Sapersi promuovere al meglio attraverso i social e alla formazione digitale permette di raggiungere migliori risultati.
È quanto emerge da una ricerca di Boston Consulting commissionata da Google da cui risulta che le aziende più mature dal punto di vista digitale ottengono mediamente un aumento di revenue del 18% e riducono del 29% i costi aziendali, con un crescita delle proprie quote di mercato doppia rispetto alle aziende simili ma meno digitalizzate.
Negli ultimi quindici anni ed in particolare in seguito all’avvento dei social, abbiamo assistito a dei cambiamenti colossali sotto tutti i punti di vista, da quello politico a quello sociale e culturale, con la nascita di una nuova generazione di consumatori, iper-informati e iper-connessi. Per le aziende questa realtà si traduce in una massima: se non sei presente sul web, non esisti.
Il recente lockdown ha ulteriormente evidenziato questa necessità da parte delle aziende di costruire una presenza digitale, per dare una sterzata netta e ripartire con slancio.
Durante la pandemia si è infatti parlato di una digitalizzazione 25 volte più veloce rispetto ai ritmi precedenti, ma si è anche toccato il massimo livello di disoccupazione (7,2%), con l’80% dei lavoratori che dichiarano di affrontare insicurezze sul proprio posto di lavoro. Un’accelerata che sembrava dover diventare una velocità costante, ma che invece rischia di frenare senza la benzina giusta per alimentare il motore. Insomma, più si resta indietro con le digital skill, più si rischia di non essere più “necessari” al mercato del lavoro.
In questo contesto utilizzare gli strumenti del Digital Marketing, fare un corretto uso dei social media, mettere in atto una buona strategia content marketing, conoscere i fondamenti della SEO, sono diventati degli imperativi per ogni tipo di attività, anche e soprattutto per le PMI, per le quali queste azioni consentono di raggiungere risultati davvero sorprendenti e soddisfacenti.
Le PMI hanno il dovere di formarsi nel marketing digitale se vogliono continuare ad esistere nei prossimi anni, e anche il settore wedding non può esimersi da questo “obbligo”.
Il nostro settore, oggi più che mai, deve adattarsi al mondo nel quale viviamo. Gli sposi, come tutti gli altri consumatori, cercano informazioni sul web e i grandi players già se ne sono accorti da tempo. Se le PMI del settore vogliono poter competere ed ottenere più risultati devono iniziare ad impegnarsi sul serio per costruire una forte presenza online.
Afferma Guillermo Fernández-Riba, CEO di Zankyou Weddings.
La Partnership
È per questo che Zankyou ha deciso di unirsi a Ninja Marketing, osservatorio sul marketing non-convenzionale e magazine punto di riferimento del settore, e alla sua Ninja Academy, la più grande scuola specializzata nel marketing digitale in Italia, che metterà a disposizione i propri corsi, percorsi e Master in temi chiave come content marketing, SEO, digital advertising, social media marketing, growth hacking e marketing automation.
Grazie a questo accordo più di 18.000 partner di Zankyou potranno usufruire dei Corsi Ninja di Alta Formazione sulle teorie e tecniche più avanzate del marketing, utilizzando modalità formative altamente innovative ed esperienziali.
Spiega Mirko Pallera, CEO e founder Ninja
La nostra missione è quella di rendere l’Alta Formazione al marketing digitale democratica e accessibile a tutti. Ed è per questo che ci siamo uniti a Zankyou per portare competenze digitali avanzate all’industria del wedding così da permettere ad un gran numero player del settore di ampliare i propri business.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/PSD-Template-10-2.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-11-18 16:22:062021-11-18 16:24:42Zankyou e Ninja Academy insieme per la formazione digitale nel wedding
Scopriamo come sono strettamente collegati tra loro due mondi che, apparentemente, sembrano separati: Gaming e NFT.
NFT è un acronimo, il suo significato è non-fungible token e rappresenta qualcosa di unico, inimitabile e non replicabile o sostituibile.
Gli NFT sono diventati molto popolari negli ultimi mesi come un modo per acquistare e venderearte e oggetti da collezione in formato digitale. Anche una GIF, un meme, insomma, qualsiasi media, può essere venduto sotto forma di NFT.
In pratica, un NFT assegna un certificato unico e non intercambiabile a un dato oggetto virtuale e ne conferma la proprietà tramite blockchain.
L’obiettivo della blockchain è consentire la registrazione e la distribuzione delle informazioni digitali, ma non la modifica. Una blockchain è la base per registri immutabili o registrazioni di transazioni che non possono essere alterati, cancellati o distrutti.
Un NFT rappresenta un certificato di autenticità di un’opera, di un video o di un file digitale che sia un’immagine o un suono.
Ed è proprio l’uso di NFT per vendere arte digitale dal valore di milioni di dollari che ha portato molti sviluppatori a vedere il suo potenziale in diversi ambiti, tra cui quello del gaming.
NFT e Gaming: i giocatori possono guadagnarci?
Le persone possono guadagnarsi da vivere (magari con gli NFT) giocando online?
Durante la pandemia, lo sappiamo, molte cose sono cambiate, anche la concezione del lavoro e di come vivere il proprio tempo. Tante persone poi hanno rivalutato le proprie posizioni lavorative, soprattutto i più giovani.
