Dare vita ad una WPP più inclusiva che celebri diversità e differenze stimolando la creatività. È questo il percorso che segna la rotta di WPP in Italia, il Gruppo leader in ambito di marketing e comunicazione, che ha dato il via al WPP D&I Board, l’iniziativa che coinvolge protagonisti della industry della comunicazione – incluse le attività di CSV, come ad esempio la collaborazione con CoorDown -, della tecnologia, della cultura e dello spettacolo volto a riflettere su Diversità e Inclusione, fondamentali nella quotidianità della vita aziendale.
Diversity & Inclusion
In Italia, da ormai qualche anno, WPP ha intrapreso un percorso di valorizzazione delle attività relative alle tematiche di Diversity & Inclusion. Nel 2017 fu ideato il progetto Winspire, la prima iniziativa interna locale cross-agenzie che vuole supportare e promuovere i talenti e la leadership femminile. Da quest’anno la creative transformation company allargherà il suo raggio d’azione impegnandosi a promuovere una maggiore diversità all’interno dei suoi team che, a sua volta, porterà una maggiore creatività e innovazione nei loro progetti. Obiettivo prioritario sarà l’uguaglianza di genere, specialmente ai livelli più alti di una organizzazione.
Nasce così il WPP Diversity & InclusionBoard il cui obiettivo è riflettere e dare vita ad un nuovo linguaggio della diversità e dell’inclusione, basato sulla partecipazione, sulle testimonianze e sullo scambio di opinioni di tutti i partecipanti. Gli spunti emersi verranno raccolti in un white paper da veicolare al mercato entro la fine dell’anno, con l’obiettivo di fornire linee guida riguardo alle tematiche di Diversity & Inclusion nel panorama italiano e aiutare i team a integrare best practice.
Dopo i saluti introduttivi da parte di Simona Maggini, Country Manager di WPP in Italia, e Roberto D’Incau, Founder & CEO Lang&Partners, al tavolo di lavoro sono intervenuti gli altri membri del WPP D&I Board: da figure apicali di aziende leader di mercato, ad artisti e alti rappresentanti delle istituzioni culturali, da personalità del mondo dell’editoria ad esponenti di importanti associazioni di volontariato.
In quanto Gruppo leader negli ambiti di marketing e comunicazione, riteniamo sia una nostra concreta responsabilità fare da guida nella riflessione e nel percorso di cambiamento del sistema italiano che porterà quanto prima a riconoscere team diversificati come patrimonio essenziale con cui promuovere maggiore creatività e idee a vantaggio delle diverse aziende che operano nel mercato.
Dichiara Simona Maggini, Country Manager WPP Italia:
Ritengo che la parola chiave sia Inclusione: ci stiamo impegnando con una serie di autorevoli partner per far sì che l’inclusione diventi la normalità e non ci fermeremo finché il risultato non sarà raggiunto. Per quanto riguardo il Gruppo, stiamo compiendoun deciso passo in tal senso con l’inaugurazione del Campus WPP, un luogo, appunto, altamente inclusivo e innovativo, dove lavoreranno oltre 2.000 persone, portando background differenti, idee e competenze distinte essenziali per la nostra creatività e il nostro successo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/04/1_company.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-04-15 11:48:582021-07-26 11:39:30Al via il primo appuntamento del WPP Italia Diversity & Inclusion Board
L’industria degli eventi, che ha subìto una grande frenata nel 2020, è pronta a rinnovarsi e accelerare l’esperienza delle persone grazie alle tecnologie di realtà aumentata e virtuale.
Anche da remoto, infatti, ci saranno numerose opportunità di partecipazione immersiva: le tecnologie hanno sempre svolto un ruolo cruciale per gli eventi, dalla pianificazione all’offerta di un’esperienza coinvolgente. Ora, questo è vero più che mai.
La realtà aumentata e la realtà virtuale si sono rivelate le tecnologie più promettenti di tutte, alla luce della crisi pandemica COVID-19. Inaspettatamente, ciò che avrebbe potuto portare a una chiusura totale del settore degli eventi ha invece spinto verso l’ideazione di una serie di opportunità con un potenziale più immersivo.
Goldman Sachs ha recentemente riferito che gli eventi live e altre forme di streaming video diventeranno la fetta più grande delle entrate per la pianificazione di eventi software da VR e AR entro il 2025.
Con l’augurio che il settore riprenda a essere anche un momento importante di socializzazione e condivisione delle emozioni dal vivo, vediamo parallelamente quali sono le nuove frontiere dell’industria, anche distanza.
I vantaggi di realtà aumentata e realtà virtuale per l’industria degli eventi
#1. Migliorano il coinvolgimento dei partecipanti
AR / VR possono alimentare il networking tra i partecipanti, facilitando le interazioni con i video AR tramite token e biglietti da visita intuitivi e grazie al caricamento di token con i dettagli di contatto necessari, i video, le statistiche e foto.
La tecnologia di realtà aumentata può trasformare una conferenza in una occasione coinvolgente con diverse esperienze di apprendimento. L’evento stesso può diventare un gioco e coinvolgere i partecipanti in cacce al tesoro digitali.
#3. Permettono la navigazione verso l’evento e dei suoi spazi
Per gli appuntamenti fisici, la tecnologia AR può aiutare i visitatori a raggiungere la sede dell’evento, ma può anche aiutare i partecipanti a orientarsi, evitando che si perdano tra i padiglioni e labirintici distese di pannelli. Per lo scopo, si possono utilizzare app dedicate o servizi di navigazione convenzionali come Google Maps.
#4. Migliorano le presentazioni
Le app per eventi basate su AR possono aiutare i partecipanti a fornire presentazioni migliori con una chiara elaborazione dell’ambito del progetto supportata da dati statistici e screening dei concetti.
Le app basate su AR aiutano nella presentazione con spiegazioni approfondite, nonché nell’elaborazione dei dettagli interni di un progetto di infrastruttura o di un prototipo 3D. Lo stesso può essere applicato a un evento completamente virtuale.
#5. Sfruttano la presenza virtuale
I dispositivi basati sulla realtà virtuale possono aiutare i partecipanti a interagire con altri partecipanti da remoto e partecipare a sessioni di formazione in qualsiasi momento, accedendo ad un account live. Gli spettatori “remoti” possono vivere gli eventi proprio come farebbero fisicamente e sfruttare le partnership, il co-branding e le opportunità di sponsorizzazione.
I pianificatori possono anche consentire ai partecipanti di pubblicare contenuti sui loro feed social per influenzare un pubblico più ampio in tempo reale e i visitatori possono partecipare virtualmente a una fiera ricevendo informazioni dettagliate in un ambiente virtuale.
#6. Aiutano nelle dimostrazioni dei prodotti
Le aziende possono sfruttare l’occasione per mostrare un’ampia gamma di prodotti, il loro funzionamento e i potenziali vantaggi per gli utenti in un’app basata sulla realtà virtuale e ridurre i costi e le risorse associati all’affitto di spazi per.
I produttori possono anche fornire una demo virtuale al pubblico per analizzare il funzionamento del prodotto e supportarli nella decisione di acquisto. Questa scelta può essere applicata sia ad eventi virtuali che fisici.
