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Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Digital Marketing: come connettersi con i consumatori “stressati” di oggi

  • La pandemia non sembra cessare il suo corso, anche dopo i “rallentamenti” registrati nel post-lockdown.
  • Riuscire a definire delle prospettive future oggi è decisivo: le abitudini dei consumatori promettono di mutare in maniera definitiva.

 

A distanza di alcuni mesi dal terribile lockdown, il mondo del marketing osserva ancora più scrupolosamente gli atteggiamenti degli utenti. Profondamente mutati.

Il marketing post-lockdown

All’inizio della pandemia, i media erano un’ancora di salvezza per il “mondo esterno”. Già dalla fine di marzo, quasi la metà dei consumatori, se non la maggior parte, ha cercato una maggiore interazione con i media che già utilizzava, rispetto ai tempi pre-pandemici, secondo il recente studio “Meaningful Media in the Time of Covid-19”, condotto da Havas Media.

Emerge che i consumatori, desiderosi di una fuga dalle loro attuali realtà stressanti, hanno investito molto più tempo in attività fisica, cucina, lettura e progetti fai-da-te. Realtà come Buzzfeed e Thrillist, non gli ultimi arrivati insomma, hanno monitorato questa esigenza di evasione attraverso una maggiore interazione dei consumatori con contenuti che vanno dal fai-da-te all’intrattenimento, ai meme.

LEGGI ANCHE: Come potrebbero cambiare le scelte di marketing dopo il COVID-19

I dubbi dei marketer, possono essere riassunti essenzialmente così:

  • come rispondere e reagire alla crisi in atto;
  • se e come cambieranno i comportamenti dei consumatori, ancora una volta.

Quali attività adottare per incontrare le nuove abitudini degli utenti

Chi si occupa di marketing, d’altronde, deve osservare scrupolosamente la realtà ed i relativi comportamenti degli utenti. La complessità sta proprio nell’individuare la corretta strategia di comunicazione che possa essere efficace per quel prodotto/servizio.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

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Attività costanti, come l’ascolto del pubblico e l’osservazione attenta delle sue evoluzioni, rispecchiano un’importanza fondamentale, soprattutto in un periodo del genere.

Il Coronavirus e le informazioni che vengono diffuse ogni giorno, hanno già mutato il comportamento della popolazione globale. Innanzitutto a livello psicologico. D’altronde, nei trend delle queries dei maggiori motori di ricerca primeggia, quasi esclusivamente, la parola Coronavirus e tutti i contenuti a lei relativi.

Le aziende dovrebbero tenere in grande considerazione tutti questi aspetti per poter gestire l’emergenza al meglio. E per migliorare la propria presenza, in linea con il sentiment diffuso dei propri utenti.

Gli errori da non fare

Considerare la comunicazione con i clienti un’attività secondaria, è l’errore che viene commesso più comunemente in questo momento. Difatti, molte aziende, anche alcuni dei giganti dell’economia mondiale, stanno cercando di affrontare l’emergenza agendo soltanto dal lato dei dati, dei numeri, degli andamenti di borsa, dimenticandosi che ad alimentare la loro realtà aziendale, è un pubblico composto essenzialmente da persone. Con reali sentimenti.

Ecco qui che si apre un capitolo che, timidamente, vista la sua vastità e complessità, è doveroso quantomeno accennare.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

La salute mentale dei consumatori: attualità e dati su cui riflettere

Durante questi mesi, la gestione della salute mentale è stata sotto i riflettori. Anche da parte del mondo del marketing.

I maggiori editori di media si sono uniti alle “conversazioni” sulla salute mentale dei propri consumatori, condividendo articoli su come ridurre il tempo trascorso a “scrollare” il feed o su come evitare la dipendenza dagli schermi digitali. Alcuni recenti studi, effettuati anche da Brandwatch, fanno emergere che le ricerche online relative alla salute mentale ed al benessere degli utenti, negli ultimi cinque mesi, sono aumentate di quasi il 90%. A conferma di ciò, l’app Calm ha visto un aumento del 29% di nuovi download dall’inizio della pandemia.

Altri interessanti dati emergono da un recente rapporto di un’indagine di Accenture: 4 intervistati su 5 con diagnosi di ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico, ADD o dipendenza, affermano che avrebbero “probabilmente” o “sicuramente” utilizzato risorse sanitarie virtuali per gestire le loro condizioni.

Ovviamente, è doveroso sottolineare come quello di cui necessitano gli individui, in generale, proprio in questo momento di continua incertezza, non sia analizzabile solo tramite un software, ma abbia origine nell’emotività umana.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Adottare nuovi approcci verso “nuovi” consumatori

Nel complesso e preoccupante contesto che stiamo vivendo, è necessario per il momento abbandonare l’approccio economico tradizionale, per iniziare ad offrire non ciò che pensiamo possa piacere al consumatore, ma la soluzione ai suoi problemi. Problemi ben specifici che vive a causa della diffusione della pandemia.

Costa ben cinque volte meno cercare di mantenere un cliente già acquisito rispetto al cercare di attirarne uno nuovo. Ormai lo sappiamo.

Per questo motivo adottare una strategia legata a parametri, quali la customer retention, pare sia la strada più logica da percorrere. Perdere i propri clienti, non è più una probabilità assai lontana. Si sta trasformando gradualmente in un’amara realtà per tutte quelle imprese che stanno ignorando i bisogni dei consumatori, che negano l’evidenza a risultati negativi e poco soddisfacenti in merito alla customer loyalty.

Le necessità del proprio pubblico devono essere cercate in fondo a quel bisogno di sicurezza e promessa di un ritorno alla normalità. Le imprese non possono fare promesse, ma possono dimostrare la propria vicinanza ai clienti, manifestando comprensione e adeguando l’offerta che propongono a seconda delle circostanze.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Essere vicini ai clienti. Ora o mai più!

Bisogna saper mostrare e dimostrare la propria vicinanza e comprensione al proprio pubblico. Cari colleghi e marketer: ci sono dei momenti in cui, più di altri, un’azienda deve dimostrare di possedere quelle skill che la differenziano dalla concorrenza, per costruire un legame empatico e sincero con il pubblico: non solo dire di essere la migliore in qualcosa, bensì dimostrare con i fatti che può davvero fare la differenza.

Gli slogan che hanno accompagnato l’immagine del brand devono essere tramutati in realtà, dimostrati con le azioni. Dire di essere vicini non basta, per restare veramente nelle menti dei consumatori in questo momento è necessario agire, fare.

Bisognerà tener conto che tutto ciò implica spendere del budget più o meno esosi ma certamente si tratta di un investimento a lungo termine per il posizionamento del brand che si segue.

Prepararsi al futuro ed essere pronti per quando l’epidemia terminerà il suo percorso. Ecco su cosa attualmente investire. Riuscire a definire delle prospettive è decisivo: le abitudini dei consumatori promettono di mutare in maniera definitiva.

Il mondo è stato messo a dura prova e non è possibile predire con assoluta certezza l’evolversi di questa particolare circostanza. Si può scegliere se abbandonarsi al flusso degli eventi o accettare la sfida che ci è stata posta e scovare all’interno di essa delle opportunità nascoste. La parola chiave è: riadattarsi.

In uno sforzo collettivo che è mosso e stimolato da nuove e positive opportunità di mercato.

lavoro da remoto

5 miti che sopravvivono ancora sul lavoro da remoto, da sfatare nel 2020

  • Ci sono molti falsi miti sul lavoro agile che inducono le aziende ad essere resistenti verso questa tipologia di lavoro.
  • L’argomento del lavoro agile va affrontato con un orizzonte temporale ampio senza legarlo al contingente momento emergenziale generato dalla pandemia.

 

Il lavoro agile o smart working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. Lo dice il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Smart Working o Lavoro Agile: definizione e sviluppi

L’Osservatorio del Politecnico di Milano lo definisce: “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Quello che abbiamo sperimentato fino ad oggi, nel periodo pandemico, è uno smart working agevolato, un po’ improvvisato, molto più vicino al concetto di telelavoro ma pur sempre una buona base di partenza per iniziare ad avvicinarsi alla corretta adozione.

Durante la pandemia il Governo, attraverso un decreto attuativo approvato con urgenza, ha previsto l’adozione dello smart working senza accordo preventivo con i dipendenti (in deroga alla Legge 81/2017) al fine di contenere e contrastare la diffusione del Covid-19, bloccando, di fatto, l’attività in presenza per milioni di italiani.

DL 111/2020

Lo smart working è stato poi ulteriormente esteso dal DL 111/2020 (contenente alcune misure a sostegno dell’avvio dell’anno scolastico) al genitore lavoratore, per tutto il periodo (o parte di esso) corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente, minore di anni 14, disposta dall’ASL, a seguito di contatto verificatosi a scuola.