In tanti stanno valutando e sperimentando modi alternativi per guadagnare online. Uno di questi metodi per fare soldi è attraverso un gioco online, Axie Infinity.
Il concetto alla base di questo gioco è simile a quello dei Pokémon, in cui i giocatori raccolgono, allevano, combattono e scambiano creature digitali. Giocare in media fa guadagnare circa 400 dollari al mese. Tuttavia, questa cifra può variare in base al tasso di cambio della criptovaluta del gioco e del dollaro USA.
Non richiede abilità speciali, il che lo rende un modo praticabile di guadagnarsi da vivere per molte persone.
Entro giugno 2021, Axie Infinity ha guadagnato popolarità nelle Filippine grazie ai numerosi post di diversi giocatori che mostravano i risultati ottenuti, come l’acquisto di una nuova casa. Alcuni giocatori hanno anche prestato le loro creature a coloro che non potevano permettersi d’investire nel gioco, in cambio di una fetta dei profitti.
Come i giocatori e le aziende guadagnano con gli NFT
I giochi basati su NFT sono generalmente scaricabili gratuitamente. Ma per iniziare a giocare bisogna acquistare NFT. Per Axie Infinity, gli NFT sono le creature digitali di cui parlavamo.
Per altri giochi può essere un eroe, un’armatura o un’arma speciale. Giocando alla maggior parte dei giochi NFT, invece di guadagnare solo esperienza e badge con ogni risultato, si ottiene anche una piccola quantità di criptovaluta utilizzata dallo sviluppatore del gioco. Può essere utilizzata per acquistare più oggetti di gioco o incassarla e convertirla in valuta locale.
Alcuni giochi consentono anche di acquistare e vendere NFT ad altri giocatori.
In questo modo, i nuovi giocatori possono ottenere gli oggetti che desiderano. E per ogni transazione in-game che si verifica, gli sviluppatori di solito prendono una percentuale.
Man mano che più persone si interessano al gioco e investono i loro soldi nelle NFT, i giocatori che giocavano da tempo possono vendere le loro NFT e guadagnare. E per ogni transazione eseguita, guadagna anche lo sviluppatore del gioco.
Nel frattempo, altri giocatori scelgono di farsi strada nel gioco e convertire le criptovalute che guadagnano giocando in valuta locale.
La società guadagna quando un NFT in-game viene scambiato da una persona all’altra. Ed è proprio l’interesse per il gioco che consente loro di continuare a guadagnare denaro ed espandere e migliorare l’universo di gioco.
Valve è la società che gestisce il mercato dominante dei giochi per PC e ha vietato, a denti stretti, applicazioni basate sulla tecnologia blockchain che emettono o consentono lo scambio di criptovalute o NFT. E difatti il divieto di Steam, il servizio di distribuzione digitale di videogiochi di Valve, sulla tecnologia blockchain garantisce che i giochi “play-to-earn” non saranno mainstream troppo presto.
Inoltre, nessuna azienda ha ancora elaborato un meccanismo per distribuire tale software tramite gli app store di Apple o Google. Ci sono ancora poche strade alternative per raggiungere nuovi giocatori al di fuori del sideloading su Android o app desktop tradizionali
E Apple e Google, potrebbero aprirsi a questa possibilità, invece? Nessuno dei due li ha esplicitamente vietati. Ma in questo momento, nemmeno Axie Infinity è disponibile sugli app store per dispositivi mobili, anche se il creatore del gioco intende provare a pubblicarlo per smartphone nei prossimi mesi.
Ovviamente la decisione di Valve ha creato una spaccatura nel settore dei giochi. Epic, sempre desideroso di minare il suo rivale, è intervenuto nella questione e ha affermato che vorrebbe supportare il gioco blockchain, anche se all’inizio non era d’accordo.
Andrew Wilson, il CEO di EA, ha affermato che i giochi NFT e “play-to-earn” potrebbero essere il futuro del gaming, ma ha aggiunto che è ancora troppo presto per capirne la portata. Ubisoft, d’altro canto, ha annunciato ufficialmente la sua intenzione di sviluppare giochi NFT e blockchain “play-to-earn”. Voci di corridoio vociferano che ne aveva già visto il potenziale nel 2018.
Gaming e NFT: quale sarà la strada per le piattaforme di gaming
Le piattaforme di gaming, nel prossimo futuro, dovranno affrontare una scelta. Bandire completamente questi giochi come ha fatto Steam, o lanciarsi, come Epic, e vedere se c’è un modo per incanalare tutto questo entusiasmo degli sviluppatori in qualcosa di creativo e redditizio.
Ovviamente, non c’è motivo per cui gli NFT in-game acquistati da terze parti debbano offrire ai giocatori vantaggi nel gameplay.
Una skin unica di Fortnite creata da un artista famoso, per esempio, potrebbe avere valore sia per la persona che l’ha venduta che per la persona che l’ha acquistata, e l’equilibrio del gameplay non cambierebbe affatto. Ma se gli NFT influenzano il modo in cui il gioco viene giocato, invece che semplicemente il design, come fa lo sviluppatore a garantire che il gioco sia bilanciato e accessibile a un gran numero di giocatori?
