Sotto tag Manager di Personas

ninja van tour

In viaggio verso N-Conference: ecco gli Unbreakable raggiunti dal Ninja Van

N-Conference celebrerà le Unbreakable Companies, aziende e persone capaci di sopravvivere alla crisi grazie alla voglia di innovare e guardare oltre le difficoltà.

Sarà in diretta online il 27 e il 28 maggio 2021 e verrà trasmesso dagli studi di Fandango Club Creators.

Al centro dell’evento ci saranno proprio quelle realtà che sono state in grado di reinventarsi, esplorando nuovi modi di stare sul mercato. Ma sarà anche l’occasione di conoscere e imparare da chi è in grado di trasformare gli ostacoli in opportunità e agire fuori dagli schemi per dominare il futuro.

ninja van tour

Il Viaggio in Van per Cambiare il Futuro – Trailer Unbreakable Tour

Il Ninja Van sta accompagnando Mirko Pallera nell’Unbreakable Tour di N-Conference 2021 in giro per l’Italia, per conoscere Aziende, Persone e Progetti che cambiano il futuro. Storie di chi vuole reinventarsi e trovare nuove strade.

Incoraggiare le aziende a diventare Unbreakable in 10 tappe

La prima tappa di questo incredibile viaggio è Salerno, porta della Costiera Amalfitana: la panoramica con il drone è mozzafiato!

Il #NinjaVan fa tappa dal partner di N-Conference Industria Grafica FG, che lo riveste a tema Unbreakable Tour, con un allestimento fatto di speciali adesivi personalizzati con le tappe del viaggio.

Ora è colmo di gadget: dalle t-shirt Ninja ad adesivi, tappetini, roll-up e teli mari personalizzati.

Tutti i particolari tecnici e organizzativi per raccontare il tour sono stati organizzati con il gruppo Ninja tappa per tappa, e ci si prepara per i primi speciali incontri con alcuni degli Unbreakable Speaker e Unbreakable Partner, ma non solo.

La scuola che educa i nativi digitali al futuro

La prima tappa del viaggio è Frascati, per visitare Little Genius International, la scuola privata che prepara al futuro i bambini nativi digitali dai 2 ai 12 anni.

Un istituto bilingue dalla metodologia didattica innovativa e digitale, impostata sull’innovazione tecnologica, sullo studio del coding e della robotica, ma anche, da quest’anno, su lezioni di cinese e di etica.

L’incontro è con Samia Xena Rinaldi, Governance, Compliance, Benefit Officer di Little Genius, per un tour della scuola, dalla biblioteca alle aule.

La sede è un’avanguardistica struttura in bioarchitettura, detta “l’edificio che respira”, perché ha un sistema di purificazione che trasforma le sostanze nocive in ossigeno da immettere nell’ambiente. Un sistema che si è rivelato un alleato per la prevenzione anti Covid-19.

Droni, stampanti 3D e bracci meccanici.  “Dobbiamo insegnare ai bambini a non subire le tecnologie ma ad applicare la loro creatività e le loro capacità naturali sfruttando i mezzi tecnologici in modo corretto e intelligente” dice Samia.

Questo l’obiettivo della scuola 4.0 per l’educazione dei nativi digitali alle nuove tecnologie.

Da un maestro degli eventi per capire come rilanciare il settore

La visita alla scuola internazionale di Roma Little Genius è terminata con un misto fra l’entusiasmo di aver scoperto questa incredibile Unbreakable Story e l’amaro in bocca di sapere che solo pochi bambini hanno la fortuna di frequentare un posto così.

Il viaggio prosegue verso Roma, dove l’appuntamento è con un Unbreakable Speaker d’eccezione, Alfredo Accatino, Chief Creative Officer di Filmmaster Events.

Alfredo è il creativo e l’autore che ha firmato alcuni tra i più grandi eventi degli ultimi anni. Tra questi, è stato direttore artistico delle Cerimonie di Apertura e di Chiusura dell’Expo Milano 2015 nonché delle Cerimonie Olimpiche e Paralimpiche di Torino 2006.

A N-Conference curerà uno speech dal titolo “Unbreakable: Storie di grandi Artisti”. Nel video, qualche anticipazione sulle “storie dell’arte che cambieranno la storia dell’arte”, mentre ci mostra le opere d’arte nella sua splendida casa.

Come gli algoritmi cambiano il consenso della società

Sul Ponte della Musica, uno di quei luoghi della “nuova socialità”, durante la tappa romana del viaggio in van, Mirko incontra Barbara Carfagna, giornalista e conduttrice del TG1 e autrice del programma “Codice, la vita è digitale”.

Barbara, che sarà tra i top speaker di N-Conference, racconta degli inizi della sua carriera, della sua prima apparizione in tv e dei primissimi incarichi.

Ci svela chi e che cosa l’ha ispirata a diventare giornalista televisiva, come ha iniziato nel mondo dell’informazione e in che modo ha ottenuto la prima collaborazione importante.

Poi l’arrivo in Rai, prima come assistente ai programmi e poi come giornalista del Tg.

Barbara ci svela anche la sua personale formula per essere Unbreakable, che non passa per forza attraverso un percorso stabilito da seguire pedissequamente, ma piuttosto dalla capacità di cambiare rotta per non infrangersi.

Una connessione 5G nel tuo Van per vivere e lavorare al meglio

Uno degli aspetti più importanti quando fai smart working da digital nomad, è dotarsi di una connessione super veloce. Soprattutto se hai bisogno di trasferire file pesanti per produrre video come questo.

Sarebbe davvero frustrante raccogliere storie entusiasmanti e non riuscire a condividerle con più persone possibile a causa di problemi di upload.

Il supporto di TIM, main partner e prima azienda ad aver creduto, insieme a AW LAB e a Banca Sella, nel progetto N-Conference, è stato essenziale per risolvere la situazione.

Grazie al modem Onda 5G, un dispositivo di nuova generazione gentilmente offerto da TIM, Mirko ha potuto collegarsi alla velocità della luce, con ben 2 Giga di download e 70 Mega di upload al secondo e condividere, praticamente in tempo reale, i video 4K con il team Ninja, per fare lavoro di squadra e raccontare il  viaggio in van.

Poi, nelle Marche, una tappa tecnica: per il Ninja Van è il momento della manutenzione. La sosta notturna è a Pesaro, su uno spettacolare promontorio. Quindi si riparte alla volta di Bologna, per nuove incredibili storie.

Quando la campagna arriva a casa tua: come è nato l’eCommerce dell’Orto di Barbieri

Assieme a Esther Intile, Event Manager di N-Conference, il Ninja Van raggiunge L’Orto di Barbieri, a Granarolo dell’Emilia, dove Gianni Barbieri e sua moglie Angela, da veri Unbreakable, raccontano come hanno rivoluzionato completamente il loro business attraverso l’eCommerce.

L’azienda, fondata nel 1956 papà Giorgio, negli anni si è trasformata da multi-coltura a mono-coltura, servendo la grande distribuzione, per poi tornare all’origine. Sempre con un comune denominatore: il rispetto della terra e del prodotto.

Angela e il figlio Alex sono stati per L’Orto “leva del cambiamento”, convincendo Gianni a esplorare nuove strade e dando la spinta al processo di trasformazione digitale dell’azienda, accelerato dalle nuove esigenze della pandemia.

Il primo step è stato l’apertura di un profilo Instagram, cui era collegato un numero WhatsApp che raccoglieva i primi ordini, quindi si procedeva alla consegna a domicilio. Tutti i passaggi erano all’inizio gestiti internamente. Poi il passaggio prima alla piattaforma per l’eCommerce Weekly e poi a Shopify.

Uscire dalla “zona di comfort”, sperimentando nuovi servizi e modalità ma senza perdere il contatto umano: è questa la formula vincente da Unbreakable della famiglia Barbieri.

Il viaggio in camper ricomincia, dopo aver toccato con mano, e anche assaggiato, quanto può essere “buono” il cambiamento quando nasce dalla passione, dall’amore e dal coraggio.

Ammagamma: l’intelligenza artificiale per guidare il cambiamento della società

In Emilia c’è un progetto straordinario: si chiama Ammagamma e aiuta le aziende a essere Unbreakable, evolvendosi con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.

Il founder, Fabio Ferrari, racconta il suo percorso di formazione e la scelta di lasciare il dottorato per inseguire una missione: ottimizzare i processi industriali attraverso i numeri, la sua grande passione.

Ci mostra il Convento delle Orsoline di Modena, sede “unconventional” dell’azienda, dove i dipendenti “convivono” con le suore, in un’incredibile atmosfera che fonde antico e moderno e il laboratorio dove Ammagamma ospita le scuole che guardano al futuro, con il progetto “Educare a pensare”.

Alle pareti, è affisso il “Manifesto della razionalità sensibile”, guida e riferimento nelle decisioni quotidiane: credo che tutte le aziende dovrebbero averne uno!

Aule e corridoi sono pieni di grafici che rappresentano i risultati dei lavori: “Li raffiguriamo per renderli sensibili”, spiega il founder.

Descrive l’intelligenza artificiale come la spiegherebbe ai bambini: dice che con loro è più facile perché “non sono stati influenzati da chi voleva distorcere il mercato”. Poi parla del fascino di questa materia, fatta di “artigiani della matematica”, e di dove secondo lui risiede realmente la sua “intelligenza”.

Essere Unbreakable, oggi, può significare anche questo: avere la capacità di dare un impatto sociale ed etico agli strumenti avveniristici che abbiamo a disposizione, come l’intelligenza artificiale, e di renderli tangibili nella vita delle persone.

Podcast marketing: come una startup sta rivoluzionando il settore

La nuova Unbreakable Story è quella di Francesco Tassi, founder di Vois, una realtà attiva nel mondo del branded podcast, uno dei fenomeni digitali del momento. Francesco è anche autore di un podcast tra i più interessanti in circolazione: “Io credo”.

Il suo team ha trasformato i limiti imposti dalla pandemia nell’occasione per cercare nuovi stimoli creativi in giro per il mondo, dalla Sardegna fino alle Canarie.

Dalla nascita di Vois, le cose non sono andate subito nel verso giusto: il primo prodotto, ForTune, una radio personalizzata che mescolava podcast e musica e suggeriva i contenuti in base agli interessi, è stato un flop. “Era troppo presto”.

Ma essere Unbreakable vuol dire anche non arrendersi alla prima sconfitta. Come ha fatto Francesco, e come hanno fatto tanti altri “innovatori”, dietro progetti come Twitch o Groupon, grazie alla capacità di tirare il freno, riflettere sui dati e cambiare strada.

Dal momento più nero, quello del ridimensionamento e di due anni senza stipendio, arriva un bando vinto a Torino e una collaborazione con BMW. Quindi la rinascita, grazie alla scelta decisiva di virare dal mezzo (l’app) al contenuto (il podcast), declinato in branded podcast, podcast advertising, original podcast e tanto altro, e di portare l’influencer marketing nel mondo dei podcast.

Il viaggio per raggiungere persone e aziende Unbreakable continua! Puoi seguire il tour di Mirko con il Ninja Van sul suo canale YouTube. Iscriviti al canale per non perdere nessun aggiornamento, oppure segui la cronaca dell’Unbreakable Tour, tappa per tappa, attraverso la pagina Instagram di N-Conference.

Qualche dettaglio su N-Conference

L’evento ruoterà intorno a 3 vertical track:

  • Technology, per scoprire insieme le nuove opportunità dell’AI e del Machine Learning per il business, il Martech e l’Automazione dei processi di vendita e customer support e familiarizzare con parole chiave del futuro presente come Blockchain, Cryptocurrency, AR & VR, powered by TIM.
  • Culture, per esplorare come la tecnologia sta plasmando generazioni sempre più connesse e digitali, attente ai valori e alla sostenibilità e critiche verso le tradizionali regole del lavoro e modalità di consumo, powered by AW-LAB.
  • Industry, per studiare le aziende e le industrie che guidano il cambiamento del mercato valorizzando il capitale umano, integrando le tecnologie e puntando a risolvere i problemi della società in modo innovativo, powered by Banca Sella.

