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Google Update Timeline: come l’algoritmo di Google ha imparato a interpretare il linguaggio umano

Fin dagli albori, per Google la priorità assoluta è sempre stata l’esperienza utente.

In particolar modo, negli ultimi 10 anni, tutte le nuove funzionalità, le modifiche apportate alla SERP e gli aggiornamenti degli algoritmi, sono stati studiati nell’ottica di avvicinarsi il più possibile al linguaggio umano, rendere più fluida la navigazione e restituire agli utenti risposte pertinenti alle loro query di ricerca.

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Quando si parla di SEO semantica s’intende proprio questo: scrivere per intercettare il search intent e creare contenuti che s’inseriscano all’interno di un sistema di significati ben definito.

La semantica è quella branca della linguistica che studia i significati delle parole (semantica lessicale) e delle relazioni tra le parole che conferiscono significato alla frase (semantica frasale e del discorso).

Chi si occupa di SEO, sa bene che lavorare sul posizionamento di una keyword non è sufficiente per rendere un contenuto autorevole: è necessario costruire un contesto semantico all’interno del quale collocare il contenuto per evitare le ambiguità di significato.

Per una comprensione più profonda di queste logiche, abbiamo ricostruito una timeline dei più importanti (non tutti) aggiornamenti apportati da Google al suo algoritmo nell’ultimo decennio, che si focalizzano proprio sull’interpretazione dei significati da parte del motore di ricerca e sull’esperienza di navigazione.

Google Panda (2011)

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A febbraio del 2011 viene rilasciato Google Panda, un aggiornamento all’algoritmo di ranking che mira ad attribuire più importanza ai siti web in alta qualità.

Il posizionamento di tutti quei siti web che non restituiscono all’utente una user experience ottimale, di conseguenza, viene penalizzato: l’algoritmo, basato su un sistema di apprendimento automatico, identifica una corrispondenza con degli standard qualitativi di progettazione, velocità e affidabilità dei contenuti, definiti dagli sviluppatori di Google.

Con l’introduzione di molti nuovi fattori di ranking, il contenuto assume un ruolo di primo piano: riempire il sito con contenuti di qualità, ma soprattutto unici, diventa un requisito imprescindibile. Copiare i contenuti può, infatti, rivelarsi una pessima mossa in termini di posizionamento.

Non a caso, in seguito al rilascio di Panda, molte controversie sono emerse sui forum di Google Webmaster, in cui in molti contestavano il fatto che numerose pagine web copiate erano posizionate meglio rispetto al contenuto originale.

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Nel corso dei mesi successivi Google ha apportato numerosi aggiornamenti all’algoritmo, tra cui Penguin, rilasciato l’anno seguente (aprile 2012), con il quale anche la strategia di link building diventa un elemento molto importante per permettere al motore di ricerca di interpretare il contenuto anche attraverso i collegamenti, interni ed esterni.

Google Hummingbird (2013)

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Nel 2013 prende il volo il Colibrì di Google, in un momento in cui, dopo panda e pinguini l’esigenza era di “avere un algoritmo preciso e veloce”, come dichiarato da Amit Singhal, ingegnere informatico ai tempi vice presidente di Google Inc.:

A differenza dei suoi illustri predecessori, Hummingbird non è un aggiornamento: qui siamo di fronte a un algoritmo completamente nuovo, che risponde alle esigenze del nuovo utente sulla rete.

Il rilascio del nuovo algoritmo avviene poco dopo l’implementazione dalla funzione Knowledge Graph, di fatto un primo passo verso la ricerca semantica: con questa funzione il motore di ricerca diventa in grado, non solo di associare un oggetto di ricerca a una query, ma anche di mettere in relazione tra loro più oggetti restituiti ad una stessa query, per attribuirgli un certo grado di rilevanza.

L’introduzione di Hummingbird rappresenta un grosso salto in avanti verso il linguaggio naturale: il focus del nuovo algoritmo è comprendere, non solo il contesto, ma anche l’intento di ricerca dell’utente.

Questo cambiamento si traduce all’atto pratico nel rendere sempre più precise e pertinenti le chiavi di ricerca, con una maggiore attenzione rivolta alle long tail keyword.

Posizionare correttamente un sito vuol dire espandere la ricerca delle parole chiave per includere più fattori contestuali.

E-A-T (2014)

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Pur avendo attirato molta attenzione dal 2018 in poi, il concetto di E-A-T appare per la prima volta nel Quality Rater’s Handbook di Google nel 2014.

Expertise, Authority, and Trust in content, ovvero competenza, autorità e fiducia sono i criteri guida da seguire nelle strategie di contenuto in e off-page per fornire agli utenti i contenuti più pertinenti provenienti da fonti di cui possono fidarsi.

La mancanza di E-A-T dovrebbe essere una ragione sufficiente per un valutatore per assegnare una valutazione bassa a una pagina o un sito.

Gli algoritmi di Google si basano in particolar modo sulle “menzioni” in forma di link da parte degli abitanti del web, per riconoscere una fonte come rilevante: in base al numero di condivisioni e link su altre pagine, il posizionamento può aumentare o diminuire.

Ma non solo: il punteggio E-A-T considera diversi concetti interconnessi in relazione ai quali è determinato il livello di autorevolezza di un’organizzazione in un determinato settore. La chiave sta proprio nel saper individuare i giusti trend e topic, per circoscrivere l’area di competenza e fornire le informazioni giuste al pubblico giusto, per mostrare esperienza e creare un rapporto di fiducia con il lettore.

Mobile-friendly Update (2015)

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Il 2015 è l’anno in cui il traffico su Google da dispositivi mobile supera per la prima volta il traffico generato da desktop.

La giornata del 21 aprile viene definita dai media come il Mobilegeddon di Google, ovvero il lancio di un nuovo algoritmo annunciato per la prima volta da Google, che prima di allora non aveva mai rilasciato comunicazioni ufficiali al momento di un cambiamento significativo nei criteri di ricerca, limitandosi semplicemente a mettere gli esperti davanti al fatto compiuto.

Con il Mobile Update l’ottimizzazione della versione mobile di un sito diventa un importante fattore di ranking, a discapito quindi di tutti quei siti web che avevano solo una versione desktop, dunque difficilmente fruibile da mobile in termini di rapidità e usabilità.

Nel comunicato di Google vengono evidenziati chiaramente 3 punti:

  • l’algoritmo avrebbe influenzato il posizionamento solo sulle ricerche effettuate da dispositivi mobile;
  • gli effetti sortiti sarebbero stati gli stessi in tutte le lingue;
  • l’algoritmo avrebbe preso in considerazione la singola pagina e non l’intero sito.

Come ben sappiamo, si tratta solo del primo di molti aggiornamenti che Google ha rilasciato negli anni per dare priorità al mobile. In questa prima versione, l’algoritmo non ha alcuna influenza sul posizionamento dei siti non ottimizzati correttamente per mobile, se la ricerca viene effettuata da desktop.

RankBrain (2015)

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Sempre nel 2015, Google annuncia anche l’arrivo di RankBrain, una nuova intelligenza artificiale, utilizzata per elaborare i risultati di ricerca di Google ed ordinarli nella SERP in base a un criterio di pertinenza.

RankBrain è più di una semplice modifica all’algoritmo: si tratta di un sistema di machine learning, ovvero un sistema progettato per “insegnare a se stesso a fare qualcosa” senza che sia necessario l’intervento umano.

L’obiettivo di questo sistema è garantire che i contenuti restituiti dal motore di ricerca nella SERP riflettano in maniera quanto più veritiera possibile l’intento di ricerca dell’utente. RankBrain è progettato per l’apprendimento e l’individuazione di connessioni tra le informazioni, in modo da avvicinarsi sempre di più al linguaggio conversazionale e rispondere alle ricerche vocali.

RankBrain utilizza l’intelligenza artificiale per incorporare enormi quantità di linguaggio scritto in entità matematiche – chiamate vettori – che il computer può comprendere. Se RankBrain vede una parola o una frase con cui non ha familiarità, la macchina può fare un’ipotesi su quali parole o frasi potrebbero avere un significato simile e filtrare il risultato di conseguenza, rendendolo più efficace nella gestione di query di ricerca mai viste prima .

Google Mobile-First Indexing (2018)

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Nel 2018 Google sancisce il passaggio dal mobile-friendly al mobile-first.

Da quel momento, la versione mobile di un sito web viene considerata primaria dal motore di ricerca. In altre parole, qualunque sito non ottimizzato correttamente per la navigazione da dispositivi mobile, potrebbe vedere precipitare il posizionamento in SERP.

LEGGI ANCHE: Mobile first indexing: cosa cambia con l’aggiornamento di Google

Nel comunicato ufficiale, il team di Google ci tiene a precisare che l’indice è uno solo per desktop e mobile, e non due come molti credevano, e che il questo cambiamento andrà a influire sul modo in cui vengono raccolti i contenuti, non come vengono indicizzati.

Cosa significa?

I contenuti raccolti dall’indicizzazione mobile-first non hanno alcun vantaggio di ranking rispetto ai contenuti per dispositivi mobili non ancora raccolti in questo modo o ai contenuti desktop. Inoltre, se hai solo contenuti desktop, continuerai a essere rappresentato nel nostro indice.

Se un sito web utilizza URL differenti per desktop e mobile, Google mostra l’URL mobile agli utenti che effettuano la ricerca da iPhone o Smartphone, e l’URL desktop agli utenti che navigano da PC. Tuttavia, il contenuto che viene indicizzato è sempre quello mobile.