Non è più solo un gioco
Le criptovalute sono notoriamente volatili e lo stesso vale per quelle utilizzate dalla maggior parte dei giochi.
Poiché si basano principalmente su un titolo specifico, o hanno una base di utenti limitata, eventi casuali potrebbero facilmente far fluttuarne il valore. Inoltre, come accade per le altre la criptovaluta di un gioco ha valore solo se c’è domanda di acquisto.
Uno sviluppatore di giochi guadagna solo se ha transazioni continue nel proprio gioco. Quindi, finché le persone sono interessate a giocare e acquistare NFT, lo sviluppatore ci guadagnerà.
Ma poiché molti si cimentano in questi giochi NFT al solo scopo di investire, se non riescono a ottenere rendimenti ragionevoli, potrebbero perdere interesse e passare oltre.
Questo porterebbe a una perdita di giocatori e di conseguenza meno commissioni di transazione. E se la domanda per il gioco diminuisse, si verificherebbe un ulteriore calo del valore della sua NFT e della criptovaluta associata.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/gaming-e-NFT.jpg10801920Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2021-11-18 13:25:102022-02-09 14:03:52Gaming e NFT: Ready Player One sta per diventare realtà?
Quando arriva, arriva! No, non è il Natale ma uno degli eventi più amati, dedicato alla scoperta delle offerte più convenienti. Il Black Friday è diventato un appuntamento che non lascia nessuno indifferente, neanche i più ostici dello shopping.
I brand e le aziende come ogni anno si sono date da fare per comunicare le migliori offerte, chi in modo tradizionale e chi in modo più creativo. Ma c’è anche chi si mostra contrario a questa ulteriore occasione consumistica, sia in termini di sostenibilità che di tempo personale speso.
Abbiamo quindi raccolto le 7 campagne più interessanti di questi anni, dedicate al Black Friday.
Amazon – Thoughtful Theo (2021)
Il premuroso protagonista dello spot è un cliente Amazon che decide anticipare i regali natalizi approfittando del Black Friday. Il suo entusiasmo è talmente grande che lo spinge ad acquistare un regalo per tutti. Anche per il suo dentista.
R.E.I – Opt Outside (2021)
Quest’anno, come per i precedenti, la società americana di servizi e prodotti outdoor chiuderà i suoi 143 store.
Con la sua l’iniziativa #OptOutside, REI intende promuovere un’occasione per i suoi dipendenti di passare una giornata all’aria aperta invece di restare chiusi in uno store, specialmente durante il Black Friday.
La giornata di chiusura dei suoi negozi sarà però pagata ai suoi 15mila dipendenti; il messaggio oltre che per i lavoratori di REI si estende all’intera comunità: celebrare il tempo all’apertoe mettere da parte la frenesiaconsumistica e lo stress della corsa all’occasione.
Unieuro – Manamanà (2021)
Messaggio semplice, tono divertente e leggerezza: questo è il concept di Unieuro. Sulle note della simpatica canzone di Piero Umiliani che rimane in mente e fa ripetere Manamanà in continuazione, si alterneranno a sorpresa 3 testimonial: i comici Teo Teocoli e Giovanni Vernia sono già stati svelati.
Public Fiber, brand londinese di moda sostenibile si batte contro la natura dispendiosa del Black Friday.
Con la sua campagna “Buy More Rubbish” dello scorso anno, ha voluto esortare i consumatori alla consapevolezzae alla rieducazione sull’inquinamento, spingendoli ad comprare letteralmente spazzatura.
Ciò che è stato messo in vendita è stato: incarti per alimenti, buste, bottiglie e posate di plastica, bottiglie di vetro, lattine di alluminio e perfino pneumatici. L’iniziativa Anti-BlackFriday è stata dedicata alla pulizia degli oceani dalla plastica e il ricavato delle vendite devoluto all’organizzazione The Ocean Cleanup.
Walmart – Unwrap The Deals (2020)
Walmart si è affidato a TikTok per la sua campagna Unwrap The Deals. Una simpatica forma di promozione in cui i tiktoker, grazie ad un filtro AR, hanno potuto scartare le offerte virtuali del Black Friday.
Usando l’hashtag #Unwrapthedeals i tiktoker hanno pubblicato le proprie challenge svelando la sorpresa-sconto su un determinato prodotto e accedendo all’offerta tramite l’hashtag collegato alla pagina-prodotto del sito Walmart. Con 5,5 miliardi di visualizzazioni, la campagna si è rivelata un vero successo.
IKEA – Buy Back Friday (2020)
Oggi i consumatori sono sempre più attenti alla problematica ambientale e hanno dimostrato di preferire quei brand che si impegnano a sostenere la causa. Così IKEA invece di proporre semplici sconti per il Black Friday, ha preferito promuovere il suo #BuybackFriday.
L’azienda svedese ha dato ai clienti di 27 Paesi la possibilità di portare indietro i mobili usati, restituendo un buono del 50% del loro valore. Ma non solo: gli oggetti non idonei per una nuova vendita sono stati riciclati o donati alle comunità bisognose.
Macy’s (2011)
Torniamo molto indietro nel tempo per menzionare questa pubblicità davvero simpatica.
Macy’s, il gruppo statunitense di department store tra i più grandi al mondo assolda Justin Biber come suo testimonial e probabile cliente. Nello spot, tutte le persone che incontrano la star, urlano di felicità.
