Il momento storico in cui siamo stati catapultati, ha davvero scosso i nostri animi. Siamo stati costretti a reinventarci e pensare a nuovi possibili modi di vivere, interagire e lavorare.
In particolare il lavoro da remoto e la sua diretta evoluzione, lo smart working, sono diventate parole chiave fondamentali di questo cambiamento, per garantire la business continuity.
Rispondere in modo efficace a questa nuova necessità presuppone lo sviluppo di un percorso di cambiamento organizzativo che possa attivare ilframework per avviare, sostenere e scalare una iniziativa di smart working.
Una’analisi dettagliata sulla nuova normalità: gli impatti su persone, organizzazioni e processi di lavoro;
Come attivare un progetto di Smart Working, dalle strategie al framework;
Le piattaforme abilitanti il remote working e lo smart working;
From face to screen: pratiche virtuose per riunioni e presentazioni da remoto.
Una nuova frontiera
Come aiutare le imprese a lavorare con queste nuove dinamiche in modo efficace? Come far evolvere l’organizzazione dal lavorareremote al lavoraresmart? Come scalare un reale processo smart in un’organizzazione complessa?
La guida si pone l’obiettivo di aiutare imprenditori, manager, HR a comprendere i punti saldi di questo nuovo modo di lavorare e applicarli nelle proprie aziende, al fine di trasformarle in vere smart organization.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/Creator_studio_Cover-1.jpg600900Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-06-15 13:07:052020-06-16 11:07:06Come far evolvere l’organizzazione dal Remote Working allo Smart Working: scopri la Guida Interattiva Ninja
Durante la pandemia il ruolo dei social media è diventato cruciale.
Abbiamo rivolto alcune domande a Simone Tomassetti, Head of Strategic Partnerships di Twitter per il Sud Europa, Benelux e Scandinavia, per sapere come si sono comportati i brand.
Ogni social media ha le sue peculiarità e le sue regole di ingaggio. Per questo ciascuno andrebbe utilizzato in modo diverso da parte dei brand. Sembra una considerazione banale, ma ci troviamo ancora troppo spesso a considerare che lo stesso contenuto viene riciclato su social diversi nello stesso identico modo.
In particolare durante la pandemia il ruolo dei social media è diventato cruciale, non solo per le persone, che hanno potuto connettersi più facilmente attraverso implementate funzioni di chat e video chat, ma anche e soprattutto per brand e aziende, che attraverso i loro canali hanno continuato a mantenere viva la relazione con il proprio pubblico. Twitter ad esempio è “quello che succede nel mondo e quello di cui parlano le persone” e ha un approccio più look at thise meno look at me rispetto agli altri social, di cui è necessario tenere conto.
Abbiamo colto l’occasione dell’appuntamento online con il Web Marketing Festival per rivolgere qualche domanda direttamente a Simone Tomassetti, Head of Strategic Partnerships di Twitter per il Sud Europa, Benelux e Scandinavia.
Abbiamo scoperto con la sua guida cosa è accaduto durante l’emergenza sul social, come si sono comportati i brand e quali sono le best practice da applicare sempre e non solo in tempo di crisi.
Nel tuo talk abbiamo visto che i brand hanno adottato una sospensione delle campagne quando si è verificata la crisi, per poi ripartire adattandosi alla situazione. Quali sono stati, secondo te, i brand che hanno reagito meglio su Twitter?
«Secondo me era anche comprensibile che i brand avessero sospeso molte attività. Mi metto nei panni di aziende che hanno campagne pianificate da mesi e da un giorno all’altro si sono trovati a dover completamente rifare un piano nel giro di poco tempo e in una situazione che nessuno avrebbe potuto immaginare.
La sospensione è servita a capire cosa stava succedendo.
Poi ci sono stati dei brand che si sono adattati. Non lavorando solo in Italia, ho visto tante belle campagne. Vado a memoria e ne ricordo un paio: una era di Spotify che proponeva una serie di playlist da ascoltare sulla base di come si stava trascorrendo il lockdown (ad esempio la playlist per cucinare, quella per fare le pulizie…); l’altra era della Feltrinelli che utilizzava la voce degli scrittori per suggerire i libri da leggere durante la quarantena.
In linea di massima il filo conduttore è stato che indipendentemente dal tipo di prodotto hanno funzionato le campagne di quei brand che si sono calati nella situazione del momento, offrendo soluzioni anche piccole, del quotidiano, ai potenziali clienti.
Questa è una scelta di cui ho parlato durante il mio intervento al Web Marketing Festival, emersa anche da uno studio di Havas che riportava che il 75% dei consumatori si aspetta che i brand contribuiscano positivamente alla qualità della vita delle persone.
E questo è un dato da cui ogni campagna dovrebbe partire, sempre e soprattutto in tempo di crisi.
Un altro ottimo esempio è quello della campagna che abbiamo fatto in Spagna con Seat e che è diventata una best practice come pubblicità calata nel contesto. Seat ha infatti sponsorizzato un gruppo di ragazzi, usciti dal conservatorio e coinquilini durante il lockdown, che hanno iniziato a fare dei concerti dal loro balcone di casa. Loro si chiamano StayHomas e il riscontro del pubblico è stato molto positivo».
Non c’è stato un appiattimento del messaggio nella retorica dell’andrà tutto bene?
«Sì, questo è un po’ vero anche perché non c’era una storia da poter utilizzare o un precedente. Quindi quando i brand hanno visto ciò che funzionava si sono poi messi un po’ in coda e di conseguenza uniformati.
La chiave è stata però offrire delle soluzioni e aiutare le persone a superare il momento nelle piccole cose. Trasmettere un messaggio, una soluzione che comunque sarà poi ricordata, che poi è l’obiettivo ultimo delle aziende».
Le partnership con le istiuzioni
La collaborazione con il Ministero della Salute può considerarsi un precedente in grado di sancire un collegamento più stretto dei social media con le istituzioni?
«Questa collaborazione è frutto di una serie di step complessi che riguardano anche le persone.
In quel momento tutti eravamo a casa ed eravamo spaventati, perché questo virus sconosciuto ha portato nel nostro quotidiano anche una serie di notizie molto dure.
È stato molto molto importante per Twitter convogliare le persone verso delle fonti attendibili e verificabili. Anche perché nel momento in cui sai, sei più tranquillo. Dunque, senza voler estremizzare, è una funzione anche terapeutica da parte dei social.
Da un lato è positivo notare chele istituzioni vedano in Twitter un mezzo importante attarverso cui dialogare con i cittadini, che poi è la funzione di Twitter.
Ci sono città del mondo che utilizzano per le comunicazioni istituzionali principalmente Twitter e il motivo è la possibilità di essere sempre real time e connessi con quello che succede.
La partnership con il Ministero della Salute chiusa dall’ufficio di Public Policy è parte di una strategia che Twitter porta avanti. Sempre nel periodo Covid hanno stretto una partnership con la Croce Rossa, a cui hanno donato degli spazi pubblicitari, ad esempio.
In questo senso Twitter svolge una funzione sociale, come strumento di informazione che ha un impatto sulle persone».
Abbiamo parlato di best practice e case studies positivi. Quali sono invece gli errori da evitare in fase di crisi?
«Due sono gli errori da non commettere, che sono in realtà uno la conseguenza dell’altro.
Il primo è il non fare niente.
Mentre è fisiologica una prima fase in cui si blocca tutto per capire cosa sta succedendo, come abbiamo detto all’inizio, quello che sarebbe sbagliato è aspettare pensando di poter ricominciare quando il mondo tornerà come prima.
Naturalmente in questa situazione ci siamo resi conto che non possiamo sapere quando tutto tornerà come prima.