La società taiwanese di elettronica di consumo HTC Corp. ha condotto nel 2020 una conferenza sulla tecnologia VR, utilizzando un’applicazione di formazione e istruzione collaborativa che funziona con una varietà di dispositivi VR e l‘evento ha visto la partecipazione di oltre 2.000 iscritti da oltre 55 paesi.
#7. Consentono la formazione in realtà aumentata
Le app di realtà virtuale possono aiutare gli organizzatori con sistemi di formazione per il proprio personale, ad esempio con la rappresentazione 3D di una pianta della fabbrica o di uno spazio per eventi. Mercedes Benz utilizza questo tipo di formazione creando video 3D per formare i propri collaboratori a ogni livello.
#8. Possono sfruttare le campagne esperienziali
Le app basate su VR e AR possono essere l’opportunità per creare esperienze memorabili e stabilire un legame più stretto tra brand e clienti durante gli eventi. La tecnologia VR può essere sfruttata per creare campagne coinvolgenti e consentire ai clienti di avere esperienze uniche. La tecnologia immersiva è già utilizzata da molti anni da alcuni colossi come Coca-Cola e WWF nei principali eventi globali.
Appare chiaro da questo video che la creatività può guidare l’implementazione di qualunque tipo di esperienza!
#9. Accelerano il processo RFP
La realtà virtuale rende anche più facile per i gestori di locali contattare gli organizzatori di eventi e i fornitori e mostrare l’interno del loro spazio, utilizzando Social Tables e strumenti di creazione di diagrammi fotorealistici 3D.
La società Cvent fornisce software per la gestione degli eventi e il coinvolgimento dei partecipanti, consentendo di navigare in una planimetria interattiva. Un’altra azienda, Virtual Fam Trip, possiede un database di spazi per eventi in tutto il mondo che si possono esplorare comodamente da casa. Alcune strutture in costruzione possono anche fornire un tour per visualizzare in anticipo lo spazio dell’evento.
#10. Guidano gli spostamenti e l’attenzione
Le app AR possono aiutare a gestire il traffico. Ad esempio, l’app AR Core di Google facilita l’interazione degli ospiti in fiere e conferenze ospitate con l’aiuto di elementi come pop-up educativi, giochi personalizzabili, ecc. Pubblicizzare questi momenti salienti prima dell’evento può aumentare le vendite di biglietti.
L’industria degli eventi ha subito cambiamenti significativi e dannosi nell’ultimo anno. Grazie alla tecnologia immersiva, gli organizzatori di eventi possono ancora connettersi con i loro partecipanti attraverso eventi digitali e ibridi per evitare il contatto sociale.
Le app supportate dalla tecnologia VR e AR possono essere utilizzate prima, durante e dopo qualsiasi evento per aiutare il processo di pianificazione dell’evento e stupire gli ospiti e farli sentire al sicuro il giorno dell’evento.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/04/eventi-VR.jpg9241643Claudia Liccardohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngClaudia Liccardo2021-04-15 11:00:122021-04-15 11:00:1210 modi in cui VR e AR possono dare il boost al tuo evento
Le azioni di Coinbase Global Inc hanno avuto un debutto altalenante al Nasdaq, con la valutazione dello scambio della criptovaluta che ha oscillato da un massimo di 112 miliardi di dollari a un minimo di 83 miliardi di dollari.
Il debutto in borsa di Coinbase in direct listing, cioè fatto attraverso una quotazione diretta (in cui non vengono vendute azioni prima dell’apertura), segna un’altra pietra miliare nello sviluppo del bitcoin e di altri asset digitali.
Arriva nel mezzo di un‘impennata nel valore delle criptovalute che ha attirato una serie di aziende mainstream e veri colossi dell’industria, ma anche soggetti della finanza tradizionale, che sono saltate sul treno in corsa.
Le azioni di Coinbase hanno aperto a 381 dollari per azione, in aumento del 52,4% da un prezzo di riferimento di 250 dollari per azione fissato martedì.
Il titolo ha poi invertito la rotta attestandosi su 318 dollari, per poi chiudere a 328 dollari per azione, con una valutazione di 86 miliardi di dollari e una capitalizzazione di mercato di 63,3 miliardi di dollari.
Fondata nel 2012, l’azienda con sede a San Francisco vanta 56 milioni di utenti a livello globale e un patrimonio stimato di 223 miliardi di dollari sulla sua piattaforma.
Da 6 miliardi agli 86 della quotazione
Coinbase era stata stata valutata a poco meno di 6 miliardi di dollari appena a settembre, ma è aumentata in linea con i guadagni del bitcoin quest’anno.
Il debutto di Coinbase ha segnato il primo “incrocio ufficiale” tra la consueta strada della finanza tradizionale e il percorso alternativo delle criptovalute.
Come tale, il risultato della quotazione potrebbe trasformarsi in una approvazione delle criptovalute anche da parte degli investitori tradizionali. Infatti, Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno già annunciato nuovi piani per offrire ai loro clienti l’accesso agli investimenti in criptovalute.
I sostenitori delle crypto naturalmente festeggiano, anche se i detrattori ovviamente pongono dubbi sulla durata del boom del fenomeno.
Non si può negare, però, che la quotazione di Coinbase sia uno dei più importanti segni dell’accettazione, se non approvazione, della finanza tradizionale alle monete elettroniche.
Tuttavia, gli scettici sostengono ancora con forza che le monete digitali sono state gonfiate da stimoli esterni, come la decisione di Elon Musk di permettere il pagamento delle Tesla in Bitcoin, tanto che, in effetti molti governi e regolatori in tutto il mondo stanno intensificando la supervisione sul fenomeno e mettendo in dubbio la sua utilità come moneta.
Per esempio, in un’intervista a Der Spiegel, Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, ha chiamato Bitcoin “un bene speculativo senza alcun valore fondamentale riconoscibile”
La criptovaluta più grande e più conosciuta del mondo ha infatti raggiunto un record di oltre 63.000 dollari martedì e ha più che raddoppiato il suo valore quest’anno, mentre le banche e le aziende hanno cominciato a interessarsi all’asset emergente.
I risultati finanziari più recenti dell’azienda sottolineano come le entrate sono aumentate di pari passo con il rally dei volumi di scambio e del prezzo dei Bitcoin.
Quando il prezzo del Bitcoin scende, è inevitabile che anche le entrate di Coinbase e il prezzo delle azioni scendano.
L’incertezza normativa intorno alle criptovalute potrebbe non essere un fenomeno passeggero: una recente norma antiriciclaggio proposta dal governo degli Stati Uniti richiederebbe alle persone che conservano le criptovalute in un portafoglio digitale privato di sottoporsi a controlli di identità se fanno transazioni di 3.000 dollari o più.
Una mossa che potrebbe davvero danneggiare la diffusione delle criptovalute e inficiare lo scopo d’uso originale, che era quello di rendere i servizi finanziari accessibili a tutti.
Le criptovalute come il bitcoin sono vengono associate ad attività illecite a causa del fatto che le persone che effettuano transazioni spesso usano pseudonimi, ma l’attività illecita ha rappresentato solo lo 0,34% di tutto il volume delle transazioni crypto l’anno scorso, secondo la società di analisi blockchain Chainalysis, tra le altre cose,in calo da circa il 2% dell’anno precedente.
