Trovare in un anno così complesso grandi opportunità di innovazione e di dialogo. Scoprire nuove prospettive da cui guardare il mondo e il business. Ci hanno insegnato questo prima di tutto gli illimity Talk che hanno costellato questi mesi vissuti all’insegna del digitale e che si chiudono con un ultimo appuntamento il prossimo 14 dicembre.
“Let’s talk about space”, il titolo dell’evento che vedrà due esploratori confrontarsi sul loro percorso di vita e sul momento che stiamo vivendo.
Il 14 dicembre all’interno di StartupItalia Open Summit l’illimity talk let’s talk about space affronterà un tema davvero affascinante insieme a Roberto Vittori, astronauta e generale dell’esercito, e Corrado Passera, founder & CEO di illimity, in collaborazione con Formiche.
Si partirà da alcune domande chiave per scoprire cosa lo spazio e la vita tra le stelle può insegnare nella vita, nel lavoro e nel business:
Da dove nasce la voglia di guardare oltre e come si alimenta?
Quali competenze servono per affrontare lo spazio e il nuovo mondo del lavoro?
Come gestire le relazioni in spazi molto piccoli?
Se nell’ultimo anno il digitale ha vissuto un’accelerazione senza precedenti, ed è servito per lavorare, socializzare, studiare, intrattenerci, insomma per vivere e restare in contatto con il mondo, oggi possiamo guardare oltre. E l’illimity Talk ci porterà proprio lì, nel futuro, nello spazio.
Uno spazio inteso come universo sì, ma anche come concetto grazie al quale approcciarsi a un mondo del lavoro che sta cambiando in modo sempre più veloce e che non sarà mai più come prima.
Lo spazio raccontato da illimity
Ci porterà oltre i confini per guardare il mondo da lontano e farci riflettere sul futuro Roberto Vittori, astronauta dell’Agenzia spaziale europea (Esa) ed attuale addetto alle questioni spaziali a Washington. Il generale ha al suo attivo tre voli a bordo della Stazione spaziale internazionale, come pilota collaudatore ha accumulato circa 2.500 ore di volo su cinquanta differenti tipi di velivoli, elicotteri e alianti.
Accanto a lui, Corrado Passera, CEO di illimity, laureato in Economia alla Bocconi, ha improntato il suo percorso professionale sulla sfida per l’innovazione: da Olivetti ad illimity, passando per Poste, Intesa Sanpaolo e l’incarico di Governo. È oggi CEO della banca di nuovo paradigma.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/12/illimiti-talk-space.jpg5531229Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-12-10 12:00:342020-12-09 16:51:01Guardare oltre i confini: cosa possiamo imparare sul business da un astronauta
Lavorare presso il quartier generale ad Hangzhou significa affrontare difficoltà e differenze iniziali rispetto al sistema di lavoro europeo
Come fare per comprendere il mindset cinese e creare collaborazioni lavorative? Partiamo da uno sguardo sul gigante dell’eCommerce asiatico
Negli ultimi anni abbiamo scoperto AliExpress, il gigante dell’eCommerce asiatico controllato da Alibaba Group. AliExpress unisce imprese cinesi e offre un servizio di vendita al dettaglio a un mercato internazionale, rivolgendosi prevalentemente a compratori europei.
Per comprendere a fondo la cultura cinese ed addentrarci nel cuore di Alibaba abbiamo intervistato Gianluca Fracasso, Senior Content Manager italiano, che attualmente lavora presso il quartier generale ad Hangzhou (China). Gianluca ha raccontato le difficoltà e le differenze iniziali riscontrate rispetto al sistema di lavoro europeo, ha svelato gli elementi fondamentali per comprendere il mindset cinese e ha dato alcuni spunti sul marketing con qualche ipotesi anche su un’improbabile collaborazione con TikTok (ByteDance).
Dall’Europa alla Cina: ecco cosa cambia davvero
Raccontaci cosa fai in Alibaba e come sei arrivato in Oriente
«Attualmente lavoro in Alibaba come Senior Content Manager per una delle nostre app internazionali – AliExpress -, mi occupo con il mio team della localizzazione e UX design, in diversi formati multilingua. Sulla nostra piattaforma puoi trovare diverse promozioni come 11.11 (Single’s Day) e Black Friday – ma sperimentiamo anche format nuovi come giochi online, social e live-streaming.
Lavoro in Cina stabilmente dal 2011. Nei miei primi anni ho lavorato nella pubblicità per agenzie di diverse dimensioni, da agenzie boutique di branding & design, fino a realtà più complesse come Dentsu Aegis dove nel 2015 ho cominciato a occuparmi di Digital Strategy ed eCommerce.
Tecnologia a parte, ho sempre avuto una passione per lingue e culture orientali. Poco più che ventenne ho fatto il primo viaggio in Cina (nota: non fu un grande successo), ma dopo un secondo viaggio zaino in spalla ho praticamente deciso di “mollare tutto” e cominciare a coltivare una carriera in Cina. Il General Manager di una piccola agenzia cinese di Marketing & PR ha avuto la pazza idea di assumermi ed è cominciato tutto da lì».
Quali sono state le prime difficoltà che hai riscontrato in Asia?
«Sicuramente lingua e cultura, che sono due elementi imprescindibili per avere un buon impatto con l’Asia. La lingua cinese è un elemento importante per capire comportamenti ma anche il mindset cinese. E purtroppo si tratta di una lingua molto ardua, dalle molte sfumature.
Adattarsi alla cultura locale di conseguenza non è facile: non vuol solo dire capire usanze e storia del luogo, imparare a usare WeChat e studiare la filosofia confuciana… Vuol dire capire come funziona il sistema Cina, come vengono organizzate le aziende locali, e i processi di decision-making, la leadership, le relazioni sociali, e la strategia degli ecosistemi come Alibaba, Tencent.
Questo è davvero difficile in Cina, e a parere mio il percorso vincente non è cercare di competere o “dominare” contro i colleghi cinesi – anche perché è oramai impossibile – ma cercare di collaborare e imparare dal loro modus operandi».
Quali sono le differenze socio culturali con l’Europa?
«La Cina ha una forte propensione al digitale, i cittadini sono giovani e intraprendenti. Il governo centrale ha una posizione molto stabile e radicata, il che permette di pianificare lo sviluppo strategico in cicli quinquennali. Questo è più difficile per le piccole democrazie occidentali. Insomma, ci troviamo in un momento di forte apertura mentale e ottimismo verso il “futuro”.
Questa è una cosa in cui alcuni paesi europei sono rimasti indietro, perché provenienti da molti decenni di benessere economico e sociale. In un certo senso, in Europa c’è una più forte tendenza a guardare e studiare il passato.
La Cina può inoltre contare su una forte identità collettiva, che si da anni si è sviluppata all’estero anche in America & Europa. Per questo esistono grosse comunità satelliti anche a Singapore, San Francisco, Londra, etc.
Ti cito un aneddoto – quando ho cominciato a lavorare in Cina, il mio primo capo e mentore cinese mi disse una cosa interessante:
“In Europa, il governo è povero, e i cittadini sono affluenti. In Cina, il governo è ricco e potente, ma i cittadini sono poveri…”
Ovviamente si tratta di una battuta, e le cose sono piuttosto cambiate negli ultimi dieci-quindici anni (il GDP pro-capite adesso è in rapida ascesa). Ma penso ci sia un fondo di verità, che può provare a spiegare le differenze socio-economiche fra la “piccola” Italia e il gigante che è oggi la Cina».
Business e lavoro in Cina, da Alibaba a TikTok
Quale consiglio daresti a chi come te vorrebbe lavorare in aziende cinesi?
«Considera attentamente quali sono le tue vere motivazioni e inclinazioni. Lavorare in un’azienda cinese in Cina non è decisamente per tutti, comporta sacrifici e molte sfide. Si tratta di un paese lontano, in transizione, non ancora pronto alla multiculturalità.