Broad Core Algorithm Updates (2018)

Il 2018 è stato anche l’anno del Broad Core Algorithm Updates, ovvero un ampio aggiornamento dell’algoritmo di base che viene comunicato da Google sui suoi canali ufficiali:

L’azienda stessa spiega le possibili conseguenze che i siti potrebbero riscontrare nell’immediato a livello di posizionamento in SERP e come potrebbero avvantaggiare siti che erano precedentemente sottovalutati.

Nonostante una confusione iniziale sui fattori di ranking e l’eventuale risoluzione di problemi specifici, diventa presto ben chiaro che, nelle logiche del nuovo algoritmo, il concetto di E-A-T è quello che porta il contenuto in cima alla SERP.

Nelle linee guida fornite da Google sono spiegati nel dettaglio i criteri per rendere un contenuto di qualità, che è la chiave per posizionarsi come ribadito anche da Danny Sullivan:

BERT (2019)

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In seguito all’introduzione di RankBrain, l’obiettivo di Google è stato sempre di più quello di comprendere le query conversazionali.

Come scrive Pandu Nayak sul blog di Google “la ricerca riguarda la comprensione della lingua”. Lo scopo è quello cercare di capire cosa l’utente cerca di visualizzare e fare in modo che il motore di ricerca interpreti correttamente le sue intenzioni, indipendentemente dall’ordine delle parole.

BERT è un ulteriore passo verso il linguaggio umano, che mira ad una comprensione più profonda dei significati per avvantaggiare sempre di più la ricerca vocale.

Danny Sullivan ci tiene a sottolineare che non ci sono istruzioni da seguire: Bert non cambia i pilastri fondamentali di Google, ovvero scrivere contenuti per gli utenti: usare la keyword nel tag title, nel tag alt e nell’URL e giocare con i sinonimi e le correlate, restano le regole fondamentali.

Secondo gli esperti di Google che l’unico modo per ottimizzare un testo dopo BERT è scrivere un testo pensando al beneficio che l’utente può trarne.

COVID-19 Pandemic: March 2020

Durante la pandemia, inevitabilmente, il comportamento del consumatore e i criteri di ricerca sono cambiati, per alcuni versi in maniera irreversibile.

Nella stessa settimana in cui è stato dichiarato lo stato di pandemia, Google ha risposto prontamente con ampia gamma di aggiornamenti di Google relativi a COVID-19, per far sì che le persone si sentano al sicuro, informate e connesse tra loro.

Tutte le modifiche e le implementazioni apportate al motore di ricerca, sono state pensate per agevolare gli utenti nel reperire servizi e assistenza, scoraggiare la disinformazione e favorire l’aggregazione online.

LEGGI ANCHE: Google investirà 900 milioni di dollari nella ripresa economica dell’Italia

Google My Business fornisce ora supporto costante per le attività commerciali che potrebbero essere interessate da COVID-19, per facilitare, ad esempio, l’aggiornamento continuo di informazioni come gli orari di apertura o le comunicazioni al pubblico. Come tutto il resto, nel 2020, il lavoro di Google è stato interamente rivolto alla riorganizzazione generale per l’emergenza sanitaria ancora in atto.

Google Page Experience Update and Core Web Vitals (CWV)

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Il 10 novembre 2020, Google ha confermato il suo nuovo approccio: Core Web Vitals, che diventerà un fattore di ranking a partire da maggio 2021. La novità principale è che saranno introdotti indicatori visivi per segnalare agli utenti quali siti offrono un’esperienza di navigazione migliore.

In termini di Google, “Esperienza sulla pagina” è il modo in cui un utente fruisce le prestazioni e l’esperienza di navigazione, e quanto, di conseguenza, percepisce la navigazione sicura o meno.

L’ottimizzazione mobile continuerà a essere un fattore di ranking imprescindibile, con tempi di caricamento rapidi e la distribuzione dei contenuti finger friendly, ovvero a prova di schermo mobile.

Un sito Web deve essere sicuro e privo di contenuti dannosi o ingannevoli. Ad esempio, nelle nuove linee guida di Google si tende a scoraggiare fortemente gli interstitial che ostacolano l’utente nel trovare i contenuti che sta cercando, come le finestre popup che coprono un’area del contenuto principale sui dispositivi mobile.

Core Web Vitals (CWV) è una misura dell’esperienza utente “nel mondo reale”, inclusi i tempi di caricamento, l’interattività e la stabilità visiva.

E adesso?

Con il passare degli anni, Google ha annunciato con sempre maggiore anticipo le modifiche al suo algoritmo per concedere il tempo necessario per prepararsi.

La domanda che sorge spontanea è: cosa prepararsi fin da subito ai cambiamenti in arrivo?

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Le metriche di Google sono sempre più user-centric: per scalare la SERP dovrai offrire agli utenti un’esperienza di navigazione impeccabile. Ma quali sono queste metriche?

  • Benchmark/audit tools: valuta e monitora esperienza utente sul tuo sito, individua per tempo le criticità;
  • Performance Budget: imposta correttamente gli obiettivi di budget di rendimento, compresi i target per dispositivi mobili e i tempi di caricamento, secondo i dettami previsti dal Largest Contentful Paint (LCP);
  • First Input Delay (FID): in altre parole, i tempi di risposta del sito a un input lanciato da un utente in relazione ad un contenuto che presuppone un’interazione, come un link o un pulsante;
  • Cumulative Layout Shift (CLS): ovvero, il punteggio di variazione del layout, che il browser calcola esaminando la dimensione della finestra e il movimento di elementi instabili nella finestra tra due frame renderizzati. Rivedi i caroselli, controlla i problemi di caricamento dei caratteri o di banner;
  • Prestazioni del sito Web: migliora le prestazioni del tuo sito, ovviamente dando priorità assoluta ai dispositivi mobile utilizzando un CMS headless e pagine AMP mobili.

I grandi cambiamenti dovuti alla pandemia che sono destinati a rimanere

Questo articolo è stato scritto da Zharmer HardimonEditor, Think with Google.

Nell’ultimo anno, mentre il mondo intero vacillava per gli effetti della pandemia, molte aziende sono state in una continua lotta per capire come – e anche se – dovevano andare avanti con le attività quotidiane. Alcuni settori, come i viaggi, hanno subito sconvolgimenti sbalorditivi. Altri, come la vendita al dettaglio online, hanno visto opportunità di crescita.

In qualunque settore ti trovassi, dovevi considerare il giusto approccio di marketing. Abbiamo passato buona parte dell’anno a ripensare a come abbiamo fatto tutto. E, a tal fine, abbiamo pensato che valesse la pena dare un’occhiata all’anno trascorso per analizzare alcuni dei più grandi cambiamenti e i perni che rimarranno.

Le abitudini dei consumatori hanno subito cambiamenti radicali

Quando le attività hanno cominciato a chiudere in tutto il mondo, le persone si sono affannate a comprare quello che serviva. Ma con i negozi completamente chiusi o con l’esaurimento di generi di prima necessità – ricordi le corse per la carta igienica e il disinfettante per le mani? – tutti si sono dovuti reinventare per trovare risposte. L’interesse di ricerca per la vendita al dettaglio è cresciuto a livello globale nei primi mesi. Le ricerche di “who has” e “in stock” sono aumentate di oltre l’8.000% su base annua negli Stati Uniti. E, poiché le persone limitavano i loro spostamenti ai negozi di alimentari, nel Regno Unito si è registrato un crescente interesse per ricerche come: “cibo da congelare” e “consegna a domicilio”.

A incidere è stata anche l’ansia economica. Secondo uno studio Kantar del marzo 2020, nei paesi del G-7 il 71% delle persone ha affermato che il proprio reddito personale è stato influenzato dal Coronavirus. Il dato più alto quello dell’Italia (85%), seguita da Stati Uniti (75%) e Canada (75%). Un rapporto BCG ha rilevato che le persone che hanno anticipato i cambiamenti nelle loro abitudini di spesa si aspettavano di risparmiare di più (29%) e spendere meno (27%) in articoli non essenziali, come moda e lussi.

Uno sguardo alla ricerca per anno ha mostrato che le persone cercavano di ottenere il controllo di ciò che potevano durante i periodi di incertezza. Le ricerche di “apprendimento online” sono aumentate del 400%, poiché i genitori hanno cercato ispirazione, soluzioni e comfort. E, con le palestre chiuse, le ricerche di app per il fitness sono aumentate del 200% su base annua.

Le persone hanno cercato di trovare modi per coltivare connessioni in un mondo in cui erano tagliate fuori dalle loro vecchie vite. Le ricerche che includevano la frase “con gli amici online” sono aumentate del 300% su base annua. E la tendenza continua. Da novembre a gennaio, le ricerche di “watch party” (ad esempio, “youtube watch party” o “private watch party”) sono aumentate del 400% su base annua per lo stesso periodo di tempo.

Cercare di stare al passo con i modelli in continuo mutamento è uno dei motivi per cui abbiamo lanciato il nostro briefing mensile sugli approfondimenti globali.

Gli eventi dal vivo torneranno sicuramente, ma avranno un aspetto diverso. Le persone ci penseranno due volte prima di partire se potranno accedervi facilmente dal proprio soggiorno. Ciò significa che gli eventi dovranno essere personalizzati per offrire un’esperienza che si distingua davvero.

Il lavoro si è spostato a casa

Anche prima del distanziamento sociale e dell’isolamento, la casa stava diventando il punto di riferimento per le persone impegnate che cercavano di utilizzare meglio il proprio tempo. Che si trattasse di saltare il tragitto giornaliero o la fila al supermercato, le ricerche online e le abitudini di acquisto prima della pandemia indicavano il desiderio delle persone di trascorrere più tempo in attività che dessero loro gioia, piacere o conforto (e meno tempo nel traffico). Ma con interi team che lavoravano in remoto per un periodo di tempo indefinito, le aziende si sono trovate a cercare modi per mantenere un senso di comunità e per promuovere l’inclusione.