Gli Stati Uniti, però, non sono l’unico paese che sta considerando nuove regole severe sulle criptovalute. In India, per esempio, il governo sta considerando una legge che vieterebbe le criptovalute e penalizzerebbe chiunque le detenga o le scambi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/04/coinbase-1.jpg9261645Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-04-15 08:19:142021-04-16 11:54:02Coinbase debutta al Nasdaq con una quotazione di 86 miliardi di dollari
Debutta a Wall Street Coinbase Global Inc., la piattaforma di scambio preferita per l’acquisto di criptovalute che catapulta Bitcoin & Co. nel business mainstream della finanza tradizionale. Un momento storico, con i riflettori puntati sulla borsa di New York, mentre lo scarco sul Nasdaq spinge il valore del Bitcoin.
Attribuito a Coinbase un prezzo di riferimento di 250 dollari ad azione, per una valutazione complessiva della società di circa 65,3 miliardi di dollari: quotazione mai attribuita a una società di criptovalute. Alla vigilia dell’IPO in borsa, il Bitcoin ha toccato un nuovo record storico nelle ore subito precedenti al debutto a Wall Street di Coinbase, sfiorando i 65.000 dollari a 64.747 (un aumento del 6%), prima di ripiegare a 64.177 dollari. La capitalizzazione di Bitcoin così schizza a 1.200 miliardi di dollari. Anche Ether, la criptovaluta nativa della blockchain di Ethereum e la seconda più grande in assoluto, ha stabilito un nuovo record di 2.271 dollari. Con il balzo di quasi il 6% nelle ultime 24 ore, spinto dall’ennesimo record del Bitcoin è stato toccato un nuovo massimo per il mercato globale delle criptovalute che ha raggiunto una capitalizzazione vicina a 2.250 miliardi di dollari, superando nettamente il Pil italiano.
Il debutto si configura come una quotazione diretta, che non coinvolge le banche in un processo di vendita di azioni agli investitori. Il reale test, secondo gli analisti, sarà possibile con i primi scambi, Secondo alcune stime, il mercato potrebbe attribuire a Coinbase una capitalizzazione di 100 miliardi di dollari, che ne farebbe la principale ‘borsa’ per valore anche davanti allo stesso Nadsaq e al Nyse.
Coinbase stima di aver realizzato 1,8 miliardi di dollari in ricavi nel primo trimestre del 2021, un aumento dell’844% rispetto ai 190,6 milioni di dollari generati nello stesso periodo dell’anno precedente, dovuto alle forte oscillazioni al rialzo delle monete digitali come bitcoin ed ether.
Fondata nel 2012 a San Francisco, Coinbase il mese scorso ha reso noto il volume delle transazioni sul mercato privato, con una valutazione della società a 68 miliardi di dollari: una crescita esponenziale rispetto ai 5,8 miliardi di dollari del settembre 2020. Ben 56 milioni di utenti in tutto il mondo utilizzano la piattaforma, circa 223 miliardi di dollari di asset, pari all’11,3% della quota di mercato delle criptovalute.
Un evento storico, che segna la linea di congiuzione tra criptovalute e finanza tradizionale. A fare da traino anche il forte endorsment di investitori tradizionali, si pensi ad Elon Musk, Ceo di Tesla e Starlink, mentre il bitcoin spinge la sua volata verso i 10mila sulla base del basso tasso di volatilità degli ultimi 30 giorni, nonostante una parte di analisti detrattori tra cui i governi di tutto il mondo, che osservano con scetticismo e preoccupazione al Bitcoin e alle criptovalute, ritenute solo uno strumento speculativo senza un valore riconoscibile.
Mentre la Cina e Pechino starebbero lavorando a uno yuan digitale, è cauto il Federal Reserve System: “Non c’è nessuna fretta per adottarlo”, sottolinea presidente della Fed Jerome Powell, assicurando che la banca centrale non adotterà il dollaro digitale “senza l’appoggio del Congresso”.
Se la moneta digitale è sempre più osannate come “l’oro digitale del futuro”, anche l’Europa è a lavoro su nuove norme su criptovalute e finanza digitale per fronteggiare il rischio riciclaggio e terrorismo
Intanto diverse banche, fra le quali Goldman Sachs e JPMorgan, hanno annunciato piani per offrire criptovalute ai propri clienti.
È sulle prospettive che insistono i più scettici, nonostante gli utili siano in forte crescita (sono attesi per il primo trimestre tra 730 e 800 milioni di dollari, più di tutto il 2020). Sotto accusa il modello di business che dipende integralmente dalle commissioni sul trading, il che esporrebbe i ricavi alla volatilità delle criptovalute e soprattutto alla concorrenza, come è accaduto con il trading convenzionale sconvolto dalle piattaforme a zero-commissioni.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/04/Coinbase.jpg10801920Barbara Landihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngBarbara Landi2021-04-14 18:06:242021-04-14 18:06:24Coinbase debutta a Wall Street e il Bitcoin vola a 65mila dollari
Il tema di come aiutare la ripartenza delle attività nella ristorazione è argomento pressante e quotidiano. Le difficoltà economiche del settore Ho.Re.Ca. sono pesanti e impongono agli operatori chiarezza di visione per prendere decisioni e impegnarsi in investimenti.
Diventa quindi fondamentale avere a disposizione analisi e dati su cui basare le scelte. Esattamente il tipo di contenuti che l’agenzia di branding CBA ha raccolto ed esaminato in “FOOD Z”, ampio e approfondito studio su abitudini, preferenze e motivazioni rispetto al consumo di cibo out-of-home della Generazione Z.
FOOD Z
Verificata sul campo attraverso più fasi e con metodologie diverse di contatto con il target (approfondimenti nella scheda), la ricerca anticipa e disegna il profilo di un’esperienza nuova e tailor-made che i canali di ristorazione amati dai giovani nati dopo il 1995 potrebbero offrire. Quella che è stata definita una “stay-in generation” è infatti in realtà un gruppo sociale in cui l’89% dei ragazzi pranza(va) o cena(va) fuori casa almeno una volta a settimana.
FOOD Z racconta di una generazione cresciuta in un mondo dove il digitale non è novità, ma quotidianità. Questa evidenza è il punto di origine di una proposta ibrida, on e offline, in cui la realtà analogica si mescola, si adatta e trova compensazione in quella virtuale e interattiva, così da generare una experience del cibo fuori casa mai vista prima.
Lo studio di CBA parte da 3 domande chiave – il rapporto con il cibo, i momenti di consumo fuori casa più rilevanti e i driver di scelta del luogo dove mangiare di questo target generazionale – e sviluppa, sulla base dei diversi insight raccolti nelle interviste e poi clusterizzati, tantissimi suggerimenti per il ristoratore su come intervenire nel customer journey del giovane cliente così da renderglielo memorabile.
Approccio strategico-creativo
Per esempio aggiungendo nel sito web del locale strumenti di servizio che permettono al giovane cliente al primo appuntamento sentimentale di progettare in anticipo tutti i dettagli di una serata sicuramente delicata e importante, scegliendo il grado di privacy del tavolo, l’ambiente, gli allestimenti, il menù. Tra questi servizi CBA include anche piccoli interventi di aiuto online come la scelta del grado di confidenza da parte del personale che può diventare facilitatore della serata, oppure una lista di particolarità del locale come spunto di conversazione, o il naming del tavolo come momento di gioco.