La previsione è contenuta nell’art. 5 che stabilisce inoltre che se la prestazione lavorativa non può essere svolta in modalità lavoro agile, alternativamente, uno dei genitori può fruire di un apposito congedo straordinario percependo un’indennità pari al 50% della retribuzione (il calcolo avviene secondo le modalità fissate dall’art. 23 del D.lgs. 151/2001). Secondo il dettato legislativo i periodi in cui si è fruito del congedo sono coperti da contribuzione figurativa.

La possibilità di fruire dello smart working o del congedo, quando il figlio è stato posto in quarantena, non spetta al lavoratore genitore se l’altro già fruisce di una delle predette misure, oppure svolge la prestazione in modalità lavoro agile ad altro titolo. Congedo straordinario o smart working non spettano nemmeno se l’altro genitore è già a casa perché privo di impiego.

Dal 15 Ottobre

Il Governo, con la delibera 7/10/2020, ha prorogato dal 15 ottobre al 31 gennaio 2021 lo stato di emergenza dovuto alla diffusione dell’epidemia da Covid-19.

Fino al 31/01/2021 sarà quindi ancora possibile accedere allo Smart Working senza preventivo accordo individuale con il lavoratore. Permane, quindi, la line agevolativa. Il DL 125/2020 apporta modifiche anche al DL 83/2020 (L. 124/2020) disponendo in particolare la proroga dal 15 ottobre 2020 al 31 dicembre 2020 del diritto di svolgere il lavoro in Smart Working riconosciuto ai lavoratori c.d. fragili, ossia coloro che sono maggiormente esposti al rischio di contagio da Covid-19.

LEGGI ANCHE: Dal Remote Working allo Smart Working: come evolve il lavoro nelle organizzazioni

5 miti sul lavoro da remoto da sfatare nel 2020

Ci sono molti falsi miti sul lavoro agile che inducono le aziende ad essere resistenti verso questa tipologia di lavoro. Qui di seguito indichiamo i 5 principali falsi miti sul lavoro da remoto che dovranno essere superati nel futuro.

1. I dipendenti che lavorano da remoto sono poco produttivi e lavorano molto meno

Uno dei primi miti da sfatare è proprio l’assenza di produttività.

Spesso si pensa che il lavoratore non presente in ufficio, quindi non a stretto contatto con il capo o collega, sia meno produttivo di quello impiegato in azienda.

Questa convinzione, in realtà, è stata smentita; molti lavoratori hanno affermato di aver lavorato più ore da remoto rispetto al lavoro in presenza.

LEGGI ANCHE: Come aumenta la produttività aziendale con lo smart working

smart-working-lavoro-remoto

2. I dipendenti che lavorano da remoto non fanno squadra e tendono ad isolarsi

Anche questo “mito” è frutto di una cultura non matura rispetto all’argomento.

Il lavoro agile non è sinonimo di isolamento, un programma di remote working può infatti alternare periodi in presenza con periodi a distanza. Durante i periodi in presenza si può continuare a coltivare le relazioni face to face, a seguire corsi di formazione e continuare a fare team building.

La comunicazione tra colleghi può avvenire in modo snello e completo anche se non si è vicini di scrivania, esistono infatti moltissimi software per la gestione delle comunicazioni a distanza e che consentono di tenere traccia di ogni conversazione.

Si possono organizzare video call con il proprio team che vadano al di là dei semplici meeting di lavoro ma che si tramutino, per esempio, in pause caffè per socializzare in modo informale con i membri del team.

Questi alcuni strumenti utili per il lavoro a distanza:

smart working e video call

3. Il lavoro da remoto permette di dedicarsi alle faccende domestiche

Nell’immaginario comune lo smartworker viene spesso rappresentato intento a lavorare e a svolgere, nel contempo, anche attività domestiche quali: prendersi cura dei figli, pulire la casa, cucinare ecc.

Il vero lavoratore remotizzato, in realtà, organizza molto bene la sua giornata al fine di evitare distrazioni e interruzioni legate alla sfera domestica/privata.

L’importante è definire una routine quotidiana e stabilire regole precise per interagire con eventuali altre persone della famiglia.

Anche il mercato immobiliare si sta muovendo nella direzione del lavoro agile. Aumentano, infatti, le richieste di immobili più ampi dove poter ricavare lo studio per collocare la propria postazione di lavoro, senza dover condividere spazi comuni quali salotto, cucina ecc…

Più che l’esposizione della camera da letto o la luminosità della cucina nella scelta dell’immobile si valutano il livello di comfort e il corretto isolamento dal resto della casa della stanza adibita a studio professionale. La priorità è poter lavorare in un ambiente tranquillo, che favorisca la concentrazione. Si tende a traslocare più di rado, ma anche a preferire l’affitto all’acquisto, in modo da poter cambiare domicilio più facilmente non appena ci si imbatte in un’offerta migliore. La parola d’ordine è flessibilità, concetto che si applica non solo agli orari di lavoro ma anche al modo di concepire la casa.

Va inoltre sottolineato che il lavoro agile non è necessariamente coincidente con l’home working, è possibile infatti lavorare a distanza da spazi neutri al di fuori delle mure domestiche, come ad esempio in apposite strutture di coworking (oggi meno utilizzati a causa della pandemia).

skill smart working

4. Il lavoratore da remoto non sarà mai un buon capo

Se i datori di lavoro sono scettici in relazione all’assunzione di dipendenti che lavorino da remoto, lo sono ancora di più quando sono i manager stessi a non essere fisicamente in ufficio a controllare e coordinare le risorse.

Anche questo è un falso mito, come sostiene HubSpot, dove la forza lavoro remotizzata è di oltre 300 persone e la maggior parte sono manager di medio e alto livello.

In Italia le aziende che hanno siglato accordi di smartworking sono:

  • Tim Spa;
  • Eni;
  • Enel;
  • Fincantieri;
  • Fastweb;
  • Leonardo.

il-mondo-dopo-il-covid

5. Il lavoratore da remoto ha tutto il tempo per prendersi cura di se stesso

Quante volte abbiamo sentito dire: “Ora che lavoro in smart working avrò sicuramente il tempo di andare in palestra” oppure “Ora finalmente potrò coltivare il mio hobby”.

Anche questo (purtroppo) è un falso mito.

Lo stile di vita remoto è in realtà molto più frenetico e la giornata lavorativa è molto più occupata.

Spesso chi lavora da remoto perde il contatto con la realtà: salta la pausa pranzo, non intervalla la routine lavorativa con delle pause, tende a non scollegarsi mai.

Molte volte questo burnout avviene perché si sente la pressione psicologica di dover dimostrare al proprio datore di lavoro che, anche da distanza, si mantengono alti i nostri standard produttivi, aumentando di fatto la prestazione lavorativa a discapito della sfera personale. Oppure perché non si è in grado, come indicato sopra, di porre dei limiti e di organizzare in modo corretto la giornata.

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smart working

Il futuro del lavoro da remoto

Il ricorso allo smart working è aumentato esponenzialmente durante il periodo pandemico e post-pandemico, ed è spesso stato confuso con il telelavoro o peggio ancora con l’home working.

In realtà occorre affrontare l’argomento del lavoro agile con un orizzonte temporale ampio, senza legarlo al contingente momento emergenziale generato dalla pandemia.

Le organizzazioni che hanno introdotto il lavoro da remoto durante il periodo pandemico devono interrogarsi su quanto questa forma di lavoro possa diventare un modello organizzativo stabile nel tempo, analizzando gli aspetti positivi e negativi di questa metodologia di lavoro.

Dal lato dell’organizzazione aziendale è un modo per essere in grado non solo di rispondere alle esigenze delle persone, ma di creare spazi di lavoro ottimizzati che consentono risparmi sugli affitti e facilities, con tecnologie che agevolano i processi lavorativi dell’impresa.

Il risvolto negativo che si otterrà, dalla scelta di adottare o meno il lavoro agile, sarà sui settori produttivi il cui indotto è strettamente correlato al lavoro in presenza negli uffici: ristorazione, pulizie e facility management i settori duramente colpiti.

“Per questi comparti la crisi generata dal lockdown è stata solo l’inizio: l’estrema prudenza con cui continueranno a essere gestiti i rientri nei luoghi di lavoro per evitare i contagi sarà, di fatto, una minaccia per la continuità dei conti di queste aziende, tranne per chi non ha saputo radicalmente rinnovare il proprio business”.

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Il lavoro da remoto sarà la forma di lavoro vincente solo se sussistono una serie di condizioni, tra cui:

  • una migliore standardizzazione e organizzazione dell’attività produttiva richiesta ad ogni lavoratore, attraverso una precisa definizione dei tempi di svolgimento della prestazione;
  • evitare che il distanziamento sociale e di spazio appesantisca le procedure all’interno dell’organizzazione;
  • una corretta modalità di controllo e vigilanza del lavoro, tema delicato poiché nelle organizzazioni non esistono funzioni aziendali dedicate a questa attività.