Allo stesso tempo non bisogna avere paura del diverso; un sacco di aziende cinese sono attive con uffici in Europa, e l’atmosfera di lavoro è spesso amichevole e informale, molto più che in alcune organizzazioni più tradizionali. Questa è un’ottima opportunità per chi vuole saperne di più sulla Cina, senza necessariamente essere sempre in loco.
Individua un settore di tuo interesse, e comincia a cercare opportunità per proporti e collaborare. Cerca di creare un piano d’azione… e buttati!»
Credi che TikTok potrebbe avviare delle collaborazioni con Alibaba o Aliexpress nel prossimo futuro effettuando campagne di marketing all’interno?
«Al momento TikTok & Alibaba sono due ecosistemi diversi, e in competizione. Quindi Alibaba non ha un forte interesse a portare traffico e condividere dati con TikTok – e viceversa. Vedo la collaborazione (nel senso di partnership strategica) abbastanza difficile.
Entrambi stanno cercando di integrarsi con altre piattaforme minori, per sopperire ai propri punti di debolezza. In questo senso, TikTok ha cominciato a collaborare con Shopify, per poter offrire un touch point di vendita e-commerce sulla propria app.
Viceversa, Alibaba ha bisogno di Facebook & Instagram per avere visibilità “social” verso gli utenti internazionali. In questo senso sì, Alibaba sta cercando di studiare il formato del “short video” e degli influencer di TikTok. Attualmente stiamo cercando di avvicinarci a influencer internazionali, con il fine ultimo di portare più traffico sui nostri canali, ovviamente.
Per esempio in occasione dell’11.11 abbiamo collaborato con Chiara Ferragni su diversi contenuti, post e live streaming – ma questo ha principalmente avuto luogo su Instagram, che per il momento resta il social più adatto a questo tipo di attività.
Seguendo questa direzione, gli influencer di AliExpress potrebbero idealmente monetizzare i loro contenuti, sponsorizzati dai venditori della nostra piattaforma».
Quale percorso di studi hai fatto per lavorare in queste realtà?
«Ho studiato storia e cultura di Cina e Giappone, quindi non ho un titolo di studio estremamente tecnico. Ho poi integrato gli studi in Italia con un periodo di studio e viaggi in Cina, e un corso di marketing in Inghilterra, il che è stato piuttosto utile.
Anche viaggiare da solo in Cina è stato molto formativo… la chiamerei la Università delle “esperienze”. Questo background misto mi ha permesso di arrivare qui con una buona preparazione culturale e psicologica.
Tuttavia lo scenario di business/marketing è molto diverso dalle realtà occidentali, e questo aspetto va quindi imparato sul campo».
Raccontaci la tua giornata di lavoro, come si svolge e che orari e mansioni svolgi?
Come anticipavo in apertura, il nostro team creativo gestisce i contenuti dell’app di AliExpress – localizzata in 18 lingue. Il che vuol dire seguire un fitto calendario di promozioni e attività di marketing. Abbiamo un piccolo team in-house, per facilitare la comunicazione all’interno del quartier generale, dove il cinese è la lingua principale.
Allo stesso tempo, ci affidiamo ad agenzie e copy writers freelance sparsi in tutto il mondo – abbiamo un team a Shanghai e in altri stati esteri. Negli ultimi mesi mi sono occupato di migliorare i nostri processi per la localizzazione, il che ha anche richiesto di assumere e addestrare nuovi collaboratori, durante la crisi del Covid-19.
Impostiamo il nostro lavoro secondo OKR (Objectives & Key Results) e investiamo su progetti solo se ci sono dati numerici a supportare la strategia di business. Per esempio quest’anno c’è una forte tendenza alla gamification e live streaming, con l’obiettivo di aumentare i volumi di vendita sulla nostra app.
Adottiamo uno stile di lavoro abbastanza agile – poche email e molta messaggistica istantanea – e utilizziamo in maggioranza strumenti di lavoro creati da noi stessi in Alibaba – il che ci permette di collaborare facilmente, in alcuni casi anche da remoto.
Ovviamente persistono alcune sfide, legate al nostro ruolo di designers occidentali in una azienda dominata da ingegneri e tecnici cinesi. Ma questo è dopotutto parte dell’esperienza di lavorare in un gruppo complesso come Alibaba!»
Disclaimer: “le opinioni contenute in questa intervista sono di natura personale, e non rappresentato le posizioni ufficiali dell’azienda”.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/12/Gianluca-Fracasso-Alibaba-2.jpg16382336Michele Miconihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMichele Miconi2020-12-09 17:08:272021-01-05 16:07:03Alibaba e la cultura Cinese, raccontate dal Senior Content Manager di AliExpress
Albert Einstein, parlando del concetto d’infinità, credeva che due cose fossero infinite: l’universo e la stupidità umana, ma se fosse vissuto ai giorni nostri, probabilmente avrebbe inserito anche Internet. Viviamo in un mondo sempre più connesso e sempre più alla portata di tutti. Vogliamo fare una ricerca? Basta digitare delle parole su Internet e davanti a noi si aprono una moltitudine di soluzioni.
Parole, immagini e suoni si fondono creando un universo digitale facilmente consultabile. Ogni curiosità è svelata, ogni domanda potrebbe avere la risposta tanto cercata. Il web ci permette di conoscere tutto, o quasi, e di rimpicciolire i confini. Tutti possiamo essere, in qualche modo su Internet, e questo vale soprattutto per chi vuole promuovere il proprio brand.
PMI e professionisti: perché è così difficile essere online
La maggior parte delle piccole e medie imprese e i professionisti faticano a far emergere il proprio brand perché il mondo del lavoro è saturo e la competizione con la concorrenza è ardua, a volte spietata. Ognuno cerca di far conoscere il proprio nome, di pubblicizzare il ventaglio di servizi che ha da offrire, i prodotti che vende, ma spesso gli sforzi che si fanno sono vani. Sono tanti i problemi a cui vanno incontro le aziende oggi, anche perché viviamo un periodo delicato sotto tanti aspetti.
Il mondo è sempre più veloce, complice i grandi passi avanti della tecnologia, e sono tante le PMI che non riescono a star dietro a tutti questi cambiamenti. Ma se l’evoluzione è adattamento, le aziende e i professionisti devono imparare a navigare nel mare del web se vogliono finalmente emergere e imporsi rispetto agli altri.
Creare la propria identità digitale
Certo essere online è fondamentale, lo sanno tutti, ma non conta solo esserci, bisogna costruire la propria identità digitale con gli strumenti giusti. Ci sono così tanti servizi da poter utilizzare che non si ha la più pallida idea di quale scegliere.
Ma non temete, partiamo con ordine.
Per prima cosa bisogna creare un sito web professionale, il nostro biglietto da visita multimediale che ci permetterà di farci trovare su Internet da chiunque grazie ai motori di ricerca e a delle parole magiche chiamate parole chiave. Ma come facciamo a realizzarne uno senza combinare disastri?
Abbiamo sostanzialmente tre possibilità:
affidarci alle mani esperte di professionisti tramite una web agency tradizionale
cimentarsi da soli nell’ardua impresa
rivolgersi a Register.it e alle sue soluzioni smart e personalizzate
Smart Site: un modo semplice e smart per creare il proprio sito web
Smart Site è uno strumento facile da utilizzare, uno dei servizi di punta offerti da Register.it per dar vita al proprio sito web in modo semplice, personalizzato e intelligente. Ovviamente affidarsi a un’agenzia web tradizionale è un’ottima soluzione, ma non è detto che sia la scelta giusta per tutti.
Come funziona Smart Site?
È un servizio unico e innovativo, non dobbiamo far altro che raccontare al team Register.it il nostro brand e i nostri prodotti e come vogliamo sia il nostro sito web. I loro professionisti, in base alle informazioni ricevute, realizzeranno un sito semplice e intuivo, ma soprattutto veloce, le pagine si caricano in pochi secondi ed è ovviamente responsive, ossia si adatta a qualsiasi device da cui il sito verrà visualizzato.
