiche.
Ritengo però che anche il mondo sanitario si stia evolvendo, per cui l’aiuto di tutti quelli che sono gli strumenti informatici è prezioso.
Pensiamo per esempio all’intelligenza artificiale, a quanto può aiutare il medico nel migliorare le logiche predittive su alcune malattie. Il rapporto tra medico e paziente rimane fondamentalmente fisico: per semplificare, talvolta è necessario toccare l’arto malato. Però ci sono degli aspetti come le consulenze e determinati momenti che possono essere gestiti in modo ottimale anche con una modalità da remoto.
Andrea Lugo – H.R. Director | Aruba S.p.A.
Spero non si arriverà a lavorare in ambienti virtuali per mezzo di avatar, anzi, spero di essere andato in pensione prima che succeda.
È un mondo che non conosco in modo approfondito, ma sul quale ho qualche dubbio: credo che per adesso l’assetto attuale nelle modalità di recruiting sia quello corretto.
Samanta Todaro – Direttrice delle Risorse Umane del Gruppo Alessi
Io credo che l’aspetto relazionale debba rimanere, perché è quello che fa la differenza; lo comprendiamo bene anche da questo evento tornato in presenza: tutti avevano voglia di tornare a vedersi.
Penso però che la tecnologia ci possa aiutare, debba essere sfruttata come un mezzo per farci arrivare dove oggi fisicamente non possiamo. La realtà virtuale, nel lavoro, è infatti nata anni fa, per esempio nel training medico, ma può essere efficacemente utilizzata anche in altri ambiti diversi dalla formazione, per esempio nella simulazione di un investimento per valutarne il tasso di successo.
Roberta Fagotto – Chief Human Capital Officer – SIT
Credo che non possiamo prescindere dalla relazione umana: nel nostro contesto latino facciamo molta difficoltà a sconnetterci completamente dall’organizzazione dal punto di vista fisico, perché la relazione umana, per esempio quelle che avviene alla macchinetta del caffè, il contatto visivo non asincrono come quello del contatto video che è sempre un filtro, per noi è ancora fondamentale.
Sia per la parte progettuale e di innovazione, che non può essere “remotizzata” completamente, ma anche perché spesso tendiamo a unire la dimensione umana del collega alla nostra quotidianità.
Ritengo che invece assumeranno maggiore importanza gli spazi di lavoro, perché saranno degli spazi in grado di valorizzare la connessione, anche da un punto di vista personale, di tutti i colleghi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/lavorare-nel-metaverso-Forum-HR-2021-interviste.jpg536958Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-11-26 16:23:002021-12-10 11:19:07Lavorare nel Metaverso è possibile? Lo abbiamo chiesto al mondo degli HR italiani
Ci ha lasciato Ennio Doris, l’inconfondibile volto di Banca Mediolanum e presidente fino al settembre 2021.
Il suo gesto di “tracciare il cerchio” per indicare un servizio costruito intorno alla persona, ora in un lago salato, ora in un campo di grano, si è fissato indelebilmente nella memoria delle persone grazie alle réclame dell’azienda, diventando così un punto di riferimento per la linea comunicativa successiva ma anche oggetto di imitazioni, meme e studio.
Manager, imprenditore e banchiere italiano, ma anche Cavaliere del Lavoro dal 2002 e uno tra gli uomini più ricchi d’Italia della classifica Forbes del 2018, il suo genio imprenditoriale ha trasformato Mediolanum in un impero, che già nel 2019 contava più di 8.000 dipendenti.
Ai grandi uomini di successo si accompagna spesso una visione olistica del mondo, nella quale restituire parte della propria fortuna alla comunità è un atto sentito e dovuto: a marzo 2020, infatti, aveva donato 5 milioni di euro alla regione Veneto per aiutare contro il virus pandemico Covid-19.
Ci ha lasciato Ennio Doris, ma il corto firmato da Özpetek è il più bel saluto perchè esprime i suoi valori
Banca Mediolanum ha lanciato il nuovo corto durante una serata premièregiovedì 18 novembre presso il Cinema Moderno The Space di piazza della Repubblica a Roma.