Un altro dato, sempre riportato dalla ricerca di Havas, che mi ha colpito molto è che il 70% dei brand si trova nella situazione per cui, se da un giorno all’altro sparisse, nessuno se ne accorgerebbe.
L’investimento pubblicitario basato su questi dati è fondamentale per la sussitenza di un brand.
Il secondo errore è quello di non adattarsi alle nuove situazioni.
Ancora oggi siamo in una fase di incertezza, ma non riuscire a dare nuovi messaggi può essere davvero sbagliato».
Se news ed eventi sono l’anima della piattaforma, quali sono concretamente gli obiettivi di marketing che si possono raggiungere?
«Noi abbiamo ultimamente fatto uno studio con Bain, intitolato Launch&Connect. Il titolo non è casuale, dato che Twitter è la piattaforma ideale proprio per questi due aspetti:
lanciare un nuovo prodotto
connettersi, ad esempio con un evento
Lo studio, che intervistava più di 600 direttori marketing di importanti aziende, ha dimostrato che le aziende che usavano Twitter per il lancio di un nuovo prodotto o per una campagna, avevano più del doppio di possibilità di raggiungere i propri KPI. Proprio per questa capacità della piattaforma di connettere le aziende con le persone.
Un altro dato che emergeva dallo stesso studio era che le campagne che si associavano ad un evento aumentavano significativamente tre fattori:
brand awareness
brand preference
purchase intent
Sono questi quindi gli obiettivi con cui le aziende dovrebbero usare Twitter.
Noi amiamo definirci come una piattaforma “look at this”, rispetto ad altre piattaforme che sono “look at me”, e oggi anche i fleets, lanciati da poco in Italia dopo il Brasile, possono essere utilizzati dalle aziende in questo senso, facendo conoscere qualcosa di nuovo rispetto a ciò che sta accadendo».
Il futuro del social
In questi mesi abbiamo imparato a ragionare in termini di curve e la curva di crescita di Twitter sembra assicurare ancora una coda lunga di aumento degli utenti. Quali sono le previsioni?
«I dati in realtà sono in crescita dal 2015, quindi indipendentemente dal Covid, ma poi durante l’emergenza gli utenti hanno sempre più fatto riferimento alla piattaforma per informarsi, mentre enti, istituzioni e aziende l’hanno utilizzata per comunicare.
Qualche hanno fa abbiamo lanciato Amplify, un prodotto B2B che usano le aziende per associarsi ai contenuti rilevanti su Twitter. In pratica, i brand si associano a contenuti molto rilevanti e i possessori dei diritti, rightsholder, possono monetizzare i propri contenuti.
Un altro prodotto che abbiamo lanciato poco prima del Covid è “Go live with guests”, che permette di integrare in una diretta Twitter fino a 4 ospiti in modalità audio. Anche questo è molto utile per creare contenuti come Q&A che informano le persone.
Twitter ha quindi una specificità tale che gli permetterà anche nei prossimi anni di continuare a crescere, a patto di continuare a innovarsi.
Nel 2006 Twitter era davvero una piattaforma di micro-blogging, senza foto, senza video, senza tutti quei contenuti che oggi sono al centro del web, ma nel tempo ha saputo evolversi, attraverso pietre miliari importanti che oggi sono il motore di Twitter».
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/Simone_Tomassetti_Twitter.jpg600900Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2020-06-15 11:29:192020-06-16 16:42:35Twitter ci ha spiegato come i brand hanno usato i social media durante l'emergenza
Il duro lavoro può non essere l’unica strada per il successo.
Nel suo ultimo libro “The Buddha and The Badass”, il fondatore di Mindvalley Vishen Lakhiani spiega come iniziare a vivere la propria vita a un livello diverso, partendo da una nuova concezione.
“Oggi in molti credono al mito che l’unica strada per il successo sia il duro lavoro, per di più lo fanno ora in questo grande momento di incertezza per tutti noi. E se tu sei uno di quelli, beh questo libro sarà un gran bel cambiamento di prospettiva“.
Introduce così il suo nuovo libro Vishen Lakhiani, imprenditore, autore, speaker e scrittore di libri che son diventati New York Times best seller. Vishen è anche il fondatore di Mindvalley, un movimento che sta cambiando l’educazione con milioni di studenti in tutto il mondo.
Ve lo avevamo già presentato in una delle prime puntate di Ninja Economy, quando ci aveva spiegato i segreti del successo planetario di Mindvalley nell’intervista realizzata da Mirko Pallera all’A-Fest Sardegna.
Definirlo semplicemente un punto di riferimento comeimprenditoreè limitativo: per chi si dedica anima e corpo a una impresa, vita e lavoro diventano una cosa sola.
La missioneimprenditoriale di Lakhiani è “missione di vita” e il suo agire nel mercato è agire nella società. Così ogni schema, compreso quello canonico della crescita aziendale, deve essere scardinato.
E oggi quello di cui parla in The Buddha and The Badass, il suo nuovo libro, potrebbe cambiare irreversibilmente tutte le tue credenze riguardo il lavoro, il successo e di conseguenza anche riguardo la tua vita.
Se il duro lavoro non è la soluzione, qual è la soluzione?
“Credo fermamente che tutti noi abbiamo due poteri dentro di noi in conflitto l’uno dall’altro. Io le descrivo come… il Buddha o il maestro spirituale e il ‘cazzuto’ o il cambiamondo sempre pronto a sfidare il pensiero tradizionale.
Quando prendi questi due aspetti che ognuno di noi ha e li mixi nell’ambito professionale il tutto diventa magico”, spiega Vishen.
È questo il modo per iniziare a vivere la tua vita ad un livello diverso rispetto a quello che la maggior parte delle persone fa, operando da un punto di vista di ispirazione, di serenità e di ricchezza.
Il suo primo libro, Il Codice della Mente Straordinaria, è diventato un best-seller su Amazon ed era focalizzato sul distruggere tutte quelle stupide regole che ci circondano e che ci vengono trasmesse da generazioni.
Questa settimana uscirà il suo nuovo libroThe Buddha and The Badass. Un’occasione da non perdere per conoscere meglio il pensiero di questo straordinario visionario e per scoprire un nuovo modo di guardare al lavoro.
Inoltre, ordinando prima del 14 Giugno avrai anche accesso a bonus fantastici come diventare parte della cerchia personale di Vishen su Facebook.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/buddha-and-badass-vishen-lakani-libro.jpg7681536Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-06-12 14:19:432020-06-15 17:47:18Come diventare un Buddha duro (e trasformare il tuo approccio al lavoro)
Il Covid ha innescato una serie di cambiamenti, destinati a radicarsi in modo permanente nelle vite degli individui e delle comunità.
Nei prossimi mesi, saremo costretti ad affrontare un mondo dopo il Covid, a ridefinire le nostre abitudini, in termini di lavoro, mobilità, socialità ed esperienze di consumo.
È iniziata da poche settimane la fase due e ancora molti degli effetti a breve e a lungo termine di questa pandemia, restano incerti.
Fare previsioni su cosa ci attende diventa sempre più difficile, ma di certo il Covid ha innescato un cambiamento di portata globale, il più grande osservato da molto tempo.
Nel documentare l’emergenza vi è stato un ampio uso di espressioni come “economia di guerra” e “trincee negli ospedali” e a ben vedere l’uso del linguaggio bellico non è così improprio. Il clima di paura e incertezza induce le persone a farsi le stesse domande che ci si poneva durante i conflitti mondiali: cosa ci sarà dopo? Quali saranno i nuovi equilibri globali? Come cambierà la nostra vita in termini di lavoro, mobilità, relazioni sociali?
Nuovi equilibri geopolitici: tra individualismo e cooperazione internazionale
In un suo articolo per The Gurdian, il giornalista britannico Timothy Garton Ash si domanda se quello che ci attende è uno scenario più affine al secondo dopoguerra o al primo, ovvero se andremo verso una crescita delle democrazie e della comunità globale, o all’avvento di nuovi nazionalismi e una tendenza alla chiusura degli Stati-nazione.