UPDATE: In una precedente versione di questo articolo si riportava quanto segue: “A partire dal 15 Ottobre, invece, per poter continuare ad applicare lo Smart Working le aziende dovranno stipulare accordi individuali e inviare la comunicazione al Ministero del Lavoro attraverso l’apposita piattaforma e accedendo con le credenziali SPID. Il 15 ottobre è la data spartiacque per il futuro dello smart working per l’Italia.

Non esistendo una norma di raccordo tra il lavoro agile prima del 15 e dopo il 15 ottobre, sarà interessante valutare come le aziende si comporteranno: si inserirà strutturalmente lo smart working come tipologia di lavoro stabile oppure ci sarà un totale ritorno al lavoro in presenza?

La disciplina normativa del lavoro agile, Legge 81/2017, definisce in modo chiaro e preciso le modalità per introdurre e gestire questa forma di lavoro in azienda, nell’immaginario comune e nel web spesso lo SW viene visto in modo distorto“.

Marketing per il B2B: strumenti e strategie per vincere la trasformazione digitale

Ti sei già reso conto di come sono cambiate le abitudini dei consumatori negli ultimi mesi? O hai difficoltà a raggiungerli? Forse non stai ancora usando le strategie corrette di Digital Marketing, o non conosci tutti gli strumenti per rispondere alla grande sfida della digitalizzazione nel B2B.

Negli ultimi anni, infatti, le abitudini e la demografia dell’acquirente B2B sono cambiate e utilizzano regolarmente i canali di interazione digitali durante tutto il processo decisionale.

Per fare crescere un’azienda bisogna saper padroneggiare le novità del digital marketing: da qui l’idea della MasterClass AvantGrade, quest’anno con focus sul marketing digitale per il B2B, che si terrà il prossimo 23 settembre sulle sponde del lago di Como.

sicurezza marketing B2B

A cosa serve il marketing digitale nel B2B

Praticamente tutte le aziende utilizzano quotidianamente Internet, ma ne conoscono davvero le potenzialità e i vantaggi? Anche se come imprenditore sei già abituato a cercare informazioni online, a inviare e ricevere comunicazioni via email o attraverso messaggistica istantanea, a richiedere la fatturazione elettronica e ad archiviare i documenti nel cloud, potresti ancora non sfruttare al massimo le risorse offerte dalla rete in termini di marketing.

Si tratta di un fenomeno relativamente comune tra le aziende B2B e, se è anche il tuo caso, devi sapere che potresti restare indietro e perdere importanti opportunità di business. Il principale vantaggio del marketing digitale B2B, infatti, è quello di aiutarti ad aumentare le vendite della tua azienda. Questo perché il 98% delle aziende cerca i propri fornitori online.

Una buona strategia di marketing digitale è progettata per accompagnare il cliente durante tutto il processo di acquisto, che inizia da quando scopre di avere un bisogno (consapevolezza) e culmina quando acquista un prodotto o un servizio.

Ma non solo, il digital marketing aiuta le aziende anche nel processo di branding, nel posizionamento e nella crescita dell’awareness.

I vantaggi del marketing digitale per il business to business

I benefici e il ritorno che una corretta strategia digitale può portare al B2B sono davvero numerosi. Abbiamo provato a riassumerne alcuni qui di seguito.

1. Aumentare le vendite

I tuoi potenziali clienti sono già online alla ricerca delle opzioni che esistono sul mercato, confrontarne le caratteristiche, i fornitori e i prezzi.

La  ricerca online è semplice e veloce e viste le diverse opzioni, il cliente poi passa alla fase decisionale per scegliere tra un’azienda o l’altra, a seconda delle proprie esigenze, per poi agire ed effettuare l’acquisto. Se durante la ricerca di informazioni la tua azienda non appare tra i suoi risultati di ricerca, avrai perso un cliente.

2. Portfolio clienti

Una delle strategie più utilizzate nel marketing digitale B2B è l’email marketing, che permette di contattare i potenziali clienti, contribuendo a far crescere la base clienti e a fidelizzarli.

Ma la loyalty si ottiene principalmente attraverso un processo di accompagnamento e comunicazione che l’azienda realizza durante tutti il ciclo di acquisto, e che avviene attraverso sito web, social network, blog, video.

Se la tua presenza online sarà con un sito web attraente, informazioni complete, un supporto online efficiente, contenuti di qualità e inviando email al momento giusto, sarai in grado di offrire un’esperienza positiva ai clienti che, soddisfatti, instaureranno relazioni più durature.

3. Branding

Il branding è il processo di costruzione del marchio, e il marketing digitale è un modo pratico per realizzarlo. Si riferisce agli attributi, ai benefici, alla qualità e alla categoria del brand, e ha la funzione di influenzare i clienti e i potenziali clienti prima di iniziare il processo di acquisto, cioè prima che abbia luogo la fase di awareness.

Quando si dispone di un marchio consolidato, è possibile raggiungere i futuri clienti prima del processo di acquisto. Questo significa che il brand ha più opportunità di essere scelto rispetto alla concorrenza, poiché il cliente non avrà troppi dubbi al momento di decidere, con un notevole risparmio di tempo e denaro.

Cosa troverai con la B2B Search Marketing Revolution MasterClass

7 manager internazionali condivideranno la loro grande esperienza nel digital marketing B2B fornendoti spunti strategici e soluzioni tecniche.

Si parlerà di personal branding su LinkedIn del Manager B2B con Ale Agostini – CEO di AvantGrade; ascolteremo la guida per il management per avere una strategia definita, un team competente e sinergie su tutta la catena del valore di Luisella Giani – EMEA Industry Strategy Director di Oracle; scopriremo come usare le parole giuste per ingaggiare, sedurre e convincere i tre cervelli insieme a Paolo Borzacchiello – Co-creator & University Director di HCE.

E ci sarà anche tanto altro da apprendere, con focus sulla sostenibilità, o su come “difendersi da Amazon”, il tutto accompagnato da un importante momento di networking.

La formazione si svolgerà presso il prestigioso Grand Hotel Imperiale, nell’ampia e ariosa veranda della Sala Manzoni con vista mozzafiato sul lago di Como.

Se sei alla ricerca di formazione pratica e business networking di alto livello, questa è la tua MasterClass. Partecipa con lo sconto dedicato ai lettori di Ninja Marketing, inserendo il codice “FRIENDS OF NINJA” al momento dell’acquisto.

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frequenza di rimbalzo

La regola dei 15 secondi: ecco perché gli utenti lasciano il tuo sito

  • Il tempo a tua disposizione per catturare l’attenzione degli utenti sul sito si misura in pochi secondi.
  • Un utente “rimbalza” fuori dal sito quando non c’è stato alcun coinvolgimento e/o non ha trovato ciò che cercava.
  • Ecco gli errori da non commettere, parlando di frequenza di rimbalzo.

 

Qual è il tempo medio di permanenza di un utente su una pagina web? Circa 15 secondi.

Ed è anche il tempo che hai a disposizione per catturare la sua attenzione e far sì che continui a  esplorare il tuo sito più in profondità.

La “regola dei 15 secondi” di cui parlava Jakob Nielsen già diversi anni addietro, consiste proprio in questo: se non hai generato interesse in questo breve lasso di tempo, probabilmente non lo farai più.

15-second-bounce-rate

Basta davvero poco perché un utente lasci una pagina web, dai tempi di caricamento troppo lunghi ai contenuti poco d’appeal.

Per valutare se il tuo sito è costruito in maniera efficace sotto ogni aspetto (visual, content, design) la metrica che devi sempre monitorare è la frequenza di rimbalzo.

Cos’è la frequenza di rimbalzo

Si tratta di una delle metriche più importanti per Google Analytics, che misura la percentuale di persone che abbandonano il tuo sito dopo aver visitato una sola pagina, senza svolgere alcuna azione.

Un utente “rimbalza” fuori dal sito quando non c’è stato alcun coinvolgimento e/o non ha trovato ciò che cercava. Si può dire che quanto più alta sarà la frequenza di rimbalzo, tanto meno efficace sarà il funzionamento del sito in questione.

Naturalmente, è bene considerare le diverse casistiche, che variano da settore a settore. Se si parla di un sito a scopo d’informazione, il fatto che un utente termini la navigazione dopo aver visitato una sola pagina, non è necessariamente un indicatore negativo.

Credits: neilpatel.com

Ma nel caso in cui la struttura del sito presupponga un’interazione, allora potrebbe esserci qualcosa che stai sbagliando.

La creazione di contenuti di qualità è importante non solo per catalizzare l’attenzione del lettore, ma anche per guadagnare credibilità agli occhi del motore di ricerca.

La frequenza di rimbalzo, infatti, non costituisce di per sé fattore di ranking perché l’algoritmo di Google non utilizza i dati di Analytics; ma se l’utente abbandona il tuo sito per tornare ai risultati di ricerca, ecco che il discorso cambia e quel tipo di rimbalzo potrebbe penalizzare a livello di indicizzazione.