Il locale stesso potrà infine suggerire come chiudere la serata facilitando online il pagamento del conto e condividendo consigli su dove proseguire la serata. L’obiettivo è chiaro: creare un legame fortissimo con i consumatori che, sentendosi capiti, seguiti e aiutati, conserveranno un ricordo positivo del ristorante.
Queste idee sono un assaggio dell’approccio strategico-creativo adottato da CBA nell’individuare soluzioni che combinano le esigenze del target e la necessità del ristoratore di ripensare in modo efficiente la propria proposizione.
Scegliere un ristorante infatti dipende anche dalla motivazione per cui si esce, e da ogni motivazione discendono need specifici. Motivazioni ed esigenze che sono state raccolte e clusterizzate da CBA in una nuova unità di analisi, gli “scenarios”. Questi scenarios profilano alcuni dei principali momenti di consumo della GenZ: da Celebrations a Tinder Date, da Improvvisata al fast food ad Entertained Dinner, Cena con dolcetto, Co-studying. Ognuno di questi profili contiene informazioni chiave e stimoli che potranno, se adeguatamente sviluppati, trasformare radicalmente la brand experience ristorativa della GenZ.
Dopo questi mesi durissimi ci troviamo in un momento di passaggio fondamentale per il futuro del settore Ho.Re.Ca. Il fattore economico pesa molto, ma il rilancio deve obbligatoriamente passare anche da una diversa visione prospettica. È il momento di immaginare nuovi modi di offrire il servizio, consapevoli del fatto che non è il momento della casualità, ma quello delle scelte mirate e ponderate.
ha commentato Massimiliano Frangi, Chief Design Officer di CBA.
L’esperienza di CBA nella creazione di brand experience per la ristorazione è solida e sostenuta da case histories uniche e distintive come quella di Langosteria. Ci sentiamo pronti per progettare soluzioni di customer journey innovative e dare un contributo concreto al rilancio del settore.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/04/Company-2.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-04-14 16:26:232021-07-26 11:39:53FOOD Z: la ristorazione secondo la Generazione Z
Come cambia il processo decisionale del consumatore con l’accelerazione digitale provocata dal Covid? Soprattutto come possono i professionisti del marketing farsi notare nella complessa fase di scelta?
“Per comprendere cosa rappresenta questo cambiamento per i consumatori e per i marketer, abbiamo realizzato il “Decoding Decisions”, una ricerca che utilizza le scienze comportamentali per indagare il modo in cui i consumatori prendono decisioni online e, più nello specifico, proprio all’interno del messy middle, ovvero quello spazio tra il momento in cui si inizia la ricerca (trigger) e l’acquisto: un “centro disordinato”, che ben rappresenta il “nuovo” percorso di acquisto del consumatore”, sottolinea Paola Scarpa, Director Client Solutions, Data and Insights di Google.
I tre macro trend
Come evidenziato da Matt Brittin, President EMEA di Google, si possono individuare oggi tre tendenze chiave per il mercato: in primis un cambiamento nei comportamenti dei consumatori, incentivato dalla pandemia; la centralità della privacy e quindi la necessità di costruire e ripristinare la fiducia delle persone; la necessità di essere veloci e utili nell’aiutare a leggere la complessità del presente.
Tre trend a cui Google risponde con una serie di strumenti per i marketer, dall’introduzione della Insights Page e il Decoding Decisions alla Privacy SandBox.
“Insieme stiamo cercando la strada per guardare al futuro. La veloce accelerazione tecnologica ha provocato un balzo di cinque anni in pochi mesi. Oltre metà del pianeta è ormai presente online. Questo ha mostrato ancora una volta come l’accesso gratuito e aperto a Internet sia fondamentale, non solo per le persone e le imprese, ma anche per le nostre economie e le nostre società – continua Paola Scarpa – Google vuole continuare a essere al fianco dei professionisti del marketing per aiutarli a osservare da vicino le nuove tendenze, per cogliere le esigenze dei propri clienti e fornire gli strumenti per andare loro incontro. Se tutto è cambiato, che cosa è destinato a restare? Gli insight ci aiutano a leggere la nuova realtà”.
Le stime Google nella ricerca online
Infatti, secondo le stime di Google, l’accelerazione dei cambiamenti già in essere nei comportamenti online, ha provocato un +50% di crescita dell’interesse nel motore di ricerca Google (fonte Google Trends) per “negozio online” in Italia (anno su anno), e un +210 % nella ricerca per “consegna a domicilio” in Italia. Le persone hanno più che mai bisogno di supporto per navigare la complessità di scelta e desiderano un mondo digitale aperto e conveniente e ciò richiede annunci pertinenti che rispettino la loro privacy. Proprio l’interesse di ricerca per “privacy online” è cresciuto a livello globale di oltre il 50% in un anno. La quantità di scelta e di informazioni che i consumatori hanno a loro disposizione online ha reso il processo decisionale che porta all’acquisto infinitamente più complesso.
Le Key Action sono, quindi, essere veloci anche attraverso strumenti automatici, e costruire fiducia sempre.
Dal trigger all’acquisto: la fase di esplorazione e di valutazione del Decoding Decisions
Privacy e costruzione della fiducia
Un mondo in evoluzione, con nuove sfide da sostenere, ma anche nuove opportunità. Se da un lato si assiste ad un’accelerazione nei comportamenti anche in relazione all’uso del digitale e dei motori di ricerca, atro cardine saranno sicurezza, privacy e fiducia.
“La fiducia è un aspetto fondamentale, da costruire giorno per giorno. Le aspettative delle persone in relazione alla privacy online crescono sempre di più. Uno studio di Axios ha mostrato come l’80% dei consumatori nell’ultimo anno si sia rivelato più preoccupato su come le aziende utilizzano i loro dati, su cui richiedono maggior controllo anche rispetto a come vengono utilizzati online”
In questo senso, l’impegno di Google continua con l’iniziativa Privacy Sandbox che coinvolge l’intero ecosistema della pubblicità online, con l’obiettivo di supportare il rispetto della privacy delle singole persone e ripristinare la fiducia nei confronti degli annunci.
Per il terzo macrotrend fondamentale per i marketer digitali, ovvero come agire con rapidità ed efficacia per aiutare le persone a navigare la complessità che caratterizza la nostra realtà oggi e i processi di acquisto, in sostegno arriva il Decoding Decisions elaborato da Google.
Il Decoding Decisions e il Messy Middle
“Oggi il consumatore prende le proprie decisioni in un contesto online dove si moltiplicano le informazioni a disposizione e le possibilità di scelta. Si complica il processo di ricerca: non è un caso che il 54% dei consumatori italiani dichiari di avere difficoltà nel trovare il prodotto che desidera. Questo spazio tra il momento in cui si inizia la ricerca (trigger) e l’acquisto è il messy middle, un “centro disordinato”, che ben rappresenta il “nuovo” percorso di acquisto del consumatore”, evidenzia Paola Scarpa.