Come scrive Sylvie Kauffmann in un’analisi pubblicata su LeMonde, più che di rottura di equilibri preesistenti, è più corretto parlare di una brutale accelerazione di cambiamenti che erano già in atto prima della crisi.
Mentre negli Stati Uniti abbiamo assistito a un deciso inasprimento della dottrina “America first” del presidente Trump, rimasto sordo a qualunque cooperazione internazionale, la Cina continua la sua campagna di “diplomazia umanitaria”, approfittando della ritirata degli americani.
L’esplosione dell’epidemia ha portato a galla tutte le criticità dei sistemi governativi delle singole nazioni, così come degli organi sovranazionali, a partire dall’Unione Europea, dimostratasi impreparata e incapace di dare risposte economiche concrete ai suoi stati membri.
Il rischio in l’Europa, scrive Kauffmann, è quello di una più profonda spaccatura tra nord e sud e un consolidamento delle correnti sovraniste.
Gianpiero Petriglieri, esperto di leadership, ha spiegato che la metafora della guerra mondiale è applicabile anche sul piano politico, oltre che sanitario, perché, con la corsa al vaccino, i leader dei vari stati acquisirebbero un vantaggio competitivo a livello mondiale.
Nella fase in cui stiamo entrando ci sarà un gran bisogno di collettività, come ribadito anche dal viceministro agli affari esteri Emanuela Del Re in un’intervista con l’agenzia di stampa Dire:“La prospettiva multilaterale è fondamentale in questo momento, perché consente di partecipare a tutti i processi decisionali, e consente di mettere in campo la nostra grande esperienza in campo sanitario nel mondo”.
La scienza è per sua natura internazionalista e, in una pandemia, ciò che serve è cooperazione globale.
Smart working e telelavoro, lo scenario italiano
Anche sul fronte telelavoro e smart working, i cambiamenti in atto sembrano destinati a radicarsi nelle nostre abitudini ancora per un bel po’. Attualmente, secondo un sondaggio condotto da Eurofound, sono 4 su 10 le persone che stanno lavorando da casa.
Le varie modalità di lavoro a distanza, che a tratti faticavano a farsi strada in Italia, sono dovute necessariamente diventare la nuova normalità, mettendo in luce i numerosi vantaggi del “lavoro agile”.
La filosofia manageriale su cui si basa lo smart working, è totalmente orientata al risultato prevede autonomia e flessibilità del lavoratore nella scelta di tempi e spazi di lavoro.
Se entrasse stabilmente a far parte delle nostre abitudini, potrebbe rappresentare una buona opportunità per le imprese anche in ottica sostenibile, in termini di risparmio su locazione, climatizzazione, pulizia e allestimento dei luoghi di lavoro, oltre che di alleggerimento del traffico e dei mezzi pubblici.
Nonostante tutti i rosei presupposti, in Italia i risultati di una ricerca condotta da LinkedIn parrebbero evidenziare una situazione che proprio rosea non è.
Il numero di ore di straordinari da casa come quello dei lavoratori a rischio burnout evidenziano una preoccupante crescita.
Dai risultati è emerso che:
Il 46% dei lavoratori italiani si sente più ansioso o stressato perché lavora da casa
Il 48% ha sempre lavorato più ore dall’inizio della quarantena
Il 18% ha riscontrato un impatto negativo sulla propria salute mentale
Il 16% teme un licenziamento al termine del lockdown
Questo perché nel nostro paese si parla ancora troppo di telelavoro piuttosto che di smart working, che è un concetto un po’ diverso, in primis perché prevede sempre la stessa postazione e orari d’ufficio.
Bisogna pur sempre considerare che parliamo di un cambiamento entrato prepotentemente nelle vite di tutti in un periodo già di per sé psicologicamente duro, in cui il confine tra lavoro, famiglia e tempo libero è diventato sempre più labile.
“Il lavoro da casa e l’impossibilità di uscire ci ha obbligato a una ridefinizione repentina degli equilibri tra lavoro, famiglia e tempo libero” – ha commentato Laura Parolin, vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi – “L’organizzazione del lavoro prima della pandemia consentiva di evadere e prendere le distanze dagli altri ambienti di vita, una possibilità che ora manca, costringendoci al confronto costante con l’isolamento o alle relazioni con i conviventi”.
Il mondo dopo il Covid, tra iperconnessione ed esperienze di consumo
Dai meeting di lavoro agli aperitivi in balcone, ogni forma di interazione sociale durante il lockdown è passata attraverso uno schermo. Viene da chiedersi come e in che misura questo influenzerà il nostro modo di relazionarci e la socialità in generale, una volta che l’emergenza sarà rientrata del tutto.
Se da un lato il Covid ha cambiato le abitudini d’acquisto, segnando l’impennata degli eCommerce e in generale aumentando la dimestichezza con il digital anche dei meno giovani; dall’altro i primi a pagarne il prezzo sono i rivenditori al dettaglio.
Con il distanziamento sociale è venuta meno ogni esperienza di consumo per strada legata alla ristorazione e alla convivialità, così come quella di shopping tradizionale.
“La pandemia di Coronavirus è il più grande motore globale di cambiamento osservato da molto tempo” ha dichiarato Carla Buzasi, Managing Director di WGSN, colosso della ricerca previsionale, commentando un’indagine condotta dalla società sulle abitudini d’acquisto nel mondo dopo il Covid.
La realtà che stiamo vivendo obbliga aziende e lavoratori a far appello a tutta la loro capacità d’adattamento, flessibilità, resilienza. Ma anche creatività.
Nel mondo che ci attende dopo la pandemia, sarà ancora più importante intercettare i bisogni delle persone e creare i prodotti giusti. Perché, come dichiarato ancora da Buzasi: “Anche se facciamo affidamento sulla connettività digitale per sopravvivere a questo periodo turbolento, sarà il nostro bisogno di connessione umana che modellerà davvero le nostre vite”.
In particolar modo per i più giovani, i brand dovranno ingegnarsi ulteriormente nella creazione di prodotti e servizi che rispecchino il loro stile di vita, da un lato investendo molto sul digital, dall’altro dando ancora più esclusività all’esperienza di shopping dal vivo, con edizioni limitate e ambienti d’acquisto immersivi (e instagrammabili).
Ma, come consiglia WGSN:
In una cultura ossessionata dai giovani, i marchi dovranno tuttavia aggiornare le loro rappresentazioni dell’invecchiamento per stabilire un dialogo con tutti e celebrare ogni età.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/Il-mondo-post-covid-scaled-scaled.jpg22003312Federica D'Arpahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederica D'Arpa2020-06-12 11:14:512020-06-15 11:32:51Il mondo dopo il Covid: dati, previsioni e ipotetici scenari
Glickon era già in crescita come azienda del 116% per quanto riguarda i fatturati, raddoppiando il numero di dipendenti negli ultimi 12 mesi e ora mette a segno un’importante acquisizione: quella della piattaforma Isaak della società britannica StatusToday (Gartner Cool Vendor 2019 e Best AI Startup – AI Summit 2017).
Con questa acquisizione Glickon aumenta la propria capacità di trasformare ogni interazione tra le organizzazioni e le proprie persone in un’esperienza unica e significativa fornendo una potente piattaforma di ascolto, analisi e azione a chi ha il compito di guidare il business.