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LEGGI ANCHE: Una “workforce a 5G”: le sfide generazionali nel mondo del lavoro

Il modello di lavoro in ufficio è probabilmente cambiato per sempre, modificando le abitudini dei consumatori e le culture del posto di lavoro. Per le aziende, questo significa trovare modi per soddisfare le esigenze più elementari delle persone e adottare misure per promuovere una forza lavoro più resiliente.

Lo shopping online è diventato la norma

L’eCommerce era già in costante crescita, ma il 2020 ha visto lo shopping online, alimentato dalla necessità, decollare. C’è stato un aumento significativo del numero di persone disposte a comprare generi alimentari, vestiti e persino automobili online. Nei primi sei mesi del 2020, ad esempio, quasi il 10% delle auto è stato venduto online, rispetto a solo l’1% delle auto vendute online durante tutto il 2018.

In definitiva, ciò che un acquirente vuole è aiuto. Quando cercano attivamente quell’aiuto nel regno digitale, diventa più facile per le aziende che ne possiedono gli strumenti leggere le intenzioni e prevedere i piani di marketing giusti per fornire quell’aiuto.

In tutto il mondo alcune persone hanno scoperto per la prima volta lo shopping online, mentre altre hanno semplicemente aumentato la loro dipendenza da esso. I programmi di ritiro a bordo strada e di personal shopper sono diventati la norma. E le nuove, più comode, abitudini non verranno certo dimenticate dopo la pandemia.

È tempo di essere pronti

È tempo di concentrarsi sulle basi. Ci sono marchi che hanno raddoppiato le informazioni, sono rimasti agili grazie all’automazione e hanno preso decisioni basate sui dati. Quei marchi sono riusciti non solo a sopravvivere nell’ultimo anno, ma a prosperare.

Le aziende sopravvissute alla pandemia hanno più dati e segnali dei consumatori, sono maggiormente in grado di agire su di essi e possono soddisfare uno standard più elevato per fare tutto questo in modo più responsabile che mai. Tuttavia, le interruzioni e l’incertezza rimangono, rendendo necessario che le aziende ripensino alla prontezza. Mentre guardiamo all’anno a venire, dovremmo tutti lavorare per reinventare il modo di soddisfare al meglio la domanda dei consumatori, anche se fluttua e anche se rimane volatile.

Stripe triplica il suo valore, valutazione record da 95 miliardi di dollari

Stripe, la piattaforma di gestione di pagamenti online, triplica il suo valore aziendale nell’ultimo anno e raggiunge una valutazione di 95 miliardi di dollari.

Se l’eCommerce guida le tendenze dei mercati finanziari globali, la società fondata a San Francisco nel 2010 dai fratelli irlandesi John e Patrick Collison, con la sua valutazione record rientra tra le start up private più preziose e di maggior successo della Silicon Valley senza essere quotata in borsa, complici i nuovi trend di pagamenti digitali incentivati dalla pandemia e dal Covid.

Con l’ultimo round di finanziamento, la società ha annunciato di aver raccolto 600 milioni di dollari da Allianz X, Axa, Baillie Gifford, Fidelity Management & Research Company, Sequoia Capital e National Treasury Management Agency (NTMA), raggiungendo i 95 miliardi di dollari.

Una valutazione che, secondo il Financial Times, ha superato gli 80 miliardi di Facebook prima di sbarcare in borsa e i 72 miliardi di Uber precedenti alla sua prima offerta pubblica IPO nel 2019, dietro solo ai cinesi ByteDance (180 miliardi) e Ant Group di Jack Ma.

Rispetto alle altre startup private, Stripe guida la piattaforma di trading Robinhood, che attualmente è valutata in 11,7 miliardi di dollari, con un enorme margine.

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Verso l’espansione in Europa

Molte aziende, tra cui Amazon, Github, Yelp, Spotify e Uber, utilizzano le soluzioni Stripe per l’elaborazione dei pagamenti, con software di gestione semplice per integrare soluzioni di pagamento all’interno dei siti web, proprio come PayPal.

L’ultimo round di raccolta di capitali resterà a bilancio, in vista dei prossimi obiettivi di espansione, soprattutto verso i mercati europei, come evidenzia anche una nota stampa: “L’azienda utilizzerà i nuovi fondi per investire nelle iniziative europee – in particolare nel quartier generale di Dublino – per supportare la crescente domanda proveniente dalle grandi aziende del ramo Enterprise del Continente e per espandere la propria Rete Globale di Pagamenti e Tesoreria (GPTN)”. A ciò si aggiunge l’investimento in infrastrutture per sviluppare soluzioni di pagamento online per il prossimo decennio.

Dall’inizio della pandemia, Stripe ha aggiunto alla sua piattaforma circa 200 mila nuove compagnie in Europa tra quelle che utilizzano i suoi servizi, gestendo circa 5mila richieste al secondo.

Secondo il Bloomberg Billionaires Index, i fratelli Collison al momento vantano un patrimonio personale di oltre 11 miliardi di dollari ciascuno, che sembra destinato a crescere.

L’ascesa di Stripe

Dopo la creazione della start up nel 2010, i fratelli Collison nel giugno 2010 hanno ricevuto finanziamenti da Y Combinator, un acceleratore di start-up. A seguire, nel maggio 2011, un investimento di 2 milioni di dollari dai venture capitalist Peter Thiel, Sequoia Capital e Andreessen Horowitz. Lanciata ufficialmente al pubblico dopo un’estesa fase beta,  nel febbraio 2012, un investimento da 18 milioni di dollari guidato da Sequoia Capital con una valutazione di 100 milioni. Nel 2016, Stripe è stata valutata in oltre 9 miliardi. A settembre del 2019 ha raccolto 250 milioni di dollari in un nuovo giro di finanziamento raggiungendo un valore aziendale di 35 miliardi di dollari, fino all’attuale cifra del valore di 95 miliardi di dollari, che batte Facebook e Musk prima della loro quotazione in borsa.

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Estetista Cinica diventa una Barbie, ecco cosa ci ha raccontato Cristina Fogazzi

I sogni nascono da bambini, e crescono con noi“. Inizia così il post Instagram di presentazione del nuovo progetto di Barbie in collaborazione con Estetista Cinica.

L’azienda, amatissima dai bambini di tutto il mondo (ma anche dai collezionisti) ha infatti dedicato all’estetista più famosa d’Italia una bambola “One of Kind”, un pezzo esclusivo, realizzato proprio per Cristina Fogazzi.

Cristina è riuscita a realizzare i suoi sogni, inseguendoli con forza e determinazione, ed è proprio per questo che Barbie l’ha scelta come Role Model: una persona capace di ispirare bambine e ragazze di ogni età.

Estetista Cinica è anche un’imprenditrice innovativa che ha spronato ogni persona a trovare la propria bellezza in sé, a continuare verso ogni obiettivo senza alcun condizionamento esterno e che continua incessantemente ad ispirare le future generazioni incoraggiandole a non abbandonare la strada che hanno scelto, per il timore di non farcela.

La nuova bambola fa parte di Barbie Dream Gap Project: un’iniziativa globale il cui scopo è fornire alle bambine le risorse e il supporto di cui hanno bisogno per esprimere tutte le loro potenzialità.

Inoltre, Barbie e Cristina Fogazzi uniranno le loro forze per un’attività benefica in collaborazione con l’associazione BET SHE CAN per un progetto incentrato sulla rimozione delle etichette e degli stereotipi di genere che colpiscono bambini e bambine fin dai primi anni di vita.

Curiosi come solo i Ninja sanno essere, abbiamo voluto saperne di più e abbiamo fatto qualche domanda a Cristina sulla Barbie Estetista Cinica.

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estetistacinica con Barbie

Come ci si sente a diventare Barbie?

Come in un sogno. Quale bambina non ha mai desiderato di avere una Barbie con le proprie sembianze? In ogni caso, e sogni a parte, mi sento profondamente onorata di essere riconosciuta come un modello per queste bambine.

Avverti la responsabilità di essere un modello per ragazze/i e bambine/i?

Sì. Sicuramente. Ma sono anche pienamente consapevole che la visibilità dà modo a tutti noi di veicolare valori importanti per chi, un domani, sarà donna.

 

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Un post condiviso da VERALAB (@veralab_estetistacinica)

Pensi che il panorama dell’imprenditoria stia davvero cambiando? C’è più spazio oggi per le donne?

Siamo ancora lontani dalla “parità”. Solo il 22% delle aziende italiane è guidato da donne. Ma credo anche che dei grandi passi in avanti siano stati fatti. Siamo toste, preparate, intraprendenti. Possiamo davvero fare ciò che desideriamo. Basta crederci un po’ di più, e battersi per i nostri sogni.

Il tuo segreto per il successo è stato anche l’autenticità. Come si fa a mantenere questo approccio e questo valore anche con migliaia di follower e tanti contratti?

La mia community mi regala tanta forza, e mi sprona ancora di più in questo senso. Se non fossi coerente con ciò che penso, o poco aderente a ciò per cui mi sono sempre battuta, sono convinta che loro, in primis, se ne accorgerebbero. Il nostro dialogo è basato sull’onestà e sulla sincerità. Sono loro che mi spingono incessantemente a restare la persona che sono.

estetistacinica con la sua barbie personalizzata

Secondo la tua esperienza, cosa dovrebbero tenere bene a mente i brand quando propongono una campagna a un influencer?

L’influencer stesso, e gli obiettivi della campagna.