Il sito web sarà flessibile, quindi possiamo modificare, aggiungere e implementare qualsiasi cosa, anche grazie all’editor “drang and drop”, un modo semplice di apportare modifiche tramite il rilascio dell’oggetto e non la creazione di un codice sorgente.
La piattaforma si aggiorna costantemente e quindi il nostro sito sarà sempre attuale e mai obsoleto, una cosa da non sottovalutare. Dulcis in fundo, i costi sono minimi rispetto a quelli di una web agency tradizionale.
Ma non è tutto. Dopo aver creato un sito internet, abbiamo bisogno di consolidare e far crescere la nostra presenza online. Un sito non basta? È un ottimo punto di partenza, certo, ma dobbiamo fare un altro piccolo sforzo e, anche qui, Register.it ha la soluzione per noi.
Web marketing: aumentare la visibilità del tuo sito
Il web marketing è fondamentale per far crescere il proprio business online, ma cosa prevede?
Include diverse attività che permettono di migliorare il posizionamento sui motori di ricerca o fare pubblicità su Google Adwords e sui social network, altri strumenti da tenere in considerazione perché aiutano a creare rapporti diretti con i clienti e potenziali clienti.
Google my business è un prodotto incluso nell’offerta Smart Site e ci permette di dare visibilità al nostro sito e alla nostra attività attraverso gli strumenti di web marketing fornendoci una marcia in più rispetto ai nostri competitors, ottenendo risultati inimmaginabili.
Inoltre è un’opportunità anche per essere trovati nella nostra zona di riferimento perché ci consente di essere presenti sulle mappe e sul motore di ricerca quando i clienti cercano e digitano il nome della nostra attività o attività simili.
Essere presenti online in modo professionale è sempre più importante, ma possiamo farlo diversamente, in modo smart e innovativo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/12/sito-web-smart.jpg501751Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-12-09 12:30:072020-12-10 05:54:19Sito web o non sito web? Fallo smart! Essere online non è mai stato così semplice
Frontiers Health è una delle principali conferenze globali sulla digital health. L’edizione 2020 si è appena conclusa, con un innovativo format ibrido che ha affiancato lo streaming globale a local hub fisici
La pandemia ha chiarito, ancora una volta, che non può esistere economia, e di conseguenza società, senza salute
Oggi essere parte dell’ecosistema internazionale della Salute Digitale vuol dire assumere la responsabilità e il compito di trasformare la salute e l’assistenza sanitaria per realizzare un futuro più umano, ovvero sostenibile, accessibile ed equo.
La pandemia ha chiarito, ancora una volta, che non può esistere economia, e di conseguenza società, senza salute. È sempre più evidente come il digitale sia uno strumento strategico che faciliti e, in molti casi, favorisca il rapporto medico-paziente, garantendo così la continuità dell’accesso alle cure non solo per i pazienti Covid, ma anche per tutte le altre patologie i cui trattamenti e terapie sono attualmente stravolti, per cui occorre ripensarne le prospettive.
Un momento importante di dibattito e confronto sul prossimo futuro della salute è stato Frontiers Health, conferenza internazionale sull’innovazione in ambito sanitario, la cui quinta edizione si è tenuta lo scorso 12 e 13 Novembre 2020 con la partecipazione, sia fisica che virtuale, di oltre 1.000 esperti in ambito globale.
Frontiers Health è riconosciuta come una piattaforma unica di discussione su cui le innovazioni nei diversi settori stanno convergendo, provocando una trasformazione radicale. In questi mesi di incertezza, il team di Healthware, co-host della conferenza, ha lavorato in maniera sinergica con il gruppo di lavoro di Frontiers Health per dar vita ad un’edizione 2020 che fosse ibrida e riuscisse a conservare il suo carattere distintivo di “piattaforma”.
Attraverso la collaborazione con partner internazionali siamo riusciti a combinare lo streaming globale online con eventi e attività svolte in presenza in local hub dislocati in diversi Paesi tra cui Italia, Germania, Finlandia, Malta, Spagna, Svizzera e USA. Ogni hub ha avuto un proprio focus tematico: Berlino si è concentrata, ad esempio, suii progressi tedeschi alla luce del Digital Healthcare Act; Losanna ha approfondito il tema degli studi clinici virtuali, mentre Helsinki sulle ultime conquiste finlandesi nello sviluppo del vaccino per il Covid-19 e su altre soluzioni innovative. In Italia, come lo scorso maggio in occasione dell’edizione “Fight the pandemic”, l’ Healthware Life Hub di Salerno ha curato la regia del programma dell’intera conferenza.
Quest’edizione 2020 è stata per molti motivi diversa dalle altre a cui finora ho partecipato come Chairman, ma è stato solo un modo diverso di per raggiungere gli stessi obiettivi: scambiare sapere e conoscenza, imparare, ispirarsi e legarsi come community. Non dobbiamo infatti dimenticare, noi attori della filiera dell’innovazione, che l’obiettivo finale della salute digitale è umanizzare l’assistenza sanitaria democratizzando l’accesso, ridisegnando intorno al paziente e rendendo la salute più importante della cura stessa. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo bisogno di una grande spinta collettiva piena di energia, scopo, capacità di scalare ed empatia.
Più di 250 relatori protagonisti di Frontiers Health, tra CEO e fondatori di startup e scale-up, leader del settore delle Life Science, professionisti della salute, investitori e policy maker che hanno contribuito attivamente a generare opportunità, condividere best practices di successo e produrre conoscenza a beneficio di tutta la comunità internazionale della Salute Digitale. Focus dell’agenda 2020, senza dubbio, la riflessione su come digitalizzare l’assistenza sanitaria per le persone e renderla un pilastro del prossimo futuro, non solo nell’ambito di azione specifica, ma per l’intera società.
I tanti keynotes e gli oltre 60 diversi momenti tra masterclass, tavole rotonde e deep dive hanno fornito una panoramica esaustiva delle innovazioni sanitarie digitali. I principali temi discussi si sono concentrati su sviluppo delle terapie digitali, necessità di politiche sanitarie per promuovere l’innovazione, sperimentazioni cliniche virtuali ad alta tecnologia, soluzioni avanzate centrate sul paziente basate sull’IA (intelligenza artificiale) e sulla realtà virtuale, strategie di investimento e applicazioni della Scienza dei dati in ambito sanitario.
La conferenza è stata aperta dal Dr. Gottfried Ludewig, Direttore Generale Digitalizzazione e Innovazione del Ministero Federale della Salute tedesco, che ha spiegato quanto la salute digitale sia un tema centrale della Presidenza tedesca del Consiglio dell’UE e in Germania, con focus su terapie digitali e l’European Data Space per la circolazione in sicurezza dei dati sanitari in Europa.
A contraddistinguere l’evento una line-up di speaker di altissimo livello tra cui David Benshoof Klein – CEO di Click Therapeutics; Jeff Dachis – CEO e fondatore di OneDrop; Carlos Nueno – Presidente di Teladoc International; Grace Park – Co-fondatrice e Presidente di DocDoc; Kuldeep Singh Rajput – CEO e fondatore di Biofourmis; Andrew Thompson – Amministratore Delegato di Spring Ridge Ventures; David Van Sickle – CEO di Propeller Health.
Dalle storie e dai case history di ciascuna company è emerso fortemente come le tecnologie ci consentano di ripensare la prevenzione, le terapie, l’assistenza sanitaria alla luce della trasformazione digitale e della potenza dei dati. Allo stesso tempo il lavoro di medici e dei professionisti della salute sarà potenziato dalle tecnologie, con la possibilità per il singolo paziente di avere accesso ad un percorso di cura specifico e personalizzato rispetto alle proprie esigenze.
Ampio spazio, come per ogni edizione di Frontiers Health, alle presentazione di startup digitalida tutto il mondo impegnate nella ricerca di soluzioni al Covid-19 e nella gestione di tutte le altre patologie con tecniche innovative di digital health.
