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psicografia e marketing

Come creare migliori Buyer Personas con la Psicografia

Cosa si aspettano le persone quando acquistano un prodotto o usufruiscono di un servizio?

Probabilmente è questa la domanda a cui brand e aziende, di ogni tipo e dimensione, vorrebbero rispondere con esattezza. Chi si occupa di marketing, per molto tempo, è stato abituato a pensare e parlare in base ai dati demografici, poiché dividere un mercato per età, sesso, etnia e altre variabili generali può aiutare a comprendere le differenze e le somiglianze tra i diversi clienti.

La psicografia, che misura gli atteggiamenti e gli interessi dei clienti piuttosto che i criteri demografici “oggettivi”, può fornire una visione approfondita che completa ciò che solitamente apprendiamo dai dati demografici.

Che cos’è la psicografia

La psicografia è una disciplina qualitativa che descrive e suddivide i consumatori in base a caratteristiche psicologiche.

Stiamo parlando dello stile di vita, le opinioni, gli interessi, la personalità e i valori. Questi attributi sono importanti da conoscere perché forniscono una visione molto più ristretta e mirata del cliente. Di conseguenza può essere davvero vantaggiosa per brand e aziende perché li avvicina ai clienti e ai consumatori giusti che magari sono interessati a conoscere e ad acquistare i loro prodotti e servizi.

acquisto su ecommerce

Il mondo digitale ha spostato l’interesse dai dati demografici a quelli psicografici e, con la crescita dei social network e la diffusione dei Big Data, risulta sicuramente più facile accedere a questo tipo d’informazioni personali e tracciare un profilo psicologico dei propri consumatori. Ecco perché comprendere questo tipo di differenze psicografiche è importante.

I dati consentiranno a un’azienda di utilizzare strumenti di marketing online che trasformeranno le intuizioni in interventi attuabili che erano quasi impossibili prima del periodo di massimo splendore di Google, Facebook e Twitter.

Come agisce la psicografia applicata al marketing

Cerchiamo di chiarire il tutto con un esempio. Keletso Nkabiti, responsabile della Strategia presso Idea Hive, una rinomata agenzia di marketing digitale, ci mostra la differenza tra i dati demografici e psicografici.

Con i primi sappiamo che in una data popolazione c’è un numero di persone che appartiene a una certa fascia d’età. È un dato misurabile che può dirci molto della popolazione, ma non dei consumatori. Se invece noi vogliamo conoscere qualcosa in più che possiamo utilizzare per la nostra azienda, come lo stile di vita, o i valori, allora dobbiamo indirizzarci verso un’analisi psicografica.

In questo modo andremo anche a rimpicciolire il nostro target di riferimento e potremmo concentrarci meglio e in modo mirato su un numero ridotto e più definito di persone. Andremo a creare una nicchia da poter segmentare e di conseguenza definire dei profili nelle buyer personas.

Cosa sono le buyer personas

Le buyer personas rappresentano un segmento del nostro pubblico di riferimento. Partiamo da qualcosa di generale e ideale per un’azienda fino ad arrivare a una figura potenziale, il cliente così come potrebbe essere. 

La buyer persona è una figura molto importante nel marketing perché ci consente di dar voce a un cliente ideale con caratteristiche ben definite a cui possiamo rivolgerci e pensare mentre stiamo creando la nostra strategia di vendita.

LEGGI ANCHE: Cosa sono le buyer personas e come fare per definirle in modo semplice

Psicografia e buyer personas: una coppia vincente

Dal punto di vista della profilazione, questo processo di filtraggio è considerato un vantaggio.

Possiamo riassumerlo come un nuovo modo di vedere e ascoltare i clienti. Stiamo utilizzando le caratteristiche psicografiche come strumento per indirizzare in modo più efficace chi desideriamo attirare per acquistare i nostri prodotti o servizi, aumentando le opportunità di convertire un potenziale cliente o consumatore. Attraverso queste informazioni, inoltre, andremo a creare le nostre buyer personas di riferimento. 

La segmentazione psicografica fornisce informazioni preziose su ciò che incoraggia un consumatore. Ci dà un’idea delle esigenze, dei desideri e dei valori degli utenti. Possiamo quindi comunicare con il pubblico di destinazione in modo efficace perché i dati psicografici ci consentono di creare messaggi e contenuti personalizzati, oltre a facilitare il targeting per parole chiave più mirate.

Credits: themediaonline

Internet ha reso questo tipo di differenze psicografiche molto più evidenti e rilevanti sia per i consumatori che per i marketers. Se prima ci sembrava difficile trovare qualcuno che avesse la nostra stessa linea di pensiero, adesso è più facile incontrare e interagire con chi condivide interessi e atteggiamenti simili ai nostri, anche se provengono da una comunità o da un Paese diverso.

Ciò aiuta a consolidare le differenze psicografiche, portando le persone a identificarsi sempre di più con le proprie comunità d’interesse o valore, invece che con la loro comunità geografica o demografica.