Come imporsi, quindi, sul mercato e soprattutto come comprendere il “messy middle”, ovvero le fasi centrali del percorso d’acquisto influiscono sulle decisioni finali degli acquirenti? Con l’aiuto di esperti nel campo delle scienze comportamentali, The Behavioural Architects, Google ha iniziato un percorso teso a decifrare il modo in cui i consumatori decidono cosa acquistare.
Scarpa, Director Client Solutions, Data and Insights di Google
I Bias o distorsioni cognitive: come influenzano il processo di acquisto?
Il presupposto della ricerca si fonda sulle persone, che cercano informazioni su brand e prodotti, valutano tutte le opzioni che hanno a disposizione, affidandosi anche a dei bias cognitivi (distorsioni o pregiudizi cognitivi, radicati a fondo nella mente per affrontare e gestire i concetti complessi e su larga scala) che influenzano il comportamento e le decisioni di acquisto di un prodotto rispetto ad un altro, in un processo che alterna fasi di esplorazione e valutazione.
Sebbene i bias cognitivi siano centinaia, la ricerca Google si sofferma su sette di questi: euristica di categoria (brevi descrizioni di informazioni chiave del prodotto possono semplificare le decisioni di acquisto), potere dell’immediatezza, prova sociale (consigli e recensioni da altre persone possono rivelarsi molto efficaci), bias di scarsità (un prodotto diventa più desiderabile se la sua disponibilità diminuisce), bias di autorità (l’opinione di un esperto o di una fonte attendibile è particolarmente influente), potere della gratuità (un regalo incluso con un acquisto, anche se non correlato al prodotto acquistato, può essere un ottimo incentivo), componente emozionale. A differenza di altri Paesi, quest’ultimo bias è emerso come particolarmente rilevante in Italia su alcune categorie di prodotto che presentano una marcata componente di design.
Questi bias hanno costituito la base dell’esperimento sugli acquisti su larga scala con acquirenti in-market reali, con la simulazione in Italia di 100.000 scenari di acquisto in dieci categorie di prodotti.
Ecco quali sono le evidenze scientifiche che emergono dalla ricerca:
Essere presenti può spostare le preferenze di brand nel messy middle
“Nell’esperimento abbiamo chiesto alle persone di indicarci il loro primo e il loro secondo brand preferito all’interno di una determinata categoria di prodotto. Abbiamo poi creato la pagina online di un retailer e mostrato, per i due brand, una proposizione identica per ciascuno dei sette bias cognitivi. L’unica differenza era costituita esclusivamente dai due marchi mostrati nella pagina. In media, in tutte le categorie della nostra ricerca, quasi un terzo dei clienti ha scelto il loro secondo marchio preferito, semplicemente perché questo era presente nella stessa pagina della loro prima scelta. Anche se il prodotto e la proposta erano esattamente gli stessi. Ciò indica che, pur in diverse categorie di prodotti, è fondamentale per un brand mostrare la propria presenza quando il consumatore si trova nelle fasi di esplorazione e valutazione, in cui è aperto a considerare tutti i brand e le opzioni a disposizione”, spiega Paola Scarpa.
Ciò che le persone scoprono nel messy middle spesso guida il processo di decisione finale
“Alcuni bias cognitivi possono pesare più di altri nelle diverse fasi del messy middle e nella decisione d’acquisto degli italiani: per esempio, l’euristica emozionale è più efficace nella fase di esplorazione, mentre quella sociale lo è nella fase di valutazione. Le scoperte fatte nel messy middle possono spesso determinare il risultato e non sono sempre le scoperte razionali ad avere il maggiore impatto. Per questo è importante per i brand essere a conoscenza di questi bias in modo da valorizzare al meglio la loro proposizione e aiutare il consumatore a valutare e scegliere il prodotto più adatto alle proprie esigenze”.
Anche un brand non conosciuto può emergere nel messy middle
“Nella nostra ricerca abbiamo portato l’esperimento all’estremo, introducendo un brand completamente inventato, di cui nessuno dei partecipanti alla simulazione aveva mai sentito parlare prima, andando a posizionarlo offrendo il meglio dei sette bias cognitivi analizzati. In tutte le categorie, il brand inventato è stato così in grado di ottenere una quota significativa di preferenza rispetto al marchio di prima scelta. Più tempo le persone trascorrono nel messy middle, più cresce la possibilità che possano scegliere un brand diverso, addirittura sconosciuto fino a quel momento”.
Il messy middle racconta, quindi, un percorso di acquisto più complesso, dove i consumatori si trovano a scoprire ed esplorare, fuori da una logica di linearità predefinita. Gli acquirenti elaborano tutte le informazioni e le opzioni che incontrano durante il percorso: si tratta di un processo di elaborazione che influenza le decisioni finali di acquisto, ma è anche un’opportunità in cui i brand non conosciuti possono trovare nuovo spazio e pubblico.
Da oggi il roll out globale di due novità in Google Ads: Insights Page e applicazione automatica di consigli e raccomandazioni per i marketer
“Proprio per supportare gli esperti di marketing nel cogliere queste opportunità, oggi Google inizierà il roll out a livello globale di due novità inGoogle Ads. Da un lato, l’introduzione della Insights Page, grazie alla quale gli operatori di marketing potranno visualizzare informazioni utili per adattare il proprio business e cogliere le opportunità date dai rapidi cambiamenti nei comportamenti dei consumatori. Dall’altro, sarà possibile per gli esperti di marketing scegliere di applicare in maniera automatica determinati consigli e raccomandazioni, per migliorare la performance di una determinata campagna in modo rapido e efficace – annuncia Paola – La realtà che viviamo è in continuo cambiamento, al centro però rimangono sempre le persone: in un contesto in accelerazione, comprendere i comportamenti in evoluzione dei consumatori mantenendo la loro privacy sempre al centro sono aspetti chiave per guardare, e cercare, il futuro”.
L’approccio al messy middle
In che modo, quindi, i professionisti del marketing possono farsi notare nel “messy middle”?
vo non è quello di forzare le persone a uscire dal ciclo mostrato nel modello, ma di fornire informazioni e riassicurazioni necessarie per aiutarle a prendere una decisione. Che si tratti di un gigante della categoria o di un brand competitor, l’approccio è lo stesso, il report:
Garantire la presenza del brand in modo strategico affinché il prodotto o servizio sia notato e ricordato dai clienti mentre esplorano le opzioni.
Applicare i principi delle scienze comportamentali in modo intelligente e responsabile per rendere la proposta convincente quando i consumatori valutano le opzioni.
Avvicinare il momento del trigger a quello dell’acquisto in modo da ridurre il tempo di esposizione dei clienti esistenti e potenziali a brand concorrenti.
Creare team flessibili e competenti per andare oltre il branding tradizionale ed evitare barriere tra reparti che rischiano di lasciare spazi vuoti nel percorso decisionale dei consumatori.
Bruno Bertelli è il Chief Creative Officer più premiato al mondo nel 2020. Lo svela la classifica del World Creative Rankings, stilata da The Drum, che quest’anno ha analizzato in totale 1.768 lavori creativi di 1.295 aziende realizzate da 964 agenzie e firmate da 387 Chief Creative Officer.