Gli influencer sono potenti strumenti di comunicazione, e come tali, per essere ritenuti efficaci e strategici, devono essere adatti al contenuto che devono veicolare.

Intraprendere una campagna con un influencer solo perché ha tanti follower non è una strategia vincente. Anzi, non è nulla. C’è sempre da chiedersi in quale ambiente di comunicazione è abituato a muoversi, la community di riferimento, il suo modo di creare contenuti. Cosa lo appassiona e cosa no.

Io lavoro da anni nel settore del Beauty, e troppe volte mi capita di vedere un placement di prodotto, per fare un esempio, non adeguato alla pelle dell’influencer.

Come può risultarne una comunicazione credibile?

la Barbie dedicata a EstetistaCinica

Dopo essere diventata Barbie, qual è il prossimo ambizioso traguardo di Estetista Cinica?

Posso essere onesta? Vorrei che la mia azienda andasse sempre bene. Perché, grazie a ciò che ho costruito, ho potuto aiutare molte persone. Ed è di gran lunga l’aspetto che più mi ha gratificato e reso orgogliosa.

digital tool della settimana - uomo alla scrivania

MyHeritage, Ariyh e Kbee, i digital tool della settimana

L’attenzione per i dettagli è essenziale quando produciamo contenuti e, in generale, ci rivolgiamo al pubblico con la nostra comunicazione. Diventa molto fastidioso, a posteriori, accorgersi di un refuso o di una svista in un documento, specie se non siamo in grado di intervenire per correggerlo.

Questa è solo una delle piccole disavventure che possono capitare durante la giornata lavorativa. Per questo ci affidiamo ad alcuni tool digitali che ci aiutano a centrare l’obiettivo previsto dalle deadine senza intoppi. E magari a regalarci qualche momento di spensieratezza, tra l’invio di una email e una call su Zoom.

Ecco i nostri digital tool per questa settimana.

LEGGI ANCHE: Weet, Zoomoff e Mubi, i digital tool della settimana

Illustrazioni customizzabili

tool digitale - amigos

Per rendere più divertente una presentazione o un contenuto non c’è niente di meglio di una illustrazione personalizzata. Con Amigos potrai crearne quante ne vuoi, scegliendo tra decine di opzioni.

Beta testing

tool brevy

Quando si lancia un nuovo sito, spesso ci si accorge di nuovi e inaspettati errori, typo e problemi di ogni genere. Brevy trasforma il tuo sito web in uno spazio collaborativo, permettendo a chiunque nel team di lasciare un feedback o segnalare problemi direttamente in linea.

Sempre nuovi tips

tool digitale

Nel Marketing non si finisce mai di imparare e per restare sempre aggiornato rispetto ai concorrenti puoi seguire i consigli di Ariyh. Riceverai le ultime ricerche delle migliori business school, riepilogate in appena 3 minuti.

Valorizza le risorse

tool digitale - kbee

Ogni azienda che utilizza Google Drive possiede enormi risorse che spesso non vengono sfruttate appieno dai diversi team. Grazie a Kbee puoi trasformare tutti i tuoi contenuti in un wiki veloce e ricercabile per te, il tuo team o i tuoi clienti. Uno strumento potentissimo anche per il Customer Care.

Animati, almeno in foto

tool digitale per animare le foto

Ci sono diversi modi per affrontare una pausa di lavoro: un caffè tra colleghi, qualche telefonata o uno snack per rifocillarsi. Oppure, puoi impiegare qualche minuto utilizzando MyHeritage, un tool per animare le vecchie foto di famiglia e trasformarle in video. Naturalmente, funziona anche con le foto più recenti.

 

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Attenzione ai club di Clubhouse, potresti ritrovarti admin senza saperlo

Era solo questione di tempo prima che l’app più chiacchierata del momento mostrasse qualche vulnerabilità. Stiamo parlando di Clubhouse.

Testando ripetutamente tutte le sue funzioni come solo un vero Ninja può fare, ci siamo imbattuti in un malfunzionamento particolarmente interessante. Con un piccolo “hack” è possibile aprire un gruppo e inserire praticamente chiunque come admin, anche avendo a disposizione pochi dati.

Come vedremo in seguito, con delle manovre particolari diventa impossibile, per la persona aggiunta, liberarsi di questo ruolo, che rimarrà ben in evidenza nella lista dei suoi club.

Fin qui sembra solo uno scherzo innocente, ma cosa potrebbe capitare a un iscritto che si trovasse a figurare come amministratore di un club con un nome “sconveniente”, magari legato a contenuti pornografici, che inneggia alla violenza o relativo a tendenze politiche estremiste?

Naturalmente, vi presentiamo la situazione scoraggiandovi fortemente dal mettere in atto queste procedure: nonostante i tentativi che ci hanno permesso di individuare la vulnerabilità del sistema, non abbiamo al momento idea di quali potrebbero essere le conseguenze e le contromisure adottate dal social media qualora questo comportamento venisse individuato.

Rischiare il ban per uno scherzo non è probabilmente una mossa tanto furba. Meno ancora lo sarebbe provare a “incastrare qualcuno”, con i danni che potremmo creare a noi stessi o ad altri attraverso questo metodo.

Contiamo, invece, che la nostra segnalazione sia utile soprattutto agli sviluppatori di Clubhouse, a cui abbiamo già inoltrato un avviso della nostra scoperta, per correggere in tempi celeri la funzione.

Passo 1. Crea un club su Clubhouse

Non importa con quale nome lo aprirai, quale sarà l’immagine del club o la sua descrizione. Per questo test, noi abbiamo creato un fittizio Bug Club.

Come abbiamo già spiegato in questo articolo, adesso la possibilità di aprire un club è aperta a tutti: è infatti sufficiente cliccare sul simbolo “+”, in basso a sinistra nella nostra scheda profilo per avviare la procedura.

bug - clubhouse

Passo 2. Genera il link per inserire nuovi membri

Cliccando sull’icona in alto a destra, quella con l’omino racchiuso in un cerchietto con il simbolo “+”, è possibile generare un link per invitare i nostri contatti a diventare membri del gruppo. Attenzione: non parliamo di follower che possono seguire le attività del club, ma di veri e propri “collaboratori” a cui si possono attribuire poteri di amministrazione, ad esempio per aprire nuove stanze.

Proprio perché è previsto che i membri del gruppo siano in un numero ristretto, ogni link funziona per un massimo di 10 utenti. Non ci resta quindi che copiare il link che, in teoria, potremo inviare ai nostri contatti per invitarli a far parte del club.

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bug su clubhouse 02

 

Passo 3. Autenticati col numero di un’altra persona

Qui comincia l’hack vero e proprio, in realtà piuttosto banale. Una volta copiato il link per l’invito al gruppo, non dovremo inviarlo a nessuno ma semplicemente aprirlo nel nostro browser, che ci reindirizzerà all’app di Clubhouse in una finestra in cui verrà visualizzata la richiesta di entrare nel club fatta dal nostro account… a noi stessi!

A questo punto il sistema richiede l’inserimento del numero di telefono come autenticazione per confermare l’iscrizione. Invece che inserire il nostro numero di telefono possiamo inserire qualunque contatto (a patto che sia già parte di Clubhouse, naturalmente) e cliccare su Verify membership.

Il gioco è fatto! Adesso la persona di cui abbiamo inserito il numero è un membro attivo del club, come se ne avesse fatto espressa richiesta.

Come ulteriore conferma, riceveremo una notifica che ci avviserà che l’utente che abbiamo coinvolto nel nostro magheggio fa ormai parte del gruppo che abbiamo creato. Nel nostro caso, Bug Club.

bug su clubhouse

Passo 4. Rendi la tua vittima un amministratore del gruppo

Adesso che la persona di cui hai inserito il numero di telefono fa parte del tuo gruppo, non ti resta che renderlo amministratore. Riceverai un messaggio di conferma una volta cliccato sull’opzione “Make an admin”

bug dei club su clubhouse

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Passo 5. Abbandona il tuo gruppo

Questa è la ciliegina sulla torta di un piano ben congeniato: abbandonare la scena del delitto e cancellare le prove cliccando Leave club.

Il malcapitato si troverà da solo nel gruppo da te creato, ne diverrà proprietario e non avrà modo di cancellarlo o abbandonarlo finché sarà l’unico admin presente.

il bug dei club

Una via d’uscita in realtà c’è, anche se eticamente non è proprio il massimo: per sfuggire alla trappola, la persona gabbata dovrà seguire il tuo esempio, ripetere questa procedura e “incastrare” qualcun altro. Almeno finché clubhouse non risolverà il bug.

 

VR\AR: dopo gli smartphone saranno la prossima tech-revolution?

Quarto appuntamento con i Webinar PRO targati Ninja: tutti gli insight, trucchi, trend, dietro le quinte sui temi caldi del momento, condivisi con voi.

Per questa puntata lasciati trasportare in un viaggio tra i mondi virtuali di AR e VR, dalla loro evoluzione fino ad oggi: Oculus, smart glasses, smart assistance e tanto altro ancora, passando dal cinema, alla narrativa e al gaming.

Mirko Pallera, founder di Ninja, ha intervistato Mauro Rubin, CEO e Founder Joinpad, azienda che sviluppa e fornisce soluzioni tecnologiche in realtà aumentata per i processi industriali.