Sarà per l’emozione o perché associano la presenza del cantante con l’inizio del Black Friday?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/campagne-black-friday.jpg538958Urania Frattarolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngUrania Frattaroli2021-11-17 09:30:112021-11-24 16:41:49Black Friday: 7 campagne da ricordare (e da cui prendere ispirazione)
Sono due mondi che sembrano, apparentemente, lontanissimi fra loro: comunicazione e diritto. Invece la Digital Law è materia sempre più attuale: sono moltissimi i punti di contatto tra i progressi tecnologici e le questioni da regolamentare nel mondo fisico e digitale.
I temi che legano le due realtà sono tanti e, spesso, non di facile soluzione a livello intuitivo. Pensiamo infatti alle regole, spesso non troppo chiare (e rispettate) per i contenuti sponsorizzati e gli influencer (che adesso puntano a un proprio sindacato), ma anche al tanto discusso diritto all’oblio o alla tutela dei minori, che con internet ha assunto sfumature del tutto nuove e sta presentando problematiche non ancora del tutto acclarate.
Quello che appare chiaro è come la legislazione non posso “giocare d’anticipo” sugli sviluppi della tecnologia, ma debba anzi rincorrere continuamente l’innovazione per cercare di minimizzare i rischi a cui tutti siamo esposti.
Per chiarire alcuni di questi aspetti, abbiamo fatto qualche domanda a Chiara Dal Ben, Marketing & Innovation Director di Flu e Vittorio Maria Corelli, esperto di diritto civile, bancario e commerciale in ambito giudiziale e stragiudiziale.
Chiara e Vittorio sono anche gli autori di “Digital Law – Istruzioni per un uso consapevole degli strumenti del mondo digitale“, che fa parte della collana Digital Generation di Maggioli Editore.
La rivoluzione digitale ha sconvolto in pochi anni il nostro approccio a diversi aspetti della tecnologia. Lo sviluppo normativo è stato altrettanto rapido?
Partendo dal presupposto che la tecnologia è collegata ad un concetto di azione e di evoluzione riteniamo sia impossibile che il diritto riesca a “tenere il ritmo” dell’evoluzione tecnologica e quindi ad essere costantemente aggiornato.
Quello che, a nostro avviso, dovrebbe fare la normativa non è stare al passo bensì fare un’opera preventiva cercando di anticipare i cambiamenti e quindi arginare le possibili anomalie del sistema.
Proprio questo tema rappresenta una grande sfida per i legislatori in tutto il mondo.
Un altro punto da segnalare riguarda il fatto che l’evoluzione normativa ci sta portando verso l’era dell’informazione totale all’interno della quale l’utente deve essere informato su tutto.
Questa tendenza, certamente meritoria, rischia però di ottenere il risultato contrario; la troppa informazione si traduce, nella pratica, nella creazione di un numero eccessivamente elevato di documenti che di fatto creano il risultato inverso ossia quello della disinformazione dell’utente.
Si pensi alla normativa privacy e ai termini e condizioni che quotidianamente l’utente è obbligato ad accettare, tutti documenti che dovrebbero informare il fruitore di internet ma che nella fattività quotidiana si riducono a mere spunte disinformate.
Internet può essere considerato un diritto da garantire universalmente?
Assolutamente sì: non può essere un diritto da garantire ma un diritto che DEVE essere garantito!
La pandemia ha dato un impulso ancora maggiore alla digitalizzazione e questo ci deve spingere ad operare con più concretezza verso l’obiettivo che veda Internet come un diritto garantito universalmente.
Fondamentale diventa a questo punto il principio dell’accessibilità e al tempo stesso dell’uso consapevole.
Due presupposti che devono necessariamente essere analizzati e sviluppati insieme perché l’accessibilità alla rete senza un’adeguata conoscenza dello strumento causerebbe profondi terremoti sociali e civili.
Molte persone sono preoccupate che la privacy non sia tutelata da queste nuove tecnologie. Com’è la situazione ad oggi?
Nella società odierna i dati hanno un’importanza fondamentale, ci piace considerarli come il nuovo “oro nero”, e per questo motivo devono essere tutelati e protetti.
Dal GDPR in poi sono stati fatti numerosi passi in avanti ma il percorso è naturalmente in divenire, anche per la natura endemica del settore.
La normativa di riferimento si trova oggi a dover risolvere importanti problematiche connesse principalmente alla concreta informazione dell’utente e dall’altra parte all’effettività e certezza della risposta sanzionatoria.
I tempi sono maturi per la nascita di un Sindacato degli Influencer?
Si assolutamente. Gli influencer oggi sono una categoria di lavoratori riconosciuta e per tale ragione è corretto che esista un sindacato che, in modo virtuoso e costruttivo, si adoperi affinché non vi siano lesioni ai diritti dei lavoratori.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/digital-law-copertina-autori.jpg6641181Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-11-15 11:14:172021-11-17 15:21:08Digital Law: istruzioni per un uso consapevole del mondo digitale
Continuano senza sosta i nostri appuntamenti con i Webinar PRO targati Ninja: tutti gli insight, trucchi, trend, dietro le quinte sui temi caldi del momento, condivisi con voi.