L’AI per migliorare il benessere di candidati e dipendenti
Con la crescente attenzione sui temi di Agile Working, le imprese stanno cercando strumenti basati sull’intelligenza artificiale per migliorare il benessere e l’impegno di candidati e dipendenti. L’azienda offre una gamma di soluzioni che hanno come obiettivo comune quello di migliorare il rendimento e la soddisfazione della forza lavoro: questa offerta sarà consolidata e arricchita dalle innovazioni tecnologiche della piattaforma Isaak di StatusToday per migliorare l’offerta in ambito People Analytics.
“Stiamo dando un concreto avvio alla fase di crescita di Glickon. L’acquisizione della piattaforma di StatusToday si inserisce nel nostro percorso di espansione e ci fornisce ulteriori innovazioni nel campo della People Analytics. Inoltre, questa prima acquisizione vuole essere uno dei tasselli iniziali per un’espansione all’estero che rappresenta il nostro naturale mercato di riferimento”, ha dichiarato Matteo Corte, Chief Financial Officer di Glickon.
“Un grande passo in avanti verso un mondo in cui le persone si svegliano ispirate e concludono la giornata soddisfatte del lavoro che hanno svolto”, continua Filippo Negri, Chief Executive Officer di Glickon.
L’approccio tailor-made
L’operazione ha avuto come oggetto l’acquisizione di alcuni asset strategici di proprietà intellettuale.
Glickon è una delle principali società tech dedicata alle HR con sede in Italia e un nuovo ufficio nel Regno Unito, è stata fondata nel 2014 e sintetizza la sua attività in un payoff decisamente efficace: Simplify Human Experience. È senza dubbio possibile rendere più semplice ed engaging l’esperienza delle persone in azienda e la selezione dei candidati grazie a un mix digamification e data science.
“Stiamo arricchendo una piattaforma flessibile che unisce la semplicità del gioco con l’efficienza dei dati avendo come obiettivo di rendere migliore la vita delle persone in azienda e la loro esperienza di lavoro. Tutto questo partendo sempre dall’ascolto”: con queste parole, Carlo Rinaldi, Chief Marketing Officer della società pone l’accento su un approccio consulenziale e tailor-made che non si limita a fornire dei tool efficaci ma segue i clienti da vicino ogni giorno attraverso team dedicati per monitorare l’andamento e i risultati di ogni progetto.
Con l’acquisizione di Isaak di StatusToday, Glickon si arricchisce di una piattaforma di analisi che aiuta le aziende a guidare il cambiamento organizzativo. Attraverso una tecnologia basata su Intelligenza Artificiale, la piattaforma misura la collaborazione, il benessere e l’engagement delle persone per migliorare l’esperienza di lavoro dei dipendenti in azienda. Uno sviluppo naturale degli strumenti quali l’Organizational Network Analysis e la Sentiment Analysis già presenti nell’offerta in ambito di Candidate ed Employee Experience, al fine di ottimizzare, automatizzare e semplificare i processi di selezione, onboarding, formazione e sviluppo e comunicazione interna facendo leva sul coinvolgimento in tutti i momenti salienti nel percorso di carriera delle persone.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/depositphotosintelligenza-artificiale-illimity-bank.jpg512937Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2020-06-12 11:02:002020-06-12 11:02:43Glickon annuncia l’acquisizione della piattaforma Isaak di StatusToday
Durante la terza edizione della Milano Digital Weekin versione completamente online, abbiamo seguito gli appuntamenti di IAB all’interno del palinsesto di oltre 500 eventi, panel, webinar e lectio magistralis, intorno al tema del confronto aperto e inclusivo sul digitale.
“Game Changers” è stato il titolo degli eventi curati da IAB, nei quali personalità ed esperti hanno dialogato sul topic dell’innovazione in tutte le sue declinazioni, dall’educazione all’energia, fino all’entertainment.
Proprio su quest’ultimo punto abbiamo rivolto alcune domande a Sergio Amati, Direttore General IAB Italia.
Se negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad una rivoluzione digitale che ha cambiato il nostro mondo con modalità che non avremmo mai potuto immaginare, ora sta iniziando un nuovo decennio che si presenta come ancor più rivoluzionario, e ne stiamo avendo un primo assaggio.
La crisi che abbiamo vissuto (e ancora stiamo vivendo) ci impone di ripensare il nostro modo di comprendere il mondo e affrontare la sua complessità. Dobbiamo credere nella nostra creatività, nella nostra capacità di resilienza e nel nostro potere di diffondere il cambiamento sia a livello individuale che collettivo.
Qual è stata la sfida più grande di una edizione completamente digitale, rispetto a un evento che avrebbe dovuto essere live come la Milano Digital Week?
«La Milano Digital Week era prevista agli inizi di marzo e abbiamo dovuto fermare tutto a pochi giorni dalla partenza. È stato uno shock enorme, come tutti ci siamo sentiti persi e senza punti di riferimento. La cosa che mi rende più orgoglioso è stata la nostra capacità di reazione. Ci siamo detti che questa era una grande opportunità per valorizzare il grande patrimonio di contenuti che avevamo raccolto e che costruire una piattaforma full digital avrebbe potuto essere la miglior risposta.
La piattaforma due mesi fa non esisteva e i contenuti erano stati pensati per essere erogati in contesti fisici. Abbiamo lavorato su più fronti: da una parte costruendo un team tecnico che ha progettato sia il sito che l’infrastruttura di erogazione degli eventi live e on demand e dall’altra abbiamo trasformato una redazione e una struttura operativa – pensata per l’offline – in una squadra in grado di gestire la combinazione di contenuti e tecnologia propria di un progetto digitale. Un modo nuovo di lavorare che tutti hanno abbracciato con entusiasmo.
Dall’inizio della Milano Digital Week è attiva una “war room” dove gestiamo in diretta tutti gli eventi. In questa sala operativa sono presenti sia i redattori che i producer, per reagire immediatamente in caso di modifiche all’ultimo minuto.
Oltre 500 eventi online in una settimana ci rendono sicuramente la manifestazione full digital più importante in Italia prima e dopo la crisi del COVID e quindi posso dire che la sfida sia stata vinta».
I Game Changers siamo tutti noi
Chi sono i veri Game Changers oggi e in che modo il loro lavoro può incidere sulle nostre vite?
«A marzo noi di IAB avevamo pensato a una conferenza durante la Milano Digital Week che avevamo chiamato “Game Changers”. Abbiamo deciso di mantenere lo stesso nome nell’edizione online perché pensiamo che mai come adesso ci sia bisogno di persone in grado di cambiare, anzi di reinventare le regole del gioco.
Dalle conversazioni con grandi nomi (non cito nessuno perché sono per me tutti importantissimi) sono emersi tantissimi spunti interessanti. La capacità di adattamento e l’agilità sono sicuramente dei tratti comuni a queste persone. Si è parlato molto di “digital divide di seconda generazione” e una delle grandi sfide sarà di portare l’accesso al digitale a fasce di popolazione ancora escluse e di formare le persone all’utilizzo degli strumenti.
Chi vuole cambiare le regole del gioco deve concentrarsi sugli individui, che sono anche clienti, consumatori, dipendenti e collaboratori. Abbiamo parlato molto di come cambia la customer experience: sarà una vera e propria rivoluzione che farà tantissime vittime. Ripensare i canali di comunicazione e relazione, gli spazi fisici e le organizzazioni sarà un’altra grande sfida dei prossimi mesi/anni.
Lasciatemi dire però che i veri “game changers” sono gli 800 ragazzi e ragazze che hanno partecipato agli 8 hackathon dedicati agli Obiettivi Sostenibili delle Nazioni Unite. I giovani vengono spesso criticati per essere “sdraiati” ma io credo che i partecipanti agli hackathon siano uno straordinario esempio di impegno. Abbiamo avuto 120 team che hanno lavorato per 48 ore senza sosta e prodotto idee e progetti su temi come l’economia circolare, la medicina, le smart city, la parità di genere. I giovani hanno un’energia unica ed è nostra responsabilità dare loro le opportunità per poter esprimere il loro potenziale».