Primaun dialogo tra Massimo Doris, il regista Ferzan Özpetek e il professor Gianni Canova, condottodalla giornalista Costanza Calabrese e poi l’anteprima del film: “L’uomo che inventò il futuro”.
Il nuovo corto di Ferzan Özpetek per Banca Mediolanum racconta la storia di un uomo a confronto con il proprio figlio diciassettenne, con il suo slancio verso il futuro rispecchiato nei ricordi del padre.
Nella visione del cortometraggio, la solidità del rapporto di Ennio Doris con il figlio Massimo, amministratore delegato di Banca Mediolanum dal 2008, non può passare inosservata.
Un avvicendamento programmato, in cui Massimo ha raccolto il testimone dal padre, non solo come testimonial della comunicazione aziendale, arrivando anche a “sostituirlo” nella costruzione dei cerchi, diventati simbolo di un servizio costruito su misura intorno alle persone.
L’uomo che inventò il futuro di Ferzan Özpetek
Nella storia del regista, quello del figlio è un mondo all’interno del quale il padre non trova subito accessi e aperture, ma invece scetticismo e indifferenza, soprattutto quando si parla di futuro. Due mondi distanti e uniti dalla stessa storia.
Il padre individua però la giusta chiave di comunicazione, rendendo il racconto una sorta di epopea e catturando così l’attenzione del figlio. Narra di un tempo in cui gli uomini non avevano contezza del futuro, un tempo brillante ma labile. Ma in realtà parla di se stesso, del tempo che passa e del futuro, che affonda saldamente le sue radici nel presente.
Le emozioni della normalità vengono sviscerate con forza e impeto, la quotidianità diventa eccezionale, rumorosa e stridente come il pianto di un bambino appena nato. L’impresa gigantesca è vivere ogni giorno, con fatica, certo, ma con una fatica giusta.
Guarda il nuovo corto L’Uomo che Inventò il Futuro
Prenderne consapevolezza ci fornisce gli strumenti per determinare il nostro destino: ogni piccolo passo verso questa meta rende la vita degli uomini libera e degna di essere vissuta, ora e per sempre. Futuro è piantare un albero. Costruire una casa. Far nascere un sogno.
Sono i valori di Ennio Doris e dell’impresa che ha fondato.
Ma futuro è anche comprendere che “viaggiare da soli”, in questo grande cammino, non ha senso, quando possiamo affidarci all’esperienza di altri uomini. Perché capire il futuro ci permette di comprendere l’importanza del passato.
“Ho accolto la proposta di questo lavoro per due semplici ragioni: la prima perché mi è sembrata quanto mai di attualità una presa di coscienza sul tempo, il nostro tempo e quello degli altri. Di coloro che sono stati e di coloro che saranno.
Mai come in questi ultimi periodi siamo stati messi alla prova sul come e quando immaginare il tipo di futuro che ci aspetta. La continuità del tempo va salvaguardata, i suoi cicli e ricicli come li definiva il filosofo napoletano Vico a proposito del ripetersi della storia. Anche se credo in sostanza che tutto è destinato a cambiare, ad arricchire il corso della nostra esistenza”, ha commentato il regista Ferzan Özpetek, che ha aggiunto:
“La seconda ragione è una sfida direi tecnica e di linguaggio cinematografico. In mezzo a tanti film e spettacoli che ho realizzato e continuo a realizzare, la misura del cortometraggio come in questo caso mi induce a raccontare in una manciata di minuti una storia di sentimenti forti e delicati al tempo stesso, nella quale non mancano momenti di attriti e incomprensioni, emozioni suscitate dai ricordi e commozioni per il nuovo che sta nascendo”.
Dove vedere L’uomo che inventò il futuro
Il cortometraggio è visibile su Youtube e sarà disponibile anche su MediolanumPlay.it, il nuovo spazio dove trovare la selezione deimigliori contenuti video che raccontano il mondo di Banca Mediolanum.
Una campagna di comunicazione collegata prevede il flight televisivo, on air dal 21 novembre all’8 dicembre, che vedrà la messa in onda di oltre 5.000 spotda 30’’ e 15” sulle principali emittenti televisive: Mediaset, Rai, Sky (canali tematici, sportivi, ondemand e canali free to air), canali Discovery, La7, Class CNBC, Sport Italia e RTL 102.5 TV.