L’argomento di questa puntata è dedicato al settore degli eSport e del Gaming: a parlarne con noi Luigi Caputo, CEO di Sport Digital House, dell’Osservatorio Italiano Esports ed esperto di funnel marketing.
Non perderti i punti salienti dell’intervista:
Come supportare lo sviluppo del marketing e del business nelle aziende: min 2,30
Analisi dei dati sul Gaming: min 06,50
Perché gli eSports sono un trend in espansione: min 16,00
Gli asset di business del Gaming e degli eSport: min 20,50
Il collegamento tra Metaverso e Gaming: min 25,00
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/1920x1080-antearticoli-a-4.jpg10801920Rossella Pisaturohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRossella Pisaturo2021-11-12 18:02:092021-11-12 18:40:18Raggiungere il tuo target con eSport e Gaming. Ecco come
Questo è stato di certo un anno particolare soprattutto per chi lavora nel mondo del web. Sono tante le novità che i content creator stanno sperimentando e l’ultima notizia, oggi, arriva proprio da YouTube.
Di cosa si tratta? YouTube sta facendo un esperimento che sembra essere passato pressoché in sordina ma che ha riscontrato un discreto successo.
Il servizio sta implementando una modifica che renderà privato il conteggio dei “Non mi piace” in tutti i video.
Quello che sappiamo è che il pulsante dei dislike resterà ancora visibile, ma il numero dei “Non mi piace” potrà essere visualizzato solo da chi ha caricato il video sul proprio canale. Il conteggio quindi non sarà disponibile per il resto degli spettatori.
Una mossa per arginare l’intolleranza dilagante nel web?
È lecito chiedersi se questa mossa è stata pensata per cercare di limitare l’odio dilagante che ormai affolla il mondo del web.
Il marchio di proprietà di Google è consapevole che alcune persone hanno utilizzato il pulsante dei “Non mi piace” per prendere decisioni sulla visualizzazione di un certo contenuto, ma hanno ritenuto che i conteggi segreti avrebbero aiutato meglio tutta la community in generale.
I content creator alle prime armi o che comunque non vantano grandi numeri, sono più spesso presi di mira da vere e proprie crociate d’odio gratuito, ha affermato YouTube. Questo test si è rivelato utile per ridurre tali molestie.
La mossa creerà teoricamente uno spazio “inclusivo e rispettoso” in cui i videomaker hanno maggiori possibilità di successo e si sentiranno al sicuro e più tutelati.
Nascondere al pubblico i “Non mi piace” funzionerà?
Ovviamente non abbiamo alcuna garanzia che questa ultima trovata sarà utile a tutti gli utenti, o che comunque non indurrà i soliti molestatori a trovare alternative per infastidire i creator.
Tuttavia, non possiamo negare che magari questo gesto potrebbe scoraggiare gli abusi di chi utilizza il pulsante “Non mi piace” con leggerezza, per non parlare di tutti coloro che sperano di far offuscare e censurare i video che si scontrano con le proprie opinioni.
Una cosa è certa, il web è nato come un posto libero e nessuno dovrebbe minare il modo di essere e di esprimersi dell’altro, soprattutto con cattiveria gratuita.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/youtube-toglie-i-non-mi-piace.jpg539958Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2021-11-11 12:51:172021-11-12 12:20:45Addio “Non mi piace”: YouTube ne nasconderà il numero in tutti i video
La tecnologia sta cambiando la vita delle persone, in tutti gli aspetti. Le digital skill sono ormai richieste e necessarie in ogni aspetto del quotidiano, dal modo di comunicare a quello di vivere e, soprattutto, a quello di lavorare.
Di conseguenza, aumenta anche il numero e il tenore delle sfide da affrontare, per il Paese e per il singolo, per rimanere competitivi sul piano internazionale e all’interno del mondo del lavoro.
Le tecnologie digitali possono dare molte risposte e fornire soluzioni adeguate ad affrontare queste sfide, incentivando la competitività attraverso l’innovazione e traducendole in opportunità grazie al miglioramento del livello di istruzione e la creazione di nuovi posti di lavoro.
La pandemia di Covid-19 ha reso la digitalizzazione una componente essenziale, sia per la ripresa economica, sia per l’implementazione dei sistemi sanitari e di assistenza dell’eurozona: transizione tecnologica, promozione di tecnologie abilitanti e rinnovamento del sistema sanitario in chiave digitale sono ormai priorità assolute.
L’Italia e le Digital Skill
A che punto è l’Italia rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea? Per comprendere l’attuale posizionamento nello scenario internazionale possiamo utilizzare un indicatore sintetico della Commissione Europea che, a partire dal 2014, monitora i progressi degli stati membri in tema di digitalizzazione, in modo da favorire la comparazione tra essi. Si tratta del Digital Economic Society Index (DESI).
Nel report vengono prese in considerazione diversi aspetti della digitalizzazione, ma anche riguardo alle digital skill dei cittadini:
utilizzo di servizi Internet
capitale umano
connettività
integrazione della tecnologia digitale
servizi pubblici digitali
In tutti i comparti si evidenzia un trend crescente, ma con evidenti differenze tra le diverse zone europee.