Non perderti i punti salienti dell’intervista:

  • Differenza tra AR e VR: min 07,00
  • Cosa Mauro ha scoperto al World Conference of VR di Nanchang in Cina: min 15,40
  • Quali sono i device più utilizzati: min 20,40
  • Come il VR cambia l’entertainment: min 24,50
  • A cosa possono servire gli Smart Glasses: min 31,15
  • Cos’è un Smart Assistant in realtà aumentata: min 33,30
  • Gli scenari futuri e le implicazioni etiche: min 37,50

customer experience

Customer Experience Design: strumenti concreti e metodi pratici per mappare le esperienze

Quando si parla di customer experience, si cita spesso il design delle esperienze e utilizza (appunto) in abbondanza la parola “design”. Una parola che può sembrare fuorviante e fuori luogo: siamo abituati a pensare al design in termini di progettazione di mobili o altri oggetti molto concreti.

Eccellenze passate e presenti italiane come Alessi, Fiorucci e Kartell hanno per esempio reso approcciabili e disponibili a una vasta fascia di popolazione globale oggetti dal design particolare, rinforzando fenomeni pop, culturale e di costume.

La realtà, però, è diversa: il design è progettazione, e qualsiasi cosa – più e meno tangibile – deve essere progettata. Si progettano incontri, presentazioni, eventi, feste e tanti altri fenomeni, e ciò rende tutti noi un po’ designer. In effetti, secondo David Butler e Linda Tischler, autori di Design to Grow:

Il design consiste nel connettere intenzionalmente elementi al fine di risolvere problemi.

Una progettazione consistente grazie al system thinking

Anche le esperienze di marca dunque possono (o meglio, devono!) essere progettate e disegnate, pur tenendo conto della loro eterogeneità di obiettivi. Elementi da non connettere in maniera disordinata, ma piuttosto integrata con un approccio sistemico chiamato di systems thinking.

Un caso emblematico è quello di Apple: seppur caratterizzato da diversi “pezzi”, alcuni dei quali non proprietari (per esempio, Nike+), il modello di business aziendale riesce a tenere tutti i suoi componenti strettamente collegati e connessi. Prodotti, device, processi, attori si uniscono a network in modo idiosincratico e unico, generando in tal modo un vantaggio competitivo sostenibile e capace di fare la differenza.

Nel design delle esperienze, tale approccio sistemico è garantito da un sistema esperienziale capace di collegare tra loro le due principali tipologie di elementi che compongono qualsiasi sistema, e che dunque esistono anche nel design di una customer experience:

  • Visibili: artefatti digitali, media e canali come un sito web, un’app, un contenuto, un device.
  • Invisibili: di origine profonda, come partnership, processi, cultura organizzativa, significati e valori di marca, etc.

Attraverso la giusta connessione tra elementi visibili e invisibili, il design diventa strategico per un’organizzazione quando aiuta la stessa a crescere – ovvero, se mal definito, se ne limita il successo e la competitività. Sempre più spesso, inoltre, la componente invisibile acquisisce importanza, verso la progettazione di sistemi valoriali complessi. Il design delle esperienze non è da meno, poiché le stesse esperienze non possono essere relegate solo a un semplice gesto creativo-estetico, oppure a una questione tattica con un orientamento di breve termine.

Non è un caso che esistano metodi di CX design capaci di guidare il progettista sui “giusti binari”. A proposito, il prosieguo dell’articolo passerò in rassegna alcune delle metodologie più utili al lavoro quotidiano del Customer Experience Manager.

L’evoluzione del customer journey mapping

Fino a poche decine di anni fa, i customer journey erano disegnati in funzione di modelli come AIDA, acronimo che riassume i quattro passi (attenzione, interesse, desiderio, azione) caratterizzanti il percorso dell’utente verso l’acquisto. Nonostante continui aggiornamenti, oggi tali modelli sono nella maggior parte inefficaci nel guidare i professionisti in modo adeguato.

Il principale limite sta nella linearità del processo, secondo cui l’acquisto da parte del consumatore è determinato da una serie di fasi precedenti, e conclude di fatto la dinamica del rapporto tra lo stesso e l’azienda. Già nel 2009 le ricerche e l’esperienza consulenziale di McKinsey su più di 20.000 utenti in tre continenti e per cinque settori hanno portato a suggerire un nuovo consumer decision journey in 4 fasi:

  1. Il consumatore prende in considerazione un portfolio iniziale di marche, in funzione delle percezioni personali e dell’esposizione ai diversi punti di contatto con il brand.
  2. Procedendo nella valutazione, il consumatore aggiunge o sottrae brand man mano che chiarisce le idee sui propri obiettivi di valore.
  3. Viene finalmente selezionata una marca al momento dell’acquisto.
  4. Le esperienze del consumatore con quanto acquistato arricchiscono il budget di informazioni che andranno a guidare le scelte nel successivo customer journey.

Sono modelli interessanti, che hanno il grande pregio di riconoscere un percorso più complesso – circolare e caratterizzato da interattività e sotto-percorsi – svolto dall’acquirente per arrivare all’atto di acquisto finale. Il problema forse maggiore deriva dal… nome del modello. Come notano Robert Rose e Carla Johnson nel loro libro Experiences, anche se i brand hanno in fin dei conti a cuore soprattutto la transazione che si completa possibilmente in una decisione di acquisto, il cliente – o meglio la persona – ha tutt’altro in mente Il centro del suo interesse sta nell’esperienza di acquisto, non nell’atto in sé. Traduco dai due autori e, nel caso di Robert, amici:

Il customer decision journey può essere circolare, ma se l’interesse risiede ancora nell’aspetto transazionale, si tratta solo di un funnel che si morde la coda. […] È l’esperienza che conta adesso, ed è sempre l’esperienza che genera il punto centrale del processo. Le persone possono essere fan accaniti, influencer di impatto, e advocate anche senza essere mai stati acquirenti – e magari senza diventarlo mai.

Le analisi di Robert Rose e Carla Johnson procedono parallelamente rispetto agli studi di Brian Solis – oggi Chief Innovation Evangelist di Salesforce – insieme agli ex colleghi di Altimeter sull’evoluzione del customer journey influenzato dal paradigma esperienziale, che hanno portato alla definizione del dynamic customer journey.

Un customer journey “social” insomma, che risente fortemente dell’impatto della Generazione Connessa nelle interazioni con l’azienda. A ogni passo – in particolare dopo avere acquistato e testato il prodotto o servizio – l’utente condivide l’esperienza con le proprie cerchie di amici, follower e contatti.

Esperienze che diventano “atomi informativi” cruciali per orientare le decisioni di acquisto e preferenza di tutti i nodi appartenenti al rispettivo network di contatti. Si generano i “circoli di fiducia” tra persone (circle of trust) attraverso le interazioni digitali. Ecco perché al centro del dynamic customer journey risiede l’influence loop: le esperienze di acquisto e consumo si trasformano in information experience e diventano di importanza cruciale, posizionandosi come contenuti digitali (thread di forum, articoli di blog, post social, recensioni, etc.) online e incidono nella valutazione di altri individui.

Quale è la soluzione per allinearsi con successo al nuovo customer journey dinamico? Occorre organizzare le esperienze di contatto con il proprio pubblico attraverso un approccio proattivo, per evitare sorprese in termini di passaparola negativo e contenuti che ne possono mettere in crisi la reputazione del prodotto, del progetto o addirittura dell’azienda. In altre parole, ciò che le persone esperiscono e desiderano condividere al momento della loro interazione con la marca non è casuale, ma rientra in un disegno più complesso e complessivo di architettura esperienziale.

I customer journey non sono però tutti uguali. Possiamo individuare infatti almeno tre principali tipologie:

  • Impulsive journey: percorsi di scelta e acquisto dove il tempo speso a cercare informazioni è molto limitato. Le esperienze pregresse, i consigli di amici e parenti, la possibilità di testare gli stessi prodotti e la modalità con cui gli stessi sono proposti diventano variabili determinanti per accelerare la decisione finale. Tipiche frasi di persone tendenti ad azioni impulsive suonano così: “… adoro i prodotti con un bel packaging. Quando voglio acquistare, non cerco informazioni in rete. Mi basta chiedere agli amici e procedere all’acquisto al reparto cosmetici…
  • Balanced journey: presentano una componente importante (a livello di tempo, sforzo, materiale preso in considerazione, etc.) di ricerca delle informazioni necessarie per decidere e acquistare. Le emozioni positive attivano la volontà della persona, la quale raffina le proprie scelte attraverso valutazioni cognitive più approfondite. Sono vagliate diverse fonti, così come sono attivati meccanismi di webrooming (l’acquisto in negozio di un prodotto studiato e vagliato prima in rete) e showrooming (l’acquisto online di un prodotto verificato in precedenza in negozio). L’intervento di modelli aspirazionali – sia all’interno della cerchia dei propri amici e conoscenti che proveniente dallo star system – e di stimoli pubblicitari / promozionali riesce spesso a “rompere” l’equilibrio del balanced journey, convincendo il potenziale acquirente con meno informazioni e in un tempo più limitato: “mi piace guardare i blogger e gli youtuber. I prodotti che utilizzano sembrano interessanti ma le informazioni consistono solamente in una breve recensione. Utilizzo Google per ulteriori approfondimenti dai blog. A volte utilizzo anche gli store online per le referenze sui colori disponibili e le valutazioni di prodotto. Appena analizzato il campione e se esiste la disponibilità di un negozio nelle vicinanze, ci vado per provarlo da sola. Altrimenti, percepisco un rischio maggiore e prendo più tempo nel valutare se dovrei davvero acquistare il prodotto. Spesso chiedo anche consiglio agli amici….”.
  • Considered journey: presentano una fase di pre-shopping dilatata, dove chi deve acquistare non si percepisce in questa situazione ma piuttosto come una persona che cerca informazioni sul prodotto da una moltitudine di fonti (news, amici, blog, recensioni, etc.), le quali vanno a comporre il proprio database personale. Esso viene utilizzato nel momento in cui si palesa il bisogno o la voglia di acquisto. Ecco la citazione di una condizione realmente vissuta da una shopper: “normalmente, quando ho un momento libero, leggo forum e bachece e guardo video YouTube anche senza volere.