Come cambia l’entertainment e cosa aspettarci dalla tecnologia
Riguardo all’entertainment, quali sono le regole che probabilmente ci porteremo dietro da questo periodo di emergenza?
«Con Maximo Ibarra, CEO di Sky, abbiamo parlato di come il mondo dell’entertainment si stia trasformando profondamente. La dimensione fisica e quella digitale, anche a causa della crisi sanitaria, si sono profondamente combinate e le persone si sono abituate a fruire di contenuti in modalità differenti.
Il grande salto che ci ha fatto fare il COVID a mio parere è stato di rendere concrete cose che prima erano solo keyword. Ad esempio, la parola “phygital”che ci è stata propinata per anni da società di consulenza ora diventa tangibile. La combinazione fisico / digitale è ora parte della nostra esperienza quotidiana e chi si occupa di entertainment dovrà adattare sistemi, contenuti, processi per migliorare sempre più questa esperienza. Lo sport ad esempio, dove il distanziamento sociale avrà un impatto fortissimo, dovrà trovare sistemi per far vivere da casa o da mobile una esperienza sempre più intensa. Siamo solo all’inizio di questo processo di trasformazione e sono sicuro che vedremo enormi innovazioni in questo campo».
E a livello tecnologico, avremo delle vere innovazioni nel prossimo futuro o dobbiamo immaginare più uno sviluppo delle tecnologie che già in qualche modo conosciamo, come robot, realtà virtuale e intelligenza artificiale?
«Robotica, VR e AI sono tecnologie su cui si sviluppano le innovazioni. Io penso che queste tre tecnologie continueranno inevitabilmente a crescere e a combinarsi, con robot che saranno “alimentati” da motori di intelligenza artificiale e conterranno strumenti di realtà virtuale o aumentata. Le applicazioni in ambiti come il risparmio energetico, la mobilità smart, la sicurezza informatica saranno infinite.
Pensando alla tecnologia però mi viene in mente un passo della conversazione che, dentro “IAB Game Changers”, abbiamo realizzato tra Corrado Passera e Roberto Cingolani. Roberto ha raccontato di aver portato una volta un bambino in visita all’Istituto Italiano di Tecnologia e di avergli mostrato con orgoglio vari robot umanoidi. Il bambino non aveva mostrato grande stupore di fronte a questi oggetti, mentre invece era rimasto estasiato di fronte ad un “robot centauro” che rappresentava per lui qualcosa che veramente non aveva mai visto.
Questo per me rappresenta bene la nostra grande sfida: non copiare un organismo quasi perfetto come l’uomo, che non riuscirà mai ad essere riprodotto in modo migliorativo, ma usare la creatività per inventare cose nuove, magari facendo errori ma puntando sempre a nuovi traguardi di innovazione. La capacità dei giovani di pensare fuori dagli schemi è il migliore strumento per fare vera innovazione.
Sempre durante “IAB Game Changers” abbiamo fatto parlare persone appartenenti a generazioni diverse. Mettersi in gioco e accettare il confronto con i giovani deve essere a mio parere un punto fermo per chi guida una grande azienda, una amministrazione pubblica o qualsiasi altra organizzazione. I giovani sanno usare la tecnologia per esprimere meglio la propria creatività e non la vedono come una minaccia ma come una naturale estensione della loro vita».
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/milano-digital-week-game-changers-iab-2.jpg515852Daria D'Acquistohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaria D'Acquisto2020-06-11 15:54:382020-06-15 17:47:32Mai come adesso c'è bisogno di persone in grado di cambiare
Performance Improvement Plan, il documento usato dalle HR per migliorare le performance lavorative
Essere in un PIP non significa fare le valigie, perché è un’occasione preparata per aiutare il dipendente a dare il meglio di sé
Dialogare col capo, tracciare i progressi e pensare positivo (anche se è difficile) ti aiuterà a dare una svolta alla tua carriera
Ultimamente, tra le parole più frequenti e “spaventose” che circolano in fase di revisione delle performance, ce n’è una che suona davvero complicata e faticosa: il “performance improvement plan” (PIP). Sarebbe a dire: piano di miglioramento delle prestazioni lavorative. Ed è un po’ come affermare, implicitamente, che il normale piano di monitoraggio delle performance aziendali ha urgente necessità di essere rivisto, e nel più breve tempo possibile. Per questo, lavorare sul PIP genera di per sé molta ansia.
I piani di miglioramento delle performance affrontano nel tempo varie “scosse”, e a volte sfociano in tagli al personale o perdita delle risorse.
Eppure, se sei valutato in base a un PIP, non dovresti essere pessimista a priori. Puoi davvero riuscire a modificare i risultati delle tue performance e, magari, assecondare il tuo performance improvement plan, scoprendo che è addirittura il tuo migliore amico, la tua guida “anti-fuffa”.
Si tratta di un documento formale che indica, nello specifico:
Eventuali problemi nelle performancelavorative ricorrenti
Gli obiettivi che devi raggiungere per riguadagnare una buona posizione
La tempistica specifica per completare il piano
Gli eventuali provvedimenti attuabili in caso di insuccesso
Se ti viene assegnato un PIP, molto probabilmente il tuo manager e i responsabili HR fisseranno un incontro con te per esaminarti e rispondere a tutte le tue domande.
Purtroppo, sarai sorvegliato da vicino durante questo periodo. Se non riesci a completare il tuo PIP alla fine della sequenza temporale, potresti perdere il lavoro.
Se in precedenza hai avuto difficoltà a raggiungere gli obiettivi, il PIP è pensato per darti la possibilità concreta di invertire la tua performance. In genere, sapere esattamente cosa fare per migliorarti è già sufficiente per avere successo.
Sono in un PIP. Faccio le valigie?
Niente di tutto questo. Considera, innanzitutto, che se la tua azienda volesse davvero licenziarti, non investirebbe neanche un briciolo di tempo per aiutarti a raggiungere e i tuoi obiettivi e migliorare.
Attenzione, però, a non sottovalutare l’ostacolo, perché se non dovessi soddisfare i requisiti del tuo PIP, saranno presi dei provvedimenti specifici (già delineati nel documento).
Come completare al meglio il PIP
La comunicazione con il proprio manager e gli addetti alle risorse umane è fondamentale. Se stai lottando per raggiungere uno degli obiettivi, o hai dubbi sul risultato atteso, segui questi 4 step che potranno aiutarti ad uscire fuori dal PIP.
1. Dialoga con il boss
Controlla se il tuo capo ha qualche suggerimento da darti per svolgere il tuo compito in modo più accurato. In questo modo, dimostrerai di essere proattivo e di voler prendere sul serio l’opportunità che stai ricevendo.
2. Traccia i progressi
Durante l’intera attività, è necessario verificare regolarmente i progressi con il responsabile assegnato. Effettuare il check più frequentemente ti darà la possibilità di correggere in tempo utile gli eventuali “blocchi”, e di prepararti al successo.
3. Chiedi ai colleghi
Prova ad offrire ai migliori colleghi un buon caffè, e parla con loro per capire come mantengono la concentrazione sugli obiettivi. Trova qualcuno che sia molto preparato in quello che ti riesce peggio, e punta su di lui per cambiare la tua strategia.
4. Think positive (anche se è dura)
Soprattutto, cerca di mantenere un punto di vista positivo, perché aiuterai soprattutto te stesso. Puoi davvero riuscirci — pensa alla soddisfazione che proverai quando tirerai fuori il tuo PIP. La fiducia nella possibilità di migliorare renderà più semplice farlo davvero.