È fondamentale comprendere accuratamente la personalità del cliente. I dati psicografici sono gli atteggiamenti, gli interessi, la personalità, i valori, le opinioni e lo stile di vita del mercato di riferimento di un’azienda. La psicografia è incredibilmente preziosa per il marketing, ma ha anche casi d’uso nella ricerca di opinione, nella previsione e nella ricerca sociale più ampia.

Quali sono i vantaggi per le aziende

In sostanza, se conosciamo come le persone scelgono e confrontano i prodotti e i servizi di cui ci occupiamo, allora sapremo come strutturare e dare priorità ai contenuti. 

  • Conoscendo le loro opinioni possiamo allineare in modo semplice e intelligente i messaggi personalizzandoli.
  • Sapendo a cosa sono interessati, possiamo focalizzarci sulle parole e le immagini giuste senza perdere tempo su argomenti che non rientrano nella loro sfera d’interesse.
  • Se sappiamo cosa leggono, allora sapremo come raggiungerli.

La psicografia ci dice perché la gente compra. Ci permetterà di creare il messaggio giusto, per l’utente giusto e metterlo nel posto giusto. 

LEGGI ANCHE: Le aziende hanno capito che devono puntare sulle persone (e renderle felici) per far crescere il business

I tipi di psicografia per individuare le buyer personas

Esistono diversi tipi di psicografia per comprendere il comportamento degli utenti e, di conseguenza, creare il profilo ideale per le buyer personas.

Utilizzando accuratamente i dati a nostra disposizione, comprenderemo le preferenze, gli interessi e i valori dei consumatori. In questo modo saremo in grado di vedere i clienti come persone uniche e individuali e fornire le migliori esperienze utente possibili, aumentando l’affinità con il nostro marchio e rafforzandone la fidelizzazione.

Personalità

La personalità è la segmentazione psicografica che identifica gli utenti dietro i dati. Chi sono, come si comportano di solito e come si comporteranno in determinate circostanze? I marchi di solito identificano i tratti della personalità dei loro clienti target e creano un tratto della personalità che abbia valore per loro.

Stile di vita

Lo stile di vita si riferisce ai modelli di stile di vita dei clienti. Come iniziano e finiscono la loro giornata? Cosa fanno nel fine settimana e come trascorrono il loro tempo libero? Con una buona comprensione dello stile di vita e delle abitudini dei consumatori, le aziende possono curare i messaggi da comunicare nel modo giusto.

Stato sociale

Questo tipo di segmentazione non riguarda solo il livello di reddito, il background sociale, ma anche lo stato personale in cui i clienti si trovano attualmente nella propria vita. Per esempio, i nostri clienti sono studenti universitari o giovani impiegati? Potrebbe essere lo stato sociale dei clienti attuali o lo stato sociale che vogliono raggiungere. Inoltre la condizione delle persone indica i prodotti che usano e quelle che potrebbero essere le loro preferenze.

I valori, attività, interessi e opinioni

La categoria che riguarda i valori è probabilmente una delle più importanti segmentazioni psicografiche. Esamina ciò in cui credono i clienti, qual è la loro opinione e il loro atteggiamento su un determinato argomento ed esplora i loro hobby e interessi. Cosa apprezzano nella vita? Ciò potrebbe ruotare attorno a temi come la religione, la politica, l’ambiente, le questioni culturali, le arti e lo sport.

Sulla base dei valori che i clienti detengono, i marchi sapranno quando parlare di un problema specifico, inviare messaggi per alimentare l’interesse dei clienti e incoraggiare l’acquisto.

Molte aziende utilizzano più modelli di buyer personas per ogni fase del funnel di conversione. L’incorporazione dei dati psicografici in essi è fondamentale per la riuscita delle campagne di vendita. 

Tutto ciò serve per creare messaggi personalizzati, creare un profilo chiaro e completo dei clienti ideali e potenziali. Lo scopo è quello di portare avanti campagne marketing efficaci. I vantaggi sono tanti, è vero ma…

Esistono svantaggi?

Ci sono tanti vantaggi, ma anche difficoltà e inconvenienti in questo tipo di analisi.

Innanzitutto, i dati psicografici sono più difficili da ottenere rispetto, ad esempio, ai dati demografici. Inoltre, quando si mette in gioco la segmentazione psicografica, è necessario stabilire delle linee guida per garantire che i dati non siano interpretati male e siano usati in modo accurato, sicuro e per il giusto scopo. La collaborazione con un digital specialist che capisca come leggere e interpretare i dati psicografici è quindi di fondamentale importanza.

Società digitale: la rete FTTH come driver di crescita

Sveglia, colazione e poi tutti pronti per la scuola e il lavoro: in una stanza i ragazzi, nell’altra i genitori, ognuno davanti al proprio pc per connettersi con il mondo. Sembrerebbe uno scenario da sit-com, invece è una normalissima mattina nell’era digitale. Tra DAD, smart working e il meritato svago della sera, abbiamo ormai perso il conto delle ore passate a navigare sul web ogni giorno. 