Tra i momenti più attesi, l’assegnazione, con votazione in diretta, dei Ninja Awards, premi per i professionisti e le aziende che hanno saputo trasmettere alla collettività la filosofia Ninja.

Ninja Awards di N-Conference: ecco le nomination per il Business Visionary Event

Manca ormai pochissimo a N-Conference, il primo grande evento Ninja dedicato al Business del futuro.

Grazie alla piattaforma Umans™, N-Conference vivrà in digitale e sarà possibile seguire gli interventi degli speaker, visitare i Virtual Stand dei Partner, fare Networking nella Lounge digitale, interagire con ospiti e partecipanti e personalizzare la propria esperienza di fruizione dell’evento.

Oltre 30 gli speaker tra esperti e professionisti del panorama economico digitale internazionale.

N-Conference, il Business Visionary Event di Ninja in programma il 27 e il 28 maggio 2021 in Digital Edition, in collaborazione con i main partner TIM, AW LAB e Banca Sella, premierà simbolicamente talenti, professionisti e aziende che hanno saputo trasmettere alla collettività la filosofia Ninja.
E sarà il pubblico a decretare i vincitori tra coloro che si sono contraddistinti nella Digital Industry per tecnologia, approccio e valori: durante N-Conference 2021 si potrà votare in diretta le aziende, le persone e i progetti più meritevoli per ciascuna categoria.

>> Prenota uno degli ultimissimi ticket free e partecipa anche tu alla votazione <<

Scopriamo insieme le nomination dei Ninja Awards.

ninja awards logo

Ninja Celebrity

ninja celebrity

Un riconoscimento dedicato al personaggio pubblico che è stato capace di utilizzare il marketing e la comunicazione per creare autorevolezza e riconoscibilità promuovendo idee e approcci innovativi.

  • The Jackal
  • Estetista Cinica
  • The Ferragnez
  • Matteo Flora

Ninja Talent

ninja talent

Un riconoscimento dedicato al professionista che si è distinto, soprattutto nella Community Ninja, attraverso il proprio talento e la propria passione, creando un impatto concreto con le attività svolte.

  • Domenico Romano
  • Felicia Mammone
  • Filippo Giotto
  • Alberto Maestri

Ninja Marketer

ninja marketer

Un riconoscimento dedicato al Marketing Manager e al suo team che in azienda è riuscito a creare un progetto o un’attività volta a generare valore per il brand attraverso un approccio e una comunicazione distintivi.

  • Carlo Colpo – Lavazza Brand Home Director
  • Paolo Lorenzoni – Country Director of Marketing – NETFLIX
  • Gianluca Di Tondo – Group Chief Marketing Officer di Barilla
  • Julia Schwoerer  – Vice President Marketing Mulino Bianco

Ninja HR

Un riconoscimento dedicato all’HR Manager e all’azienda che nella gestione delle risorse umane si sono distinti per attività di people management e per una cultura aziendale innovativa.

ninja hr

  • Vittorio Maria Carparelli – Amex
  • Gianfranco Chimirri – Unilever Foods Solutions
  • Amelia Parente – Roche
  • Clemente Perrone – Sirti

Ninja Company

Un riconoscimento dedicato all’azienda che è riuscita a distinguersi per innovazione, approccio e valori, diventando un punto di riferimento nel proprio settore.

ninja company

  • Weroad
  • Pastificio Rummo
  • Ammagamma

Ninja Culture

ninja culture

Un riconoscimento dedicato alla personalità e alle idee che sono diventate di ispirazione e che portano avanti l’evoluzione sociale e spirituale della società

  • Michelangelo Tagliaferri – Accademia di Comunicazione
  • Bernard Cova – Kedge Business School
  • Guido Stratta – Direttore People & Organisation Gruppo Enel

Ninja Leader

Un riconoscimento all’imprenditore che ha saputo creare una filosofia innovativa nella propria azienda valorizzando le risorse umane e un approccio innovativo al business.

ninja leader

  • Renzo Rosso – Presidente di OTB
  • Brunello Cucinelli – Fondatore di Brunello Cucinelli
  • Niccolò Branca – Presidente e Amministratore Delegato della Holding del Gruppo Branca International S.p.A
  • Norma Rossetti – General Manager MySecretCase

Ninja Media

Un riconoscimento alla realtà editoriale che è riuscita a creare una trasformazione concreta e positiva in ambito media e intrattenimento digitale.

ninja media

  • Will Media
  • Freeda
  • The Post Internazionale

Ninja Agency

Un riconoscimento all’agenzia più innovativa che è riuscita a integrare nel suo DNA la creatività con una forte componente tecnologica per supportare il business dei propri clienti.

ninja agency

  • Dude
  • Caffeina
  • Connexia

Ninja Benefit

Un riconoscimento all’organizzazione no profit (o alla società benefit) che è riuscita a creare un impatto significativo dedicandosi alla salvaguardia dell’ambiente o all’inclusione sociale.

  • Fondazione Mediolanum
  • Lifegate
  • Little Genius

Come votare i tuoi preferiti

Sono dieci le categorie per l’assegnazione dei premi: Ninja Marketer, Ninja Company, Ninja Celebrity, Ninja Benefit, Ninja HR, Ninja Media, Ninja Agency, Ninja Talent e Ninja Leader.

Le aziende, i talenti e le persone incluse nelle nomination per i Ninja Awards sono stai selezionati grazie alla community: sono infatti quelli che hanno ricevuto più segnalazioni e preferenze durante la fase di candidatura. Ora “si sfideranno virtualmente” durante l’evento per aggiudicarsi il titolo di “Unbreakable del business”.

La votazione avverrà in diretta durante l’evento: per partecipare, affrettati a prenotare il tuo posto cliccando qui.

Qualche dettaglio su N-Conference

L’evento ruoterà intorno a 3 vertical track:

    • Technology, per scoprire insieme le nuove opportunità dell’AI e del Machine Learning per il business, il Martech e l’Automazione dei processi di vendita e customer support e familiarizzare con parole chiave del futuro presente come Blockchain, Cryptocurrency, AR & VR, powered by TIM.
    • Culture, per esplorare come la tecnologia sta plasmando generazioni sempre più connesse e digitali, attente ai valori e alla sostenibilità e critiche verso le tradizionali regole del lavoro e modalità di consumo, powered by AW LAB.
    • Industry, per studiare le aziende e le industrie che guidano il cambiamento del mercato valorizzando il capitale umano, integrando le tecnologie e puntando a risolvere i problemi della società in modo innovativo, powered by Banca Sella.

>> Prenota uno degli ultimissimi ticket free e vota anche tu i tuoi beniamini ai Ninja Awards <<

umanesimo digitale

Dal Made in Italy all’Originated in Italy: il percorso verso l’Umanesimo digitale

Come abbiamo accennato nella prima puntata di questo viaggio alla ricerca dell’impresa totale, l’impresa significante riconosce di operare in un contesto in cui il trend fondamentale è quello dell’accelerazione esponenziale.

Divenuta ormai una caratteristica permanente e pervasiva della vita umana, tale accelerazione è particolarmente avvertibile su due piani: lo sviluppo tecnologico e il cambiamento sociale.

Nel primo caso, assistiamo a un’inversione nella priorità tra tempo e spazio: storicamente parlando, l’uomo ha percepito come prioritario lo spazio, in quanto dimensione misurabile con strumenti “naturali”, laddove invece il tempo non è stato realmente misurabile prima dell’invenzione “artificiale” dell’orologio.

Ora, invece, lo spazio sembra aver perso il suo tradizionale significato di orientamento ed è il tempo a essere prioritario, concepito come sempre più compresso e “limitato”, come una risorsa sempre più rara.

Nel secondo caso, questo stesso senso di contrazione porta a sviluppare dei ritmi di vita sempre più frenetici, scanditi dalla paura di trovarsi “fuori dal tempo”.

La doppia accelerazione, tecnologica e sociale, comporta un aumento nella velocità con cui nascono nuovi bisogni da parte dei consumatori e, quindi, nuovi mercati e nuove normative atte a regolamentarli.

Questo impone alle imprese di aumentare la velocità nello sviluppo di nuovi prodotti, nuovi processi produttivi e distributivi, nuove relazioni con clienti e fornitori, ma anche di aumentare il livello di specializzazione. L’accelerazione comporta infatti anche una crescita esponenziale dell’intensità competitiva, dovuta alla comparsa di nuovi concorrenti.

L’unico modo per non maturare degli svantaggi sembra dunque essere quello di correre quanto o più del contesto competitivo; ma è evidente l’insostenibilità di un simile modello.

umanesimo digitale Carlo bagnoli 01

La crescita esponenziale nei trend relativi al pianeta (tratto da The Trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration di Will Steffen et al., 2015).

Umanesimo digitale - Carlo Bagnoli 02

La crescita esponenziale nei trend socio-economici (tratto da The Trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration di Will Steffen et al., 2015).

Tanto è vero che, nel momento in cui la necessità di accelerare assume quasi lo status di legge economica, si assiste – paradossalmente – a importanti fenomeni di stasi o, addirittura, di decelerazione.

È possibile per le imprese italiane adottare una strategia di proposta basata sull’aumento non tanto della velocità, quanto della tempestività: tale slittamento concettuale consente lo sviluppo di un nuovo modello imprenditoriale, caratterizzato anche da forme e momenti di decelerazione per rispettare i limiti fisici delle risorse naturali e umane, e trascenderne invece quelli psicologici, morali, intellettuali e spirituali, rifuggendo così dall’alienazione di una corsa sfrenata contro il tempo.

L’importanza del coinvolgimento emotivo

Nel contesto così definito, acquisiscono importanza strategica i brand e i prodotti (in primis quelli culturali) che riescono a coinvolgere emotivamente le persone, permettendo loro di rielaborare le esperienze di consumo quotidiane per ispirare quelle future: proprio in questo sta la chiave di volta per le imprese del Made in Italy.

Alla crescita esponenziale si può contrapporre la crescita felice che le imprese italiane potrebbero alimentare adottando una strategia di proposta fondata sul genius loci italiano, valorizzando oltre alla dimensione geo-spaziale anche quella storico-temporale.

È il passaggio dal Made in Italy all’Originated in Italy: prodotti originali – nel senso di distintivi – perché originati in Italia.

La proposta tempestiva prende la forma, allora, di quella capacità di sfruttare l’intuizione più genuinamente italiana per offrire un prodotto ingegnoso, su misura e di qualità, al momento giusto, in un luogo autentico, magari dopo averci pensato a lungo.

È una capacità riconducibile all’intuizione visionaria dell’imprenditore, preoccupato di formulare una strategia di lungo periodo per garantire la perdurabilità dell’impresa, più che al pensiero razionale del manager, preoccupato di formulare una tattica di breve periodo per raggiungere gli obiettivi di budget.

Tale proposta deve fondarsi sulla varietà e variabilità esclusiva che l’Italia riesce a originare attingendo al proprio senso del gusto e del bello, all’innata maestria tecno-artistica, con l’obiettivo di passare dalla vendita di prodotti (dai significati condivisi), a quella di significati (incorporati in prodotti).

L’impresa ‘significante’ può e deve ritagliarsi un ruolo da protagonista, non competendo in un mercato di massa, e, quindi, esponendosi agli effetti negativi della globalizzazione intesa come fine, ma in una massa di mercati, sfruttando le potenzialità della globalizzazione intesa come mezzo per irradiare il mondo con la propria eccellenza.