Previste 10 sessioni di Startup Discovery virtuali che hanno visto la partecipazione di 50 start-up e scale-up specializzate in terapie digitali e biomarkers, mental health, telemedicina, monitoraggio da remoto, monitoraggio delle malattie e analisi predittiva, diagnostica e rilevamento delle patologie, virtual trials, realtà virtuale, genetica e genomica personale.
Tra le company partecipanti anche l’italiana Paginemediche, rappresentata dal Dr. Emanuele Urbani, medico di Medicina Generale che ha illustrato l’impegno della startup, sin dai primi giorni dell’emergenza sanitaria, nel supportare professionisti del settore medico e pazienti con chatbot per il triage, visite a distanza e telemonitoraggio. Ad oggi sono oltre 11.000 i medici connessi in Italia che hanno gestito oltre 245.000 pazienti con Covid-19 utilizzando la piattaforma Paginemediche. Molte altre le startup italiane presenti all’evento, tra cui PatchAi, 1000Farmacie, ComfTech, GenomeUp, Empatica, Movendo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/12/ascione-frotiers-health.jpg644967Roberto Ascionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRoberto Ascione2020-12-04 13:10:212021-01-05 16:08:52Frontiers Health 2020: accelerazione globale della Salute Digitale ed ecosistema innovazione in risposta alla pandemia
Le aziende devono riconsiderare le strategie relative alle risorse umane
La produttività non è stata ostacolata, ma molti dipendenti e collaboratori hanno difficoltà a comunicare in un ambiente distribuito e ibrido
Molti dirigenti sono chiamati a far fronte alle fluttuazioni della domanda, a sostenere i dipendenti nel lavoro a distanza
Parlare di incremento dello Smart Working in epoca di Covid-19 è quasi una banalità, più che altro il focus va posizionato sulla qualità del lavoro da casa, a prescindere dalla posizione geografica nella quale ci si trova, la keyword di questa transazione è la sostenibilità.
La gestione della forza lavoro remota su larga scala è una sfida. I business model non erano programmati al repentino passaggio del lavoro distribuito. Per sostenere questo modello professionale, le aziende devono riconsiderare le strategie relative alle risorse umane e ai processi interni consentendo il successo dei dipendenti, in qualità di e Key Performance Indicator e soddisfazione personale.
In merito a ciò sono stati resi noti i dati della ricerca di IBM Institute for Business Value e Oxford, studio inerente l’arco temporale: aprile – luglio 2020.
Ma cosa include la sostenibilità lavorativa? Vediamo insieme alcuni quesiti
Ogni lavoratore ha una serie unica di sfide in base alle proprie circostanze casalinghe. Nonostante le difficoltà, il lavoro quotidiano deve continuare. I dati dello studio indicano che la produttività non è stata ostacolata, ma molti dipendenti e collaboratori hanno difficoltà a comunicare in questo ambiente distribuito e ibrido. Un crescente numero di risorse si rivolge ai leader aziendali per aggiornamenti più chiari e una condivisione delle informazioni semplificata.
Le aziende utilizzano strumenti più collaborativi?
L’adozione è aumentata. La previsione per il mese di ottobre 2020 ha stimato che il 69,0% delle aziende statunitensi con oltre 100 dipendenti dovrebbe aver utilizzato strumenti di comunicazione e collaborazione digitali. Si tratta di un aumento di 15 punti percentuali rispetto al 2019, quando il 54,0% delle aziende utilizzava in parte tali applicazioni.
Qual è il futuro del lavoro dopo il coronavirus?
La trasformazione del posto di lavoro si sta sviluppando a un ritmo rapido e plasmerà il mondo aziendale per decenni. Il futuro sarà probabilmente un modello ibrido di lavoro remoto e in ufficio in cui i dipendenti hanno una maggiore flessibilità e l’ufficio è riservato per check-in e riunioni occasionali. Alcune aziende stanno già eseguendo programmi pilota per vedere come potrebbe essere un ritorno in ufficio.
Cosa evidenzia la ricerca?
La pandemia ha plasmato molte rigidità regolamentari che ogni azienda adottava, per passare a un modello di dipendenti distribuiti in modo meno brusco. Il rapporto descrive in dettaglio le migliori strategie rispetto alle persone e ai processi per rendere sempre più sostenibile il lavoro a distanza.
Metodologia
I dati inerenti al rapporto dell’IBM Institute for Business Value e Oxford Economics intitolato: “COVID-19 e il futuro del business”, coinvolgono 3.450 dirigenti in di 22 Paese che sono stati intervistati telefonicamente tra aprile e luglio 2020 e 13.374 adulti di età superiore ai 18 anni (di 8 Paesi)
Alcuni top manager emergenti e particolarmente proattivi, intraprendono azioni volte a restare competitivi per continuare a crescere in termini di sostenibilità.
Miglioramento della scalabilità e della flessibilità operativa
La discontinuità generata dalla pandemia COVID-19 ha dimostrato l’importanza di essere preparati a gestire i cambiamenti. Molti dirigenti sono chiamati a far fronte alle fluttuazioni della domanda, a sostenere i dipendenti nel lavoro a distanza e tenere conto della necessità di ridurre i costi. Lo studio rivela anche che la maggior parte delle organizzazioni sta modificando in modo permanente la propria strategia organizzativa. Ad esempio, il 94% degli Executives prevede di adottare modelli di business platform-based entro il 2022 e molti aumentano la partecipazione agli ecosistemi e alle reti di partner.
Mettere in atto queste nuove strategie potrebbe richiedere un’infrastruttura IT più scalabile e flessibile. Gli Executive si sono già attivati su questo fronte: secondo la ricerca, la tecnologia cloud registrerà una crescita del 20% nei prossimi due anni. Inoltre, i dirigenti migreranno in cloud un numero sempre maggiore di attività, tra cui il customer engagement e il marketing.
Intelligenza artificiale, automazione e altre tecnologie esponenziali per migliorare i flussi di lavoro
La pandemia COVID-19 ha causato l’interruzione di molti flussi di lavoro tradizionali e di processi critici che erano al centro delle organizzazioni. Tecnologie come l’intelligenza artificiale, l’automazione e la sicurezza informatica possono rendere i flussi di lavoro più intelligenti, reattivi e sicuri – e hanno sempre maggiore priorità secondo i top manager intervistati. Lo studio rivela inoltre che:
La tecnologia AI avrà un ruolo sempre più prioritario, e registrerà un incremento del 20%;
Il 60% dei dirigenti intervistati ha già accelerato l’automazione dei processi e nel corso dei prossimi 2 anni questa riguarderà tutte le funzioni aziendali; gli italiani, in linea con lo scenario globale, prevedono di introdurre l’automazione in tutte le aree aziendali, con particolare riferimento a quella degli acquisti, dei rischi, della supply chain e della R&S;
Il 76% dei dirigenti intervistati prevede di dare la priorità alla sicurezza informatica, che duplicherà il valore rispetto all’attuale.
Si assiste a un incremento degli investimenti in cloud, AI, automazione e altre tecnologie esponenziali: per questo, secondo IBM, è fondamentale tenere conto delle necessità di chi ne fruisce, come ad esempio i dipendenti, garantendo un’esperienza positiva a favore di innovazione e produttività.
La sicurezza sul lavoro, che fino a 2 anni fa rappresentava una priorità per il 2% dei top manager italiani, è destinata ad accrescere progressivamente la sua importanza. Se oggi è oggetto di particolare attenzione da parte del 18% dei dirigenti italiani, si prevede che nel 2022 possa arrivare al 53%.
Guidare, coinvolgere e abilitare in modo sostenibile la forza lavoro
La ricerca rivela una rinnovata attenzione verso le persone durante la pandemia, che ha portato i dipendenti a lavorare al di fuori dei contesti abituali e affrontare situazioni di stress e incertezza.
Viene dimostrato come la pandemia abbia modificato le aspettative dei dipendenti nei confronti dei loro datori di lavoro, chiamati ad esercitare un ruolo attivo nel contribuire al benessere fisico e mentale, così come nel fornire la competenza necessaria per imparare a lavorare in modo diverso. Gli Executive collocano il benessere dei dipendenti tra le loro massime priorità.