The drum world creative rankings 2021
Per la prima volta nella storia un italiano si posiziona in vetta alla prestigiosa classifica globale che celebra i migliori talenti creativi del mondo dell’advertising e della comunicazione. Un risultato che fa riflettere su come oggi in Italia sia possibile raggiungere altissimi livelli di eccellenza in settori dove solitamente sono altri Paesi ad avere la leadership.
Dal 2016 Bertelli è Global Chief Creative Officer di Publicis Worldwide, una delle agenzie creative più importanti al mondo e parte di Publicis Groupe, terzo gruppo di comunicazione globale. Grazie al suo lavoro con brand come Heineken, Diesel, Barilla e Mercedes, di cui è advisor global, ha saputo ispirare generazioni di talenti tanto da attrarre in Italia creativi di tutto il mondo.
Nella sua carriera Bertelli ha vinto 82 Leoni al Cannes Lion e alla fine del 2017 Adage, tra le più celebri testate di creatività, ha inserito Bertelli nella classifica Creativity 50, insieme a Rihanna, Yayoi Kusama, Melissa McCarty, Stephen Colbert e Edward Enninful. In passato hanno ricevuto tale riconoscimento personaggi italiani del calibro di Franca Sozzani, Maurizio Cattelan e Oliviero Toscani.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/04/Company-1.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-04-14 12:41:462021-07-26 11:40:59Bruno Bertelli è il Direttore creativo più premiato al mondo!
Se ti stai chiedendo perché un hacker dovrebbe interessarsi proprio alla tua vita, sei l’anello debole della catena.
Questo non deve, tuttavia, offenderti: siamo tutti anelli deboli della catena, quando si tratta di sicurezza informatica.
Il clima sul tema in questi giorni è rovente, dopo l’ennesimo scandalo che riguarda questa volta Facebook, con i dati di oltre 500 milioni di account che sono stati esposti (con nomi, luoghi, date di nascita, indirizzi email e, in alcuni casi anche di quelli telefonici).
Uno scandalo che ha coinvolto, solo in Italia, più di 35 milioni di account.
Invece di prendercela con le big del tech e lanciare invettive sulla rete o, peggio, sui social media, sarebbe opportuno fare un esame di coscienza.
Le nostre vulnerabilità: tecniche e psicologiche
Secondo il rapporto Clusit, nel 2020 gli attacchi informatici sono cresciuti del 12% a livello mondiale.
Sul podio dominano i malware (42%, tra cui spiccano i ransomware nel 29% dei casi); seguono i data breach nel 20% dei casi; e infine phishing e social engineering che pesano per il 15% sul totale.
Gli hacker approfittano delle nostre vulnerabilità: da quelle tecniche, dovute alla velocità con la quale le aziende hanno dovuto adattarsi a fenomeni come lo smart working, fino agli effetti ancora più preoccupanti sulla psiche umana: quanti di noi hanno ricevuto email sul Coronavirus, da parte della presunta Organizzazione Mondiale della Sanità e sono stati tentati dal cliccare per avere maggiori info?
Il 10% degli attacchi portati a termine a partire da fine gennaio 2020 è stato a tema Covid-19.
D’altronde gli hacker sono scaltri e cavalcano i trend, le ansie e le paure del momento: secondo i dati di Google Navigazione sicura, i siti di phishing creati nel periodo marzo aprile 2020 sono stati circa 188mila mila nei momenti peggiori della Pandemia (parliamo solo di quelli rilevati).
Gli hacker hanno creato versione parallele di Zoom e approfittato dell’aumento vertiginoso dello streaming dei film, per rubarci dati e i soldi depositati in banca.
Sono le aziende ad aver subito più danni, ma la buona notizia è che stanno imparando velocemente dai loro errori: «Sì sono aperte alle attività da remoto, realtà come banche centrali, grossi enti assicurativi, aziende in ambito energy e hanno capito l’importanza di potenziare le loro reti, per garantire la loro sicurezza e quella dei clienti. Si sono rivolte a consulenti per aumentare i meccanismi di controllo, sia delle loro infrastrutture, che lato client per garantire un accesso sicuro ai loro dipendenti in smart working, l’anello più debole della catena», spiega Gianvittorio Abate, Ceo di Innovery, azienda specializzata in cybersecurity, con sedi in Italia, Spagna e Messico e un fatturato di 46 milioni di euro nel 2020.
Scarsa attenzione alla privacy, tra gli errori comportamentali
Pensa a Ulisse e al Cavallo di Troia. Di cavalli di Troia ce ne sono tantissimi sulla rete, ma non potrebbero invaderci se non fossimo noi ad aprire le porte.
Se sono i nostri errori a dare il là ai criminali informatici, l’obiettivo delle aziende è di lavorare proprio sul comportamento degli utenti che usano male le credenziali di accesso e hanno una scarsa o nessuna attenzione al valore della privacy. E quello che è peggio, navigano nel modo sbagliato, senza pensare ai pericoli che li attendono.
«L’errore umano principale resta l’utilizzo sbagliato della posta elettronica e molte aziende sono ancora indietro proprio sul tema della consapevolezza. Eppure, se paragoni la sicurezza informatica a quella personale, sono poche le buone pratiche da eseguire. Quando parli con tuo figlio, gli dici che quando esce deve portare con sé le chiavi e che se le smarrisce deve dirtelo in modo che tu cambi la serratura», continua Abate.
Le aziende, tuttavia, stanno affrontando il problema, lavorando principalmente su due canali: l’incremento dei sistemi di protezione lato client (antivirus, meccanismi di vpn per creare canali protetti ecc.) e sul fronte dell’autenticazione, con procedure come il classico codice via sms, con le quali è possibile garantire meglio l’identità delle persone, aumentando i criteri di identificazione.
Ma la miglior difesa è l’attacco
Il futuro della cybersecurity, tuttavia, non si gioca solo sul fronte decisivo della formazione dei dipendenti, in azienda, come in smart working. Ma anche nell’attacco, che resta la miglior difesa.
“Andare all’attacco”, nei termini della sicurezza informatica, non significa scatenare una guerra con gli hacker, ma lavorare sottotraccia per prevedere eventuali attacchi e quindi rendere inefficace ogni tentativo di “effrazione”.
In altre parole, parliamo di un modo più proattivo di difendersi, che prende il nome di threat hunting.
Rispetto ad altre misure più tradizionali, come firewall, sistema di rilevamento delle intrusioni e affini, il threat hunting si spinge oltre e ha come missione quello di rilevare pericoli prima che questi possano causare un danno reale all’organizzazione, che si tratti di nemici esterni o interni, nel caso di un insider.
Il threat hunting, a differenza degli altri test che oggi vengono effettuati, che rilevano se qualcosa è entrato in una rete o ha provato a farlo, non presuppone l’esistenza di prove. Il threat hunter si occupa di “fiutare il pericolo”, avviando un’analisi comportamentale dell’intero ambiente e andando alla scoperta di segnali, anche se non c’è stata nessuna traccia di compromissione.