Secondo YOAST la frequenza di rimbalzo può rappresentare un campanello d’allarme sotto tre aspetti:

  • la qualità è bassa: non c’è niente che inviti a impegnarsi
  • il pubblico non corrisponde allo scopo della pagina, quindi non ci sarà interazione
  • i visitatori non hanno trovato quello che stavano cercando

LEGGI ANCHE: Cos’è davvero l’User Experience e da dove bisognerebbe partire

Una pessima user experience

Molto spesso un’alta frequenza di rimbalzo è dovuta a una cattiva esperienza di navigazione.

Un design scadente, che offre troppe opzioni e risulta dispersivo, oppure con dei tempi di caricamento lentissimi, equivalgono all’abbandono della pagina.

Hubspot ha pubblicato le linee guida per un design efficace:

  • Semplicità: eliminare ogni elemento non essenziale
  • Gerarchia: organizzare gli elementi in base alla rilevanza
  • Navigabilità: creare un percorso di navigazione semplice e ovvio
  • Coerenza: l’aspetto deve essere uniforme in tutto
  • Accessibilità: il sito deve essere accessibile da tutti i dispositivi
  • Convenzionalità: usare sempre elementi che le persone conoscono
  • Credibilità: saper anticipare il search intent
  • Centralità dell’utente: monitorare le risposte degli utenti agli elementi del sito per ottenere la migliore UX.

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Più il sito risulterà user friendly, minore sarà il rimbalzo. Usabilità e disponibilità sono i fattori chiave per aumentare il tempo di permanenza: se il sito non è ottimizzato per tutti i tipi di dispositivi, elementi come collegamenti interrotti o mancanza di reattività mobile potrebbero essere deleteri se stai cercando di convertire un visitatore in un lead.

L’assenza di interazioni

Un escamotage che viene usato per aumentare il traffico, è quello di registrare nomi di dominio con storpiature di nomi di siti molto cliccati  (“yuotube.com” o “faecbook.com”) prevedendo gli errori di battitura più comuni degli utenti e “sottraendo” una fetta di utenza al sito originale.

Peccato che poi il tempo di permanenza sulla pagina non supera quasi mai i 30 secondi.

Un nome di dominio fuorviante o acchiappa click possono essere fattori di abbandono, poiché quando l’utente arriva sul sito non ci mette molto a rendersi conto di non trovarsi dove dovrebbe.

Se l’utente arriva su una pagina e non trova ciò che cerca, abbandona in pochi secondi, ma lo stesso avviene quando le informazioni sono troppe.

Un surplus di informazioni non solo farà impennare il rimbalzo ma risulterà anche penalizzante dal lato SEO.

Le informazioni ridondanti sono sempre sinonimo di cattiva navigazione: il focus principale non deve mai essere seppellito da altre informazioni superficiali.

LEGGI ANCHE: Come scrivere un Listicle e creare una lista perfetta secondo tecniche SEO

Contenuti non aggiornati o illeggibili aumentano la frequenza di rimbalzo

Per aumentare il tempo di permanenza e invogliare l’utente a continuare ad esplorare il tuo sito devi essere una “fonte autorevole” nel tuo settore.

Ciò significa che i tuoi contenuti dovranno essere pertinenti, aggiornati e fatti per intercettare l’esigenza del momento.

Se stai proponendo post datati, i visitatori potrebbero rimbalzare via anche solo guardando la data. Anche se i dati sono ancora rilevanti, sono i contenuti recenti che ti danno credibilità agli occhi del pubblico.

Anche se si tratta solo di aggiornare numeri e statistiche, è importante non trascurare quest’aspetto.

Oltre a trasmettere conoscenza ed esperienza nel settore, i contenuti devono essere leggibili. Niente scoraggia la lettura più di un muro di testo, scritto senza variazioni di carattere e/o spazi bianchi.

È sempre consigliabile inserire blocchi di testo, che siano intervallati anche da immagini e che lascino alla pagina un po’ più di respiro.

Sport 4.0: dall’analisi dei dati al mondo virtuale, la rivoluzione è iniziata

  • Nel 2012 faceva notizia l’utilizzo dei droni sui campi di calcio, oggi i dati sono un elemento fondamentale in moltissime discipline.
  • I numeri da soli non bastano: devono essere analizzati per estrarne valore.
  • Anche la crescita degli eSport è, in buona parte, da attribuire dalla crescente capacità di raccogliere, analizzare e utilizzare dati raccolti durante esperienze reali.

a cura di Thomas Ducato, giornalista di Impactscool

I campi di allenamento dell’Empoli nella stagione sportiva 2012/2013 e nelle tre successive erano abitualmente sorvolati da alcuni droni, che registravano i movimenti dei calciatori dall’alto permettendo all’allenatore di studiare minuziosamente posizione e trame di gioco. L’allenatore in questione era Maurizio Sarri, tra i primi a introdurre questi strumenti nel calcio nostrano.

Da allora la tecnologia si è evoluta in modo esponenziale e diffusa in modo trasversale, a tutti i livelli , grazie anche all’abbattimento dei prezzi che l’hanno resa accessibile anche tra i dilettanti e a livello amatoriale. L’obiettivo principale è quello raccogliere dati che possano supportare le decisioni a 360 gradi, sia sul piano tecnico, atletico e delle prestazioni sportive sia su quello manageriale, amministrativo e finanziario.

Ma l’utilizzo di queste informazioni va anche oltre lo sport “reale”: sono alla base dello sviluppo degli eSport, che negli ultimi anni sono migliorati sensibilmente sul piano delle prestazioni e stanno acquistando un riconoscimento sempre maggiore tanto che è in fase di discussione una loro possibile introduzione alle Olimpiadi.

Ma con tutta questa tecnologia, non si rischia di perdere l’essenza dello sport?

Ne abbiamo parlato con un professionista dei dati applicati allo sport, Carlo Bertelli, fondatore di Kama Sport, e con un grande atleta, il ciclista Matteo Trentin.

I dati nello sport: estrarre valore dai numeri

Come si dice spesso in questi frangenti i dati da soli non bastano. Devono essere aggregati, analizzati e visualizzati in modo corretto per poterne estrarre valore. Si occupa proprio di questo Kama sport, azienda italiana che lavora con dati e tecnologia per il mondo dello sport.

“È un settore in crescita esponenziale, – ci ha raccontato Carlo Bertelli, fondatore dell’azienda – sia per quanto riguarda le applicazioni che ormai hanno raggiunto tutti gli sport, a tutti i livelli, sia per il numero di nuove startup che stanno nascendo e gravitano attorno a questo mondo”.

Il calcio, almeno in Italia, fa da apripista e capofila, rappresentando anche l’emblema di un nuovo concetto di sport, che da pura pratica agonistica si è trasformato in un vero e proprio mercato. “Raccoglie settori diversi, dal maketing alla finanza, dalla salute al mondo degli eventi. – ci ha detto Bertelli – I dati che si possono raccogliere sono molteplici ed è fondamentale riuscire a metterli a fattor comune per estrarre valore. Il nostro lavoro è quello di creare un ecosistema, che raccolta tutti gli attori di questo mercato, che ci permetta di attingere a diverse fonti di dati e di unirle per creare servizi su misura per club e società”.

Nuovi mestieri ed evoluzione tecnologica

I dati sono diventati così importanti che stanno nascendo anche nuove figure professionali, sempre più specializzate nell’analisi dei dati associati al mondo dello sport, una sorta di Sport Data Scientist. “Nei club di calcio professionisti ci sono almeno due addetti all’analisi dei dati, uno della società e uno dello staff tecnico. In società più grandi e titolate, però, il team può arrivare fino a 10 persone. Sull’analisi del dato sono ormai molto attrezzate, mentre faticano a creare innovazione. È qui che entrano in gioco le nuove startup con cui collaboriamo e sviluppiamo tecnologia”.
Dalle telecamere intelligenti ai droni per “di Sarri” studiare i movimenti dall’alto, fino ai sensori per misurare diversi parametri fisici, sono molte le tecnologie entrate nel mondo dello sport: “Con un partner internazionale stiamo lavorando ora anche a un pavimento intelligente, in grado di estrapolare dati in tempo reale a partire dai movimenti degli atleti”.

Il caso del ciclismo

Il ciclismo è sport di fatica, in cui una corretta gestione delle energie può fare la differenza sia nella gara singola sia nelle grandi corse a tappe. Lo sa bene Matteo Trentin, ciclista che oggi corre nel CCC Team, in grado di primeggiare in entrambe le tipologie di corsa. Il campione europeo 2018 e vice campione del mondo 2019, ci ha raccontato come si è evoluto l’utilizzo dei dati nel ciclismo e l’importanza che assumono sia nella preparazione sia in corsa.

“Già una decina di anni fa, quando sono passato professionista, iniziavano a farsi largo nell’ambiente alcuni sistemi di misurazione e analisi. Ma negli anni sono diventati sempre più diffusi e fondamentali. Ci ho fatto anche la tesi di laura – racconta Trentin, laureato in Scienze motorie all’Università di Verona -. Permettono di allenarti in modo sempre più minuzioso, anche e soprattutto grazie all’analisi che viene fatta una volta che la sessione è conclusa e da cui si riescono a estrapolare moltissime informazioni. Prima, per farlo, era necessario andare in centri dedicati, ora questi dati si possono ottenere in modo più semplice”.