In affiancamento alla campagna televisiva è stata pianificata una campagna radiofonica delladurata di 2 settimane che, a partire dal 22 novembre, vedrà il coinvolgimento delle principaliemittenti nazionali: RTL 102.5, R101, Radio 105, Virgin, Radio Monte Carlo, Radio24, Radio Italiasolomusicaitaliana, Radio Deejay, RDS e Radio Sportiva.
Al fine di aumentare la capillarità della comunicazione sul territorio è inoltre prevista la messa inonda degli spot in uno dei principali circuiti cinematografici italiani e una campagna Out Of Home nelle cittàdi Milano e Roma.
Sul web la pianificazione prevede un forte utilizzo di formati video veicolati per tutto il periodo di campagna su YouTube, Facebook, Instagram e in modalità programmatic su siti e portali ad alta frequenza di visita.
Il cortometraggio si basa su un’idea originale dell’agenzia Armando Testa. Un prodotto coinvolgente, gradevole ed emozionante, a tratti malinconico, con il quale cogliamo l’occasione per salutare Ennio Doris. Per dirlo con le esatte parole di Özpetek: “abbiamo smesso di vivere solo il presente, iniziando a vivere il futuro“.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/muore-ennio-doris-mediolanum.jpg538955Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-11-24 11:48:242021-11-24 14:22:00Ci ha lasciato Ennio Doris, e il nuovo emozionante corto di Özpetek è il miglior saluto possibile
Oggi più che mai, le giovani generazioni si distinguono profondamente dalle precedenti così come cambiano anche i valori di riferimento.
Rispetto ai più anziani, la Generazione Z e i Millennial parlano apertamente e si espongono in prima persona su argomenti critici per la società contemporanea, quali i cambiamenti climatici e la sostenibilità, le diversità, l’orientamento sessuale e la body positivity, sottolineando l’importanza delle azioni concrete.
Secondo uno studio condotto dal Pew Research Centre, il 32% della Generazione Z e il 28% dei Millennial hanno dato un contributo diretto (donazione di denaro, contatto con un funzionario eletto, volontariato o partecipazione a una manifestazione) per essere parte della soluzione delle maggiori problematiche contemporanee.
L’attivismo che caratterizza le giovani generazioni si riflette anche nel rapporto tra il brand e il consumatore, in quanto i membri della Generazione Z e della generazione Millennial hanno alte aspettative verso brand che amano in termini di trasparenza e etica.
Ma cosa cercano quindi le nuove generazioni dai brand? In che modo i brand possono personalizzare le proprio iniziative per rivolgersi in maniera diretta alle nuove generazioni?
Ninja Marketing ne ha parlato con Visha Naul, Director of Business Marketing for EMEA di Pinterest.
Perché per chi si occupa di marketing è importante conoscere che cosa interessa al loro pubblico? Saperlo come influenza l’engagement?
Coloro che si occupano di marketing stanno affrontando un’incredibile serie di sfide nel post pandemia. Quella di nuova ‘normalità’ probabilmente è un’espressione inflazionata, ma così come i consumatori stanno cercando di capire che cosa significa per le loro vite, anche chi lavora nel mondo del marketing deve capirne le implicazioni per il proprio brand – prima che lo facciano le persone.
Quando capiscono veramente a cosa sono interessati i consumatori, hanno l’opportunità di sfruttare le loro esigenze in campagne attuabili per raggiungere il pubblico giusto al momento giusto, per avere un impatto reale sulla vita delle persone. Sono necessarie nuove prospettive, piattaforme e approcci; i dati, poi, mai come ora sono importanti per definire nuove strategie in simili circostanze inesplorate.
Inoltre, molti settori – come quello del retail – sono sottoposti a un’enorme pressione per sviluppare un business a prova di futuro.
Su Pinterest i brand possono scoprire gli interessi delle persone e senza esitazione possono entrare a far parte della conversazione: i contenuti dei brand non creano un’interruzione – danno ispirazione.
Più di 400 milioni di persone utilizzano Pinterest ogni mese in tutto il mondo per trovare idee e trovare ispirazione per il loro prossimo acquisto.