Sfortunatamente, in alcune aziende c’è la brutta abitudine di usare i PIP per documentare in anticipo un licenziamento. Se sospetti che questo sia il tuo caso (e se gli obiettivi da raggiungere sembrano impossibili in base a qualsiasi standard), puoi comunque portarti avanti sulla ricerca di un nuovo lavoro, che è un successo personale non da poco. Non vorresti lavorare in un’azienda che si prende davvero cura dei suoi dipendenti, e che sostiene i tuoi successi?
Quindi, usa il tempo a disposizione anche per aggiornare il tuo curriculum, rivedere l’account LinkedIn e immergerti nel web per trovare nuove opportunità, se non l’hai già fatto.
Poi, prima di passare a qualsiasi altro lavoro, rifletti su cosa ti sta rendendo difficile avere successo. È un fattore proveniente dall’ambiente aziendale in cui ti trovi, o è qualcosa che non puoi evitare se prosegui con lo stesso tipo di lavoro? Il consiglio Ninja è di usare il tuo tempo per capire cosa stai cercando nel nuovo ruolo che immagini: così, se il tuo PIP non sarà completato, potrai trovare subito qualcosa che si adatta meglio a te (e non sarà stato inutile, in ogni caso).
Ho completato il PIP. E adesso?
Se hai completato con successo il PIP, questo dovrebbe essere qualcosa a cui fare sempre riferimento, in futuro, nelle tue conversazioni con il capo.
Con questo esercizio hai già individuato le tue carenze, hai preso in carico le tue performance, e ti sei trasformato in un dipendente ancora migliore. Quindi, assicurati che il capo lo noti. Ora sei motivato, tenace e capace di cambiare, e hai la documentazione per dimostrarlo, che è più di quanto molti possano dire.
Visualizza il tuo successo, e sii pronto ad entrare nella “stagione delle valutazioni”. Ricorda, un performance improvement plan non è la fine del percorso. Sia che tu lo completi, o che scelga altre opportunità, questo potrebbe essere l’inizio di un nuovo entusiasmante capitolo della tuacarriera.
“[…] a 30 anni ero fuori. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era perso, e io ero devastato. Per alcuni mesi non ho saputo davvero cosa fare. Era stato un fallimento pubblico, e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley.
[…] Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. È stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non bisogna perdere la fede, però”.
— Steve Jobs sul suo licenziamento (1985) seguito dal grande ritorno in Apple (1997)
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/performance-improvement-plan.jpg6811024Maria Cristina Folinohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMaria Cristina Folino2020-06-11 12:17:502020-06-12 11:15:55Performance improvement plan: come dare una svolta alla tua carriera
La pandemia ha portato ad una consacrazione finale dell’eCommerce come principale strumento di vendita.
Sempre più retailer si stanno spostando da un business offline a uno online.
Google ha dichiarato il proprio desiderio di aiutare i rivenditori più piccoli, a prescindere dal budget investito su Shopping, ma lo ha fatto anche per contrastare un involontario vantaggio che aveva dato ad Amazon.
GoogleShopping e Amazon, lo scontro tra titani del digital in campo di vendita online. La situazione in cui ci troviamo ci ha fatto capire quanto sia fondamentale per il nostro successo, la presenza sul web.
Google ha da poco dichiarato che, per aiutare i retailer più piccoli a risollevarsi dopo il duro colpo subito, ha aggiunto alle listing una parte di prodotti date dalle ricerche organiche dei consumatori, a prescindere dal budget speso per la parte di advertising.
Prima di capire quanto questo possa rappresentare una rivoluzione, e una minaccia per il rivale Amazon, è necessario fare un veloce ripasso su come gli investimenti fatti sui differenti canali portino benefici agli inserzionisti.
Come funziona Google Shopping (in parole semplici)
La piattaforma di Google Shopping è lo strumento a pagamento che consente di promuovere i propri prodotti ai consumatori attraverso il motore di ricerca.
Il funzionamento di Google Shopping non va però confuso con un altro strumento, al quanto famoso, chiamato Google Ads.
A differenza di quest’ultimo, non è possibile inserire delle keyword per far apparire i propri prodotti, ma è necessario curare i propri contenuti e le parole chiave contenute nelle immagini e nelle descrizioni prodotti o categorie, per apparire nelle giuste queries.
Il vantaggio di Google Shopping? mostra ai consumatori i prodotti più rilevanti e aumenta la brand awareness, portando gli utenti sui siti dei brand.
Come funziona Amazon
Amazon è una piattaforma eCommerce che offre ai propri consumatori sia prodotti del proprio marchio sia di altri retailer.
La similitudine principale a Google Shopping è sia quella di beneficiare degli investimenti degli inserzionisti sia di proporre prodotti derivanti solo da traffico organico.
Anche Amazon può beneficiare di investimenti fatti in advertising, qualora un brand desideri che il suo prodotto appaia come scelta principale per il target di consumatori prefissato.
Cosa cambia oggi
Fatta questa premessa, torniamo dunque alla rivoluzione di Google: l’obiettivo dichiarato è quello di proporre soluzioni agili, semplici ed efficaci in un mercato come quello di oggi, in evidente difficoltà in ogni settore.
Inoltre, Google propone una soluzione accessibile anche ai brand più piccoli, permettendo di capitalizzare un investimento minimo con maggiore visibilità.
Ci sono anche altre ragioni dietro la decisione: la prima si chiama investimento incrementale.La speranza è infatti quella che i piccoli brand, a seguito di un minimo investimento, o in assenza di esso, vedano un incremento notevole nell’esposizione e conversione dei prodotti, da essere spinti, in futuro immediato, a spostare gli investimenti verso Google Shopping ottenendo maggiori benefici.
Il problema di Amazon
La scelta fatta da Google rappresenta una “minaccia” reale per il sito di eCommerce più solido al mondo. I motivi sono diversi.
Il primo è che il colosso di Mountain View punta alla debolezza di Amazon: la poca varietà di brand proposti. Non tutti i brand e retailer hanno budget a sufficienza per investire su Amazon e, per di più questo non rappresenta un canale di vendita diretto. Il periodo in cui ci troviamo è strettamente collegato a queste scelte.
GoogleShopping ha il vantaggio di dare, per lo stesso tipo di prodotto o servizio, un’ampia varietà di scelta al consumatore, aumentando le possibilità di conversione.
Il secondo vantaggio di Google Shopping è, come anticipato, la brand awareness: il consumatore di Amazon infatti non cerca un prodotto o un brand specifico, ma quello più utile e meno costoso.
Google Shopping invece offre un accesso diretto ai siti di vendita diretta di ogni brand, rafforzando la fedeltà di un consumatore al marchio e permettendo di incrementare sforzi ed investimenti su contenuti, categorie e miglioramenti della propria piattaforma, tramutandole in maggiori visite, entries e dunque conversion dirette.
Google ha ora annunciato l’aggiunta di annunci organici al suo sito Shopping e ad altre proprietà, con lo scopo di aiutare i rivenditori a connettersi con i consumatori indipendentemente dalla spesa pubblicitaria. Proprio questa mossa potrebbe essere la chiave di un ribaltamento dei risultati di ricerca (che ora vedono una abbondante presenza di prodotti proprio da Amazon) e un duro colpo al business del gigante dell’eCommerce.
Online c’è davvero posto per tutti? Staremo a vedere.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/GvsA-1024x558-1.jpg5581024Harukahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngHaruka2020-06-10 12:52:102020-06-10 22:11:58Google Shopping vs Amazon: il sorpasso?
Viviamo tempi incredibilmente complessi e sfidanti. La pandemia Covid-19 ha scosso le fondamenta del mondo per come lo conosciamo: come ogni crisi improvvisa, ci ha costretto a trovare nuovi modi di pensare, interagire e soprattutto lavorare. Infatti in una manciata di giorni le nostre aziende hanno dovuto cambiare radicalmente processi e operatività, e ci siamo tutti ritrovati a lavorare a distanza, come membri e leader di team virtuali.