E per quanto riguarda le corse? “Le gare di un giorno sono un po’ meno influenzate dai dati, hai le informazioni base che aiutano a regolarsi (quelle fornite da smartwatch o dispositivi indossabili ndr) ma nulla di più. Diversa è la situazione nelle corse a tappe, dove a fine giornata si ha modo di vedere quante energie hai speso e analizzare lo stato di forma di ogni atleta e, sulla base di quello, definire la strategia personale e di squadra per la giornata successiva”.

Il dato alla base degli eSport

Ma analizzare i dati non serve solo a migliorare le performance degli atleti in carne e ossa, ma anche quelle degli sport virtuali. Gli eSports, di cui oggi si parla moltissimo anche per i business che ne derivano, hanno raggiunto livelli incredibili grazie ai dati reali. “Sono i dati raccolti nella “vita reale” – ci spiega Carlo Bertelli – il punto di partenza per ricostruire in modo efficace situazioni e movimenti nei video giochi: questo non vale sono per i videogiochi sportivi, ma anche per quelli di azione come può essere Call of Duty”.

Il mondo del gaming, oltre a essere un mercato ricchissimo (basti pensare che vale più di quello di cinema e musica messi insieme), ha acquistato una rilevanza e un’attenzione mediatica notevole negli ultimi mesi, spinto anche dall’impossibilità di praticare e di assistere agli sport tradizionali a causa delle restrizioni portate dall’emergenza Covid-19. A sperimentare e a misurarsi con gli eSports sono stati anche gli atleti professionisti: dalle corse virtuali di Formula 1 di Leclerc alle partite di basket giocate direttamente dal divano dalle star NBA sono molti quelli che si sono messi alla prova.

Il Virtual Tour the France

Non è stato da meno il mondo del ciclismo, con gli organizzatori del Tour de France che hanno messo in piedi una corsa virtuale che ha coinvolto anche i professionisti. Tra loro anche Matteo Trentin, che ha partecipato a una delle tappe del programma.

“Non sono un sostenitore degli eSport onestamente e il risultato si è visto (è stato tra gli ultimi classificati della tappa in cui ha corso ndr), ma devo ammettere che per noi del ciclismo è stato un buon aiuto durante il lockdown. In generale quello del ciclismo virtuale è un movimento che sta crescendo e credo che il successo sia da attribuire a due fattori. Il primo è la comodità: durante i mesi invernali allenarsi all’esterno può essere complesso, penso per esempio agli atleti che vivono in Paesi molto freddi, come quelli del nord Europa, o agli amatori che finiscono di lavorare quando è già buio e per i quali andare in strada può diventare anche pericoloso. Dall’altra è indiscutibile il grande miglioramento di queste piattaforme. L’aggiunta di una grafica di qualità e i sistemi di competizione aiutano a fare più volentieri un’attività, pedalare sui rulli, che potrebbe essere vista come noiosa o poco stimolante”.

La più nota di queste piattaforme e quella su cui si è corso il Virtual Tour de France è Zwift, realizzata dall’omonima startup Californiana.

Questa consente ad atleti e appassionati di pedalare stando fermi, con i rulli, percorrendo però ambientazioni ricostruite al computer. Il sistema è in grado di raccogliere e analizzare dati che, combinati al peso dell’atleta e all’attrezzatura utilizzata, vengono utilizzati per convertire gli sforzi in potenza della pedalata e velocità. Inoltre, il sistema si adatta al percorso, assumendo un realismo fino a qualche tempo fa inimmaginabile. “Il sistema è intelligente, – ci spiega Trentin – la pedalata diventa più dura o molla a seconda del percorso. È stato addirittura sviluppato un algoritmo che riproduce le condizioni della scia”. Correre su strada, però, è un’altra cosa: “Come prima cosa su strada hai le curve, che qui non ci sono. Inoltre, ci sono elementi esterni che fanno parte di questo sport: essendo outdoor è molto complesso ricostruire le stesse condizioni.  Personalmente ho la sensazione di essere in gabbia, un po’ come un criceto che corre sulla ruota”.

Nuovi modi di fare sport significano anche nuovi modi di imbrogliare: “Come si dice in questi cosi “paese che vai, usanza che trovi”. – scherza Trentin – Si può imbrogliare a carte, come nel ciclismo. Queste piattaforme si impostano in base al peso che è una discriminante importante nel calcolo della potenza: basta barare su quello e si ha un vantaggio considerevole”.

L’essenza dello sport

La tecnologia è parte integrante delle nostre vite e lo sta diventando anche della pratica sportiva, tanto che è stata avanzata la proposta di introdurre gli eSport tra le discipline olimpiche.

In questo modo, però, non si rischia di mettere in discussione l’essenza stessa dello sport?

Il dibattito è acceso e non riguarda solo gli sport virtuali: dalle componenti elettroniche sempre più sofisticate negli sport motoristici all’importanza della scelta dei materiali negli sport invernali, passando per l’utilizzo di sistemi tecnologici a supporto degli arbitri, la domanda è trasversale a tutte le discipline e le risposte diverse a seconda delle correnti di pensiero.

“Credo che questo cambio di paradigma faccia proprio della transizione verso il digitale che riguarda tutta la società. – ci ha detto Bertelli – Al centro di tutto, però, rimangono sempre gli atleti e gli staff tecnici, con il loro talento, dedizione e capacità. Oggi queste devono essere più ampie e comprendere anche nuovi aspetti, ma non credo si stia snaturando lo sport nella sua assenza. Sarebbe diverso se stessimo parlando di atleti con un chip che influisce sulle loro performance, ma non siamo a quel punto”.

Per ora, aggiungiamo noi.

american express calm

American Express e Keep Calm, per affrontare il rientro a lavoro

Essere pronti ad affrontare i rientri è sempre un tema importante per gli italiani, in questo momento particolare ancora di più. Per questo American Express collabora con l’app per il sonno e la meditazione Calm, per offrire ai Titolari di Carta consumer un anno di abbonamento premium gratuito.

Calm è l’app per il fitness mentale, sviluppata per contribuire a gestire lo stress, dormire meglio e vivere una vita più felice e sana. L’abbonamento annuale Premium è disponibile gratuitamente e rappresenta un beneficio esclusivo per i titolari di carta American Express in 44 Paesi a livello internazionale ed è consultabile a questo link.

LEGGI ANCHE: Meditazione 3.0, ecco come tecnologia e realtà virtuale provano a darci la felicità interiore

american express calm

Meditazione e mindfulness in un click

Con l’app Calm i titolari di carta hanno accesso a oltre 100 ore di contenuti audio originali relativi alla meditazione, al riposo, alla musica e alla mindfulness, includendo una varietà di programmi che includono stress, gratitudine, ansia, fiducia e molti altri. Due dei contenuti più amati di Calm sono Daily Calm, una meditazione di 10 minuti al giorno per ritrovare la pace e la calma interiore, e Sleep Stories, una serie di favole della buonanotte per adulti.

La domanda dei consumatori per prodotti che rafforzino il sistema immunitario, migliorino il sonno e supportino la riduzione dello stress sta crescendo. Secondo un recente studio, oltre all’attenzione per un’alimentazione sana, sta crescendo la richiesta di servizi per favorire il sonno e la riduzione dello stress. Le persone sono alla ricerca di spazi virtuali e domestici per soddisfare il bisogno di benessere, utilizzando sempre più app e servizi per workout virtuale e meditazione.

LEGGI ANCHE: Investire su sostenibilità e responsabilità sociale oggi è ancora più importante per i brand

American Express risponde ai nuovi bisogni delle persone

Dall’inizio di marzo la media delle ore dedicate a salute, fitness e ad app medicali era cresciuta del 30%. Questo nuovo benefit di Amex da parte di Calm si rivolge a queste esigenze e sostiene i titolari di carta nelle loro necessità.

“Molte persone durante l’emergenza hanno dovuto affrontare stress e ansia a livello personale e professionale. Il nostro desiderio con l’offerta sviluppata con Calm è fornire loro sollievo e relax in un momento impegnativo e incerto”, dichiara Tabitha Lens, Vice President, Head of Marketing, Products and Partnerships, American Express Italia.

“La nostra partnership con American Express introdurrà Calm a milioni di persone e in un momento in cui la pratica della meditazione è maggiormente necessaria. Siamo orgogliosi di far crescere questo programma che è unico sul mercato, incoraggiando i Titolari di Carta American Express a vivere in modo più sano e felice” commenta anche Dun Wang, Chief Product e Growth Officer di Calm.