«Abbiamo un gruppo in azienda che abbiamo chiamato “offensive security” che si occupa di evidenziare le lacune delle infrastrutture dell’azienda e di indagare eventuali minacce del deep e nel dark web, per comprendere se qualcuno ha usato qualche vulnerabilità dell’azienda. Tuttavia, si tratta di procedure che sono molto costose oggi e sono ad appannaggio unicamente di grandi organizzazioni da miliardi di fatturato, ma il cui costo in futuro potrebbe diventare più accessibile per le medie e piccole organizzazioni», conclude Abate.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/04/cybersecurity-copertina.jpg9221646Giancarlo Donadiohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiancarlo Donadio2021-04-13 16:13:212021-04-14 16:39:26Cybersecurity: basta giocare in difesa, è il momento di correre in attacco
In molti hanno scritto sulle opportunità di Clubhouse e sulle novità di questa piattaforma, ma in pochi sembrano essersi soffermati su un concetto altrettanto importante: perché l’uso e la diffusione dei messaggi audio non abbia seguito lo stesso percorso e lo stesso successo del testo delle immagini e dei video; infine perché il formato audio, abbia impiegato così tanto tempo rispetto agli altri, per diffondersi in rete.
Cercheremo di approfondire questi interrogativi analizzando l’escalation dei messaggi audio, dell’improvviso successo di questa forma di comunicazione (sin ora relegata solo alle app di messaggistica istantanea, come ad esempio WhatsApp) e della piattaforma che in queste settimane ne ha fatto il proprio tratto distintivo: cioè Clubhouse.
La democratizzazione dei contenuti
Con all’avvento di Internet e poi dei social media, chiunque ha potuto scrivere e pubblicare i propri pensieri, offrendo la possibilità di leggerli da qualunque parte del mondo in qualsiasi momento della giornata. Questo è stato l’impatto più evidente che la rete ha avuto sui media tradizionali, appunto la democratizzazione. La democratizzazione è cominciata così e i blog ne hanno aperto la strada.
Per poter pubblicare un qualunque testo non occorreva più una macchina da stampa e tutti gli strumenti di una classica redazione, ma bastava (e basta ancora oggi) una tra le tantissime piattaforme per fare blogging.
Tutto ciò ha incoraggiato non solo la diffusione di testi, ma anche di altri contenuti come foto e immagini e, successivamente, dei video. Ma c’è di più. Presto le cose cambiarono nuovamente.
Negli anni, sono nate aziende che hanno reso tutti questi processi è ancora più semplici: YouTube per pubblicare i video, iTunes per i podcast, Flickr per la condivisione delle foto ed infine blogger per la realizzazione del blog.
Oggi, grazie a queste aziende, non è più essenziale possedere un sito web per la diffusione dei propri contenuti, una mail, una password e la scelta dei canali più appropriati, potrebbero bastare per fare di te “un editore”.
L’aggregazione come conseguenza della democratizzazione
La democratizzazione dei contenuti e la possibilità offerta a chiunque di realizzare e diffondere testi, immagini e video ha portato ad una vera esplosione di contenuti. Da qui, il focus si è spostato sulle aziende in grado di aiutare gli utenti a trovare ciò a cui erano maggiormente interessati.
Per quanto riguarda l’indicizzazione delle pubblicazioni preesistenti nei blog e più in generale nei siti web il merito va a Google, che ha letteralmente trasformato il rapporto tra utente ed editore, rivoluzionando l’idea di visibilità ed introducendo altri importanti concetti oggi alla base dell’editoria digitale odierna.
Se Google è ed è stato il protagonista nell’indicizzazione dei contenuti testuali, Instagram lo è certamente per le foto: uno strumento che ha semplificato la condivisione di immagini, anche su altre piattaforme come Facebook e Twitter, trasformandosi nel tempo in un vero e proprio punto di riferimento.
Lo stesso è accaduto su YouTube, dove sin da subito i creatori sapevano che era lì che si trovavano i loro potenziali spettatori e il rapporto tra piattaforma e creatori era molto più radicale rispetto alle altre aziende o media.
Così, negli anni si è andato a definire il concetto di aggregazione: piattaforme che, per tipologie di contenuti, hanno aggregato editori, fotografi e videomaker.
La trasformazione: uno step inevitabile per la rete tutta
Dopo lo sviluppo della democratizzazione dei contenuti e l’aggregazione dei creatori, una successiva trasformazione è stato un passaggio consequenziale ed evidentemente inevitabile.
Se l’articolo di un blog può rappresentare l’evoluzione di un articolo di un giornale, se una foto di Instagram quella di una foto professionale e il video di YouTube un discendente di un episodio di una qualunque serie televisiva, la trasformazione ha però introdotto in rete qualcosa di inedito, qualcosa che nell’era ‘pre-internet’ era impossibile da realizzare.
Di cosa stiamo parlando? Di un modo di fare del tutto nuovo. Un esempio su tutti è Twitter, che ha introdotto nella vita di milioni di utenti un nuovo modo di pensare. Centinaia di migliaia di pensieri di utenti, visionabili in tempo reale in un flusso interrotto.
Qualcosa di nuovo, qualcosa di inedito, che solo la trasformazione di un media tradizionale in un media digitale ha reso possibile.
Un’innovazione, questa stabilita da Twitter, che ha danneggiato (o che ha ridimensionto almeno in parte) l’intera sfera del blogging. Una piattaforma più accessibile, più semplice da utilizzare e con uno streaming facilmente fruibile che realizza, conseguentemente, un circolo virtuoso: consumatori che spingono per la nascita di nuovi creatori, che a sua volta incentivano nuovi consumatori.
Questo genere di trasformazione ha pian piano coinvolto tutti i canali social oggi di maggiore successo decretando inevitabilmente dei passaggi significativi: dal blog a Twitter, dalla pubblicazione di foto in siti web a Instagram, da YouTube a TikTok sino ad iTunes (con il mondo dei podcast) e a Clubhouse.
Con le ripercussioni della trasformazione, l’apertura di Clubhouse è stata inevitabile. Incoraggiata da una sostanziale differenza con i podcast, nel favorire un flusso continuo di contenuti audio, la trasformazione che ha generato quel passaggio ha promosso anche la nascita di questa nuova piattaforma, cioè di Clubhouse. Ma c’è di più.
Nelle stanze del nuovo social non solo è possibile diffondere dei contenuti, ma è anche possibile, alzando la mano, essere riconosciuti dall’editore, diventando contributori e creatori in pochi secondi. Un’evoluzione di quel circolo virtuoso descritto poche righe fa, che Clubhouse ha reso possibile grazie ad una caratteristica, sin ora solo parzialmente usata dai social fin ora esistenti e che ora invece diventa fondamentale: la modalità live audio.
La possibilità di trasmettere in diretta è un grande vantaggio per comunicare, ad esempio, eventi in tempo reale, per creare conversazioni su fenomeni e trend del momento, sullo sviluppo di progetti e altro. Le potenzialità sono davvero innumerevoli, senza però dimenticare che la qualità dei contenuti è ovviamente legata all’utenza e all’uso che ne verrà fatto.
Per questi motivi, il futuro di Clubhouse è legato allo sviluppo del suo algoritmo, tale che possa permettere agli ascoltatori di scoprire nuove ed interessanti conversazioni in base ai propri interessi.