Abbiamo quindi creato una guida interattiva focalizzata su un aspetto importantissimo di questo cambiamento: il lavoro da remoto, remote working o remotely working in inglese, e la sua diretta evoluzione, lo smart working, parole a volta abusate che rappresentano però sfide centrali per garantire la business continuity.
Come aiutare le imprese a lavorare con queste nuove dinamiche in modo efficace? Come far evolvere l’organizzazione dal lavorare remote al lavorare smart? Come scalare un reale processo di smart working in un’organizzazione complessa?
Questa guida si pone l’obiettivo di aiutare imprenditori, manager, HR a comprendere i punti saldi di questo nuovo modo di lavorare e applicarli nelle proprie aziende, al fine di trasformarle in vere smart organization.
Gli autori Federica Bulega, Corporate Training Manager Ninja Academy, e Alessandro Prunesti, Consulente Senior in HR Digital Transformation e Digital Marketing, ti guideranno verso paradigmi e nuovi modelli lavorativi.
Che cosa trovi nella guida?
La nuova normalità: gli impatti su persone, organizzazioni e processi di lavoro
La necessità di organizzazioni “Change-able”
Dal remote working allo smart working
Facciamo chiarezza sulla differenza tra smart working e remote working
I principali vantaggi dello Smart Working
I principali rischi dello smart working
Come attivare un progetto di Smart Working
Strategie e tecniche per superare le resistenze
Il framework per avviare, sostenere e scalare una iniziativa di smart working
Fase 1: Definire la sfida
Fase 2: Mobilitare l’organizzazione
Fase 3: Focalizzare gli investimenti
Fase 4: Rendere scalabile il progetto
Le piattaforme abilitanti il remote working e lo smart working
Piattaforme di Enterprise Productivity
Piattaforme verticali per la collaboration
Soluzioni a supporto delle attività di video conference
Management skills: gestione di team virtuali
From face to screen: pratiche virtuose per riunioni e presentazioni da remoto
Il framework degli aspetti operativi e di comunicazione
La guida interattiva Ninja Pro per i manager e professionisti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/1200x628-1.jpg6281200Federica Bulegahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederica Bulega2020-06-10 11:49:132021-10-01 11:55:12Dal Remote Working allo Smart Working: come evolve il lavoro nelle organizzazioni
Nel marketingB2B, 7 aziende su 9 hanno un rapporto emotivo con oltre il 50% dei propri clienti.
Fiducia, sicurezza, ottimismo e orgoglio sono le emozioni più rilevanti nel rapporto fornitore e azienda.
Buyer Personas, personalizzazione, storytelling e misurazione costante dei risultati aiutano a valorizzare le emozioni.
“Nel MarketingB2B il linguaggio e il tono è formale e freddo, il processo decisionale è lungo e razionale, conta il prodotto e servizio più che il brand che lo vende”, ancora oggi queste convinzioni attanagliano il mondo B2B, contrapponendolo al marketing B2C, più veloce, impulsivo, empatico ed emotivo.
Come se nel mondo del B2B le persone fossero tutte incravattate, con la faccia di marmo e una barriera emotiva davanti al cliente.
Oltre il fatto che sarebbe costruttivo e utile accostarsi a tutto il marketing e la comunicazione come Human to Human (H2H), le emozioni nel B2B contano tantissimo.
Nel B2B si investe più tempo nel creare relazioni durature e di fiducia con un numero più o meno ristretto di clienti. Molto spesso le relazioni vanno oltre l’automazione online, con telefonate, video call, incontri in presenza. Ogni contatto con il cliente o potenziale tale porta con sé delle emozioni determinanti per la continuazione del rapporto e per il passaparola.
Nei prossimi paragrafi approfondiremo il tema delle emozioni, capiremo insieme quanto pesano e come valorizzarle in una strategia di marketing B2B digitale.
Le emozioni nel marketing B2B
Uno studio di Google, Motista e Gartner ha confrontato il peso delle emozioni nel B2B e nel B2C con risultati che ribaltano ogni convinzione. Gli acquirenti nel B2B sono emozionalmente più legati ai brand rispetto al B2C.
Questi ultimi infatti hanno una connessione emotiva con i clienti dal 10% al 40%, mentre nel B2B per 7 brand su 9 la connessione emotiva sale a oltre il 50% dei clienti.
Il motivo principale è che nel B2B ci sono molteplici interazioni tra cliente e brand, in un processo decisionale più o meno lungo (a volte anche di anni), nel quale il potenziale cliente entra in contatto con il brand e diverse persone dell’azienda in molti touch point soprattutto one-to-one.
Per esempio può entrare in contatto prima con il marketing, poi con il commerciale, con l’amministrazione, con il tecnico, con l’assistenza e così via. Anche dalla parte dell’azienda cliente vengono solitamente coinvolte più persone, dai tecnici, ai responsabili, ufficio acquisti, ecc. Ogni persona ha un suo obiettivo da raggiungere, di status, carriera all’interno dell’azienda e la responsabilità di un acquisto giusto o sbagliato può influire emotivamente sul percorso professionale.
Facciamo un esempio pratico.
L’acquisto di un software complesso e con un costo alto per la gestione della documentazione in azienda. Il software promette di aumentare il controllo sui dati, l’organizzazione e la produttività. Le persone coinvolte nell’acquisto si prendono la responsabilità di spesa investendo per un ritorno economico di risparmio costi. Se l’acquisto dovesse andare male, ne potrebbe risentire la loro reputazione e percorso di carriera, al contrario se andasse bene potrebbero ricevere una promozione. Entrambi sono stati emotivi, da considerare nel momento in cui si propone il prodotto e servizio.
Il referral
Un altro dato da tenere a mente nel marketingB2B è la potenza del referral. L’84% delle decisioni d’acquisto nel B2B iniziano proprio dal passaparola, che influisce con un Coversion Rate maggiore (circa 73%) e un tempo di chiusura acquisto minore (circa 69%). Il passaparola oltre chiaramente alla validità del prodotto e servizio è incentivato dalle emozioni, dall’esperienza positiva che il cliente vive, dal rapporto di fiducia che si viene a creare e lo fa consigliare ad altri, “mettendoci la faccia”.
Il paradosso è che il passaparola è tanto potente quanto scarsamente utilizzato nel marketing B2B. Riprendendo le statistiche di Influive, solo il 30% delle aziende ha un referral program formalizzato.
Come abbiamo detto, nel B2B le emozioni sono legate alla sfera professionale. Una Survey condotta nel 2019 da B2B International su 2000 Decision maker in organizzazioni europee, statunitensi e cinesi, ha scavato proprio quali tra le principali emozioni che influenzano il processo decisionale nel B2B.
L’affinità tra brand e acquirente è importante soprattutto all’inizio e alla fine del buyer journey. Per i fornitori è estremamente importante avere un brand forte nel quale i clienti possano riconoscersi e investire emotivamente.
Sono quattro le emozioni rilevanti, che aumentano per il 50% la scelta di un fornitore rispetto ad un altro:
la fiducia rispetto la credibilità del fornitore
la sicurezza sulla capacità del fornitore di consegna servizio e prodotto desiderato
l’ottimismo rispetto cosa il fornitore potrebbe fare per l’azienda cliente
l’orgoglio per la prospettiva di poter collaborare con il fornitore
Analizziamole una ad una.
Fiducia
I tre fattori per creare un senso di fiducia sono:
Affidabilità. Il fornitore dovrebbe essere percepito come affidabile, attenersi alle scadenze, essere reattivo, incontrare o superare gli standard del settore e mantenere sempre le promesse.