L’experience scorecard, un valido strumento per ponderare le variabili esperienziali

La mappatura dei customer journey può essere raffinata anche attraverso l’experience scorecard: un metodo semplice ma utile per avere un quadro immediato di un’esperienza sia al momento della sua progettazione che in fase di valutazione e ottimizzazione.

L’experience scorecard è fondata su due principali assi: sulle x devono essere elencati i plus che, secondo il progettista, rendono l’esperienza efficace e di successo per chi la vive (SuccEx). Sull’asse delle y sono invece elencate tutte le dimensioni (DimEx, per esempio i diversi touchpoint, i trigger, etc.) che compongono la stessa esperienza. Il risultato è una matrice come quella che segue.

Una variante introduce un peso per ciascuno dei plus inclusi (eventualmente prevedendo una scala numerica, per esempio da 0 a 10) in funzione dell’importanza o meno assegnata a ciascuno dal progettista di CX. Scopo della experience scorecard è quello di raccogliere feedback e suggestioni dai partecipanti all’esperienza – attraverso survey, focus group, analisi netnografiche, etc. – andando a riempire le singole celle della griglia e comprendendo così se le singole dimensioni esperienziali sono state capaci di “coprire” adeguatamente e palesare i plus dell’esperienza.

Mappare le esperienze in quanto storie

Lo sappiamo: all’interno delle organizzazioni possono emergere numerose idee innovative per creare esperienze coinvolgenti. Ma molte vengono scartate o comunque si arenano, per diverse ragioni più e meno note. Tra queste una ha particolare peso: l’assenza di una metodologia per vagliare le idee prima che esse siano implementate. Incertezze su questo piano possono indurre spesso le imprese ad abbandonare le idee sul nascere. Per risolvere questo limite, Rose e Johnson propongono il metodo dello story mapping: un percorso strutturato per creare e mappare le idee, valutandone il potenziale narrativo in modo preciso e ragionato.

Lo story mapping è diviso in tre sezioni, ognuna delle quali è ulteriormente articolata al suo interno, come segue:

  1. Il PERCHÉ – ovvero la mission relativa al contenuto dell’esperienza. Si tratta di definire:
  • perché l’esperienza che l’azienda può offrire ha un valore
  • per chi tale esperienza avrà un valore, e per quali ragioni
  • per quali aspetti tale esperienza è unica e diversa da quelle che offrono i concorrenti.
  1. Il COSA – ovvero gli obiettivi di business. Rispetto ai quali occorre indicare:
  • come si configura il successo dell’iniziativa, e come contribuirà al business
  • quali sono esattamente gli obiettivi di business e quanto ci vorrà per raggiungerli
  • in che modo l’esperienza si integrerà nella strategia di business
  1. La STORY MAP – ovvero lo sviluppo dell’esperienza per fasi nel corso del tempo. Che comporta di focalizzare e chiarire:
  • il percorso narrativo, cioè come gli elementi della storia verrano introdotti via via
  • come si potrà dimostrare il successo dell’iniziativa nel raggiungere i suoi obiettivi di business
  • come si bilanceranno esattamente i suoi aspetti di contenuto
  • come verranno utilizzati i vari canali nel corso del tempo

Lo schema fornisce un buon supporto pragmatico al vaglio delle idee, specie quando durante i processi creativi si è passati attraverso diversi momenti di brainstorming che hanno prodotto molte idee tra le quali non si sa quale scegliere. Una mappa che impone di riflettere su una serie di livelli differenti, tutti pertinenti al modo in cui un’esperienza – e la sua storia – possono essere costruite per rispondere alle esigenze strategiche di business.

All’interno del terzo momento di definizione della story map, la voce relativa al bilanciare gli aspetti di contenuto rimanda ai quattro archetipi del Content Creation Management ritenuti di grande aiuto in relazione all’esigenza di categorizzare il contenuto.

  • Promoter: è il contenuto che descrive i propri prodotti e servizi, evidenziando come essi possono soddisfare bisogni e desideri dei customer, promuovendone il valore e lanciando delle call to action;
  • Preacher: è il contenuto che evangelizza il valore dell’esperienza, inducendo a farne la scoperta, ed elevando awareness e engagement di nuovi segmenti di audience;
  • Professor: è il contenuto che soddisfa gli interessi e le passioni dell’audience, dimostrando competenza e autorevolezza, sottolineando il significato dell’esperienza, e con questo educando il pubblico;
  • Poet: è il contenuto che comunica gli aspetti emozionali dell’esperienza, e mira a fare in modo che l’audience provi dei sentimenti particolari, diversi da quelli consueti, inducendo a cambiare la propria prospettiva.

Questi quattro archetipi corrispondono a quattro modalità in cui l’esperienza può essere vissuta: ognuno può avere una sua ragion d’essere in rapporto a una determinata iniziativa. L’essenziale è essere in grado di calibrarli dando maggior peso all’uno o all’altro nelle varie fasi di sviluppo della Story Map, tenuto conto dei suoi caratteri e scopi specifici.

Come scegliere il giusto metodo?

Non esiste un metodo più o meno corretto per mappare e analizzare le esperienze. Tutto dipende dagli obiettivi del progetto, dal budget, dalle competenze al tavolo e da una miriade di altri fattori.

Un ulteriore elemento che ti suggerisco di esplorare, è l’utilizzo sinergico di più metodi per il tuo customer experience management: potresti ottenere risultati sorprendenti!

Cina, l’Antitrust valuta sanzione record per il gigante del fintech Alibaba

La Cina progetta di domare il gigante tecnologico Alibaba Group Holding Ltd., società fondata dal magnate Jack Ma, versione cinese di Amazon.com Inc.

Secondo alcune fonti, l’Autorità di regolamentazione cinese starebbe ipotizzando anche la cessione di alcuni asset aziendali non legati alla vendita online, oltre alla multa, la più alta nella storia della Cina, che supera i 975 milioni di dollari, cifra che Qualcomm Inc. ha pagato nel 2015 per pratiche anticoncorrenziali.

Alibaba sarà tenuta, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, a porre fine a una pratica che è stata soprannominata “er xuan yi” – letteralmente “scegli uno su due” – in base alla quale, secondo i regolatori, il gigante della tecnologia ha punito alcuni commercianti che vendevano beni su entrambe le piattaforme, Alibaba e le sue rivali come JD.com.

La Cina ridimensione le spinte monopolistiche dei giganti del fintech

Pechino sarebbe determinata, infatti, a combattere le tendenze monopolistiche di gruppi privati, le cui piattaforme di vendita online sono utilizzate da centinaia di milioni di cinesi.

Nel mirino del regime cinese, da oltre un anno insieme alla sua società Ant Group., Jack Ma, l’uomo d’affari più famoso in Cina, con un patrimonio valutato in 58 miliardi di dollari, che nel 1999 ha fondato la società di eCommerce Alibaba in un appartamento di Hangzhou con pochi soldi presi in prestito da amici, dopo un viaggio negli Stati Uniti, intuendo l’opportunità dello scambio di merci online.

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Jack Ma, founder e ceo di Alibaba

L’ascesa del magnate Jack Ma, oggi nel mirino del regime cinese

Da lì una veloce ascesa per il fondatore Jack Ma, simbolo in Cina del self made man, pioniere del pagamenti elettronici da smartphone, con il servizio Alipay.

L’azienda di e-commerce dovrà affrontare un trattamento più delicato rispetto alla sua affiliata Ant Group Co, a condizione che prenda le distanze da Jack Ma.  I regolatori cinesi si sono già scontrati duramente con Ant, che considerano un rischio per il sistema finanziario, costringendola a fare cambiamenti che ne ostacoleranno gravemente prospettive.

Alibaba, tuttavia, sembra destinata a un trattamento più delicato. Secondo alcuni funzionari, Pechino non vorrebbe schiacciare una centrale tecnologica popolare sia tra le famiglie cinesi che tra gli investitori globali, a patto che si dissoci dal suo fondatore e si allinei più strettamente con il Partito Comunista.

L’Amministrazione statale per la regolamentazione del mercato, non prevede misure tese a paralizzare l’azienda, le cui attività includono vendita al dettaglio online, intrattenimento, media e cloud computing. A differenza di Ant, che le autorità di regolamentazione individuano come “un disgregatore e una minaccia alla stabilità del sistema finanziario”, Alibaba è considerato l’orgoglio della Cina, una vetrina per l’innovazione tecnologica, vitale per l’economia della nazione. L’anno scorso circa 780 milioni di consumatori cinesi, ovvero metà della popolazione del paese, hanno effettuato acquisti tramite le piattaforme dell’azienda.

Adesione all’agenda politica della Cina e correzione comportamento anticoncorrenziale

Duplice sfida per Alibaba: correggere il comportamento anticoncorrenziale asserito dalle autorità di regolamentazione e aderire all’agenda politica del governo. La pressione riflette la volontà della leadership del presidente cinese Xi Jinping di imporre prerogative stataliste sull’economia.

Un’incertezza normativa che sta destabilizzando Alibaba, le cui azioni, quotate a New York e Hong Kong, hanno perso più di 200 miliardi di dollari, ovvero un quarto del loro valore di mercato, dalla fine dello scorso anno dagli inizi della repressione dei leader cinesi nel riconfigurare il proprio rapporto verso i giganti hi-tech del Paese, sottolineando la “preoccupazione per la sicurezza nazionale” per l’enorme posse dei dati, gli enormi profitti e gli effetti in tutti gli aspetti della vita cinese.