In questo contesto secondo IBM è fondamentale la presenza di dirigenti che mettano al primo posto il benessere dei dipendenti. I leader empatici sono in grado di incoraggiare la responsabilità personale e stimolare i dipendenti a lavorare in team, applicando metodologie Agile e di Design Thinking e strumenti e tecniche di DevOps. Le organizzazioni dovrebbero anche considerare l’adozione di un modello olistico e multimediale di sviluppo delle competenze per aiutare i dipendenti a sviluppare le abilità comportamentali e le tecniche necessarie per lavorare nella nuova normalità e promuovere una cultura dell’apprendimento continuo.
Le sfide che le aziende oggi si trovano ad affrontare sono in netto aumento, ma sarà proprio il cambiamento a far aumentare i profitti e il valore dei brand, perché adattarsi alla sostenibilità del lavoro distribuito è un passo avanti che migliorerà i rapporti umani all’interno dei team e avrà ricadute positive in termini economici e sociali per tutto il Paese.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/woman-having-a-video-call-4031818.jpg426640Daniele D'Amicohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaniele D'Amico2020-12-03 17:57:492021-01-05 16:09:01La sostenibilità dei modelli di lavoro distribuito: priorità per le aziende
La proliferazione irrazionale di iper e supermercati ha portato, negli ultimi anni, alla chiusura di centinaia, se non addirittura migliaia, di piccoli negozi alimentari
La diminuzione dei salari e l’aumento del tasso di disoccupazione hanno richiesto una maggiore attenzione alla spese e una più oculata gestione del portafoglio
Fino agli anni 80′ fare la spesa nelle botteghe di paese era assolutamente normale e chi entrava in negozio, lo faceva anche per scambiare “quattro chiacchiere” con un amico oppure con un conoscente
La proliferazione irrazionale di iper e supermercati ha portato, negli ultimi anni, non solo allo stravolgimento del tessuto urbano ma anche alla chiusura di centinaia – se non addirittura migliaia – di piccoli negozi alimentari.
Le classiche “botteghe di paese”, di cui spesso sentiamo parlare, con nostalgia e rassegnazione.
L’affermazione della GDO in Italia e la spesa come necessità
Tuttavia, a favorire l’espansione e l’affermazione della GDO in Italia, a scapito delle piccole produzioni artigianali, siamo stati noi.
Proprio noi, che oggi ci lamentiamo di ciò che abbiamo perso.
In realtà, però, la nostra è stata una scelta obbligata: la diminuzione dei salari, infatti, e l’aumento del tasso di disoccupazione – soprattutto tra gli under 30 – hanno richiesto una maggiore attenzione alla spese e una più oculata gestione del portafoglio.
E la GDO, grazie al proprio potere contrattuale – di gran lunga superiore a quello delle piccole realtà commerciali – è riuscita a soddisfare questa necessità, che “fa le pulci” al centesimo.
È cambiato, dunque, il nostro modo di fare ed intendere la spesa, che da occasione di socialità è diventata attività routinaria: camminiamo a passo svelto lungo le corsie, con lo sguardo fisso sulle offerte, segnalate mediante cartellini ed etichette fluorescenti, e riempiamo il carrello di prodotti all’apparenza convenienti, della cui provenienza e composizione raramente ci interessiamo.
Insomma, ci mescoliamo tra la folla, cercando di mantenere, se possibile, l’anonimato. Un tempo, invece, la realtà era ben diversa – come i nostri nonni e genitori ci possono confermare.
Il valore sociale del “fare la spesa”
Fino agli anni 80′, infatti, fare la spesa nelle botteghe di paese era assolutamente normale.
La vita si svolgeva principalmente all’interno di piccoli centri urbani, dove ci si conosceva tutti, tanto che molte famiglie venivano identificate con soprannomi spesse volte stravaganti, legati a caratteristiche somatiche o comportamentali del capostipite.
Dunque, era difficile passare inosservati.
E chi entrava in negozio, lo faceva anche per scambiare “quattro chiacchiere” con un amico oppure con un conoscente, magari per ovviare a quella solitudine che oggi attanaglia molti di noi, nonostante le numerose soluzioni per tenerci in contatto.
Una quotidianità più semplice e, senza dubbio, meno pretenziosa di quella attuale, in cui le relazioni umane rivestivano ancora un ruolo importante, fondamentale.
Perfino con i negozianti si tendeva ad instaurare un rapporto sincero, di fiducia reciproca, che sottendeva la certezza di un buon acquisto. Poi, come vuole l’antico proverbio, il pesce grande ha mangiato quello più piccolo, e la “magia” è svanita in una nuvola di bolle.
Il riscatto dei piccoli negozi
Tuttavia, alla trama romantica – e a volte drammatica -, che possiamo costruire attorno ai piccoli negozi alimentari, dobbiamo aggiungere che, pian piano, queste realtà stanno tornando alla ribalta, anche grazie all’aumentata sensibilità delle persone verso temi come la sostenibilità ambientale e il chilometro zero.
Sempre più persone, infatti, ricercano prodotti dal gusto genuino ed autentico, provenienti da piccoli produttori locali che, alla sapienza artigianale, uniscono amore e passione per il proprio lavoro.
Un segnale, dunque, di ritorno alla semplicità, al piacere di conoscere e del mangiar bene, oltre che della socializzazione.
E anche se la GDO continuerà la propria espansione, offrendo una varietà sempre più grande di prodotti, c’è chi, nel proprio piccolo, cercherà di dare valore alle specialità regionali, soprattutto grazie alla propria personalità e alla capacità di “saper raccontare”, senza necessariamente dar adito a superflue forme di competizione.
Piccoli negozi: tra luoghi comuni e falsi miti
E se in questo periodo, in cui gli spostamenti sono stati limitati, proviamo ad entrare nella bottega più vicina a noi, potremmo accorgerci che:
I prezzi non sono così alti come ricordavamo, anzi, a volte risultano davvero convenienti;
Gli imballaggi spesso sono ridotti rispetto ai supermercati;
Andare a fare la spesa a piedi è piacevole, e per una volta possiamo lasciare l’auto in garage;
Dal fornaio di quartiere troviamo dell’ottimo pane fresco e dei prodotti tipici di cui ci eravamo dimenticati;
Fare la spesa sotto casa ci consente di comprare meno e meglio, e di avere a disposizione prodotti sempre freschi;
I proprietari di negozi specializzati possono diventare i nostri esperti di fiducia per la scelta di prodotti e regali;
Conoscere di persona i negozianti, le commesse e le cassiere, scambiando quattro chiacchiere, ci rende più umani, vitali e cortesi;
Alcuni negozianti si occupano personalmente di consegnare a domicilio il pane o la spesa: un servizio utile per gli anziani, per chi non ha l’auto e in caso di emergenza;
Fare la spesa nei piccoli negozi è meno stressante e ci porta ad essere più attenti alla qualità piuttosto che alla quantità.
A volte basta poco per smentire un luogo comune, quanto mai obsoleto. In ogni caso, ad oggi, sostenere un piccolo commerciante, significa anche garantire la sopravvivenza di quella micro-economia, senza la quale la macro-economia non esisterebbe.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/11/Bottega-alimentare.jpg6671000Kevin Feragottohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngKevin Feragotto2020-12-02 17:00:312020-12-03 06:03:03Il quartiere torna ad essere centro con la riscoperta dei piccoli negozi
Ascoltatori sempre più giovani e presenza sempre più nutrita di professionisti
I “podcast lovers” sono profili socio-culturalmente qualificati, attenti e ricettivi ai contenuti
La bulimia del video inizia ad avere un’alternativa anche nel pubblico giovanile. Lo dicono i dati dell’ultima ricerca IPSOS “Digital Audio Survey” 2020, che ha confermato ancora una volta i tassi di crescita con un aumento del 4% del numero di ascoltatori di podcast nell’ultimo mese. Ma salta all’occhio da subito che su 8,5 milioni di ascoltatori mensili il 52% è rappresentato da giovani ascoltatori under 35 e un 19% di studenti.