L’impegno dell’Unione Europea in tal senso è chiaro: l’obiettivo è creare uno spazio digitale sicuro per le cittadini e le imprese. Aspetto da non sottovalutare è che questo spazio sia assolutamente inclusivo e accessibile a tutti.
Per raggiungere il traguardo, sarà necessario transitare in una trasformazione digitale che tuteli i diritti fondamentali e la sicurezza dei cittadini. La proposta di strategia della Commissione Europea mette in primo piano le competenze e l’istruzione digitali, sottolineando la necessità di rafforzare la “sovranità digitale” dell’Europa.
La proposta è articolata intorno a quattro settori:
competenze;
impresa;
pubblica amministrazione;
infrastrutture.
Tra il 2015 e il 2020, l’incremento dei livelli analizzati nel report DESI è stato del 36%. I Paesi che hanno fatto registrare una maggiore crescita sono Ungheria (49%) e Polonia. Seguono poi Italia (45%) e Irlanda (44%).
Il dato è certamente positivo, ma non fa che sottolineare quanto la crescita di posizione riguardi soprattutto i Paesi in cui il grado di digitalizzazione era più basso (Italia compresa). Pur posizionandosi nella parte bassa della classifica, l’introduzione dei sistemi e della tecnologia digitale ha permesso alle realtà “più in ritardo” di recuperare, almeno parzialmente, il gap con i paesi che si attestano alle prime posizioni.
Sull’indicatore della connettività, Danimarca, Svezia e Lussemburgo registrano il punteggio più alto. L’Italia ha recuperato ben otto posizioni rispetto all’indagine del 2018, pur rimanendo nella posizione bassa della classifica, al 18esimo posto.
Per quanto riguarda il capitale umano, troviamo sul podio Finlandia, Svezia ed Estonia, mentre noi siamo (ahimè) fanalino di coda della classifica. In tutti i Paesi parte dell’indagine, comunque, viene evidenziato un consistente gender gap: solo uno specialista Ict su sei è donna, segno che acquisire digital skill è tanto importante per il mondo maschile quanto per quello femminile.
Anche per l’utilizzo dei servizi Internet, l’Italia occupa un poco dignitoso terz’ultimo posto, senza alcun miglioramento rispetto 2018.
Recuperiamo invece una posizione rispetto al 2018 sull’integrazione della tecnologia digitale, posizionandosi al 25esimo posto.
Il quadro generale
In generale, possiamo renderci conto di un complessivo miglioramento nella digitalizzazione europea, che conferma però il divario netto tra i paesi nordici ad alti livelli di digitalizzazione e il resto dell’Europa. Le persone di alcuni Paesi possono contare su digital skill più ampie e questo è un vantaggio non indifferente.
La strada per recuperare il gap digitale è senza dubbio ancora molto lunga e richiede l’intervento massiccio dei singoli stati per produrre un cambiamento sostanziale. Anche se la pandemia ha certamente spinto nella direzione della conversione digitale per moltissime attività economiche, c’è ancora molto da fare.
Tuttavia, con l’introduzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’Italia sembra sulla buona strada.
Non c’è più tempo, è ora di invertire la rotta
La resilienza è una delle capacità più importanti quando si affrontano le avversità e si cerca di riprendersi. Lo sconvolgimento della vita lavorativa che tutti abbiamo vissuto nell’ultimo anno sta aggiungendo una nuova dimensione al valore di questa capacità.
Secondo Tatiana Kolovou, membro di facoltà della Kellogg School of Business, la resilienza è “la capacità di non cedere sotto pressione anche se non ci si sente tranquilli e fiduciosi, di essere in grado di sostenere l’energia durante compiti altamente impegnativi e di essere in grado di riprendersi rapidamente e rimbalzare alla posizione di partenza, anche quando si sta vivendo una battuta d’arresto”.
Oggi però la resilienza ci permette di fare qualcosa in più: questa qualità, infatti, può aiutarci non solo a rimbalzare indietro, ma anche a rimbalzare in avanti, aiutandoci a trarre il positivo da esperienze che sembrano intrinsecamente stressanti.
Perché parliamo di Digital Skill e Resilienza Digitale
Da una ricerca di Boston Consulting Group commissionata da Google risulta che le aziende maggiormente mature dal punto di vista digitale ottengono mediamente un aumento di revenue del 18% e riducono del 29% i costi aziendali, con un crescita delle proprie quote del mercato doppia rispetto alle aziende simili ma meno digitalizzate.
Uno degli elementi della maturità digitale della aziende è la capacità di assicurarsi nuove skill e risorse. Skill specialistiche e un team agile in grado di fare e fallire velocemente sono fondamentale per il successo aziendali.
In questo scenario c’è un’assoluta necessità di reskilling e upskilling e per questo anche il Governo italiano ha stanziato l’importante cifra di 40,29 miliardi euro per la transizione digitale.
1 miliardo di persone, infatti, devono reskillarsi entro il 2030.
Con la pandemia si è toccato il massimo livello di disoccupazione con il 7,2% e con l’80% dei lavoratori che affrontano insicurezze sul proprio posto di lavoro (licenziamenti, taglio delle ore). Chi rischia di più sono i lavoratori con minore livello di istruzione e sprovvisti di Digital Skill e per questo la pandemia rischia di aumentare le disuguaglianze già esistenti: servono competenze digitali avanzate come quelle nel marketing digitale per rispondere a questo rischio.