I titolari di carta American Express potranno usufruire dell’abbonamento premium Calm gratuitamente il primo anno e con uno sconto del 50% il secondo anno. L’offerta è valida per le sottoscrizioni effettuate entro il 31 ottobre 2020, esclusivamente attraverso la pagina a loro dedicata.

diversity

Il progetto “TrueColors” ci mostra cosa manca oggi per il diversity management

  • Cosa accadrebbe se i colori dei loghi dei più famosi brand esprimessero il colore del proprio top management?
  • A creare questa sorta di inside out, ci ha pensato il profilo Instagram @truecolors.official, powered by Eleonor Rask, direttrice artistica della famosa agenzia pubblicitaria di San Francisco, Goodbye Silverston&Parteners.
  • Ad oggi, nonostante le molteplici pressioni subite dalle aziende per cambiare la diversità della propria leadership, per il diversity management c’è ancora tanto da fare.

 

Django Unchained, di Quentin Tarantino, ispirato allo spaghetti- western Django (famoso film degli anni Sessanta con protagonista Franco Nero), racconta la storia di uno schiavo di colore (Jamie Foxx), che diventa un cacciatore di taglie sotto la guida di un ex dottore (Christoph Waltz).

Dopo aver lavorato insieme per tutto l’inverno, la coppia inizia poi a cercare la moglie dell’ormai uomo libero Django, Broomhilda, schiava del crudele proprietario terriero interpretato da Leonardo Di Caprio.

Candidato a cinque statuette ai Premi Oscar 2013, il film di Tarantino ne conquistò due.

In Italia il filma incassò 400.000 euro nel primo giorno di proiezione.

Ma cosa ne sarebbe stato del film se il protagonista fosse stato bianco? Probabilmente la trama sarebbe stata stravolta e la pellicola non avrebbe avuto alcun senso.

Immaginiamo, ancora, Will Smith in La Ricerca della Felicità. Avrebbe avuto lo stesso successo con un attore non di colore?

Continuando la stessa riflessione nel mondo del business, immaginiamo che i colori dei loghi dei più famosi brand diventino quanto più simili possibili al colore del proprio top management. Cosa succederebbe?

Il progetto TrueCcolors

Probabilmente i brand non sarebbero più distinguibili.

Nonostante le posizioni pubbliche prese in merito al razzismo, soprattutto durante l’esplosione del movimento Black Lives Matters, molti famosissimi brand continuano ad avere una leadership bianca tra le fila dei C-levels.

Il tutto mentre il mondo aziendale è costantemente sotto pressione per cambiare la diversità della propria leadership.

Adidas è 100% white, CNN è al 93% white, Tiffany&Co è per l’88% white.

LEGGI ANCHE: Black Lives Matter, brand e pubblicità: chi è pronto a cambiare (e chi no)

true colors diversity management

Seguono poi Nike (85% white), Microsoft (81% white), Apple e Mc Donald (77% white). Fanno di meglio Uber (al 50%) e Hulu (al 44%), azienda che offre servizio internet di video su richiesta operante nella distribuzione di film, serie TV e contenuti di intrattenimento.

true colors diversity management

L’ideatrice di quest’assurdo, stimolatore di profonde riflessioni, è Eleonor Rask, direttrice artistica della famosa agenzia pubblicitaria di San Francisco, Goodbye Silverston&Parteners (GSP).

In questo caso, però il progetto non è affiliato con GSP. L’agenzia ha comunque una storia di impegno nel dialogo civico. A giugno, i direttori creativi associati Rony Castor e Anthony O’Neill Hanno lanciato il messaggio Being Black Is Not a Crime, supportando la comunità nera e il movimento Black Lives Matter.

true colors diversity management

LEGGI ANCHE: Black Lives Matter, brand e pubblicità: chi è pronto a cambiare (e chi no)

Rask ha preso i loghi, li ha resi neri e poi ha applicato una sovrapposizione di colore bianco su ciascuno.

Ha scelto di non utilizzare un vero bianco in modo che, anche nel caso di un’azienda con un alto rapporto di leadership bianca, il logo potesse essere ugualmente visibile.

Rask ha poi adeguato la percentuale in modo che corrispondesse a quella di ciascuna società.

Il tutto è racchiuso nell’account Instagram @truecolors. official.

Apparso il 22 luglio, riproduce le immagini di famosi brand secondo la percentuale del numero di professionisti bianchi o neri presenti ai vertici aziendali.

Diversity management

La provocazione si inserisce perfettamente nel contesto della lotta al razzismo, supportando pienamente il messaggio promosso dal movimento Black Lives Matter.

Stimola, inoltre, una serie di riflessioni in merito al cosiddetto diversity management.

true colors diversity management

Nato negli USA sul finire degli anni Ottanta, il diversity management rappresenta un nuovo approccio alle persone all’interno delle risorse umane aziendali, in grado di valorizzare la diversità.

Fino a non molto tempo fa vigeva tuttavia una prospettiva che tendeva ad annullare le differenze e le diversità, secondo un modello in cui il lavoratore tipo era identificato con una persona sana, generalmente dalla pelle bianca e soprattutto di sesso maschile.

Solo sul finire degli ’80, molte aziende US based cominciarono ad accorgersi dell’enorme potenziale che andava sprecato in ragione delle discriminazioni.

L’intento del diversity management è quello di creare un ambiente di lavoro inclusivo, in grado di favorire l’espressione del potenziale individuale e di utilizzarlo come leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi.

LEGGI ANCHE: Come creare un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle differenze

Diverso è più bello

Guardando le percentuali white di @truecolors.official sembra però debbano essere fatti molti passi avanti.

In effetti, sono ancora molte le aziende che, nonostante lancino messaggi di supporto nei confronti del movimento “Black Lives Matter”, hanno vertici poco diversificati.

Il tutto nonostante molteplici studi condotti da importanti Business School dimostrino come la diversità sia un valore aggiunto che fa bene al business.

Diversità a tutto campo: culturale, di genere, religiosa.

E se per Django c’è stato il lieto fine, con la conquista della suo riscatto umano e sociale, rimaniamo fiduciosi e in attesa del lieto fine per il mondo del business.

Fingers crossed.

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Torna HR Innovation Forum, in una edizione full-digital

Welfare, employer branding e trasformazione digitale sono solo alcuni dei temi cruciali per le aziende oggi. Ci troviamo a vivere un periodo di profondo cambiamento soprattutto per il mondo del lavoro e interrogarsi sulle principali soluzioni innovative di prodotto e di processo applicate al Talent Management non è più un’opzione ma una priorità.

Il 29 e 30 settembre 2020 torna HR Innovation Forum, la prima rassegna in Italia per discutere e confrontarsi sui nuovi trend e sulle più innovative soluzioni tecnologiche per la gestione delle Risorse Umane. Quest’anno con un formato tutto digitale.

Durante la quinta edizione dell’evento potremo conoscere i nuovi sviluppi nell’Employer Branding, il ruolo della Formazione nella Digital Transformation, il Gaming applicato all’Engagement e al Recruiting, il Benessere Organizzativo per migliorare la Produttività aziendale, lo sviluppo di nuove forme di Lavoro Agile.

Ma queste sono solo alcune della tematiche che saranno affrontate nel corso delle due giornate.

Scopri tutti i contenuti e i seminari dell’HR Innovation Forum per la prima volta in una edizione speciale tutta digitale!

hr innovation forum

L’innovazione che passa dalle HR

L’HR Innovation Forum è un’intera giornata di networking e di approfondimento sui più importanti trend del settore interamente dedicata ai manager e professionisti HR.

​Il format prevede un ciclo di seminari in sessioni parallele sulle più innovative soluzioni digitali e non, legate al mondo HR; uno spazio espositivo nel quale aziende che forniscono servizi HR in outsourcing (HR Vendors) potranno promuovere i propri servizi. Ma soprattutto tante competenze, analisi, best practice e possibilità di fare rete.

Se sei un Manager HR impegnato ogni giorno a capire come attrarre, selezionare e trattenere le persone di talento per la tua azienda, allora questo evento è indispensabile per te e per il tuo lavoro. Potrai incontrare fornitori eccellenti (Exhibitors), sia italiani che stranieri, con servizi e soluzioni veramente innovative per le attività di Talent Management, avrai la possibilità di approfondire e capire meglio come usarli per i tuoi scopi e, soprattutto, quali benefici potrai ottenere.

Ma non solo. Avrai la possibilità di acquisire nuove conoscenze su strategie e nuovi trend nella gestione HR seguendo i seminari gratuiti previsti dal nostro programma e condividere esperienze di lavoro confrontandoti con altri colleghi. E ci saremo anche noi di Ninja Academy, con la nostra Corporate Training Manager Federica Bulega, che sarà Conference Leader della giornata del 29 settembre.

​Durante la due giorni, si svolgeranno seminari e workshop di approfondimento in sessioni parallele per conoscere i nuovi trend nelle attività di attracting, engagement e retention dei talenti. Saranno coinvolte aziende che si sono particolarmente distinte nello sviluppo di strategie HR e che hanno acquisito una consolidata esperienza sul tema.