È in forte aumento quindi l’abilità da parte del podcasting di intercettare un target sempre molto ricercato nella competizione così forte che esiste nel panorama digitale. Non solo, in ottica di employer branding e coinvolgimento di profili specializzati è interessante notare, stando ai dati della ricerca, quanto il podcast sia una piattaforma utile a comunicare con target qualificati, istruiti e curiosi, seppure distratti da tantissimi altri stimoli “videoformi”: il 61% ascolta un episodio per l’intera sua durata (rispetto al 45% del 2019) e il 71% un’intera serie.
Il target analizzato dalla ricerca vede complessivamente una platea di consumatori attenti e ricettivi, che si dimostrano influencer nei confronti dei propri pari di generazione (il 75% da con continuità consigli su film, giochi e musica), ma anche sensibili all’innovazione e alle dinamiche della premiumness (il 60% tende a preferire prodotti e servizi premium piuttosto che standard o free). La relazione con il brand, inoltre, è ancor meglio sottolineata dalle capacità di ricordare le pubblicità ascoltate durante la fruizione (69% del campione) in aumento sui podcast interamente centrati su un brand sponsor (29% rispetto al 26% della rilevazione 2019) e dalla capacità di attivazione/conversione rispetto all’acquisto di un prodotto o servizio (la metà degli ascoltatori compie un’azione verso il brand di cui ha ascoltato il podcast e il restante cerca informazioni, ne parla con amici e conoscenti e per una decima parte acquista).
La scelta di ascoltare un podcast è sempre guidata dall’interesse per argomenti specifici, anche rispetto alla presenza di un host più o meno riconosciuto; ma a confronto con lo scorso anno cresce anche l’effetto di condivisione e amplificazione di quei contenuti sui social da parte degli ascoltatori. Il 22% degli intervistati afferma, infatti, di aver visto un post che pubblicizzava il podcast sui social con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente.
Se vogliamo scoprire la prossima evoluzione di questi trend è utile guardare al mercato americano, dove si è già sviluppata largamente la cultura del podcasting, in maniera particolare nella fascia giovanile di popolazione: le statistiche sui podcast 2020 di Edison Research e Triton Digital sono state recentemente pubblicate come parte dello studio annuale “The Infinite Dial” è indicato che la metà (49%) degli americani di età compresa tra 12 e 34 anni ascolta almeno un podcast al mese rispetto al 42% del 2019 (prevalentemente su Spotify). Negli States, a livello scolastico e universitario, non è infatti insolito per gli studenti ricevere da parte degli insegnanti, oltre ai libri di testo, anche una serie di contenuti podcast da ascoltare.
Per spiegare questo felice binomio tra nuove generazioni e podcasting non dobbiamo pensare in maniera riduttiva al solo utilizzo dello strumento smartphone come facilitatore della diffusione (poiché non si tratta ormai di una sola prerogativa giovanile – ed inoltre, tra i dati IPSOS 2020 spicca sempre di più anche l’utilizzo degli smart speaker con un 15% rispetto al 9% dell’anno precedente) semmai nella ricerca di nuove frontiere di espressione da parte dei più giovani e nella potenza evocativa che risiede nell’audio, il quale avvicina notevolmente alla fruizione di contenuti autentici ed emozionali attraverso il potere della voce.
Un po’ come nel fenomeno delle radio libere degli anni ’70, un motivo di diffusione attraverso il target giovanile è individuabile probabilmente nell’opportunità, praticamente alla portata di tutti, di diventare producer di contenuti originali, “radiofonici” e alternativi rispetto alla carriera di vlogger/youtuber.
Il podcast, al contempo, si dimostra essere anche uno strumento di digital wellbeing. Indipendentemente dalla generazione di appartenenza, questo periodo storico ha permesso agli utenti di scegliere e fruire un canale diverso che aiuta a distaccare dal dispendio energetico, e dai disturbi dell’attenzione, che provoca l’esposizione agli innumerevoli video digitali e agli stimoli dei social network. Questa lettura è ulteriormente confermata dall’indagine IPSOS già citata, che descrive una fruizione multitasking (“ascolto podcast mentre navigo, sbrigo faccende domestiche, mangio, bevo, cucino”) da parte degli ascoltatori che sicuramente resta prevalente, ma che aumenta significativamente anche per il «tempo esclusivo» dedicato all’ascolto (“mentre mi rilasso o non faccio altro”) per un significativo 23%.
La pandemia ha sicuramente accelerato questa dinamica e anche in futuro, quando si tornerà a fruire di più dei podcast in mobilità, alcune abitudini di ascolto domestico (attraverso gli smart speaker, in casa la sera) rimarranno, con un’ulteriore opportunità di crescita dell’audio.
In termini distintivi tra Gen Z e Millennials, durante la primavera di quest’anno la pandemia ha evidenziato quanto, secondo i dati del Global Web Index, siano stati i giovani maggiori di 25 anni ad incrementare del 20% il consumo di podcast rispetto ai “cugini” più giovani (11%), ma sarà interessante osservare nei prossimi mesi se i giovanissimi inizieranno a dedicarsi maggiormente al podcasting oppure tenderà a rimanere uno strumento ad appannaggio di laureati e junior professional.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/12/podcast.jpg9221644Giulio Beroniahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulio Beronia2020-12-01 10:54:162021-04-07 21:01:18Nuove Generazioni in ascolto: il podcast è il canale del futuro
L’intelligenza artificiale si fonde con la creatività e viene usata in mondi e modi non convenzionali
La creatività non è morta: si fonde col tech, che la supporta per essere al passo coi tempi
L’avete vista tutti Futurama, la sitcom statunitense creata da Matt Groening e trasmessa da FOX (negli USA) e su Italia 1 (in Italia).
Philip J. Fry, il protagonista, fattorino di una pizzeria, finisce accidentalmente in una capsula per il sonno criogenico, risvegliandosi mille anni dopo. Ha un robot come migliore amico, Bender.
Tra navicelle e avventure nello spazio, la sitcom è andata avanti per ben otto stagioni.
Spesso irriverente, induceva riflessioni su quello che avrebbe potuto essere il futuro.
No, oggi i tempi non sono maturi abbastanza per avere un robot come migliore amico, ma per l’automazione assolutamente sì.
Ads & Automation
Automation. Dove? È un po’ trasversale: dall’automotive all’health, dall’energia allo spazio. Ed è da qualche anno che se ne parla anche nell’advertising e nella comunicazione.
Qual è il futuro delle agenzie di comunicazione e dell’advertising?
In effetti, il destino delle agenzie, nella configurazione di come siamo abituati a conoscerle oggi, potrebbe essere profondamente segnato se non dovessero trasformarsi per rispondere alle nuove esigenze, stando al passo con le nuove tecnologie di automazione.
Machine learning, intelligenza artificiale (AI) e l’accesso a molteplici informazioni e sorgenti di dati stanno cambiando tutti gli aspetti del mondo dell’ads.
Facciamo però un passo indietro. Partiamo dalle basi: un compito ripetitivo può essere automatizzato. Le macchine, in effetti, saranno in grado di fare meglio e in minor tempo.
Secondo un report di Forrester, AI e automazione faranno sì che le advertising agency gestiranno più task con meno personale già durante il 2021.
E il trend continua verso questa direzione: l’11% delle agenzie creative sarà automatizzato entro il 2023.
Artificial intelligence marketing
Sempre Forrester prevede che le ads agency statunitensi taglieranno 52.000 posti di lavoro e le principali holding taglieranno 49.000 dipendenti a livello globale.
Con meno lavoratori le agenzie aumenteranno i loro investimenti in AI e automazione per gestire una più ampia gamma di attività.
Ampia perché la crisi sanitaria ha costretto e costringerà (anche per il prossimo anno) la clientela delle agenzie a essere molto intraprendente e sofisticata nelle campagne di marketing.