I brand che entrano nel modo corretto in questo flusso, hanno la possibilità di raggiungere un pubblico ad alto tasso di engagement, dato che l’83% degli utenti settimanali afferma di aver fatto un acquisto basato su contenuti che hanno visto dai brand su Pinterest (GfK, Pinterest Path to Purchase Study among Weekly Pinners who use Pinterest in the Category).
In che modo gli insight di Pinterest possono essere rilevanti per i brand?
Il 97% delle ricerche più inflazionate su Pinterest non comprendono un brand, il che significa che la maggior parte dei consumatori non sta cercando un marchio specifico e le aziende, di qualsiasi dimensione esse siano, hanno le stesse possibilità di essere scoperte.
Pinterest aiuta i brand a comprendere meglio il comportamento dei consumatori e anticipare le tendenze, ma è anche il luogo in cui le tendenze crescono più velocemente – e durano più a lungo, rispetto a qualsiasi altro luogo di internet.
Ad esempio, Pinterest Predicts riporta la previsione annuale delle tendenze che decolleranno nel prossimo anno sulla base delle ricerche degli utenti su Pinterest. Le nostre intuizioni forniscono a chi si occupa di marketing una preziosa visione di ciò che sta ispirando i loro consumatori.
Le persone si rivolgono su Pinterest per cercare ispirazione. Vengono con una mentalità aperta, alla ricerca di idee, liberi di essere se stessi e di scegliere le migliori idee e prodotti che li rendono felici. Ed è così per tutte le generazioni.
Pinterest ha recentemente pubblicato un report per l’Italia – Pinterest ispira gli italiani di tutte le età a trovare il proprio stile – che mostra come a prescindere dall’età, gli utenti italiani di Pinterest si rivolgono alla piattaforma per trovare ispirazione per vari momenti di vita e per trasformare le idee che scoprono in realtà.
Abbiamo scoperto che i Pinner di tutte le generazioni si interessano a progetti fai da te: se gli utenti più giovani prediligono creazioni più semplici (le ricerche per “anelli fai da te” sono aumentate fino a 7 volte), le persone più avanti con gli anni si cimentano in progetti molto più complessi (le ricerche per “idee vestiti fai da te” hanno registrato aumento di 3 volte per la fascia d’età dei trentenni, “idee vestiti fai da te” e “tutorial vestito cucito” sono in aumento rispettivamente di 3 e 2 volte per la fascia d’età dei cinquantenni).
Lo stesso succede per il genere: Pinterest ha scoperto che anche gli uomini, soprattutto tra i 20 ei 40 anni, usano la piattaforma per ispirazioni di moda per scoprire il proprio stile.
Per l’uomo prevale decisamente il trend vintage, con ricerche per “abbigliamento uomo vintage” in aumento di 3 volte, sia per i ventenni che per i trentenni, e di 2 volte per i quarantenni, a dimostrazione di come anche il pubblico maschile desideri stare al passo con le mode.
Quali suggerimenti dareste ai brand che vogliono raggiungere un pubblico più ampio su Pinterest?
Pinterest ha fatto scelte concrete per garantire che i sentimenti positivi e l’ispirazione siano sempre parte di ciò che accade sulla piattaforma: non solo proteggiamo gli utenti da contenuti dannosi, ma mentre scoprono prodotti e fanno acquisti gli permettiamo di vivere un’esperienza unica. La cosa migliore che un brand può fare per raggiungere un pubblico più ampio è quello di accogliere questa positività e inclusività.
In altre parole, non dimenticare l’inclusione. Perché quando il pubblico si sente rappresentato, è più probabile che sceglierà il tuo brand, lo acquisterà e troverà i tuoi prodotti più velocemente.
Un altro focus importante è instaurare una connessione con gli utenti. L’empatia è cruciale ed è semplice da mostrare, ad esempio utilizzando un linguaggio inclusivo o tenendo conto della diversità e dell’inclusione.
Un Pinner che sente un legame con il brand e si sente accettato e incluso, sarà più propenso ad acquistarlo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/cosa-cercano-dai-brand-le-nuove-generazioni.jpg538958Pinteresthttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngPinterest2021-11-23 13:22:572021-11-24 11:48:52Cosa cercano le giovani generazioni dai brand (e come avvicinarle)
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