Per farlo, l’impresa che voglia essere significante deve rimettere al centro l’uomo, attraverso quello che viene definito Humanistic management, che enfatizza la responsabilità sociale dell’impresa nel suo complesso e la valorizzazione di tutte le potenzialità dei membri dell’organizzazione.

Abbracciare velocità e flessibilità operative

La proposta è di abbandonare la standardizzazione dei processi produttivi, la specializzazione del lavoro, la chiusura dei confini organizzativi e la sequenzialità lineare del processo decisionale che serve un mercato di massa attraverso prodotti seriali per abbracciare invece la velocità e la flessibilità operative, la collaborazione tra i membri dell’organizzazione, il coinvolgimento anche di attori esterni quali clienti e fornitori, la socialità nel processo decisionale e nei rapporti per supportare la creazione diffusa e partecipativa della conoscenza.

Questa proposta, come già affermato, può essere fatta propria in primis dalle aziende italiane: quale concetto, infatti, è più Originated in Italy dell’Umanesimo stesso? La centralità dello Humanistic Management è diventata ancora più pressante con l’avvento della quarta rivoluzione industriale e con la crisi pandemica tuttora in corso.

Nelle sue derive più estremiste, la trasformazione digitale può infatti indurre a considerare gli individui non come persone uniche, ma come ingranaggi indistinti di una grande macchina dell’informazione. L’essere umano è invece l’unica fonte e, nel contempo, anche l’unico destinatario dell’informazione.

È anche l’unico possibile produttore di significato dei risultati prodotti dalla macchina, dati o oggetti che siano, e persino del significato della macchina stessa: ed è proprio sulla produzione di significati che si sta spostando sempre più il vero banco di prova delle imprese.

I significati sono il risultato della capacità creativa dell’essere umano, che è direttamente collegata alla sua capacità di avere emozioni, sentimenti ed empatia; immaginazione e fantasia per poter astrarre; aspirazione alla conoscenza e duttilità nel metterla in opera.

Questo è ciò che rende tali le persone, mai equiparabili a (o sostituibili da) macchine algoritmiche che, per quanto potenti, non sono in grado di creare qualcosa di totalmente nuovo, ma solo di ricombinare ciò che esiste già.

La rivoluzione digitale, dunque, deve mettere in discussione tutte le strategie di business, ma non può mettere in discussione la centralità della persona e dei legami tra le persone, per poter perseguire una prosperità equa e diffusa.

La tecnologia è sempre un mezzo e non il fine. In questo senso e non in altri, il paradigma dello humanistic management deve contrapporsi a quello che si può definire dell’Algorithmic managament: non per rigettare i progressi scientifico-tecnologici, ma per includerli in una visione interdisciplinare più ampia capace di ricomporre e portare a sintesi gli opposti a vantaggio dell’uomo.

L’impresa significante è dunque una società di persone prima che di capitali, finalizzata a soddisfare i bisogni delle persone attraverso lo sviluppo di un’attività economica che si manifesta prioritariamente nel lavoro di persone per gli altri e con gli altri, riconoscendo la dignità delle persone e il valore dei loro contributi creativi.

Accogliere l’umanesimo digitale come paradigma, significa considerare complementari, e non contrapposte, la cultura tecnologica e quella umanistica, l’intelligenza artificiale e quella umana, per esercitare le virtù della concretezza e della creatività: così facendo, l’impresa significante potrà anche offrire un’alternativa all’accelerazione fine a se stessa e far rivalutare come fondamentale e positivo il suo ruolo nella società (e quello di chi è chiamato a guidarla).

Al via la seconda edizione di Shop Small in Italia per il rilancio del commercio

American Express, leader globale nei servizi e nelle soluzioni di pagamento, dopo il successo della prima edizione, lancia per il secondo anno la Campagna Shop Small in Italia, un progetto con cui l’azienda rinnova il sostegno alle piccole attività commerciali con la missione di rilanciare il commercio e i consumi.

L’iniziativa di American Express vuole valorizzare i quartieri e il loro ruolo nel rilancio del dinamismo socio-economico, come confermato dall’indagine commissionata a Nielsen, secondo cui i driver della ripresa saranno proprio le nuove abitudini di consumo vissute nei quartieri e l’impegno dei negozianti nel rendere ancora più di qualità la propria offerta e la relazione con i clienti.

Campagna Shop Small

Nel contesto attuale caratterizzato da un forte desiderio di ripartenza e rilancio, sia tra i consumatori che nel commercio, alcuni driver si rivelano più rilevanti e strategici per sostenere il dinamismo e contribuire ad alimentare il livello di soddisfazione verso la qualità della propria vita. Uno scenario che è confermato dall’Indagine condotta da American Express con Nielsen Abitudini e tendenze di quartiere dal punto di vista di commercianti e consumatori”, secondo cui l’85% dei consumatori desidera condividere esperienze e vivere le proprie abitudini come frequentare il quartiere in libertà (81%), entrando nei locali, negozi e strutture (78%) e facendo i propri acquisti nei negozi vicino a casa (72%). 

Il budget dedicato agli acquisti nelle piccole attività pesa il 50% sulle spese settimanali, un dato che conferma l’investimento della spesa nei negozi di prossimità, incentivato dalla possibilità di usufruire di offerte speciali (85%), di acquistare prodotti locali (75%), dall’opportunità di supportare le piccole realtà e le comunità locali (rispettivamente 76% e 74%) e dall’integrazione di canali digitali ed e-commerce (59%).

La tendenza a vivere il quartiere si sta trasformando in un’abitudine consolidata e riconosciuta dal 64% dei consumatori, soprattutto da chi vive nelle zone centrali (73%) e dai Millennials più partecipativi al dinamismo (75%), e dall’87% che continuerà a fare acquisti di prossimità. I consumatori dichiarano infatti un incremento del 30% della frequentazione presso i piccoli esercenti rispetto ai dati registrati prima di marzo 2020, trainati da fattori quali lo smart working (42%), la comodità (41%) e l’alto livello di soddisfazione verso gli esercizi attivi nella propria zona.

LEGGI ANCHE: Coca-Cola, IKEA e gli altri brand che si sono schierati contro omofobia, bifobia e transfobia

Un’altra tendenza consolidata nell’ultimo anno è il crescente utilizzo di pagamenti elettronici con un incremento del 60% dei pagamenti tramite POS, 58% della modalità contactless e 36% dello smartphone. Dall’indagine emerge che i pagamenti elettronici per importi tra i 10 e i 20 euro sono ormai utilizzati da quasi il 90% dei consumatori e che circa 1 consumatore su 3 li utilizza anche per importi inferiori ai 5 euro con maggiore frequenza.

I consumatori hanno inoltre scoperto nuovi benefici correlati alle carte di pagamento in grado di garantire vantaggi e valore attraverso promozioni (84%), in particolare per la generazione MZ (88%), seguite da programmi fedeltà (74%) e programmi di cashback (70%). In particolare, quest’ultimo ha avuto un impatto sulle scelte di consumo e acquisto per oltre il 60% della generazione MZ.

La fotografia dei consumatori trova conferma anche lato commercianti che si dichiarano entusiasti di tornare alla normalità e di dare il bentornato ai propri clienti, garantendo loro il massimo della sicurezza (68%). Il 24% dei commercianti dichiara che negli ultimi 12 mesi ha registrato un aumento dell’affluenza (valore che raggiunge il 37% nelle zone centrali). Questo trend positivo è legato alla relazione umana con il negoziante (69%), al rapporto di fiducia (58%), alla qualità dell’offerta (58%), motivazioni che continueranno a guidare questa tendenza.

In prospettiva, i negozianti si dimostrano ottimisti, il 23% è fiducioso nel recuperare nei prossimi mesi, il 55% è già riuscito a tornare ai livelli di fatturato del 2019 e per la chiusura 2021, il 57% prevede di tornare ai livelli dell’anno scorso e il 23% di aumentare il business.

Hanno avuto un impatto positivo sul fatturato le promozioni (47%), il cashback e i programmi fedeltà (66%), in particolare nei negozi di quartiere (57%), l’utilizzo dei Social Network (1 su 3) e di whatsapp (28%) per dialogare con i clienti, ma anche il digitale (39%) che ha permesso di riuscire a lavorare grazie a servizi di delivery attivati negli ultimi 12 mesi (27%) e canali di vendita online (37%). Chi ha saputo integrare al punto vendita fisico il canale online ha infatti registrato un fatturato invariato (49%) o cresciuto (25%).

pagamenti contactless coronavirus

LEGGI ANCHE: Cosa è la creator economy, come funziona e perché ci riguarda tutti

La situazione ha spinto infatti i piccoli negozianti verso una maggiore digitalizzazione e integrazione di strumenti di pagamento innovativi, come carte tramite POS (il 23% lo ha attivato nell’ultimo anno), contactless (28%) e smartphone (36%). 

In un contesto che si rivela pronto per ripartire sia sul fronte dei consumatori che degli esercizi commerciali, American Express Italia vuole essere in prima linea nell’abilitare questi trend attraverso azioni e programmi concreti in grado di incentivare, facilitare e guidare il cambiamento in atto. Ed è in questa direzione che si inserisce l’iniziativa Shop Small, che offre la possibilità ai Titolari di Carta di ottenere fino a 25€ di sconto in estratto conto (5€ di sconto per un massimo di 5 volte, spendendo almeno 20€ presso 5 diversi piccoli esercizi commerciali aderenti all’iniziativa Shop Small dal 18 maggio 2021 fino al 18 luglio 2021). I negozi aderenti sono segnalati e valorizzati sulla Mappa Amex con il logo Shop Small consultabile su Amex Map 

American Express ha sempre avuto l’obiettivo di contribuire all’evoluzione e alla crescita degli esercizi commerciali e delle aziende italiane ed allo stesso tempo di aiutare i consumatori a soddisfare i loro bisogni e le loro passioni, restituendo loro valore. Un impegno che si è rafforzato nell’ultimo anno, in cui abbiamo supportato i commercianti che hanno dovuto affrontare momenti difficili ad evolvere il loro modello di business e dato ai nostri Titolari di Carta un aiuto nelle spese di tutti i giorni tramite iniziative di cashback, sconti e promozioni allineate alle loro necessità. E’ da qui che parte la nuova edizione di Shop Small e oggi ancora di più, nella fase della ripartenza, vogliamo essere vicini alle comunità locali, che mostrano un nuovo dinamismo e dove si sono consolidate le interazioni tra commercianti e abitanti locali.

Ha commentato Melissa Ferretti Peretti, Amministratore Delegato American Express Italia.

Abbiamo voglia di riprendere le nostre abitudini e le relazioni nel nostro quartiere, e allo stesso modo i negozianti sono entusiasti di riaccogliere i propri clienti e di qualificare al meglio la propria offerta per soddisfarne le aspettative. La nostra volontà è quella di contribuire a ispirare questi comportamenti e di valorizzare questo rinnovato slancio con le nostre iniziative, perché se le comunità locali, dove risiedono le eccellenze del Made in Italy, hanno successo, non può che derivarne un beneficio per tutta la società e per la nostra economia. 

L’impegno del Gruppo si traduce anche nel voler affiancare i consumatori nella scelta di dove effettuare i propri acquisti per poterli ispirare e incoraggiare a scoprire i quartieri, le realtà vicino a casa, i commercianti protagonisti del commercio di prossimità e i prodotti dell’eccellenza locale. Nelle prossime settimane American Express lancerà infatti un progetto volto a valorizzare il nuovo dinamismo delle comunità locali per far riscoprire soprattutto agli abitanti dei quartieri le meraviglie nascoste da un punto di vista artistico, storico, culturale, culinario e commerciale.