In effetti, si prevede che i marketers B2C aumenteranno la spesa per il marketing di fidelizzazione (l’aumento previsto per il prossimo anno è del 15%), riducendo il marketing basato su prodotti e prestazioni.
C’è chi parla di AI marketing, ovvero di Artificial Intelligence Marketing. Si tratta del settore del marketing che utilizza tecniche di AI per interagire con i clienti, migliorare la comprensione del mercato e suggerire azioni da intraprendere per affinare la strategia.
L’agenzia del futuro, dunque, attraverso l’AI è in grado di ottimizzare il processo creativo, rendendo la comunicazione sempre più mirata e personalizzata.
E non abbiamo ancora considerato app e social!
Già. Si stima che tre quarti dell’intera popolazione internet (oltre 4 miliardi) saranno “mobile only” entro il 2025. Le principali app di messaggistica, cioè Whatsapp, FB Messangers, Wechat e Viber hanno superato per numero di utenti attivi le quattro principali app social: FB, Twitter, Linkedin e Instagram.
Inoltre, l’accesso ai social network da mobile è in forte crescita: 2,5 miliardi di utenti nel mondo. Mentre sono 28 milioni gli Italiani che accedono a Facebook da smartphone almeno una volta al mese.
Risultato? Facebook punta sull’intelligenza artificiale e chat robot per sviluppare brand experience coinvolgenti basate sulle conversazioni.
Sì, sono quasi ormai lontani i tempi in cui team di creativi erano composti solo dai copywriter e dall’art director. Oggi è abbastanza frequente contemplare nei team delle agenzie anche la figura del data analyst e del creative technologist.
Be tech, be creative
Qual è il risvolto della medaglia? Insomma, qual è il downside di tutto ciò?
So cosa state pensando: potrebbe essere la fine della creatività?
Si sa, l’ambiente delle ad agency è sempre stato un po’ reticente nei confronti dell’hi-tech. Come se il tech non fosse “creative friendly”. Sì, perché vi era l’abitudine di confrontarsi con i dati e i numeri solo alla fine di un processo creativo, non prima, a monte.
Oggi, invece, un messaggio si cambia al volo e in tempo reale si misura l’impatto delle scelte creative sui consumatori.
L’esempio è Alibaba che per il Blackfriday del 2019 ha prodotto 400 milioni di varianti per uno stesso messaggio pubblicitario, grazie ad un uso pesantissimo di algoritmi che permettono di realizzare versioni diverse di uno stesso messaggio.
Inoltre, con l’AI, i messaggi che funzionano vengono usati sempre più spesso, mentre tutto ciò che non funziona viene cancellato dalla memoria del software, che impara e valorizza l’esperienza.
Più che contro la creatività, sembra che il tech sia a supporto della stessa.
Non credete, perciò, all’alternatività delle due cose. Piuttosto, oggi più che mai, si tratta di aspetti interconnessi dell’ad e della comunicazione.
Beh, certo, forse tra qualche anno ci ritroveremo a raccontare i nostri segreti a BFF come Bender, ma per il momento la creatività è ancora salva.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/11/Immagine-del-27-11-20-alle-00.16.jpg417632Guenda Espositohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGuenda Esposito2020-11-30 11:20:272020-12-08 07:02:24La creatività non è morta, ma oggi si fonde con AI e Tech
Folle in attesa davanti ai negozi per tutta la notte, lunghe code e visite da record nei negozi fisici non sono scene che vedremo nel 2020
I Social Media sono stati ottimi alleati per tutti quei brand che hanno deciso di prepararsi al meglio online per il Venerdì più nero di sempre
Il giorno dopo il Ringraziamento negli Stati Uniti, ovvero il Black Friday, è da sempre il sogno di chi ama lo shopping. E da qualche anno questa tradizione è dilagata anche in Italia. Quasi tutte le aziende, ormai, offrono sconti e altri incentivi per fare acquisti. E i clienti possono iniziare a pensare ai regali di Natale per i loro cari e per loro stessi a prezzi speciali.
Quella che era iniziata come una tradizione americana è oggi un fenomeno mondiale. I consumatori di tutto il mondo si aspettano grandi offerte e i marchi non si fanno attendere e le offrono. A causa della pandemia globale, lo shopping di quest’anno è stato sicuramente diverso da quello che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Folle in attesa davanti ai negozi per tutta la notte, lunghe code e visite da record nei negozi fisici non sono scene che vedremo nel 2020, l’anno del distanziamento sociale. Il più grande evento di shopping si è spostato in uno spazio più sicuro dal punto di vista sanitario: Internet e i social media.
Per analizzare meglio il fenomeno, che fino allo scorso anno prevedeva due giornate di shopping ravvicinate, una reale nei negozi locali (il Black Friday) e una virtuale (il Cyber Monday), ma che quest’anno si è trasformata in un periodo di cyber shopping più lungo e dilazionato nel tempo, abbiamo scelto le migliori campagne social e ne abbiamo analizzato le tattiche che si sono rivelate vincenti.
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1. Preparare una guida per i regali
La fine di novembre è di solito il periodo dell’anno in cui la gente inizia a pensare allo shopping per le feste. L’eccitazione natalizia inizia a prendere il via e navigare in rete alla ricerca di idee regalo diventa un allegro passatempo.
Le guide ai regali, ben confezionate, sono il modo perfetto per attrarre utenti occasionali: sono contenuti ricchi ed esteticamente piacevoli e forniscono un valore reale con i loro suggerimenti.
Chi le ha pubblicate sui social media con qualche giorno di anticipo sul Black Friday ha dato ai follower il tempo di scegliere ed essere pronti per l’acquisto.
2. Creare senso di urgenza
Se si tratta di programmare “in anticipo”, bisogna anche cercare di creare un senso di urgenza intorno alle offerte del Black Friday. Iniziare in anticipo consente di informare i clienti che quello che si sta pubblicizzando sarà disponibile solo per un tempo limitato o fino a esaurimento scorte.
Le persone saranno spinte a fare acquisti non appena l’offerta diventerà disponibile, non un minuto dopo. Per mantenere alta l’eccitazione è bene dare a chi ci segui sui social anche un’anteprima di ciò che potranno godersi in sconto. ai follower una sbirciatina a ciò che sta arrivando.
eMail marketing, post del blog e, naturalmente, post sui social media sono i canali ideali per farlo. Includere un conto alla rovescia e comunque essere creativi nel rivelare a poco a poco le offerte è il segreto, e in questo le Instagram Stories possono rivelarsi uno strumento straordinario.
3. Infondi entusiasmo
Sì, quest’anno non è certo dei migliori e tutti non vediamo l’ora che finisca, ma chi l’ha detto che non possano esserci grandi occasioni nascoste anche dietro gli ostacoli? Per comunicarlo ai tuoi clienti e potenziali tali, il Black Friday è il giorno giusto per parlare con un tono di voce festoso e positivo.
In fondo stiamo parlando di godersi prodotti e servizi a un prezzo scontato, qualcosa da festeggiare finalmente può esserci!
4. Aggiungi omaggi agli acquisti
Chi non ama i regali? Il Grinch, probabilmente. Non preoccupiamoci di lui, però. È lecito supporre che i tuoi clienti saranno felici di ricevere un omaggio.
Se hai pensato ad aggiungere regali supplementari agli acquisti come parte della strategia per le feste, i social sono il posto ideale per comunicarlo, fallo sapere.
Durante il Black Friday ogni utente di Instagram è a caccia di offerte. Ecco come portare l’esperienza di acquisto direttamente nei loro feed, sfruttando al massimo la funzione Instagram Shopping.
La feature permette ai brand di creare cataloghi di prodotti e di presentare gli articoli nelle collezioni. La creazione di un negozio è gratuita e semplice, ma deve essere sottoposta a una revisione che di solito richiede alcuni giorni, quindi bisognava assicurarsi con anticipo di aver preparato il proprio negozio per il Venerdì Nero. Se quest’anno non hai fatto in tempo, tienilo a mente per il prossimo.