Le competenze per essere resilienti
Quando parliamo di competenze avanzate ci riferiamo alle capacità e competenze tecniche che permettono oggi ad una azienda di essere presente sui mercati attraverso strumenti e piattaforme digitali avanzate.
Ci riferiamo alla capacità di lavorare e collaborare da remoto, all’utilizzo di eCommerce, marketplace, piattaforme di delivery, strumenti di marketing e comunicazione digitali, di indicizzazione sui motori di ricerca, social advertising, strumenti di marketing automation, di analisi dei dati, così come della capacità di strutturare esperienze di consumo su piattaforme digitali basate sull’usabilità ma anche sul rispetto della privacy e della sicurezza.
Oggi servono, insomma, esperti di privacy e diritto online, di web analytics, di segmentazione dei pubblici, media strategist, esperti di paid media, di creazione di contenuti, di ottimizzazione delle conversioni, esperti di user interface, designer di user experience, di dati e di tecnologie applicate al marketing.
Infine, nel breve e nel medio termine nuove tecnologie modificheranno gli scenari e serviranno ancora nuove competenze, pensiamo al web 3.0 abilitato dalla blockchain, al metaverso, alla realtà virtuale e aumentata o alla mixed reality. Nuovi mondi e mercati digitali che necessiteranno di nuovi architetti, designer, rappresentanti, venditori, commercianti, animatori, programmatori, marketer specializzati.
Non possiamo permetterci che questa occasione venga sprecata.
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/digitalizzazione-italia-digital-skill.jpg536957Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-11-11 11:56:162021-11-15 11:15:41Così non va: l'Italia ancora fanalino di coda in Europa per Digital Skill
Il CEO di Tesla Elon Musk ha venduto quasi 5 miliardi di dollari in azioni Tesla, secondo i documenti finanziari appena pubblicati. Possiede però ancora più di 166 milioni di azioni.
Il suo trust ha venduto più di 3,5 milioni di azioni per un valore di oltre 3,88 miliardi di dollari in una raffica di scambi effettuati martedì e mercoledì. Queste transazioni non sono state contrassegnate come 10b5, il che significa che non erano vendite programmate.
I documenti hanno mostrato che Musk sta vendendo un blocco separato di azioni Tesla attraverso un piano programmato dal 14 settembre di quest’anno. Queste vendite ammontano a più di 930.000 azioni per un valore di oltre 1,1 miliardi di dollari.
Il sondaggio sulle azioni Tesla e il crollo in borsa
Prima che il piano di vendita fosse reso pubblico, Musk aveva chiesto ai suoi 62,5 milioni di follower su Twitter di votare in un sondaggio informale, dicendo loro che il loro voto avrebbe determinato il futuro delle sue partecipazioni in Tesla.
I documenti rivelano che, in effetti, era già a conoscenza che alcune delle sue azioni erano destinate alla vendita in questa settimana.
Much is made lately of unrealized gains being a means of tax avoidance, so I propose selling 10% of my Tesla stock.
Dopo il sondaggio su Twitter, le azioni di Tesla sono crollate più del 15% tra lunedì e martedì, prima di rimbalzare del 4% mercoledì. Il limite del 10% per cento delle azioni di cui si parla nel sondaggio è ancora molto lontano: Musk dovrebbe dar via ancora circa 17 milioni di azioni per arrivarci.
Le vendite aggiuntive di azioni non erano quindi previste e forniscono a Musk notevoli riserve di denaro, dato che la sua ricchezza è in gran parte legata proprio alle sue partecipazioni in Tesla e SpaceX.
Musk ha infatti più di 20 milioni di ulteriori stock option che scadranno ad agosto del prossimo anno.
Il CEO di Tesla è la persona più ricca del mondo, con un patrimonio di quasi 300 miliardi di dollari.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/azioni-Tesla.jpg538957Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-11-11 07:54:342021-11-11 17:49:51Elon Musk ha venduto circa 5 miliardi di dollari di azioni Tesla
C’è una cosa che tutti vorremmo avere maggiormente a disposizione e che non sembra bastare mai: il tempo.
Quante volte ci siamo lamentati di non averne a sufficienza, che le giornate sembrano volare e che non riusciamo a fare tutto ciò che vorremmo?
Forse il problema non è esattamente il tempo, ma la gestione di esso. Pensiamoci bene: ogni volta che siamo in fila alla posta per pagare le bollette o una multa, non vorremmo essere da tutt’altra parte? Magari a casa, sul divano, a leggere un romanzo, o in centro per un aperitivo con gli amici.
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/Conto-corrente.jpg10801920Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2021-11-09 12:22:032021-11-17 17:01:45Come riprenderti un po’ del tuo tempo libero? Ci pensa Enel X Pay
I giovani non ci stanno più e vogliono lasciare il lavoro.
Non ci stanno a trascorrere i weekend a recuperare i task che non sono riusciti a svolgere nella settimana lavorativa. Dicono “no” agli straordinari e alla produttività a ogni costo, anche rimettendoci la salute mentale.
In un articolo del New York Times che è diventato virale la scorsa settimana, la ricercatrice Emma Goldberg ha esplorato come i millennial abbiano “paura” dei lavoratori della Generazione Z, che stanno spingendo per una nuova, audace richiesta di condizioni migliori sul posto di lavoro per raggiungere un giusto equilibrio tra ufficio e vita privata.