Questa è un’altra caratteristica che manca nei podcast, dove è possibile scegliere ciò che si vuole ascoltare in una lista quasi infinita di contenuti, ma senza alcuna automatizzazione e lasciando che sia l’utente a decidere cosa vuole ascoltare. Potrebbe essere un vantaggio, ma in realtà non lo è. L’ampia scelta è spesso l’origine di un effetto paralizzante che nella maggior parte dei casi, non conduce ad alcuna scelta. Gli utenti vogliono scorrere il feed così su Instagram come su Twitter, così su TikTok e così sarà anche su Clubhouse.
Clubhouse e l’influenza del Covid19
A favorire anche la nascita e la diffusione di questa nuova piattaforma è stata anche la pandemia internazionale.
In un periodo nel quale socializzare era quasi impossibile (e lo è ancora, in molti paesi del mondo) Clubhouse ha offerto un luogo in cui potersi incontrare anche se solo virtualmente, e parlare di argomenti di interesse comuni. Dunque certamente il Covid 19 ha favorito la nascita di Clubhouse, oltrepassando i limiti imposti dalla crisi sanitaria sulla socializzazione, anche attraverso il meccanismo degli inviti.
Per poter entrare nella piattaforma è infatti necessario avere un invito o iscriversi in una lista d’attesa e sperare che qualche amico ti offra la possibilità di entrare. Tutto ciò incentiva l’importazione dei contatti all’interno della piattaforma per coinvolgere più rapidamente tutti gli amici; un meccanismo questo, che rivela la sfacciataggine nell’acquisizione dei contatti dell’applicazione, di cui siamo certi in seguito se ne parlerà molto.
Adv in Clubhouse
La possibilità di realizzare campagne all’interno della piattaforma è uno degli interrogativi che gli advertising di tutto il mondo si stanno ponendo in queste settimane.
Facebook continua a far evolvere i propri strumenti per la realizzazione di campagne sempre più curate ed efficaci. Una specializzazione ancora non raggiunta da nessuna piattaforma, una peculiarità che lo rende ancora attuale e competitivo, anche verso applicazioni emergenti come lo stesso Clubhouse.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/04/larrivo-di-clubhouse.jpg9201642Luca Cannarozzohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Cannarozzo2021-04-13 10:46:512021-04-14 16:39:24Viaggio nei social media: perché l'arrivo di Clubhouse è stato inevitabile
L’arrivo di Page Experience ufficializza finalmente l’unione tra SEO e UX, elevando la qualità dell’interfaccia utente a fattore primario di ranking.
L’amore era nell’aria già da tempo e Google ce lo aveva fatto capire chiaramente: tutti gli aggiornamenti algoritmici degli ultimi anni hanno dato sempre maggiore rilevanza alla UX, premiando in termini di posizionamento, i siti web percepiti come “sicuri e facili da navigare”.
Come specificato dagli stessi sviluppatori di Google, l’esperienza utente è sicuramente importante ma il motore di ricerca è in grado di determinare il ranking partendo da metadati e informazioni rilevanti.
In altre parole, la UX non sarà mai più importante del contenuto, ma sicuramente, tra due pagine che “competono” su una stessa chiave di ricerca, Google darà più visibilità a quella con una qualità più alta del design e tempi di caricamento più rapidi.
Page Experience: cosa cambia
Circa un anno fa, Google ha presentato le metriche Core Web Vitals come direttive fondamentali da seguire per ottenere risultati soddisfacenti a livello di posizionamento.
Questi vitalidel web non sono altro che dei criteri, delle regole che il motore di ricerca applica per decidere quanto è alto il punteggio UX della pagina, considerando diversi elementi:
Largest Contentful Paint – LCP, che misura le prestazioni di caricamento delle pagine del sito;
First Input Delay – FID, si concentra sull’interattività e i tempi di risposta agli input;
Cumulative Layout Shift – CLS, determina invece la qualità della pagina in termini di stabilità visuale
In concomitanza con l’aggiornamento dell’algoritmo, Google metterà a disposizione anche un’estensione che fornirà degli indicatori visivi del punteggio UX della pagina.
In altre parole, sarà possibile sapere quanto il tuo sito è veloce e sicuro ancora prima di navigarlo.
Come i Core Web Vitals stabiliscono il punteggio SEO
Il compito dei Core Web Vitals è quello di attribuire un valore numerico che costituisce una valutazione dell’esperienza utente, basandosi sui tre elementi fondamentali.
Uno dei principali obiettivi dell’iniziativa Vitals Web, è quello di semplificare l’analisi e porre il focus sulle metriche più importanti.
Nonostante la qualità dell’esperienza utente abbia moltissime variabili, in relazione al contesto e altri aspetti peculiari del sito, con il sistema Core Web Vitals sono state identificate tre macro-categorie a cui ricondurle.
Caricamento elemento principale della pagina
Largest Contentful Paint o LCP è una metrica che si basa sulle prestazioni di caricamento del contenuto principale di una pagina web, al momento in cui l’utente clicca per aprirla.
Per garantire un’esperienza di navigazione ottimale, i tempi di caricamento non dovrebbero mai misurare i 3 secondi, secondo Adam Heitzman.
Quest’aspetto non è assolutamente trascurabile, perché se da un lato gli utenti non amano le lunghe attese e tendono ad abbandonare pagine troppo lente; dall’altro Google attribuirà ancora più rilevanza alla velocità delle pagine, penalizzando quelle con i tempi di loading più lunghi e, di conseguenza, una frequenza di rimbalzo più alta.
Quali sono le best practice per migliorare la page speed? Ottimizzare font, file PDF, immagini video, JavaScript e CSS seguendo le direttive di Google per migliorare l’efficienza dei contenuti.
Cumulative Layout Shift o CLS è il segnale che indica se la stabilità visiva della pagina è buona. In altre parole, valuta l’impatto che l’eventuale presenza di elementi grafici potrebbe avere sull’esperienza utente.
La stabilità visiva, intesa come capacità della pagina di mostrarsi in modo chiaro e funzionale, è misurata in valori decimali, ritenuti ottimali se compresi tra 0 e 0,1.
In alcuni casi, la posizione di un contenuto può variare durante il caricamento della pagina, o può manifestarsi un malfunzionamento di contenuti e animazioni che compaiono durante lo scrolling di una pagina, disturbando la navigazione rendendola macchinosa e poco user friendly.
Prima interattività
First Input Delay o FID è un indicatore che misura l’interattività del sito. In particolare misura la prestazione in termini di tempi di risposta al primo input.
Si tratta di un valore in millisecondi che si ottiene calcolando il tempo che intercorre tra la prima azione compiuta dall’utente sulla pagina e il tempo di risposta. Per una buona user experience, il ritardo della prima reazione di una pagina web non dovrebbe mai superare i 100 millisecondi.
Il FID si concentra solo sulla prima interazione, considerando, quindi, solo azioni come clic su link o pulsanti, mentre altre interazioni come scrolling o zoom, non rientrano nella stima espressa da questa metrica.
In altre parole, sarà la prima impressione dell’utente sulla reattività del sito, quindi fondamentale per determinare l’impressione della qualità in generale e dell’affidabilità della pagina. Un elemento chiave, ad esempio, per le landing pages.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/04/SEO.jpg9251647Federica D'Arpahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederica D'Arpa2021-04-12 16:30:252021-06-22 12:30:27Core Web Vitals: la rivoluzione della SEOUX, unione tra SEO e UX
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