Design condiviso e centralità dell’utente: il Crowdtesting

Il digitale, si sa, vede sempre più montare un approccio “user-centric”. Un assioma che possiamo trovare in moltissime slide degli eventi di settore e nei tanti framework che vengono raccontati nei libri: la persona, con tutti i suoi bisogni e desideri, è il centro di gravità permanente su cui sviluppare qualsiasi progetto, a maggior ragione se questo dovrà vedere come veicolo principale il web, una sorta di antropocentrismo nell’epoca moderna!

Eppure, ancora oggi questa “centralità” non viene effettivamente garantita, o per meglio dire, considerata. 

Basti pensare a un valore: secondo una ricerca condotta da Zendesk, il 75% dei clienti è disposto ad acquistare di più da aziende che offrono un’esperienza clienti positiva, il cui giudizio,  aggiungiamo, dipende per ovvie ragioni dalla capacità della stessa azienda di rendere protagonisti gli stessi utenti offrendo loro soluzioni sempre più custom e modulabili.

Tale proposito però non sempre viene scaricato a terra nella realtà, anzi: il percepito dell’utenza è decisamente contrario. Addirittura, si calcola che il 35% dei consumatori sia d’accordo nel dire che le aziende non siano veramente user-centriche.

Una forbice significativa che non si spiega solo con una definizione (quella, appunto, di “centralità dell’utente”) che forse ha ancora contorni sfumati e facilmente interpretabili. D’altronde, quand’è che l’utente deve effettivamente “entrare in campo” in un’esperienza di marca, soprattutto in ambito digitale? 

C’è un confine? E quanto può influenzare la progettazione di tale esperienza?

C’è un fatto: ogni touchpoint digitale viene concepito senza uno scambio virtuoso fra chi materialmente lo realizza e chi lo utilizzerà. 

Con chi dovrebbe avvenire tale scambio? Ma con l’utente, ovviamente. Il fatto è che, almeno oggi, non è diffusa l’abitudine di farlo accadere.

VUOI SCOPRIRE COME FUNZIONA APPQUALITY E COME PORTERÀ IL TUO BRAND AL PROSSIMO LIVELLO? >>

device

LEGGI ANCHE: Quanto consuma (e quanto inquina) davvero Bitcoin

Questione di metodo: valorizzare gli utenti (anche) come tester

Prendiamo ad esempio un’app mobile: nella sua fase di sviluppo, sicuramente qualcosa potrebbe esser tralasciato, o non adeguatamente progettato. Perché?

Per il semplice fatto che a forza di lavorarci, ci si potrebbe convincere che (ad esempio) una call to action è adeguatamente posizionata, oppure che un flusso che dovrebbe condurre a una conversione sia ben progettato, quando in realtà questo non corrisponde al vero. Anche quando scappa un refuso che sfugge, a causa delle troppe ore di lavoro, o il bias di conferma.

Il tutto potrebbe avvenire perché, sempre in linea generale, uno sviluppatore o uno UX designer potrebbero non avere la stessa visione del mondo, proprio perchè queste figure non corrispondono all’utente finale.

Il rischio di formarsi delle convinzioni che distorcono la realtà, o di non avere dati oggettivi sui quali costruire la UX, frutto della troppa concentrazione su un’attività specifica, sta alla base di errori di valutazione sullo sviluppo di una User Experience di valore: e per l’app che abbiamo preso ad esempio, questo potrebbe significare una scarsa usabilità che la conduce, inevitabilmente, al lento abbandono da parte degli utenti.

Questo vale per ogni app, sito, tool digital, perché se la User Experience non è ben progettata, un’azienda perde fatturato: McKinsey ha dimostrato come servizi con un’alta qualità di User Experience conducano a un miglioramento delle performance rispetto a chi invece sceglie di non potenziarne lo studio, attraverso ad esempio investimenti mirati.

Sempre McKinsey ci dice poi che solo il 22% delle aziende è soddisfatta dei tassi di conversione generati dai propri touchpoint digitali: non è un caso che i bug rilevati nei propri software vengano definiti conversion killer.

Ecco allora che il puntare su modalità di test distribuite, che non si riducano ai team di lavoro ma si allargano agli utenti reali, può portare a una rilevazione non solo più precisa, ma anche in grado di garantire sul lungo periodo performance più efficienti.

Una metodologia che dalla centralità di un gruppo di lavoro vede nella distribuzione delle fasi di controllo il vero punto di forza: qualcosa che riesce a garantire anche un bel coinvolgimento degli utenti (che non è male) ma anche un approccio che conduce, inevitabilmente, al tanto agognato risultato di avere un risultato realmente user-centric.

Strategy

Design condiviso e Crowdtesting: le nuove strade per capire se una UX funziona

Un obiettivo ambizioso quello di coinvolgere gli utenti nel processo di sviluppo di un touchpoint digitale, certo si può ottimizzare la UX anche dopo la release. Chiaramente non è il processo ottimale sistemare a posteriori, ma è assolutamente fattibile. È innegabile però che questo sia possibile solo se la fase di design (che diventa a questo punto un processo condiviso) sia svolta potendo contare su un gruppo in grado di portare valore in termini di punti di vista, comportamenti, capacità analitiche: possiamo dire una community, che sappia essere variegata, numerosa, ricca di diversità.

Iniettare in gruppi di questo genere il proprio tool chiedendo di testarlo significa valorizzare l’esperienza del singolo e metterla a sistema per generare intelligenza collettiva, secondo una logica nativamente digitale.

L’utilizzo della community (o di una folla, da lì il termine “Crowdtesting”) di tester è una di quelle metodologie che a tendere potrebbe portare molte aziende a guadagnare in termini di tempo, risorse ed efficacia.

Di tempo e risorse perché coinvolgere una base utenti reali significa liberare ore/uomo nel proprio team: d’altronde, equivale a dare in outsourcing una componente considerevole di attività ripetitive. D’efficacia perché a uno sguardo fresco qualsiasi tipo di interazione può generare una reazione autentica, formando così un giudizio puntuale. Il grosso punto di forza è che sono utenti reali del prodotto, ad esempio i veri correntisti di una banca o chi ha una sim con un operatore e usa l’app. Questo permette di valutare l’esperienza dei veri utilizzatori finali!

L’approccio alla progettazione condivisa non è inedito: in Italia progetti di questo tipo sono gestiti da aziende come AppQuality, che supporta le aziende proprio a collaudare i propri touchpoint con una metodologia di UX research & testing e altamente competitiva.

pc

LEGGI ANCHE: 6 milioni di italiani amano gli eSport: una grande opportunità per i brand

Bending Spoon ad esempio ha lavorato con quest’approccio per lo sviluppo dell’app 30 Day Fitness, disponibile per il mercato statunitense, ottenendo risultati importanti non solo dal punto di vista del risultato finale, ma anche del risparmio di risorse interne che non hanno subito un sovraccarico di attività per la fase di test.

Stessa cosa ha fatto De Longhi per testare il nuovo eCommerce di Braun Household, il marchio di piccoli elettrodomestici la cui release è stata anticipata da un’importante fase di valutazione, che ha individuato 133 potenziali problemi.

Casi che coinvolgono grandi marchi ma che conducono veramente a un risultato efficace in termini di usabilità, che collocano -come dicevamo in incipit- veramente al centro l’utente: non solo perché il risultato finale è definito sulle basi delle sensazioni di chi dovrà poi materialmente usare quel tool, ma anche perché in quel coinvolgimento si verifica la vera brand experience.

Rich Gardner VP, Global Strategic Partnerships presso Klaviyo ha dichiarato: ”Il coinvolgimento dei clienti non può riguardare sempre e solo le nuove vendite. Il modo migliore per coinvolgere i tuoi clienti è sviluppare un’esperienza online basata sull’empatia.”.

Un’azienda che sceglie di coinvolgere gli utenti per testare la propria dimensione digital costruisce un’esperienza allargata ricca di valore, anche emozionale: è da scelte come queste che si comincia a mettere, concretamente, l’utente al centro.

Un passaggio fondamentale, in un mondo sempre più digitalizzato anche nel modo di pensare.

OTTIMIZZA SUBITO IL TUO PRODOTTO DIGITALE CON I FEEDBACK DEL CROWD >>

esperienza di shopping online - consigli di Pinterest

L’importanza di una forte esperienza di shopping online per la valorizzazione delle piccole imprese

Quest’ultimo anno le vendite eCommerce sono aumentate come mai prima d’ora.

Anche con la riapertura in alcune parti del mondo dei negozi fisici, questo nuovo approccio allo shopping ha lasciato un segno nel comportamento dei consumatori.

Secondo Shopping Index, il report trimestrale di Salesforce, l’eCommerce continua a crescere a grande velocità: nel primo trimestre del 2021 è cresciuto del 58% contro il 17% del primo trimestre 2020. Solo in Italia il trend è aumentato del 78%, posizionando quindi il Paese al quarto posto degli stati con il più alto aumento percentuale dopo il Canada, i Paesi Bassi e la Gran Bretagna.

eCommerce

Mentre la maggior parte dei rivenditori più grandi, già prima di questo periodo di distanziamento sociale, aveva una solida presenza online, molte piccole imprese si affidavano all’esperienza in-store e hanno, quindi, dovuto rapidamente adattarsi al cambiamento.

Guardando al futuro dell’eCommerce, è chiaro che la partecipazione online delle piccole imprese che vogliono massimizzare il loro successo ed essere all’altezza della concorrenza non è più un’opzione negoziabile.

“La presenza online è solo il primo passo. ‘Mantenere il ritmo’ non è più sufficiente per il successo e nemmeno per la sopravvivenza. Nel mondo post-pandemico, brand e rivenditori devono guardare al comportamento dei consumatori da una prospettiva digitale e devono adottare strumenti che anticipano ciò che i clienti vorranno negli anni a venire. Chi per vendere ha sempre e solo fatto affidamento sull’esperienza in-store ora deve trovare nuovi modi per far sì che i clienti li scoprano e si facciano un’idea dei loro prodotti, creando un’esperienza di fuga dalla realtà”, commenta Martin Machinandiarena, Head of SMBs for Europe di Pinterest.

La crescita delle PMI

Il processo di digitalizzazione è fondamentale per le piccole e medie imprese, anche perché queste devono lottare per affermarsi sul mercato più delle altre. Rappresenta, quindi, il beneficio più consistente a livello di competitività.

Trasformazione digitale non significa solo reagire ai problemi attuali, ma anche essere proattivi nell’anticipare i problemi futuri. Questo processo, infatti, può consentire alle aziende di rendere il loro business a prova di futuro e di accelerare la loro crescita aumentando il valore del servizio che forniscono ai clienti.

La tecnologia come strumento fondamentale per le PMI

Le piccole imprese di fronte alle enormi sfide presentate dal COVID-19 hanno dimostrato resilienza. Molte aziende per restare sul mercato si sono evolute, con il 42% dei proprietari di piccole imprese che, secondo un sondaggio di Simply Business, a seguito della pandemia si sentono di dipendere di più dal digitale.

La realtà aumentata a servizio dei dispositivi mobili è uno degli elementi che stanno guidando la rivoluzione in arrivo nella vendita al dettaglio a distanza e permette ai rivenditori di sfruttare i vantaggi sia dell’online che dell’offline, rendendo più facile passare dal pensiero dell’acquisto all’acquisto effettivo.

Mentre le piccole imprese si adattano a nuove realtà, è fondamentale che continuino a individuare la tecnologia che permette loro non solo di sopravvivere, ma di prosperare: gli smartphone continueranno a trasformare lo shopping e rimarranno cruciali nel coinvolgimento dei consumatori.