Le best practice, lo sappiamo, costituiscono efficaci modelli di riferimento per tutte quelle aziende che sono alla ricerca di stimoli per innovare le proprie attività di Talent Management e i massimi esperti del settore saranno coinvolti per condividere esperienze e dati relativi alle ultime ricerche effettuate sul campo.

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Come partecipare a HR Innovation Forum?

La partecipazione all’HR Innovation Forum è gratuita e riservata solo al personale Executive della funzione HR con particolare riferimento agli HR Director e HR Manager.

Se questa descrizione corrisponde al tuo ruolo, cosa aspetti? Le iscrizioni sono già aperte, registrati subito!

L’iscrizione comprende: accesso ai webinar, possibilità di gestire incontri one-to-one con gli exhibitor, slide e materiale didattico relativo ai contenuti dei seminari (post evento).

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Rebranding di agosto: Rolls-Royce, Holsten e il nuovo design di Facebook

  • Rolls-Royce svela la sua nuova identità digitale per un pubblico più giovane e contemporaneo.
  • L’iconica birra Holsten torna alle sue radici, rispolverando gli archivi.
  • Facebook dice addio alla sua modalità desktop classica.

 

Come gli esseri umani, anche le aziende cambiano nel tempo e, quando lo fanno, diventa necessario una riprogettazione o un rebranding del marchio. Sono diverse le situazioni che possono spiegare questo fenomeno, come l’evoluzione dell’azienda o del mercato, l’arrivo di nuovi attori o altri eventi che potrebbero portare l’azienda a reinventarsi, cercando di differenziarsi dalla concorrenza.

Anche un marchio obsoleto può essere l’input per attivare un processo di rebranding. Come per la moda, le tendenze dei marchi vanno e vengono. Quando il marchio di un’azienda sembra antiquato, ha bisogno di essere sistemato. Come detto più volte, non si tratta solo di un cambio logo, il più delle volte parliamo di riprogettazione di un’app o di una piattaforma, di un aggiornamento del packaging o del design generale del brand. Scopriamo i casi più importanti del mese appena concluso.

Il rebranding di Rolls-Royce mostra la nuova identità digitale

Nel mese di agosto, Rolls-Royce ha presentato una versione raffinata del suo emblema Spirit of Ecstasy. La nuova identità visiva, progettata da Pentagram, mostra la famosa statuetta in prima linea rivisitata in chiave digital, una nuova tipografia e una tavolozza di colori aggiornata.

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L’azienda di auto di lusso britannica spera di rimanere fedele alla sua eredità dando al marchio un fascino più moderno. L’identità è stata reinventata per un pubblico più giovane e contemporaneo.

Rebranding Rolls-Royce

Nel corso degli anni, oltre ad automobili di lusso, Rolls-Royce ha ampliato la sua gamma proponendo bagagli, borse e altri accessori di fascia alta per i proprietari delle auto. Il nuovo brand abbraccia l’intera offerta e non riguarda solo il settore auto.

Il look aggiornato dovrebbe adattarsi al mondo digitale poiché secondo Rolls-Royce, la sua base clienti sta diventando sempre più giovane.

Il monogramma distintivo RR è rimasto lo stesso. Il team di Pentagram, guidato da Marina Willer, ha deciso che i dettagli principali, come la doppia “R”, sarebbero rimasti invariati perché hanno un valore inestimabile.

Mentre gran parte dei dettagli 3D sono stati ridotti per rendere il logo compatibile con il digitale, la figura conserva ancora una parvenza di profondità.

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Indizio che segna un cambiamento notevole rispetto all’approccio adottato da molti altri marchi automobilistici negli ultimi mesi.

LEGGI ANCHE: Rebranding di luglio: Toyota, Nissan e la fusione di FCA e Groupe PSA

Il logo aggiornato presenta una base aggiuntiva sotto la statuina, rafforzando il riferimento alla scultura ornamentale che si trova sul cofano dell’auto. La silhouette ora ottimizzata è stata accuratamente ridefinita in base anche alle recenti affermazioni sui corpi delle donne, per non attirare le critiche del pubblico.

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Il cambiamento più notevole è la direzione del logo, che è stato ribaltato orizzontalmente per canalizzare l’idea che, nonostante sia un marchio storico, Rolls-Royce è rivolto al futuro.

Il nuovo wordmark comunica silenziosamente un senso di movimento. Il marchio denominativo è supportato da un nuovo carattere tipografico: Riviera Nights, con le forme delle lettere smussate, sostituisce il carattere aziendale vecchio stile adottato finora.

“Abbiamo esaminato una cinquantina di caratteri tipografici per trovarne uno che rappresentasse il lusso senza essere apertamente decorativo. Doveva anche essere abbastanza semplice da lavorare con tutti gli altri elementi, orchestrati insieme e moderni”.

Nei materiali marketing delle auto, ai nomi viene assegnato un carattere molto distanziato che aggiunge importanza ed enfatizza i vari modelli.

L’iconica birra Holsten torna alle sue radici

Il marchio di birra tedesco Holsten ha rivelato una nuova identità visiva che mira a “rinfrescare il marchio per un mercato contemporaneo”. Poiché la popolarità delle birre artigianali è aumentata vertiginosamente, la nota birra di Amburgo ha perso terreno in quanto molti estimatori ritengono che sia prodotta in serie.

rebranding holsten

La riprogettazione è incentrata sul riaffermare l’autenticità del marchio sul mercato, ricollegandolo alle sue radici legate alla città di Amburgo. Il design è stato realizzato a mano per riflettere l’etica del lavoro mercantile che ha costruito la città portuale, dando vita a una nuova identità e a un nuovo modello di packaging.

Il progetto è a cura di un team di Design Bridge che prima di iniziare i lavori si è recato ad Amburgo per farsi un’idea della storia della città, immergendosi negli archivi del birrificio Holsten per raccogliere informazioni chiave sulle radici del marchio. Hanno scoperto che l’icona del cavaliere era stata messa da parte e lucidata nel tempo, quindi hanno aggiunto dettagli al simbolo per dare un senso alla storia della birra. Guarda il video promozionale qui.

Il cavaliere è stato girato per guardare dall’altra parte. “Facendo voltare il cavaliere ora cavalca con orgoglio in avanti – un cambiamento significativo dal precedente guerriero armato obsoleto a un faro di leadership progressista e portabandiera”, afferma Design Bridge. Stesso escamotage utilizzato per lo Spirit of Ecstasy di Rolls-Royce.

L’approccio e il design su misura del rebranding di Holsten ha prodotto un’identità visiva unica e autentica che non sembra imitare qualcosa di esistente.

Gli appassionati di birra noteranno che l’etichetta a forma di scudo è stata rimossa dalla bottiglia e che è stato aggiunto un colore verde acqua “leggero e rinfrescante” per riflettere l’ossidazione della statua del cavaliere che si trova in cima alla torre del birrificio Holsten.

Inoltre, c’è un nuovo wordmark realizzato a mano, che attinge alla tipografia e alle etichette trovate negli archivi Holsten, anche se è estremamente simile alla versione precedente.

Facebook dice addio alla sua modalità desktop classica

Sapevi che Facebook ha introdotto una riprogettazione completa della sua versione desktop a marzo? Se non te ne eri accorto, probabilmente è perché avevi scelto di rimanere alla versione classica.

Rebranding di agosto: Rolls-Royce, Holsten e il nuovo design di Facebook

Il rinnovamento presenta una UX semplificata che vanta tempi di caricamento e di transizioni da una tab all’altra più rapidi, oltre a una modalità scura monocromatica (molto simile a quella offerta recentemente da Twitter). All’inizio la società di Menlo Park aveva reso facoltativo il cambiamento e permetteva agli utenti di passare alla modalità classica se preferivano.

Non importa quanto sei attaccato al vecchio design, presto dovrai vivere con il nuovo Facebook. Gli utenti hanno ricevuto diversi avvisi che l’interfaccia precedente sarà completamente eliminata a partire dal mese di settembre. “La versione classica di Facebook non sarà più disponibile a breve” è il messaggio di notifica.

Se stai già utilizzando l’app, tuttavia, la nuova versione desktop non dovrebbe essere tanto diversa, in quanto è stata concepita come un’estensione dell’interfaccia mobile.

Tra le modifiche principali:

  • Look più pulito, testi più grandi
  • Foto e video da guardare a tutto schermo
  • Pagine, Gruppi ed Eventi da gestire più facilmente
  • Versione Sfondo Nero, meno luminosa e meno brillante, per non affaticare la vista

Molti utenti sono insorti sui social, specialmente su Twitter, dove hanno espresso la loro opinione sul nuovo design.

Uno dei motivi per cui gli utenti odiano così tanto il nuovo design di Facebook è perché lo trovano confuso.

La confusione creata dal nuovo layout sta inducendo alcuni utenti a considerare di rinunciare del tutto al social di Zuckerberg. Purtroppo dovremo dire addio a quell’aspetto che ci ha accompagnato in tutti questi anni e che oramai ci appariva così famigliare.