Competenza. Il fornitore dovrebbe mostrare competenza: far vedere che si intende del problema da una parte e fornire una soluzione esperta. La competenza dovrebbe essere rinforzata con contenuti e casi studio per mostrare come il fornitore ha aiutato le altre aziende del settore.
Customer experience. Il fornitore dovrebbe offrire un’esperienza “semplice”, senza interruzione e fluida all’acquirente in tutti i touch point.
Sicurezza
I decision maker hanno bisogno di sentirsi sicuri sul prodotto o servizio da acquistare. Vogliono qualcosa che incontri le aspettative, le superi e allo stesso tempo possa fargli fare bella figura con i propri superiori. Una scelta sbagliata influisce negativamente sulla reputazione della singola persona.
Una buona brand reputation come strategia di marketingB2B aiuta a creare sicurezza, oltre ad altri aspetti come il rapporto qualità-prezzo ed entrare in empatia con i problemi e bisogni del cliente.
Ottimismo
Cosa potrebbe fare il fornitore per l’azienda? Il business ne trarrà vantaggio? Il fornitore può aiutare a raggiungere gli obiettivi?
Un fornitore dovrebbe aiutare il cliente a sentirsi ottimista mostrando competenza e comprensione verso le sfide che l’azienda vuole affrontare. Nel marketing si dovrebbe quindi adottare un tono di voce esperto. Riprendendo la metafora del viaggio dell’eroe, il fornitore è la guida che accompagna azienda cliente (eroe) nel suo viaggio per il raggiungimento del tesoro.
Durante i primi step del buyer journey, il fornitore dovrebbe ascoltare attentamente i bisogni del cliente, i desideri e trovare un modo efficace per incontrarli, con un approccio di valore e distinguibile dai concorrenti.
Orgoglio
Un acquirente vuole sentirsi orgoglioso di collaborare con il fornitore e il brand. Naturalmente questo è possibile se il brand è un leader nel settore. Il sentimento di orgoglio può essere raggiunto quando un fornitore mantiene le promesse, è affidabile, rispetta gli accordi, è sempre professionale e dimostra una comprensione autentica del modo in cui l’azienda acquirente lavora.
Inoltre il fornitore dovrebbe essere proattivo e mettere in buona luce l’acquirente davanti all’organizzazione e ai colleghi. Un fornitore proattivo è colui in grado di anticipare i problemi che l’acquirente potrebbe incontrare e offrire soluzioni, anche quando non espressamente richieste.
Un modo per essere proattivi è quello di rimanere costantemente in contatto con i potenziali clienti e rispondere alle loro richieste in modo tempestivo.
L’aspetto emotivo delle Buyer personas
Ora che abbiamo individuato le emozioni, indaghiamo alcuni strumenti e canali per valorizzarle in una strategia digitale di marketing B2B.
Essendo il target di potenziali clienti più “ristretto” nel B2B, possono crearsi delle buyer personas molto più centrate sul cliente tipo, quasi delle vere e proprie persone reali.
Nel momento in cui si individuano le buyer personas è importante concentrarsi sulle aspetto emotivo, le motivazioni del potenziale cliente, i suoi limiti, le sue paure e avversioni. Questo è il modo in cui possiamo creare empatia con i nostri clienti e portare valore in una strategia di inbound marketing B2B.
Un altro aspetto da tenere a mente è che le buyer personas sono dinamiche, quello che abbiamo individuato un anno fa potrebbe oggi non valere più. Il consiglio è restare sempre all’ascolto dei clienti, dei commerciali in campo, dell’assistenza, dei tecnici per aggiornare e arricchire i profili delle nostre bujer personas.
Non dimenticare la personalizzazione
Nell’inbound marketing attraiamo le persone sul nostro sito individuando i loro problemi, mostrando una comprensione verso di essi e successivamente accompagnandole passo passo nella loro risoluzione. Questo soprattutto attraverso il content marketing, per esempio in post all’interno del blog aziendale, sulle pagine social, nelle newsletter settimanali, ecc.
Tramite i contenuti offriamo quindi comprensione, fiducia, sollievo, sicurezza e ottimismo al potenziale acquirente in cerca di risoluzioni.
La sfida è saper bilanciare queste emozioni e direzionarle per ogni step del customer journey. Un modo per farlo è studiare il comportamento del persone sul sito web attraverso strumenti come la marketing automation.
Per esempio quando un prospect inizia a esplorare il sito web in fase di scoperta, potresti creare una campagna automatizzata che mostra un contenuto informativo rilevante (ebook gratuito, post,messaggio chatbot, ecc.) rispetto al bisogno e preoccupazione che l’utente sta cercando di risolvere trovandosi proprio sulla pagina del tuo prodotto o servizio. Questo mostra al potenziale cliente che è compreso, valorizzato e che il tuo prodotto potrebbe “sollevarlo” dalle sue preoccupazioni.
Un esempio lo troviamo sul sito di Hubspot. Navigando nella sezione Marketing Hub, man mano che scorriamo la pagina, appare sulla destra il chatbot, con questo semplice messaggio “A great marketing strategy starts with the right tools. I can help make sure you’re on the right track. What would you like to do next?” e poi a seconda della risposta fornisce il contenuto desiderato.
Acquisendo il contatto del prospect e utilizzando sempre la marketing automation, è possibile poi sviluppare un percorso su misura del potenziale cliente, con flussi di email, comunicazioni e contenuti altamente personalizzati sul comportamento dell’utente, che passo dopo passo viene accompagnato lungo tutto il customer journey.
Usa lo storytelling, anche nel B2B
Il fornitore è la guida, l’azienda acquirente l’eroe che deve raggiungere il suo obiettivo. Lo storytelling, come metodologia che attraverso la narrazione suscita emozioni, può essere utilizzato anche nel marketing B2B. La difficoltà e l’opportunità di utilizzarlo è capire realmente quali sono le emozioni del prospect.
Un esempio semplice di utilizzo dello storytelling nel B2B è quello di Intercom, azienda software statunitense.
Nella vignetta abbiamo un prima, che mostra un problema con caos, tante persone e strumenti utilizzati per comunicare e un dopo con la soluzione, una comunicazione ordinata, volti sereni e sorridenti. L’eroe ha raggiunto il suo obiettivo grazie a Intercom.
Misura e sperimentazione
Come capiamo se la strategia di marketing B2B che abbiamo messo in piedi sta facendo leva sulle giuste emozioni?
Semplicemente misurando e sperimentando. Cambiare totalmente il proprio sito web, investire molto budget su campagne, o iniziare una nuova strategia di contenuti quando non si hanno ancora a disposizione dati concreti per supportare le azioni può causare grandi perdite di budget e risultati deludenti.
Una strategia di marketing dovrebbe valutare l’impatto di ogni azione con metriche rilevanti e test minuziosi, che spostando elementi e inserendo piccoli cambiamenti aiuta a comprendere cosa porta alla conversione o meno. Un pulsante messo nel posso sbagliato? Un messaggio che non ricalca il il problema?
Uno strumento che può aiutare a tracciare i test e raccogliere i dati è l’Experiment Card, utilizzato nel processo del Growth Hacking per validare le ipotesi e scalare quelle vincenti.
Un altro consiglio per capire se stiamo facendo leva sulle emozioni giuste è tenere sotto controllo i canali non direttamente controllati dal brand con la sentiment analysis come forum, gruppi e profili social, siti di opinione.
Se si stanno ottenendo opinioni negative significa allora che qualcosa sta andando storto. Inoltre puoi acquisire feedback da clienti e prospect inviando periodicamente delle survey nei diversi step del customer journey.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/marketing-b2b.jpg467733Silvia Di Gennarohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngSilvia Di Gennaro2020-06-10 10:00:182020-06-10 22:11:43Le emozioni contano più nel marketing B2B che nel B2C (anche se forse avresti detto il contrario)
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