Lo stato sostiene l’innovazione e lo sviluppo delle società di piattaforme”,

ha affermato lo scorso 5 marzo il premier cinese all’apertura del Congresso Nazionale del Popolo, evidenziando tuttavia che i giganti dell’innovazione dovranno, allinearsi con lo stato sostenendo cause come l’alleviamento della povertà.

Obiettivo, quindi, impedire alle grandi aziende tecnologiche di monopolizzare il credito e le altre risorse, rafforzando gli sforzi antimonopolio e prevenire l’espansione disordinata del capitale”.

Alibaba in valore finanziari: transazioni per 1 trilione di yuan

Il valore totale delle transazione della merce venduta tramite le piattaforme online cinesi di Alibaba, secondo l’azienda, consiste in 1 trilione di yuan (circa 153,7 miliardi di dollari) secondo le proiezioni al 31 marzo, chiusura dell’anno fiscale.

Con oltre 110.000 dipendenti, Alibaba vanta un’attività di intelligenza artificiale in rapida espansione ed è uno dei principali fornitori cinesi di cloud storage, settori considerati fondamentali per il futuro della Cina (core commerce 62 miliardi; cloud computing 5,7 miliardi; media digitali e divertimento 3,8 miliardi di dollari; tot 949 milioni per l’anno fiscale che termina il 31 marzo 2020).

Secondo le persone vicine all’azienda, l’ufficio personale di Jack Ma avrebbe sospeso la maggior parte delle interazioni con il Comitato centrale del partito con cui era in contatto regolare. Il dipartimento di pubbliche relazioni di Alibaba avrebbe istituito un ufficio per definire un’immagine pubblica che molti regolatori hanno considerato arrogante.

Nel 2015, pochi mesi dopo che Alibaba è stata quotata in borsa alla Borsa di New York in quella che all’epoca è stata considerata la più grande vendita di azioni al mondo, il principale regolatore di mercato cinese ha criticato i suoi sforzi per eliminare le merci contraffatte dalle sue piattaforme.

LEGGI ANCHE: Jack Ma: 15 frasi celebri del founder di Alibaba. E quel video finale, sui sogni

Presidente cinese Xi Jinping

Il conflitto tra Jack Ma e il Partito

Un primo accenno che Jack Ma stesse perdendo il favore di Pechino è arrivato alla fine del 2018, quando il presidente cinese Xi Jinping ha invitato circa 50 imprenditori (tranne Jack Ma) a confutare le critiche secondo cui le sue politiche stessero danneggiando il settore privato. Il gruppo includeva Pony Ma, fondatore di Tencent Holdings Ltd., rivale di Alibaba e proprietario della popolare app WeChat; Robin Li, capo del motore di ricerca Baidu Inc.; Lei Jun, co-fondatore del produttore di smartphone Xiaomi Corp, sottolineando successivamente la missione dell’autorità cinese di trasformare la Cina in una “potenza di Internet“.

Un rapporto divenuto più conflittuale nel maggio del 2020 quando l’Amministrazione cinese per il cyberspazio ha sottolineato in un report, indirizzato alla leadership cinese, quanto Alibaba avesse usato “il capitale per manipolare l’opinione pubblica“.

Autorità e i rivali convinti, quindi, che Alibaba stia usando le sue partecipazioni nei social media, nelle società media e nel suo dipartimento di pubbliche relazioni, per fare pressione contro le politiche governative.

Intanto Jack Ma, scomparso dalle scene dopo il forum economico di Shanghai del 24 ottobre scorso, in cui aveva pesantemente criticato  il sistema bancario cinese, ha già gradualmente ridotto la sua partecipazione in Alibaba, detenendo meno del 5% a luglio. Si è ritirato da presidente di Alibaba nel 2019, sebbene abbia mantenuto un’influenza significativa sull’azienda. Rimane l’azionista di controllo di Ant.

Alla fine gennaio, è riemerso in un video pubblicato online da Tianmu News, in dialogo con gli insegnanti rurali in un evento filantropico. Alibaba ha venduto con successo le sue obbligazioni all’inizio di febbraio. Una parte dei proventi, ha detto la società, sarà utilizzata per progetti che coinvolgono “edifici verdi, in risposta alle crisi Covid-19, energie rinnovabili“, tutte priorità del governo.

Le sfide future per Alibaba

Alibaba dovrà ancora affrontare delle sfide. Una legge sulla sicurezza dei dati potrebbe costringerla a fornire i dati dei consumatori al governo centrale. La società ha ricevuto di recente un certificato governativo che lo riconosce come un “modello” per sradicare la povertà. Nel frattempo, Jack Ma è stato escluso da un elenco di dirigenti d’azienda compilato dallo Shanghai Securities News controllato dal governo. Il messaggio che la Cina vuole trasmettere è di seguire non l’uomo, ma il Partito.

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WORKPLACE

Una “workforce a 5G”: le sfide generazionali nel mondo del lavoro

  • Ripensare la gestione delle generazioni sul posto di lavoro è la nuova sfida per l’HR
  • L’inclusione generazionale come chiave di volta per riavviare il “firmware” delle organizzazioni

Non stiamo parlando della “quinta generazione” di telefonia mobile, ma stiamo parlando di persone: almeno 4 cluster + uno (o due) gruppi di età (giovanissimi o anziani) che rappresentano l’insieme di tutti gli stakeholder generazionali su cui impattano le politiche e le strategie aziendali elaborate dalla gestione HR, dentro e fuori l’azienda.

In quest’ultimo periodo sembra connotarsi sempre di più un’idea di futuro che apparterrà a quelle realtà che riusciranno infatti a prendersi cura anche della collettività, oltre che dei risultati di business.

Questa è l’epoca in cui le imprese dovranno mettere le persone al centro dei sistemi, e le aziende possono essere un’eccellente punto di mediazione tra la società civile e il mondo istituzionale, rivelandosi un potente acceleratore nel riuscire a guidare il cambiamento.

L’emergenza sanitaria e del mercato del lavoro non hanno fatto altro che risaltare ancora di più le criticità dei brand che non si dimostrano sostenibili e responsabili sia all’interno, sia all’esterno, in un’ottica di cittadinanza reale.

giovane al lavoro

LEGGI ANCHE: I consumatori chiedono un nuovo brand activism fatto di azioni concrete

Il progresso tecnologico ha già evidenziato, negli ultimi decenni, quanto il “personale” abbia rappresentato sempre più una difficoltà all’innovazione e al cambiamento per tutta l’organizzazione; con la “svolta” pandemica, si è evidenziato ancora di più quanto l’efficienza sia strettamente correlata all’efficacia, ma anche al benessere psico-fisico e alla capacità di trasformazione che gli individui riescono a praticare sul lavoro.

Stando all’ultima rilevazione Gartner 2021 HR Priorities Survey , l’orientamento degli HR leaders e di chi si occupa della gestione delle persone in azienda si focalizzerà infatti, nei prossimi mesi, principalmente sulla costruzione (e ri-costruzione) di critical skills per il 68% degli intervistati, accompagnata dall’esigenza complementare di effettuare azioni di change management e design organizzativo con priorità superiore al 40% del campione.

Sullo sfondo, ma non troppo, l’esercizio di re-immaginare il futuro del lavoro e l’“employee experience”, vista la rivoluzione epocale che si sta consumando a partire dall’emergenza sanitaria e che continuerà il suo percorso nella trasformabilità.

Il suono delle priorità per il mondo HR nell’articolato cammino verso il “new normal” è così composto da buzzwords che si sentono risuonare ormai continuamente nei corridoi (virtuali e non) delle aziende: smartworking, digital awareness, reskilling, inclusion e ripensamenti della leadership.

Ovviamente smartworking per ripensare la vita professionale in maniera più “intelligente”, digitalizzazione delle competenze per potenziare l’apporto umano che le nuove tecnologie possono dare al lavoro, employability o re.skilling per riformulare le competenze e i ruoli in azienda. Tutte azioni che hanno come denominatore comune la reattività al cambiamento continuo, l’“antifragilità” e la reazione iterata e proattiva all’ambiguità.

Che ruolo gioca la differenza generazionale in questo scenario

Secondo l’ultimo rapporto Deloitte Human Capital Trends 2020, il 70% delle organizzazioni afferma che guidare la forza lavoro multigenerazionale è importante o molto importante per il loro successo nel prossimo anno e mezzo, ma solo il 10% afferma di essere pronto ad affrontare questo trend.

report deloitte

In che modo l’inclusione generazionale può contribuire all’azienda? Ci sono molti modi in cui le imprese possono trarre vantaggio nell’abbracciare la diversità di culture di età differenti sul posto di lavoro. Sarà però necessario, come in tutte le battaglie di Diversity & Inclusion, passare dal mero “multiculturalismo” alla vera e propria “inclusione” che, se realmente perseguita, può apportare reali e significativi vantaggi all’organizzazione.

L’antropologa Margaret Mead, nel suo “Generazioni in conflitto” del 1972, spiegava che “Fino a poco tempo fa gli anziani potevano dire: “Vedi, io sono stato giovane, ma tu non sei mai stato vecchio”. Oggi però i giovani possono rispondere: “tu non sei mai stato giovane nel mondo in cui io sono giovane e non lo sarai mai”

Oggi, quanto mai si è allargata questa faglia che divide i mindset culturali delle persone, soprattutto laddove convivono abitualmente, ad esempio, sul luogo (fisico o virtuale) di lavoro.