L’aspetto della nuova interfaccia è moderno e piacevole da guardare. Ma come molti hanno commentato, sembra che gli ingegneri di Facebook stessero copiando il design di Twitter.

Cambio vita, vado a studiare Digital Marketing. Ecco da dove partire

  • Il digital marketing è sempre in espansione e ognuno di noi può trovare il proprio posto in questo mondo.
  • Da dove partire per iniziare quest’avventura? Una lista per punti su consigli e idee per cominciare a studiare Digital Marketing.

 

Ormai ci siamo, settembre è giunto. Tutto quello che avevamo rimandato nei mesi precedenti a data da destinarsi comincia a fissarci con occhi severi e indispettiti. La fine di agosto segna sempre un punto di svolta nelle nostre vite, è quasi peggio della fine dell’anno, anche se a settembre non stiliamo una lista di buoni propositi, siamo consapevoli che qualcosa di nuovo ci attende. Dobbiamo fare i conti con le cose in sospeso, sappiamo che sarà dura, soprattutto dopo le ferie, specialmente in questo 2020 così allucinante. Rispolveriamo progetti, pianifichiamo i prossimi mesi all’insegna di una scossa perché tutti ne abbiamo bisogno. Cambiamo prospettiva e cogliamo le occasioni al volo.

Voi cosa vorreste fare davvero?

digital marketing

Se siete alla ricerca di un cambiamento, se volete mettervi in gioco e provare qualcosa di diverso, stimolante e creativo, allora un’idea potrebbe essere quella di cercare un nuovo lavoro, e il digital marketing offre tante opportunità in diversi campi.

Il mondo del digital marketing

Il mondo digitale è un vasto universo in cui anche l’esploratore più entusiasta potrebbe perdersi tra milioni di dati, immagini e parole. La prima regola di sopravvivenza è che per imparare a muoversi bene nel mondo del digital marketing bisogna studiare tanto e restare aggiornati. Tutto si muove velocemente, e anche se avete appena capito alla perfezione le funzioni di un tool per il vostro sito web, ci sarà sempre qualche servizio più efficace pronto a sostituirlo.

All’inizio non sarà semplice, proprio perché è un campo molto vasto. Ci sono diverse professioni in cui potreste specializzarsi, dal content manager al growth hacker, ognuna con qualifiche e funzioni specifiche. Ma la sua vastità è anche il suo punto di forza. Il digital marketing vi permetterà di guardavi dentro e capire cosa volete fare e cimentarvi in discipline che vi interessano davvero. Ci vuole tempo, pazienza, ma soprattutto costanza. È un processo di crescita, in cui studierete, leggerete e lavorerete tanto, ma è stimolante come pochi settori.

Ecco una lista di consigli per approcciarvi al digital marketing per non farsi cogliere impreparati.

digital marketing

LEGGI ANCHE: Come iniziare una carriera nel Digital: guida dalla A alla Z

Ci vuole passione nel digital marketing

Per essere bravi nel digital marketing, o meglio, per essere veramente bravi nel proprio lavoro, bisogna metterci passione. Non stiamo dicendo che ogni mattina vi sveglierete felici e sorridenti perché amate il vostro lavoro, ma se scegliete di farlo dovete essere mossi da qualcosa di forte, perché tutti abbiamo giornate belle e giornate brutte, ma a volte si perde l’entusiasmo ed è difficile ritrovarlo.

Il mondo del marketing digitale si muove velocemente e se non avete passione e voglia d’imparare cose nuove, se i cambiamenti vi terrorizzano, probabilmente non è il lavoro che fa per voi. Questo settore richiede passione e desiderio di avere successo.

Il digital marketing è aggiornamento costante

È fondamentale essere aggiornati su tutte le notizie del settore consultando i principali siti di digital marketing, e le persone influenti sui social media. Google e Facebook, per esempio, modificano costantemente le loro piattaforme pubblicitarie e i propri algoritmi a pagamento, e chi si occupa di analisi dati deve assolutamente monitorare i continui cambiamenti che avvengono. Anche chi si occupa di scrittura per siti e blog deve aggiornarsi sulle tecniche SEO per ottimizzare i propri contenuti e renderli accattivanti per gli utenti.

LEGGI ANCHE: Cosa significa essere un Digital Marketer oggi (e l’importanza delle competenze T-Shaped)

Studiare tanto e con i corsi giusti

Il digital marketing non è improvvisazione. Ci sono persone che si autodeterminano professionisti del settore ma non hanno le competenze e la preparazione adeguata. I veri professionisti sono coloro che studiano tanto e si iscrivono ai diversi corsi online per migliorare le proprie skill.

Uno dei problemi che il settore del marketing digitale deve affrontare è che non ci sono barriere all’ingresso, il che significa che chiunque abbia una conoscenza approfondita della terminologia può potenzialmente ottenere una posizione in un’azienda. Ma con la maturazione e la crescita di questo settore, i reclutatori stanno cambiando approccio, diventando più selettivi su ciò che differenzia i possibili candidati, preferendo chi ha competenze certificate e che, ovviamente, dimostra concretamente di avere.

Imparare la terminologia del digital marketing

Dare il nome giusto alle cose le definisce e nel digital marketing la terminologia è importante. Vi troverete davanti tanti acronimi con significati differenti e dovrete riconoscerli e comprenderli.

La capacità di analizzare le campagne di marketing digitale e capire quali elementi hanno funzionato o no dipende dalla vostra capacità di comprendere il gergo del settore.

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Stringere rapporti e fare network

Lavorare in questo campo vi permetterà di stringere rapporti con molte persone, sia online che offline. I

n un ambiente così dinamico e aperto al cambiamento è necessario scambiare opinioni, pareri e idee per poter crescere professionalmente ma anche arricchirsi personalmente. Partecipate a meetup e conferenze del settore nella vostra zona per coltivare relazioni con altri professionisti del marketing digitale e migliorare le proprie capacità attraverso workshop e presentazioni.

Liberi di osare

C’è tanto da imparare nel digital marketing da chi ha più esperienza, ma questo non significa che dovete seguire tutto alla lettera. Bisogna osare.

Ogni marketer dovrebbe avere progetti personali per testare le proprie teorie, cimentarsi in più discipline (SEO, PPC, Social Media, Content Marketing…) ed essere in grado di assumersi la responsabilità del successo o del fallimento di un progetto. Dovete credere in voi stessi e se non riuscite subito a emergere e a realizzare i vostri obiettivi, provate e riprovate.

Non lasciatevi abbattere, è capitato e capiterà a chiunque, ma non tutti hanno avuto la perseveranza di andare oltre gli insuccessi.

Essere una voce

Se volete essere una voce e volete farvi conoscere, dovete esserci. Essere presente in rete non significa avere solo dei canali social, ma mostrare sé stessi e cosa sapete fare. Raccontatevi come se steste parlando con un amico, mostrate i vostri progetti, cosa siete in gradi di fare. Una forte presenza online potrebbe potenzialmente essere il fattore decisivo tra due candidati che hanno presentato domanda per la stessa posizione.

digital marketing

Comprendere i dati

Nel marketing digitale i dati sono essenziali. Bisogna non solo registrarli, ma anche comprenderli per conoscere il proprio pubblico e come stanno proseguendo le proprie campagne. I dati servono a creare annunci targettizzati per personalizzare, comunicare un prodotto, un servizio o un messaggio in modo mirato.

T-shaped marketer

T-shaped marketer si riferisce a coloro che hanno una conoscenza generica di più discipline di marketing digitale e inoltre sono specializzati in una o due abilità particolari. Professionisti del genere sono molto ambiti dalle aziende, perché sono persone curiose e di conseguenza amano imparare diverse cose ed essere sempre sul pezzo. Ovviamente questa caratteristica aiuta anche dal punto di vista personale perché permette di scegliere un percorso in cui specializzarsi.

Conoscere i ferri del mestiere

È possibile conoscere alla perfezione tutti gli strumenti per migliorare le proprie prestazioni lavorative in un settore come questo che muta continuamente? La risposta è scontata. Come ogni professionista conosce i ferri del mestiere, anche un marketer deve sapere cosa scegliere per ottimizzare il proprio lavoro.

La Marketing Automation è molto gettonata per esempio, per via dell’interesse di molte aziende verso i chatbot. I software di automazione stanno rivoluzionando il mondo dell’eCommerce perché alleggeriscono notevolmente il lavoro permettendo una presenza costante di un brand.

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Ascoltare il proprio pubblico

Ascoltare il proprio pubblico, cosa vuole vedere sui social, e i problemi che vorrebbero risolvere è la chiave per creare contenuti che le persone leggeranno con interesse, commenteranno e condivideranno. Questa conoscenza è fondamentale anche per pianificare come trasformare i fan dei social media in clienti per la propria azienda.

Quando i vostri clienti sono soddisfatti dei servizi che offrite genereranno un passaparola spontaneo che permetterà di farvi scoprire anche a chi non vi ha mai sentito nominare.