Può sembrare un cliché, ma da sempre le generazioni più giovani si sentono meno vincolate all’impiego e alle responsabilità e sono, mediamente, più facilmente disposte a lasciare il proprio lavoro per lanciarsi in nuove avventure professionali, ma la generazione Z, soprattutto dopo la pandemia, sta portando questo concetto all’estremo.
Ad agosto, uno studio di Personal Capital e The Harris Poll ha scoperto che due terzi degli americani intervistati erano desiderosi di cambiare lavoro. tra i più giovani, la percentuale arrivava addirittura al 91%, più di qualsiasi altra generazione.
Quali sarebbero queste “assurde richieste” dei ventenni che si approcciano al mondo del lavoro? Meno mansioni, una valutazione del lavoro svolto basata sui risultati e non sulle ore trascorse in ufficio, maggiore flessibilità di orario.
È un netto contrasto con le giornate strutturate e sovraccariche di lavoro a cui sono abituati i millennials, ossessionati dal lavoro.
Shana Blackwell, lavorava come magazziniere notturno in Walmart . Quando si è licenziata, ha usato il sistema di interfono del negozio per dirlo a tutti nell’edificio.
Blackwell, allora 19enne, aveva raggiunto un punto di rottura a causa del suo lavoro estenuante e fisicamente impegnativo. Aveva presentato delle lamentele a Walmart ma senza alcun risultato.
All’inizio era pronta a licenziarsi “secondo le regole” ma nessuno era disponibile ad ascoltarla. Così, il suo lungo annuncio si è concluso con “”Fan**** ai manager, fan**** a questa azienda, fan**** a questa posizione … Mi licenzio, ca***!“.
Il movimento globale fa parte di quello che Erika Rodriguez ha chiamato “slow-up” in un recente pezzo di opinione per il Guardian, riferendosi a un cambiamento permanente nel rallentare la produttività con lo scopo di separare nettamente il lavoro dalla vita privata.
Questa intenzione potrebbe tradursi nella volontà di prendersi pause non previste dagli orari di lavoro o rispondere alle email solo in determinati giorni della settimana, e la cosa spaventa molto i loro capi millennial, perché sembrano essere tutti d’accordo e compatti sulla questione.
Il fenomeno è probabilmente strettamente legato agli eventi degli ultimi due anni: secondo lo psicologo organizzativo Anthony Klotz, che ha coniato il termine “La Grande Dimissione”, vivere in un momento storico tanto condizionato da una pandemia globale ha spinto le persone a porsi delle domande esistenziali, oltre ad aver permesso alle persone, volenti o nolenti, di allontanarsi dai luoghi di lavoro e sperimentare altri modelli di vita.
Licenziarsi è un trend
Il CEO di LinkedIn Ryan Roslansky ha dichiarato in una recente intervista al Time che non dovremmo tanto parlare di “Grande Dimissione” quanto di “Grande Rimpasto”, per ciò che riguarda i lavoratori più giovani.
Il suo team ha monitorato la percentuale di membri di LinkedIn che hanno cambiato lavoro in base al profilo e ha scoperto che le transizioni di lavoro sono aumentate del 54% rispetto all’anno precedente. Le transizioni di lavoro della Gen Z sono invece aumentate dell’80% .
Ha avvertito le aziende a valutare attentamente la nuova situazione: “I vostri dipendenti a livello globale stanno ripensando non solo al modo in cui lavorano, ma anche al perché lavorano e cosa vogliono fare delle loro carriere e delle loro vite“, ha detto per poi concludere “Questo rimescolamento di talenti molto probabilmente continuerà per un altro anno o due, ma credo che alla fine si stabilizzerà“.
La Gen Z è felice di lasciare il lavoro e lo dice su TikTok
Certamente il “job-hopping” ha degli aspetti positivi, perché motiva i giovani a cercare nuove opportunità e permette di capire cosa davvero si vuole ottenere: lasciare il lavoro e puntare a una vita lavorativa più flessibile permette infatti di estendere i propri orizzonti e avere uno sguardo più ampio sul futuro.
Di solito, le uniche persone informate su un licenziamento sono chi lo lascia, il capo e un rappresentante delle risorse umane.
Ma con un numero record di lavoratori che si sono decisi a lasciare il lavoro durante la pandemia, le persone hanno reso pubbliche sempre più spesso le loro storie in modo che tutti potessero vederlo e condividerlo.
La Gen Z non è per niente timida nel diffondere la notizia del licenziamento, anzi, incoraggia l’addio a ruoli tossici nello stesso modo in cui siamo stati abituati noi millennial a celebrava un nuovo lavoro come un grande traguardo.
Sono compatti e fanno squadra contro un mondo del lavoro opprimente: su TikTok i giovani postano video allegri e festosi dopo aver lasciato il lavoro. E la cosa velocemente è diventata un trend.
Che rischia di rimodellare completamente il mondo del lavoro.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/lasciare-il-lavoro-tiktok.jpg540960Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-11-09 10:00:222021-12-29 15:42:27Lasciare il lavoro è virale: la Gen Z festeggia il licenziamento sui social
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