La pandemia, infatti, ha portato ad un aumento del 60% del traffico internet e in Italia il 72% delle persone ha passato più tempo sul proprio smartphone (Fonte: Casaleggio Associati, E-commerce in Italia 2020).

LEGGI ANCHE: eCommerce in Italia 2021: cala il fatturato, 3milioni nuovi utenti. Il report

Il ruolo di Pinterest: il caso di Cliomakeup, Rothy’s e Sukoshi Mart

Mentre molte piccole imprese provano a tenere il passo in questi tempi incerti, Pinterest è uno strumento che cerca essenzialmente di livellare il campo d’azione, in quanto sulla piattaforma imprese di qualsiasi dimensione hanno le stesse possibilità di essere scoperte e di entrare in contatto con nuovi clienti interessati e che stanno pianificando i loro acquisti.

coronavirus-ecommerce-italia

Pinterest permette anche alle PMI di offrire un’esperienza di shopping online simile a quella dei negozi offline navigando tra i reparti, vedendo le collezioni curate dai rivenditori e confrontando i prezzi.

Pinterest e Shopify hanno recentemente annunciato l’espansione della loro partnership in altri 27 paesi, tra cui l’Italia.

Ora più di 1,7 milioni di venditori Shopify di tutto il mondo hanno a loro disposizione un modo semplice per mostrare i loro prodotti ai più di 475 milioni di utenti Pinterest attivi mensilmente a livello globale e trasformarli in Pin acquistabili e reperibili su tutta la piattaforma.

I commercianti Shopify che si appoggiano a Pinterest avranno anche accesso per la prima volta al Retargeting Dinamico, che permetterà loro di mettersi nuovamente in contatto con i Pinners che hanno già espresso interesse per i loro prodotti sulla piattaforma.

Le aziende presenti su Shopify, come ClioMakeUp, Rothy’s e Sukoshi Mart, hanno già registrato ottimi risultati grazie all’utilizzo dell’app di Pinterest su Shopify.

ClioMakeUp, il marchio di bellezza italiano ha creato uno shop su Pinterest per connettersi con nuovi clienti.

“Nell’era Covid-19, l’online ha assunto un ruolo sempre più centrale. Per questo, abbiamo intensificato i nostri sforzi per essere presenti in maniera costante sia sui social media che sul web”, ha dichiarato Claudio Midolo – Co-Founder & CTO @ ClioMakeUp. “Abilitando l’integrazione Pinterest-Shopify daremo vita a un flusso di interazione virtuoso grazie al quale gli utenti interessati ai nostri contenuti editoriali potrebbero essere esposti direttamente ai nostri prodotti e viceversa, migliorando notevolmente la nostra portata sia commerciale che editoriale”.

Rothy’s, brand statunitense di moda sostenibile, è entrato in contatto con i consumatori utilizzando le funzionalità di Pinterest per lo shopping su Shopify.

“Con l’aumento dell’assortimento dei prodotti, i clienti vogliono scoprire le nostre collezioni di scarpe, borse e accessori con nuove modalità. Pinterest ci consente di offrire un’esperienza di navigazione curata nei dettagli, con funzioni per lo shopping utilizzabili facilmente tramite Shopify. Il catalogo di Shopify di Rothy’s viene trasferito su Pinterest con gli ultimi modelli, colori e fantasie, sincronizzando le scorte in tempo reale. Mentre ci prepariamo a una nuova fase di crescita e a scalare la nostra strategia a livello internazionale, siamo felici di collaborare con nuovi partner globali come Pinterest e Shopify”, commenta Kate Barrows, Direttrice senior per lo sviluppo presso Rothy’s.

ecommmerce

Sukoshi Mart, piccola azienda canadese di prodotti di bellezza e lifestyle giapponesi e coreani, ha scelto gli Shopping Ad per rivolgersi in modo mirato ai consumatori interessati all’Estremo Oriente.

“L’integrazione di Pinterest con Shopify ci ha permesso di entrare in contatto con nuovi segmenti di pubblico, tra cui uno dei gruppi demografici più importanti per noi: la generazione Z. Abbiamo caricato il nostro catalogo su Pinterest, abbiamo creato i Pin prodotto e li abbiamo trasformati in Shopping Ad. Combinando Pinterest con il nostro catalogo Shopify, i consumatori possono trovare informazioni come prezzi e disponibilità su una piattaforma del tutto nuova. Con Pinterest, abbiamo osservato un ritorno sulla spesa pubblicitaria di 3,5 volte superiore alla media del settore registrata in Canada. Pinterest è fondamentale per raggiungere i segmenti di pubblico interessati alle tendenze dal mondo giapponese e coreano, come la bellezza, lo stile di vita e il cibo”, commenta Linda Dang, Fondatrice di Sukoshi Mart.

E mentre si continua a osservare come si evolverà la situazione dell’industria al dettaglio esiste una certezza: che Pinterest garantirà condizioni di parità alle imprese di tutte le dimensioni.

eSports marketing

eSport Marketing: 5 cose da sapere prima di iniziare

Vantare uno spazio tra i cartelloni pubblicitari di San Siro o dell’Allianz Stadium di Torino, esiste qualcosa più cool? Sì, ideare una campagna di marketing per un torneo o un gruppo di eventi eSport!

Secondo una ricerca condotta da Newzoo, gli sport elettronici – o electronic sports – produrranno ricavi superiori al miliardo di dollari entro il 2022 nel mercato globale. Il tasso di crescita annuale composto (CAGR) tra il 2017 e il 2022 dovrebbe essere superiore al 22%. E la maggior parte di queste entrate sarà generata da sponsorizzazioni e spazi pubblicitari.

Con numeri come questi, l’eSport marketing è diventato una priorità per i brand non-endemici. E non solo.

eSport, un rapido riepilogo

Con eSport ci si riferisce ai tornei di videogames competitivi, giocati da player professionisti, che intrattengono una platea di spettatori.

Già, per chi non appartiene alla Generazione Z o non è un Millennial è difficile da capire: perché guardare qualcuno che gioca ai videogiochi? È quello che accadeva negli anni ‘90 / 2000 quando ci si trovava in due a giocare con la consolle ma con un solo joystick. Un po’ di sconforto e tanta pazienza che l’amico terminasse il suo turno.

Questa sensazione oggi è decisamente mainstream. Chi riesce a comprenderla probabilmente è ancora affezionato agli sport della vita reale. Ma il mondo sta cambiando. Il numero di fan degli eSport è cresciuto a dismisura.

esports marketing crescita numero fan

Fino a poco tempo fa, brand come Red Bull e Intel erano gli unici player nel panorama dell’eSport marketing. Ora anche marchi non-endemici come Mercedes, McDonald’s, Mastercard, Movistar e Coca-Cola hanno fatto il loro ingresso nel mondo delle sponsorizzazioni legate ai tornei professionistici virtuali.

Si stima che le entrate globali del settore raggiungeranno 1,6 miliardi di dollari entro il 2024 con Louis Vuitton, Intel, ESPN, Taco Bell e altre corporate pronte a sgomitare sui campi da gioco virtuali per accaparrarsi seducenti spazi di eSport marketing per la promozione di prodotti e servizi.

LEGGI ANCHE: Capire gli eSport: mercato milionario e opportunità per i brand

Quali sono i motivi della crescita dell’eSport Marketing?

L’elevata interattività e la bassa concorrenza sono i driver principali di questa nuova tendenza.

Twitch è una delle principali piattaforme di streaming per gli eSport e, per ora, conta un basso volume di annunci pubblicitari. Questo, nonostante gli spazi sponsorizzati al suo interno generino un alto tasso di conversione rispetto alle piattaforme social tradizionali.

Perché?

I fan dello streaming sono completamente immersi nei contenuti che stanno guardando. Live chat e contest feature aumentano ulteriormente il livello di interattività. Senza dubbio il fattore generazionale è una delle leve essenziali. I giovani tra i 16 e 25 anni sono un gruppo di popolazione con caratteristiche comportamentali precise e questo obbliga i brand a rivedere le proprie strategie di marketing. Per arrivare a colpire questo target è necessario considerare che:

  • Il 61% dei Z Gen non guarda la televisione
  • Il 70% di questi trascorre più tempo a guardare gli eSport rispetto ad altri sport tradizionali
  • Quasi il 90% sa indicare almeno uno sponsor di eSport che non ha legami con il gaming
  • Oltre il 60% dei fan di eSport su Twitch interagisce quotidianamente con i player e quasi uno su tre ha visto almeno 5 ore di contenuti video di Fortnite in diretta su Twitch nell’ultimo anno.

LEGGI ANCHE: Consumer Trend: la Generazione Z ama lo sport ma non vuole guardarlo

Ma prima che un brand si precipiti a sviluppare una Strategia di eSport Marketing adeguata è bene conoscere qualcosa di più su questo particolare terreno di gioco. Senza possedere alcune conoscenze base dell’eSport marketing, è altamente probabile che un’azienda produca lo stesso effetto di un elefante che entra in una cristalleria. Tanti vetri infranti e un pugno di mosche tra le mani.

Quali elementi è necessario considerare? Come entrare in contatto con stakeholder e player del mercato? Quali tipi di campagne generano maggior interesse? Proviamo a dare una risposta.

esports marketing Global Games Market segmenti

Qual è il target ideale per una campagna di eSport Marketing?

È necessario conoscere il proprio target in modo da poter elaborare una strategia di eSport marketing mirata. Fin qui, niente di nuovo sul fronte occidentale.

Ma è bene fare attenzione. Proprio come gli sport tradizionali, gli eSport sono classificati in diversi generi e categorie. Così come accade per il marketing tradizionale, ciò che deve comprendere un’azienda è dove si trova il pubblico di destinazione affinché una campagna sponsorizzata sia davvero efficace.

Iniziamo dalle principali tipologie di tornei eSport:

  1. Player contro player (PVP)
  2. Real time strategy (RTS)
  3. Sparatutto in prima persona (FPS)
  4. Arena online per battaglie multiplayer (MOBA)
  5. Giochi di ruolo online multiplayer di massa (MMORPG)

L’obiettivo è quello di conoscere il pubblico di destinazione (quali tornei frequentano, quali giochi apprezzano di più e quali player i influencer preferiscono) così da creare contenuti che li possa attirare.

Dopo aver identificato il pubblico, un brand deve esplorare le piattaforme virtuali in cui questo ama trascorrere la maggior parte del tempo. Sono informazioni fondamentali perché aiutano a capire dove pubblicare i contenuti di marketing per raggiungere efficacemente il target. I primi passi da compiere sono quelli di fare una ricerca sui principali siti di streaming di eSport.

Esistono diverse piattaforme dedicate:

  • Twitch
  • Hitbox
  • Azubu
  • YouTube Gaming
  • Bigo Live
  • Gosu Gamers
  • Facebook Gaming

Si può partire confrontando i piani di abbonamento e il conteggio degli utenti iscritti su queste piattaforme. Meglio scegliere quelle in cui il target desiderato è più attivo e dove i competitor non sono ancora arrivati. È inoltre necessario controllare le recensioni che gli utenti rilasciano su questi siti.

Poter controllare o stimare il conteggio degli utenti medi in live, i piani di abbonamento al canale e informarsi sull’opinione generale degli utenti, permette di determinare l’efficacia della piattaforma come strumento di marketing. Come detto, un occhio rivolto alla concorrenza non è mai troppo: scegliere come target le piattaforme in cui i competitor sono (o non sono) presenti può rivelarsi un’azione decisiva per le perfomance di una strategia di eSport Marketing.

Allinea il Content Marketing all’eSport Marketing

Content is king vale anche per l’eSport Marketing.