Suggerimenti extra
Una volta messa a punto una strategia social forte per il Black Friday, tutti questi brand hanno iniziato a generare buzz intorno alle loro offerte in anticipo. Conto alla rovescia, liste e hashtag sono stati tutti ottimi strumenti per farlo!
Una volta che le promozioni sono online, poi, bisogna assicurarsi che il team sia pronto e disponibile a fornire agli acquirenti un servizio clienti straordinario sui social media. Tassi di risposta brevi e risoluzione rapida dei problemi sono strumenti potenti per massimizzare le vendite, anche in queste giornate di shopping online.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/11/black-friday-2.jpg611954Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-11-27 14:54:012021-01-19 20:22:10Social Media per il Black Friday: ecco le tecniche usate da chi ha creato le migliori campagne
I problemi più comuni che ostacolano l’indicizzazione di un sito sui motori di ricerca riguardano la fase di scansione o crawling
Se un sito non è ben indicizzato, spesso si tratta di un problema di crawlability, ovvero di leggibilità per il motore di ricerca
Saper ottimizzare il crawl budget vuol dire saper orientare la lettura del sito da parte di Google in base ai contenuti più rilevanti
L’obiettivo di ogni SEO specialist è quello di posizionare le pagine del proprio sito tra i risultati di ricerca, possibilmente nella prima pagina della SERP, dove hanno maggiore probabilità di essere cliccate.
Per far sì che ciò avvenga, i contenuti della pagina devono soddisfare la query inserita nella barra del motore di ricerca dall’utente, ovvero saper intercettare il search intent sulla base di un criterio di pertinenza.
Dal punto di vista della SEO tecnica, si traduce in un’operazione ben precisa: rendere le pagine del sito ben leggibili dal crawler del motore di ricerca.
Cos’è il crawler
Il crawler (o web crawler o spider) è un bot del motore di ricerca che esegue una scansione periodica dei contenuti presenti nel web, al fine di raccogliere informazioni dalle pagine e aggiungerle al suo indice.
L’indicizzazione di un sito all’interno del web si svolge in 3 fasi:
Scansione (crawling);
Indicizzazione (indexing);
Posizionamento (ranking).
L’intero processo fa sì che quando la query viene inviata, in una frazione di secondo viene restituita una pagina contenente dei risultati posizionati per pertinenza e/o rilevanza.
Il crawling è la prima fase dell’indicizzazione, in cui tutti i contenuti presenti all’interno del web vengono passati in rassegna e ordinati all’interno di un database da un bot, che li classifica soffermandosi su elementi quali: il SEO title, la meta description, gli alt text delle immagini, le parti in grassetto o in corsivo del testo e i link.
Il crawler si sposta da una pagina all’altra seguendo i link interni e li utilizza per costruire la mappatura del sito e creare una gerarchia in base ai contenuti con un maggior numero di rimandi.
Il processo di crawling è iterativo, il che vuol dire che lo spider ritorna a intervalli regolari su pagine già scansionate alla ricerca di variazioni e nuovi contenuti. Ogni volta che il sito viene aggiornato il crawler salva l’ultima versione.
Ottimizzare il crawl budget
In sostanza, crawlability vuol dire leggibilità del sito da parte del crawler. La capacità del crawler di accedere a una pagina e scansionarla correttamente rivela se il sito è stato ottimizzato nel modo giusto o, al contrario, sono presenti problemi di indicizzazione. In tal caso, il sito potrebbe non può comparire nei risultati di ricerca organici.
Inoltre, non è fondamentale che tutte le pagine del tuo sito web vengano scansionate: una pagina di contatto o una pagina di accesso all’area riservata, ad esempio, sono inutili ai fini dell’indicizzazione, poiché riservate a una nicchia di utenti.
Il tempo e le risorse del web non sono illimitati, ragion per cui nel processo di indicizzazione il crawler si trova a dare priorità ad alcune pagine rispetto ad altre, a selezionare i contenuti sottoposti a scansione e ignorare il resto.
Per ottimizzare il crawl budget o budget di scansione a tua disposizione, puoi contrassegnare queste sezioni meno rilevanti con il tag noindex, orientare la lettura con i tag canonici, limitarne la lettura mediante il set-up del file robots.txt.
Problemi di crawlability
Se hai ricercato keyword, target, creato contenuti pertinenti ma il tuo sito non risulta indicizzato correttamente e non hai un ritorno in termini di traffico, è molto probabile che si tratti di un problema di scansione.
Saper individuare tutti gli elementi che ostacolano o limitano l’accesso del crawling è fondamentale per far sì che il sito venga indicizzato correttamente.
Quali sono i più comuni problemi di crawlability?
URL bloccati da Robots.txt
La prima cosa che un bot cerca sul tuo sito è il tuo file robots.txt, all’interno del quale puoi indirizzare il crawler, specificando “non consentire” sulle pagine che non desideri vengano scansionate.
Il file robots.txt è molto spesso la causa dei problemi di scansione di un sito. Se le sue direttive sono errate, possono impedire a Google di eseguire la scansione delle tue pagine più importanti o permettere la lettura di quelle inutili ai fini dell’indicizzazione.
Puoi individuare il problema dal “rapporto sulle risorse bloccate” di Google Search Console, che mostra un elenco di host che forniscono risorse al tuo sito, che risultano bloccate dalle regole file robots.txt.
Il codice errore 500 rivela un problema del server su cui il sito è ospitato, mentre l’errore 404 dipende dal contenuto del sito stesso.
In entrambi i casi, se Google incontra questi errori quando arriva alla pagina è un grosso problema. Dal momento che viaggia seguendo i link, per il crawler è come trovarsi in un vicolo cieco.
Dopo aver raggiunto un numero elevato di pagine di errore, il bot smette di eseguire la scansione della pagina e del tuo sito.
Anche questo tipo di errore può essere individuato facilmente tramite la Search Console di Google.
Errori di tag SEO
Una cattiva indicizzazione può dipendere anche da un uso sbagliato dei tag, se risultano potenzialmente fuorvianti per la lettura del bot, o se sono mancanti, errati o duplicati.
Un metodo veloce per individuare il problema è analizzare il traffico sul sito, principalmente il percorso degli utenti. Le pagine con la frequenza di rimbalzo più elevata possono rivelare delle criticità.
Analizza anche le funzionalità di scansione avanzate della Search Console che mostrano quanti link interni vengono reindirizzati a una sola pagina. Fai attenzione agli elementi di best practice in questo passaggio, come l’assenza di reindirizzamenti 301 interni, la corretta impaginazione e le mappe dei siti complete.
Usabilità mobile
L’usabilità sui dispositivi mobili è un’area di primaria importanza per la SEO: se il sito non è ritenuto utilizzabile su smartphone e tablet, Google potrebbe non mostrarli nella SERP e questo comporta la perdita di una bella fetta di traffico.
È buona norma anche controllare sempre l’output dal lato mobile non solo quando il sito viene rilasciata, ma anche ogni volta che viene aggiornata una singola pagina.
Contenuto scarno
Se dopo aver verificato tutti gli elementi di cui sopra, il tuo sito presenta ancora problemi, è possibile che i contenuti delle pagine non siano considerati rilevanti.
Le pagine che presentano contenuti scarni non vengono tralasciate da Google nel processo di scansione, perché il contenuto non è abbastanza unico, non convalida i contenuti di altri siti giudicati autorevoli in quel settore oppure i collegamenti interni sono assenti o scarsi.
Oltre ad analizzare il contenuto non indicizzato e curare la strategia di backlink verso le pagine che non ricevono traffico, è bene aggiornare periodicamente le pagine con contenuti nuovi e dati recenti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/11/crawlability-seo.jpg421748Federica D'Arpahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederica D'Arpa2020-11-26 11:55:442020-12-08 07:01:05Crawlability: cos'è e come può aiutarti a scalare la SERP
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