In prima battuta, appaiono evidenti alcuni ritorni positivi immediati di questo approccio. Sicuramente per ciò che concerne la capacità di problem solving, (ogni generazione ha un approccio diverso nella risoluzione dei problemi e avere una forza-lavoro intergenerazionale può diventare  utile nel momento in cui si devono identificare potenziali soluzioni e nuovi modi di affrontare i problemi), di ascolto e comprensione dei target di comunicazione (ogni generazione è davvero unica, il che è avvantaggia l’organizzazione che può comprendere meglio i diversi destinatari che sta cercando di raggiungere), di opportunità di apprendimento (attraverso l’incontro generazionale, i dipendenti possono insegnare e imparare a vicenda nuovi modi di affrontare le cose e sistemi più efficienti di fare business) e di mentoring (che aiuta i dipendenti ad acquisire nuove competenze e informazioni, ma migliora anche il metodo di lavoro fianco a fianco).

Proviamo ad approfondire alcune keywords che sono annotate nell’agenda di chi si occupa di persone nell’organizzazione in questo momento storico:

RESKILLING

La forza lavoro attuale nelle aziende comprende le consuete 4 categorie generazionali (Baby Boomers, Generazione X, Millennial e Z Gen), è si può intuire facilmente quanto siano differenti le competenze che l’organizzazione, e gli employee stessi, vogliano accrescere nel corso della vita professionale. Contrariamente a quanto può sembrare, le nuove generazioni non sono interessate a sviluppare skills verticali e tech-driven, quanto abilità comunicative, relazionali, di creatività e gestione del tempo e delle proprie performance.

Contemporaneamente, molti employee stanno diventando molto più consapevoli e diretti rispetto alla formulazione dei reali fabbisogni formativi ed è facile scoprire quanto queste necessità formative inizino a convergere, indipendentemente dall’appartenenza ad una generazione o ad un’altra.

Lindsay Pollak, nel suo ultimo volume “The Remix: How to Lead and Succeed in the Multigenerational Workplace” (2019) segnala che più osserviamo le generazioni sul posto di lavoro, più somiglianze troviamo in ciò che le persone vogliono dal lavoro: purpose, scope, leadership comprensiva [“gentile”, nda], crescita e sviluppo professionale; tutti pilastri che non mutano. Ciò che cambia è il modo in cui ogni generazione esprime questi bisogni e le aspettative che vi sono riguardo al soddisfacimento da parte delle organizzazioni.

Leggere le necessità di re-skilling o di up-skilling con la lente generazionale inclusiva può permettere alle organizzazioni di trovare “in casa” diverse opportunità di mutuo scambio e apprendimento bi-direzionale tra giovani e adulti sul lavoro, o nella costruzione di percorsi di learning&development condivisi, senza barriere di età.

in ufficio

DIGITAL AWARENESS

Negli ultimi anni la consapevolezza che la Quarta Rivoluzione Industriale avrebbe riformulato completamente il concetto di lavoro nelle organizzazioni è stata lampante. Il mercato del lavoro del futuro dipinto dal World Economic Forum rappresenta da tempo la mutazione di settori e ruoli a partire dall’ingresso dell’automazione, della robotica e delle intelligenze artificiali nei processi produttivi. Ma, per le politiche di formazione delle persone in azienda, non si tratta di potenziare unicamente conoscenze e abilità.

La “terapia d’urto” della pandemia ha permesso a molti “laggards”, reticenti al cambiamento tecnologico, di fruire con maggiore destrezza di molti strumenti di comunicazione virtuale, soprattutto tra i più adulti.

La maturità digitale, però, non deve prevedere solo consapevolezze, ma anche un vero e proprio cambio di mindset, che può essere differente a livello generazionale. Per un giovane nativo digitale serve un maggiore critical thinking sugli strumenti che conosce e utilizza con una certa spontaneità, mentre per un adulto significa rendere ibrido il senso critico cresciuto nell’ambiente analogico con una maggiore consapevolezza sulle modalità di fruizione e utilizzo del digitale.

La Web Literacy (come viene declinata da Mozilla) ovvero saper leggere, scrivere e partecipare online è un’abilità fondamentale, ma lo è altrettanto la Mentalità Digitale, fatta del conoscere e valutare i contesti informativi, capire le implicazioni che la “digitalità” apporta per le persone e per il business, comprendere le dinamiche di interazione e relazione virtuale, assumere uno stile di lavoro aperto, collaborativo e delocalizzato, nonché conoscere gli aspetti di cybersecurity e del rispetto del proprio benessere psico-fisico collegato agli strumenti tecnologici (digital wellbeing).

Il livello di potenziamento della padronanza digitale può quindi accelerare vistosamente se si introduce l’inclusione generazionale come mezzo per fondere insieme i due mindset.

SMART WORKING

Come sappiamo, non si tratta di riformulare solo i luoghi e i tempi di lavoro, ma di ri-disegnare processi e obiettivi che convergano verso un nuovo mindset e una cultura del lavoro “smart”.

Anche qui le richieste da parte di employee di diverse generazioni iniziano a convergere rispetto alla ricerca di flessibilità degli orari e al contempo l’applicazione di un “remote working” che non sia proprio “duro e puro”: fino allo scorso anno sembrava essere una prerogativa dei più giovani, oggi questi principi valgono per una popolazione aziendale più ampia.

Perché coinvolgere giovani e adulti insieme nella definizione dello smart working? Perché sono loro che fruiranno dei luoghi e degli stili di lavoro nel futuro anche meno prossimo, veicolando l’intenzione di rinnovare il concetto di workplace attraverso nuovi modi di concepire gli ambienti di lavoro (da Head-Quarter ad Hub-Quarter, ad esempio), l’importanza che rivolgono alla mentorship dei colleghi senior e all’interazione efficace con i team di lavoro.

Come rilevato dall’Osservatorio One Day 2020 “Smart Working: il punto di vista di GenZ e Millennials” il 50% dei giovani intervistati si dichiara entusiasta dello smart working, mentre un 40% possiede un’opinione più articolata credendo sia un’opportunità se affiancata comunque al lavoro e alla formazione in ufficio.

Il 72% degli intervistati non vuole rinunciare all’ufficio, a patto che la sua funzione e i processi di lavoro vengano rivisti. Gli uffici del prossimo futuro dovranno essere luoghi in grado di promuovere la creatività, un approccio informale, la convivialità e il confronto: tutti principi di inclusione culturale su cui vale la pena insistere per proseguire nella trasformazione organizzativa.

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LEADERSHIP

Per anni c’è stato un visibile pregiudizio generazionale, soprattutto nei confronti dei Millennial, dipinti come generazione pigra, in cerca di attenzione, narcisista, che richiede un coaching costante, un feedback continuo e tante rassicurazioni sul lavoro.

La lettura è che probabilmente le nuove generazioni vorrebbero dei mentor più che dei manager. Semmai, questo bisogno di appagamento, questo desiderio di un purpose “alto”, ha a che fare molto con l’incertezza: i giovani desiderano fisiologicamente una guida e un senso dell’orientamento, soprattutto in un momento storico dove l’incertezza economica, sociale, sanitaria, è l’unica costante.

Una revisione della leadership e della managerialità verso i principi “agili” può diventare in questa ottica un importante passo di avvicinamento tra generazioni. Uno dei punti cardine dell’Agile è la realizzazione delle persone sul lavoro a partire anche dal singolo individuo.

manager

Far prendere consapevolezza alla persona di ciò che può fare e diventare all’interno dell’organizzazione è difatti uno dei pilastri dell’approccio. Esistono responsabilità condivise da gestire e per questo motivo le persone devono sapere con precisione di cosa si devono occupare e per quale motivo, con un aumento significativo della responsabilità, della trasparenza e della sicurezza psicologica da parte degli employee di tutte le età.

Tornando alla metafora iniziale, una caratteristica del sistema tecnologico di telefonia mobile 5G è il network slicing: si tratta di un’architettura di rete che consente di definire sulla stessa infrastruttura fisica un insieme di reti virtuali tra di loro indipendenti in grado di funzionare contemporaneamente, con grande efficienza e senza disturbi, come se avessero ognuna una propria rete fisica.

E in questa immagine ci sono diverse analogie con le pratiche Agile che, interpretate per il contesto delle Risorse Umane, possono instillare nuove visioni di funzionamento dei gruppi di lavoro e delle funzioni aziendali che, interrelate fra loro, mantengono un alto grado di responsabilizzazione e autonomia.

EMPLOYEE BRANDING, EXPERIENCE & INCLUSION

Parlare di attrattività di persone competenti per l’azienda significa inevitabilmente considerare l’employee experience e l’influenza che il contesto esercita sul singolo individuo. Kurt Lewin diceva che B = f(PE), ovvero il comportamento (e la cultura di un’azienda) degli individui è frutto della dinamica che si instaura tra la persona e l’ambiente.

Rendere il workplace aziendale un luogo di inclusione generazionale permette di trasmettere e veicolare valori e cultura aziendale attrattiva per le nuove generazioni.

Come riporta il “Linkedin Global Talent Trends 2020”, i fattori più importanti che sono percepiti quasi in egual misura da generazioni junior e senior sono proprio gli aspetti culturali e di ispirazione, molto più di un purpose sostenibile e “alto”.

Non bisogna comunque dimenticare che, unitamente alla costruzione di una learning organization intergenerazionale, sarà sempre utile fare riferimento a modelli autentici e trasparenti di narrazione della vita di azienda e al caring nei confronti di tutti gli stakeholder che si trovano al di fuori dei confini aziendali in termini di sostenibilità, cittadinanza e territorialità, per trasmettere cultura e valori aziendali che rappresentino una cultura inclusiva tout-court.

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Tutto questo per dire che la strada per il dialogo e l’ibridazione tra esperienza e innovazione, nel mondo People&Culture, è appena iniziata, basterà seguire attentamente le indicazioni dell’inclusione tra generazioni.