Una buona campagna prevede la creazione di contenuti a supporto della presenza del brand nelle arene virtuali. Appassionati e follower dovranno sapere che il brand ha deciso di esporsi e presidiare determinati tornei o eventi di gaming competitivo. Video promozionali di lancio dell’evento e contenuti ad hoc, aiuteranno a spingere la campagna ed ingaggiare anche quelle fasce di utenti indecisi o inconsapevoli.

Quando si progettano contenuti per l’eSport Marketing, è bene che siano relativi e pertinenti al contesto in cui dovranno essere condivisi. Il focus deve sempre essere rivolto al target finale: le persone a cui ci si rivolge devono essere veri appassionati che possono apprezzare, commentare e condividere i tuoi post o i tuoi video con il loro network.

In questo modo la visibilità del brand può ricevere un boost iniziale e un numero più elevato di utenti saranno consapevoli della campagna di marketing e dell’azienda che la supporta.

eSport Influencer: le nuove celebrità del marketing

Gli influencer possono senz’altro contribuire a migliorare la portata e la penetrazione delle attività sponsorizzate e delle campagne di eSport marketing di un’azienda. Una efficace collaborazione con un player professionista che lavora quotidianamente nel mondo degli eSport può migliorare la visibilità dei contenuti del brand.

L’azienda ha la possibilità di mostrare ai follower dell’influencer, annunci brandizzati, contenuti che raccontano il marchio e live chat in cui viene messo in risalto un prodotto o un servizio specifici. Lo scopo è quello di creare esperienze uniche, dedicate alla propria fanbase in collaborazione con un’azienda. Basta trovare l’influencer adatto, che riesce a coinvolgere lo stesso pubblico target a cui l’azienda è interessata.

Come cercare un influencer nel mondo degli eSport?

Esistono molti strumenti di influencer marketing che possono aiutare a restringere il campo di ricerca, identificando i player con le giuste caratteristiche di popolarità e seguito. Una prima perlustrazione delle piattaforme può dare l’idea di quali siano i profili che ricevono maggior seguito e si adattano meglio a determinate categorie merceologiche. In alcuni casi, è possibile rivolgersi ad agenzie specializzate nel recruiting e nel mettere in contatto player e stakeholder del mercato. In Italia, una di queste è l’Osservatorio Italiano eSport.

Le collaborazioni tra corporate e player professionisti è all’ordine del giorno.

Nel 2019 Tyler “Ninja” Blevins, lo streamer da 10 milioni di dollari di fatturato, ha sottoscritto un accordo di sponsorizzazione pluriennale con Adidas.

Michael Grzesiek, meglio conosciuto dalla community geek come Shroud, altro player professionista balzato agli onori della cronoca su Twitch e YouTube, ha collaborato con il fashion brand J!NX per promuovere una serie di capi d’abbigliamento per ragazzi personalizzato con grafiche e stili totalmente dedicati all’universo eSport.

I player professionisti che popolano i tornei di eSport, spesso raccolgono sui loro profili social più fan di Chiara Ferragni, Cristiano Ronaldo e Ariana Grande.

LEGGI ANCHE: eSport: lavoro o semplice passione? La parola a Lapo Raspanti aka Terenas [INTERVISTA]

Sponsorizzare un evento eSport

Per raggiungere la massima copertura mediatica, un brand può sfruttare la popolarità degli streamer e dei tornei di eSport di alto profilo. Pensare di sponsorizzare un evento di gaming tournament non è un’ipotesi così remota da considerare. La sponsorizzazione di un evento eSport espone l’azienda alla visibilità di una fanbase considerevole e sicuramente interessata all’evento organizzato.

Ciò permette di costruire una certa credibilità sulla piattaforma, che farà guadagnare più spettatori e rafforzare la brand awareness.

Il consiglio è quello di iniziare da un piccolo evento se l’azienda non è ancora ben conosciuta nel mondo degli eSport, tanto per prendere dimestichezza con il pubblico e gli attori in gioco. Prendere contatti con realtà locali come pub e sale giochi, può essere un ottimo metodo per coinvolgere il pubblico offline e, allo stesso tempo, trovare brand e aziende interessate a co-sponsorizzare l’evento.

In genere questo è il primo passo per sviluppare relazioni durature con attori chiave del settore come streamer di videogiochi, importanti eSport team, organizzatori e altre aziende affini.

Se hai già deciso di puntare in alto, queste sono le leghe attualmente più importanti al mondo:

  • LEC, campionato europeo di League of Legends
  • LCS, campionato Nord Americano di League of Legends
  • LPL, il campionato professionistico cinese di League of Legends
  • Overwatch League, il campionato professionistico di Overwatch
  • KPL, il campionato professionistico cinese di Arena of Valor (Honor of Kings nel resto del mondo), un MOBA sviluppato da Tencent e disponibile su Android, iOS e Nintendo Switch.

esports marketing tornei più popolari

Un team aziendale di eSport: meglio del calcetto del giovedì

Lancia il tuo brand nel mondo dei videogames con un vero tocco di stile: metti in piedi la tua squadra di eSport aziendale. A pensarci, è molto meno pericoloso del calcetto aziendale! Molti dipendenti eviteranno di andare al pronto soccorso a fine partita. Fondare un team di eSport non è poi così costoso come la maggior parte dei manager e dei responsabili aziendali pensa.

Per mettere in piedi un eSport Team da zero si può iniziare inscrivendosi a Twitch e selezionando, come farebbe un Commissario Tecnico, i dipendenti o i colleghi più in gamba quando si tratta di mettere mano al joystick. In alternativa, è possibile assoldare gameplayer professionisti come se fosse un’asta di calciomercato. Pubblicando una serie di annunci ben ideati sul sito web e sugli account social del brand, ci si mette alla ricerca di giovani promesse dell’eSport (oltre che attirare l’attenzione di Z Gen e Millennial sull’azienda).

Non è possibile trovare dei gamer professionisti che vogliono prendere parte al progetto? Valuta l’affiliazione a team di eSport che sono già alla ricerca di sponsorizzazioni.

Il vantaggio principale è che quando il team trasmette in streaming il proprio gameplay, il brand acquisisce in automatico posizionamento e visibilità nelle dirette live o nei video associati all’evento.

quanto inquina bitcoin

Quanto consuma (e quanto inquina) davvero Bitcoin

Le organizzazioni di tutto il mondo sono all’opera per limitare il consumo di fonti di energia non rinnovabili e ridurre le emissioni di carbonio nell’atmosfera. 

L’Unione Europea, ad esempio, ha pianificato di ridurre le emissioni di almeno il 40% entro il 2030, come parte degli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi.

Sono diverse le iniziative messe in atto per raggiungere questo non semplicissimo traguardo, come la revisione dei sistema di scambio di quote sulle emissioni dell’UE, ma sono previste anche normative più specifiche in materia di energie rinnovabili.

Naturalmente, alcune attività e servizi che consideriamo essenziali, vengono svolti in deroga a questo principio generale e alle normative, in nome della loro utilità all’interno della società. Pensiamo, ad esempio, ai trasporti sia di beni che di persone.

Per quanto il settore sia spinto da una ventata di rinnovamento verso una transizione energetica più oculata, sembra ancora difficile immaginare grandi aerei di linea ed enormi navi porta container alimentati da combustibile di natura non fossile.

bitcoin su scheda madre

Quando però si parla di Bitcoin, ma di criptovalute in generale, la percezione tende a cambiare. Man mano che le monete digitali sono cresciute per importanza e diffusione, il consumo di energia legato al mining e alle transazioni è diventato un argomento centrale della discussione.

Secondo il Cambridge Center for Alternative Finance (CCAF), Bitcoin attualmente consuma circa 110 Terawattora all’anno, circa lo 0,55% della produzione globale di elettricità, o più o meno equivalente al consumo annuale di energia di piccoli paesi come la Malesia o la Svezia.

Si tratta, sicuramente, di un sacco di energia e nasce spontaneo chiedersi: a che quantità ammonta la “giusta energia” da dedicare a un sistema monetario di questo tipo che, nonostante la crescente importanza e l’attenzione che anche la finanza tradizionale sta dedicando al fenomeno, non è, in termini pratici, vitale per la sopravvivenza umana?

La risposta dipende in gran parte dalla considerazione che abbiamo di Bitcoin e da quanto siamo informati sul funzionamento di tale sistema: se siamo convinti che le cripto valute non siano di alcuna utilità e servano solo al funzionare come un gigantesco schema Ponzi o fungano da escamotage per il riciclaggio di denaro e altre operazioni poco lecite, risulta chiaro che qualsiasi quantità di energia adoperata dal sistema sia uno spreco evitabile.

Se però, come altre decine di milioni di persone in tutto il mondo, riteniamo la finanza decentralizzata un modo per sfuggire alla repressione monetaria, all’inflazione e al controllo dei capitali, molto probabilmente siamo convinti che le risorse energetiche impiegata siano estremamente ben spese.

Quello che è certo è che, per formarci un’opinione corretta e arrivare a una conclusione imparziale, dovremmo capire esattamente come Bitcoin consuma energia, fare alcune precisazioni e sfatare alcuni luoghi comuni.

LEGGI ANCHE: Crypto economy: perchè devi capire la blockchain per prepararti al Web 3.0

Il consumo di energia non è equivalente alle emissioni di carbonio

Partiamo con una precisazione importante: consumo di energia non è sinonimo di inquinamento. C’è un’importante distinzione tra quanta energia consuma un sistema e quanto inquina.

Infatti, mentre determinare il consumo di energia è relativamente semplice, non è possibile estrapolare un dato sulle emissioni di carbonio associate senza conoscere il preciso mix energetico, cioè la composizione delle diverse fonti di energia utilizzate dai computer che estraggono Bitcoin. Per fare un esempio abbastanza immediato, un’unità di energia idroelettrica avrà molto meno impatto ambientale della stessa unità di energia alimentata a carbone.

Il consumo di energia di Bitcoin è relativamente facile da stimare: si può semplicemente considerare il suo hashrate (cioè la potenza di calcolo totale combinata usata per estrarre Bitcoin e processare le transazioni) e fare qualche ipotesi sui requisiti energetici dell’hardware che i miner usano. Ma le emissioni di carbonio sono molto più difficili da accertare, per diversi motivi: il mining è un business intensamente competitivo, e i minatori tendono a non essere particolarmente disponibili sui dettagli delle loro operazioni

Le migliori stime in merito provengono dal Cambridge Center for Alternative Finance, che ha lavorato con i principali pool minerari per mettere insieme un set di dati anonimizzato delle sedi dei miners.

quanto inquina bitcoin

Sulla base di questi dati, il CCAF può presumere quali siano le fonti di energia che i minatori usano per Paese, e in alcuni casi, per provincia. Il loro set di dati, però, non include tutti i pool di miners, né è puntualmente aggiornato, lasciandoci ancora all’oscuro dell’effettivo mix energetico di Bitcoin.

Inoltre, molte analisi di alto profilo generalizzano il mix energetico a livello di Paese, portando a un ritratto impreciso di grandi luoghi come la Cina, ad esempio, che ha un panorama energetico estremamente diversificato.

Di conseguenza, le stime su quale percentuale del mining di Bitcoin utilizzi energia rinnovabile variano ampiamente. Nel dicembre 2019, un rapporto ha suggerito che il 73% del consumo di energia di Bitcoin era neutro in termini di carbonio, in gran parte a causa dell’abbondanza di energia idroelettrica nei principali hub di estrazione come la Cina sud-occidentale e la Scandinavia.

D’altra parte, il CCAF ha stimato nel settembre 2020 che la cifra sarebbe più vicina al 39%.

Anche se questo numero più basso fosse corretto, si tratta ancora di quasi il doppio di quanta energia rinnovabile utilizzi la rete statunitense, suggerendo che guardare solo al consumo di energia è difficilmente un metodo affidabile per determinare le emissioni di carbonio di Bitcoin e altre criptovalute.

Bitcoin può usare tipi di energia che altre industrie non possono utilizzare

Un altro fattore chiave che rende il consumo energetico di Bitcoin diverso da quello della maggior parte delle altre industrie è che Bitcoin può essere estratto ovunque.

Quasi tutta l’energia usata nel mondo deve essere prodotta relativamente vicino ai suoi utenti finali. Il mining non ha questa limitazione: permette infatti ai minatori di utilizzare fonti di energia che sono inaccessibili per la maggior parte delle altre applicazioni.

L’idroelettrico è l’esempio più noto.

Nella stagione umida, in Sichuan e Yunnan, in Cina, enormi quantità di energia idroelettrica rinnovabile vengono sprecate ogni anno.

In queste zone, la capacità di produzione supera di gran lunga la domanda locale e la tecnologia delle batterie è ben lontana dall’essere abbastanza avanzata da rendere conveniente immagazzinare e trasportare l’energia, da queste regioni rurali, ai centri urbani che ne hanno più bisogno.

Queste regioni rappresentano, molto probabilmente, la più grande risorsa energetica potenziale del pianeta, e come tale non è una coincidenza che queste province siano il cuore dell’estrazione mineraria in Cina, responsabile di quasi il 10% dell’estrazione globale di Bitcoin nella stagione secca e del 50% nella stagione umida.

Un’altra strada promettente per l’estrazione a zero emissioni è il gas naturale.

Il processo di estrazione del petrolio, oggi, rilascia una quantità significativa di gas naturale come sottoprodotto: energia che inquina l’ambiente senza mai arrivare alla rete.

Dal momento che è vincolato alla posizione di remoti giacimenti petroliferi, la maggior parte delle applicazioni tradizionali sono state storicamente incapaci di sfruttare efficacemente questa energia.

Ma i minatori di Bitcoin, dal Nord Dakota alla Siberia, hanno colto l’opportunità di monetizzare questa risorsa altrimenti sprecata, e alcune aziende stanno anche esplorando modi per ridurre ulteriormente le emissioni bruciando il gas in modo più controllato. I calcoli a ritroso, suggeriscono che ci sarebbe abbastanza gas naturale bruciato solo negli Stati Uniti e in Canada per far funzionare l’intera rete Bitcoin.

Ad essere onesti, la monetizzazione del gas naturale in eccesso con Bitcoin crea ancora emissioni, e alcuni hanno sostenuto che la pratica agisce invece come un sussidio all’industria dei combustibili fossili, incentivando le aziende energetiche a investire di più nell’estrazione del petrolio di quanto accadrebbe altrimenti. Ma il flusso di denaro che possono garantire i miner di Bitcoin è una goccia nel mare rispetto alla domanda di altre industrie che dipendono dai combustibili fossili, e questa domanda esterna è improbabile che scompaia presto.

Considerata però la realtà dei fatti, cioè che il petrolio continuerà a essere estratto per il prossimo futuro, sfruttare un sottoprodotto naturale del processo (e potenzialmente anche ridurre il suo impatto ambientale) è un fattore comunque nettamente positivo.

LEGGI ANCHE: Cos’è BitClout, il crypto social network che quantifica il tuo valore in criptovaluta

Altre fonti energetiche che possono essere sfruttate da Bitcoin

È interessante notare che l’industria che si occupa della fusione dell’alluminio offre un parallelo sorprendentemente rilevante.

Il processo di trasformazione del minerale naturale di bauxite in alluminio utilizzabile è altamente energetico e i costi di trasporto dell’alluminio spesso non sono proibitivi, quindi molte nazioni con un surplus di energia hanno costruito fonderie per sfruttare le loro risorse in eccesso.

Regioni con la capacità di produrre più energia di quella che potrebbe essere consumata localmente, come l’Islanda, il Sichuan e lo Yunnan, sono diventate esportatrici nette di energia proprio grazie alla produzione di alluminio.

Oggi, le stesse condizioni che hanno incentivato quegli investimenti hanno reso queste località opzioni primarie per l’estrazione di Bitcoin. Ci sono anche un certo numero di ex fonderie di alluminio, come l’impianto idro Alcoa di Massena, NY, che sono state direttamente riconvertite in miniere di Bitcoin.

i bitcoin inquinano

Estrarre Bitcoin consuma molta più energia che usarlo

Il modo in cui l’energia viene prodotta è solo un pezzo dell’equazione. L’altro aspetto su cui circolano informazioni poco precise o fondamentalmente errate è il modo in cui l’esistenza dei Bitcoin consuma effettivamente energia e i cambiamenti che possiamo prevedere nel tempo.

Da molte voci si sente parlare dell’alto “costo energetico per transazione” di Bitcoin, ma questa metrica è fuorviante. La maggior parte del consumo energetico di Bitcoin avviene durante il processo di estrazione. Una volta che le monete sono state emesse, l’energia richiesta per convalidare le transazioni è minima.

Stimare il consumo totale di energia di Bitcoin fino e dividerlo per il numero di transazioni non ha senso: la maggior parte di quell’energia è stata utilizzata per estrarre i Bitcoin, non per supportare le transazioni. E questo ci porta all’ultimo malinteso critico: che i costi energetici associati all’estrazione di Bitcoin continueranno a crescere esponenzialmente.

Una crescita incontrollata è improbabile

Poiché l’impronta energetica di Bitcoin è cresciuta così rapidamente, la preoccupazione principale è che, con una rapida diffusione, il consumo e l’impatto ambientale possano aumentare considerevolmente.

Questa era infatti la premessa di uno studio del 2018, ampiamente riportato e recentemente citato dal New York Times, secondo il quale il sistema Bitcoin potrebbe causare il riscaldamento del Pianeta di ben due gradi Celsius. Ci sono buone ragioni per credere che questo non accadrà.

In primo luogo, come è diventato comune in molte industrie, il mix energetico di Bitcoin diventa meno dipendente dal carbonio ogni anno.

Negli Stati Uniti, i miner sempre più focalizzati sull’ESG (Environmental – Social – Governance) hanno guadagnato quote di mercato e la Cina ha recentemente vietato l’estrazione a base di carbone nella Mongolia Interna, una delle più grandi regioni ancora ricche di carbone.

Allo stesso tempo, molte organizzazioni all’interno dell’industria mineraria hanno lanciato iniziative come il Crypto Climate Accord, ispirato all’accordo sul clima di Parigi, per sostenere e impegnarsi a ridurre l’impronta di carbonio di Bitcoin. 

Inoltre, dato che le opzioni rinnovabili come l’energia solare diventano più efficienti e, di conseguenza, più accessibili per il mining, Bitcoin potrebbe trasformarsi in un serio incentivo a costruire queste tecnologie.

inquinamento atmosferico

Inoltre, è improbabile che i minatori continuino a espandere le loro operazioni di estrazione ai tassi attuali, a tempo indeterminato. Il protocollo Bitcoin sovvenziona il mining, ma questi sussidi hanno dei controlli incorporati sulla loro crescita. Oggi, i minatori ricevono piccole commissioni per le transazioni che verificano durante il mining (che rappresentano circa il 10% delle entrate) e i margini di profitto non sono più così interessanti.

A questo si aggiunge il fatto che il protocollo è costruito per dimezzare la componente di emissione delle entrate dei minatori ogni quattro anni.

Così, a meno che il prezzo del Bitcoin raddoppi ogni quattro anni in perpetuo (cosa che l’economia suggerisce essere essenzialmente impossibile per qualsiasi valuta), quella quota di entrate dei minatori. alla fine. decadrà a zero.

Per quanto riguarda le commissioni di transazione, i vincoli naturali di Bitcoin sul numero di transazioni (meno di un milione al giorno) combinati con la scarsa tolleranza delle persone per il pagamento di commissioni, limitano il potenziale di crescita di questa attività come fonte di reddito.

Possiamo aspettarci che alcuni miners continuino ad operare a prescindere, in cambio delle sole commissioni di transazione (e in effetti, la rete dipende da questo per continuare a funzionare) ma se i margini di profitto diminuiscono, l’incentivo finanziario ad investire nel mining diminuirà naturalmente.

Il dietro-front di Elon Musk

Il technoking di Tesla, Elon Musk, è stato per molto tempo un accanito sostenitore di Bitcoin, sottilineando a più riprese l’aspetto innovativo delle cripto valute e la loro importanza nelle transazioni economiche.

Era riuscito spesso, con poche parole in diversi tweet, a condizionare lo scambio della moneta e di tutto il settore crypto sostenendo questa o quella criptovaluta. Naturalmente, la più famosa tra queste, Bitcoin appunto, ne aveva beneficiato molto più di altre, raggiungendo un picco di oltre 60.000 dollari a marzo. La moneta ha sempre vissuto condizionata da un’alta volatilità e le dichiarazioni di personaggi influenti sono sempre state in grado di condizionarne l’andamento.

Ora però, sembra aver cambiato rotta, almeno per quanto riguarda Bitcoin, convinto proprio dall’eccessivo consumo energetico che il mining della moneta in questione comporterebbe.

 

Nel mese di febbraio aveva suscitato molto scalpore la mossa dell’azienda di auto elettriche di acquistare l’equivalente di circa 1,5 miliardi di dollari in Bitcoin.

All’annuncio, era poco dopo seguita la dichiarazione a detta della quale, Tesla avrebbe permesso di comprare i suoi veicoli in Bitcoin, o altre valute digitali, accumulandoli in un tesoretto da non convertire in valuta FIAT.

Ora il passo indietro: Tesla non accetterà più pagamenti in Bitcoin.

Come prevedibile, l’annuncio ha provocato un terremoto: prima dell’annuncio, il valore di Bitcoin era di  54.700 dollari. Ha poi iniziato a precipitare, condizionato anche dai rumors provenienti dalla Cina per sprofondare, al momento in cui scriviamo, intorno ai 30.000 dollari. La caduta ha trascinato con sé tutte le sorelle minori

Conclusioni

Ci sono innumerevoli fattori che possono influenzare l’impatto ambientale di Bitcoin, ma alla base, la questione riguarda la domanda iniziale: ne vale la pena?

È importante comprendere che le preoccupazioni ambientali sono importantissime ma devono essere giustamente indirizzate. Quelle che riguardano Bitcoin sono spesso fondate su una cattiva comprensione del funzionamento dell’intero protocollo.

Ciò significa che quando chiediamo: “Bitcoin vale il suo impatto ambientale”, l’effettivo impatto negativo di cui stiamo parlando è probabilmente molto meno allarmante di quanto si possa pensare. Ma non si può negare che Bitcoin consumi risorse.

Come per ogni altra industria che consuma energia, è compito della comunità riconoscere e affrontare queste preoccupazioni ambientali, lavorare in buona fede per ridurre l’impronta di carbonio del Bitcoin, e infine dimostrare che il valore sociale che il Bitcoin fornisce, vale le risorse necessarie per sostenerlo.

esport in italia

6 milioni di italiani amano gli eSport: una grande opportunità per i brand

Quanti sono i fan di eSport in Italia? Sfatiamo subito un mito: non è un’attività solo per ragazzini e non è limitata a una ristretta cerchia di persone.

Gli appassionati di eSport italiani sono 6 milioni, ossia il 12% della popolazione maggiorenne. Sono dati scaturiti dalla ricerca “Gaming ed eSport in Italia” realizzata da Yougov per i membri dell’Osservatorio Italiano eSport (OIES), e che fanno dell’Italia il secondo Paese in Europa per “fanbase eSportiva”.

Il report, che per la prima volta censisce il target eSportivo italiano, porta alla luce dati che ridisegnano lo stereotipo del gaming e traccia una fotografia puntuale della sua composizione. La ricerca fa parte del Centro Studi Nazionale eSports dell’OIES, che è il primo database di dati su questo settore in Italia.

gamers in Italia

Innazitutto il genere. L’eSport in Italia è un fenomeno che sta interessando sempre di più le donne. Infatti il, 37% del target degli appassionati è femminile, percentuale sempre più in crescita.

Poi l’età. L’eSport non è un mondo prettamente destinato alla generazione Z, ma è trasversale su tutte le generazioni. Tra coloro che si dichiarano anche giocatori, troviamo sicuramente una preponderanza nella fascia 18-24 anni. Si registrano però valori sopra la media anche in quella 25-34, fino a punte di giocatori al di sopra dei 55 anni. Questo dimostra come il gaming sia un’attività capillare nella popolazione italiana, e non legata a un solo target.

Gli italiani dimostrano inoltre una rilevante inclinazione verso il consumo di contenuti video di gaming su varie piattaforme streaming: in Europa siamo al primo posto per utilizzo di YouTube Gaming e godiamo invece del terzo gradino in riferimento a Twitch e Facebook Gaming.

In Italia gli appassionati di gaming si dividono in due principali categorie, ciascuna delle quali con delle peculiarità che rivelano abitudini e comportamenti eterogenei.

Stiamo parlando degli Hardcore gamers, giocatori abituali attivi sotto l’aspetto competitivo, e degli eSport fan, appassionati che non necessariamente sperimentano gli aspetti competitivi, ma fruiscono degli eSport principalmente come intrattenimento.

gamers fanbase in Italia e in Europa

Gli Hardcore gamers: quando il gioco diventa uno stile di vita

Il 2,7% degli italiani maggiorenni appartiene al gruppo degli Hardcore gamers (HC gamers), ovvero coloro che dedicano più di 21 ore alla settimana al gioco e non solo. Infatti, si registra un alto consumo mediale: una buona parte degli intervistati dichiara di spendere settimanalmente più di 50 ore sul web (19%) e più di 20 ore di fronte alla TV (40%).

Facciamo riferimento a un insieme di 1,38 milioni di italiani per lo più giovani, di cui ben il 39% è donna. Un dato da non trascurare è che il 45% di essi vive in famiglie dal reddito medio basso. Sono giovani che dichiarano di sentirsi spesso annoiati (49%), di non temere il rischio (42%), e soprattutto di desiderare di aprire una propria attività (49%).

Si tratta di un target che attribuisce importanza all’informazione tempestiva, aggiornandosi quotidianamente attraverso blog e riviste stampate, principalmente a tema sportivo.

A proposito di sport, gli HC gamer sono amanti di quelli tradizionali, tant’è vero che, rispetto a tutta la popolazione, seguono anche discipline come boxe, football americano, arti marziali e l’immancabile calcio.

gamers e advertising

Gli eSport fan: la passione che genera peculiari abitudini e comportamenti

La seconda categoria di target eSportivo fa invece riferimento agli eSport fan, che appunto sono 6 milioni. Il 37% è di sesso femminile: un dato importante nel ribadire che gli eSport stimolano nuove prospettive per intercettare anche il genere femminile.

Gli eSport fan che, pur non manifestando un’abitudine di gioco ordinaria, sostengono che la professione di atleta professionista sarebbe il miglior mestiere del mondo (41%).

Una passione che definisce abitudini e comportamenti di vita peculiari: il 41% dichiara di avere molto tempo libero. Nel consumo dei social media scompare Facebook: i social più utilizzato sono Instagram, Twitter e Tik Tok. A livello di intrattenimento usufruiscono principalmente di servizi streaming in abbonamento.

Gli eSport fan tendono inoltre ad acquistare spesso cibo da asporto e a consumare snack o merendine tra i pasti. Una consuetudine che può giustificare una buona propensione all’acquisto verso marchi come McDonald’s, Burger King, Old Wild West e Deliveroo.

Un’ottima inclinazione è evidente anche quando si parla di advertising che apparentemente non li infastidisce ma al contrario funge da driver nelle scelte di acquisto di circa il 61% degli eSport fan. Difatti, circa metà di loro dichiara di essere attento alle pubblicità online e sulle riviste che legge.

gamers e social media

Ecco che sia gli Hardcore gamers che gli eSport fan dimostrano una forte attrazione verso gli sport tradizionali. Anche in questo caso, a suscitare interesse non sono solo il calcio e il basket ma anche discipline di nicchia come Formula E (22%), wrestling (11%) e rugby (18%).

Da questi dati emerge quanto gli eSport non siano relegati alla modalità competitiva, ma quanto stiano assumendo sempre più un valore di intrattenimento. È proprio in questo senso che gli eSport diventano un canale di comunicazione e marketing per i brand che vogliono intercettare quel pubblico di giovani adulti che non fruisce dei media tradizionali.

È un target nuovo, che contrasta con le abitudini di altre tipologie di pubblico, che apprezza la pubblicità e non è infastidito.

Proprio per questo motivo, gli eSport rappresentano oggi la nuova frontiera del marketing per le aziende.

davide bertozzi - immagini vs parole, recensione

Immagini vs Parole, la recensione del primo libro di Davide Bertozzi

Immagini vs Parole è il primo libro scritto da Davide Bertozzi, arricchito dalla prefazione di Valentina Falcinelli e dagli approfondimenti di Elisabetta Alicino, Roberto Saponi e Gianluca Di Santo.

Copywriter, direttore creativo e formatore, Bertozzi ha curato la comunicazione per tantissimi brand e dato vita a messaggi pubblicitari di svariate tipologie. La sua creatività ha avuto modo di confrontarsi con il mondo dei motori a due ruote e progettare campagne per marchi del circuito MotoGp come, RedBull, Ducati, Estrella Galicia.

Immagini vs Parole si inserisce perfettamente in quel percorso di trasformazione digitale che oggi fa domandare alla maggior parte delle persone che si occupano di comunicazione In che direzione sta andando il linguaggio pubblicitario?.

Il pubblico tende di più verso le immagini? Non riusciamo a saziare la nostra irrefrenabile voglia di fotografie, video e intrattenimento da display? Oppure non possiamo proprio fare a meno di accostare a una certa visione, un accompagnamento testuale?

Le parole sono ancora il punto di partenza di un messaggio pubblicitario?

bertozzi libri

Source: Twitter

Il percorso comunicativo secondo Davide Bertozzi

Immagini e parole sono indubbiamente due armi fondamentali ed imprescindibili quando si parla di comunicare per vendere.

Ma oggi in quanti hanno compreso il loro uso equilibrato e strategico? Soprattutto un uso che porta il consumatore a prendere coscienza di ciò che legge o guarda e interagire con il messaggio?

Bertozzi prova a rispondere al quesito ancestrale tracciando un percorso logico molto semplice. Si parte dagli strumenti basilari che il professionista della comunicazione ha in suo possesso. Le parole e le immagini, appunto – da lì non si scappa.

Bertozzi prosegue esplorando tutte le possibili sfaccettature che il mondo delle parole e delle immagini propone quando ci si mette a giocare con loro. Esattamente come un bambino che, completamente immerso dal suo lavoro con i mattoncini Lego, esce fuori dagli schemi predefiniti del libretto di istruzioni, e da vita e qualcosa di innovativo.

Precisamente di nuovo e utile, come direbbero Henrie Poincaré e Annamaria Testa.

E sì perché anche Davide Bertozzi non si sottrae alla sua personale interpretazione di “creatività”. Che cos’è la creatività? E come si raggiunge attraverso l’uso di parole e immagini?

LEGGI ANCHE: Greenpeace, Colgate e McDonald’s: i migliori annunci stampa di aprile

Immagini vs Parole: che cos’è la creatività secondo Davide Bertozzi

La creatività è qualcosa di irrinunciabile per chi si trova a lavorare con immagini e parole.
Prima di tutto, in un messaggio pubblicitario, c’è qualcosa che viene ancor prima della creatività.

“Tutta la nostra maestria nello scrivere e progettare non serve a nulla se poi non ci sono reputazione, credibilità, etica, sicurezza, conoscenza. Se dietro un annuncio c’è qualcuno pronto a metterci la faccia e a spiegare perché fa quello che fa”.

In secondo luogo, la creatività è quel processo che riesce a portare l’anomalia comunicativa, all’interno di un certo binario di senso. La creatività è eccezione e difformità. Ma non buttate a casaccio.

La maestria del copywriter o del creativo, è quella di innescare un pensiero o un’emozione, attraverso un evento improvviso, una piccola scossa elettrica, che ci strappa un sorriso, ci riporta in luoghi e sensazioni a cui siamo affezionati, ci fa riflettere.

“Un testo dovrebbe essere scritto per le persone, non per esaltare il nostro ego”.

Ok ma quindi, per far funzionare un messaggio pubblicitario, qual è la strada da intraprendere? Immagini o parole? La metafora che scioglie definitivamente il dilemma colpisce nel segno.

Il rapporto tra visual e copy è identico a quello tra Batman e Robin: il primo è il protagonista indiscusso, il secondo è il suo aiutante.

LEGGI ANCHE: La Pratica, recensione del nuovo lavoro letterario di Seth Godin

Un piccolo manuale pronto all’uso per una corretto messaggio pubblicitario

Immagini vs Parole è a tutti gli effetti un piccolo manuale pronto all’uso per chi si accinge a mettere le mani nella pasta della comunicazione pubblicitaria.

Un compendio in cui si esplora la materia dal punto di vista tecnico (la scelta della fotografia, del font del testo, il peso delle parole, il design tra mezzo stampa e social, lo storytelling) e intellettuale (vale a dire immergersi nel sacro momento del brainstorming, dove qualsiasi pensiero a ruota libera è concesso).

Fino a raggiungere gli estremi confini della combinazione tra immagini e parole: il word hacking. La dimostrazione che, a tutti gli effetti, possiamo trasformare le parole in immagini con semplici accorgimenti che animano quelle che per chiunque fino a poco prima erano semplici lettere.

ragazza legge un libro

Lungo il percorso tracciato da Bertozzi, sempre spiegato in maniera estremamente semplice, troviamo un unico leitmotiv ricorrente: tutte le tecniche di comunicazione d’impresa che è possibile apprendere, che ci siano state tramandate dalla storia del copywriting o che vengano studiate nell’era digitale, hanno un unico scopo finale:

“Il messaggio creativo è quello che funziona”.

Grammatica, gestione degli spazi visivi, equilibrio delle parole. Così come il tono di voce, i valori e l’identità del brand che parla. Tutto va bilanciato per trovare il corretto messaggio da veicolare alla nostra platea. Spoiler: non ci sono trucchetti. Il percorso creativo richiede spesso pazienza e stimolazione. Il lampo di genio è piuttosto una rarità.

Come sottolinea anche Gianluca Di Santo nell’approfondimento all’interno di Immagini vs Parole, se c’è qualcosa di tanto divertente quanto veritiero nel mondo della comunicazione creativa, è che nessuno potrà mai dire di un lavoro pubblicitario – che sia una campagna, un testo o un logo – che è l’unico veramente “perfetto”.

La verità è che il giudice finale è sempre il nostro pubblico: sarà lui a decretare se un messaggio, un’immagine o una parole, funziona o meno.

Dietro il rapido percorso delineato da Davide Bertozzi attraverso la  scrittura e progettazione di un messaggio pubblicitario, si cela un happy ending rassicurante. Non saremo mai costretti a dover scegliere tra immagini o parole. Solo testo o solo visual.

“La prossima volta che qualcuno ci dirà che le immagini valgono di più delle parole, sapremo cosa rispondere”.