Anzi, in verità c’è chi si è preso la briga di contarle per noi: almeno 6 in media, secondo gli esperti. Con la digitalizzazione sempre più diffusa che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite – complici anche le restrizioni dovute alla pandemia di Covid-19 che ci ha portato a usufruire dei mezzi con maggiore costanza – internet è ormai la risposta a ogni nostra necessità. 

Approfittiamo per invitarti mercoledì alle ore 09 su Clubhouse, all’interno della Ninja Morning, per la room powered by Open Fiber!

Il digital divide: l’antagonista delle nostre storie digitali

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C’è un aspetto della vita digitale che forse non è noto a tutti. Siamo ormai così abituati a connetterci al web con un semplice clic – meglio ancora con un tap sullo schermo dei nostri dispositivi mobile – che accedere a internet è, per la maggior parte di noi, un’azione quasi automatica. Eppure, anche nell’era della digitalizzazione ad ogni costo, esistono fasce di popolazione per le quali la possibilità di interagire col mondo via internet non è così scontata. Hai mai sentito parlare di digital divide? Se la risposta è no, puoi considerarti fortunato.

Uno dei player più attivi nella lotta a questo fenomeno di disuguaglianza digitale è proprio Open Fiber che, ad oggi, ha avviato la commercializzazione dei propri servizi in oltre 2000 Comuni italiani. Inclusi i piccoli Comuni delle Aree Bianche, le zone meno popolate che gli operatori spesso non si impegnano a raggiungere. 

Per dirla in poche parole, il digital divide è il divario che sussiste tra coloro che possono accedere alle nuove tecnologie per mezzo di Internet e quelli che non possono farlo. Nella maggior parte dei casi, è dovuto alla carenza di infrastrutture: alcune zone del paese – come ad esempio le cosiddette Aree Bianche e Grigie – si trovano costrette a connettersi al web attraverso infrastrutture ormai obsolete. Queste connessioni instabili e poco performanti non sempre sono in grado di supportare il traffico dati necessario per sostenere una mattinata in DAD o uno scambio di materiale con i colleghi senza rallentamenti. Di conseguenza, il digital divide è il nemico più importante della nostra epoca in ambito di telecomunicazioni. 

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La rete FTTH di Open Fiber come alleata di startup e aziende

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Tra email, messaggistica istantanea e videochiamate il lavoro non si ferma. Freelance, imprenditori e Pubbliche Amministrazioni sono tutti connessi su base quotidiana per portare avanti i propri compiti senza interruzioni. Le conseguenze della pandemia sull’economia e sul mercato del lavoro sarebbero state molto più importanti se gli eventi straordinari che stiamo vivendo si fossero verificati soltanto venti anni fa.

Ma la possibilità di lavorare grazie al web non è nulla se la connessione non è in grado di sostenere le attività necessarie a startup, aziende e liberi professionisti. Il lag – ritardo nella trasmissione delle informazioni – può rallentare notevolmente lo scambio di dati e materiale. Questo penalizza le performance e demotiva i lavoratori, che potrebbero trovare frustrante lavorare in condizioni del genere. Ecco perché la fibra ottica FTTH di Open Fiber, con la sua velocità di trasmissione dati che arriva fino a 1 Gbps, è la tecnologia ideale per garantire la crescita del business in Italia. 

Vittorio Colao: l’importanza di mappare le Aree Grigie 

La visione a lungo termine di un’Italia digitale è ben chiara anche a Vittorio Colao, Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale. Il Ministro ha preso particolarmente a cuore il cablaggio delle cosiddette Aree Grigie, zone in cui esistono infrastrutture per la banda ultra larga oppure in cui è prevista la realizzazione entro tre anni, senza nessun mercato concorrenziale. Parlando delle Aree Grigie durante un’audizione presso la Commissione Trasporti della Camera, ha dichiarato:

“Faremo rapidamente la mappatura e le consultazioni. Non appena pronto, porteremo il Piano al Comitato interministeriale per la transizione digitale. Un processo complesso che prevede l’interlocuzione con il mercato e con le Istituzioni nazionali e comunitarie. Lo vogliamo velocizzare il più possibile”.

Il piano di azione prevede interventi sia sull’offerta che sulla domanda di servizi digitali. L’obiettivo principale è la copertura dell’intero territorio con tutte le tecnologie in grado di abilitare l’accesso alla banda ultra larga: non solo FTTH, ma anche FWA per raggiungere i territori più impervi. 

Vittorio Colao

Il Ministro punta a connettere tutte le istituzioni, incluse le scuole, gli ospedali, gli uffici pubblici e tutte le 18 isole minori entro pochi anni:

Stiamo lavorando con Agcom e Infratel per far convergere in un unico sistema tutte le mappature. Cercheremo di erogare i nostri contributi in maniera efficiente. Speriamo di fare presto e arrivare entro fine anno ad avere tutto allineato per poter partire con le gare. Cercheremo di fare aree molto più piccole perché permettono agli operatori di essere più precisi. Speriamo a inizio del 2022 di avere il processo terminato.

5 obiettivi in 5 anni, la sfida del Ministro Colao

Le ambizioni del Ministro sono a dir poco interessanti: nonostante l’Unione Europea abbia stabilito come data simbolo della transizione tecnologica il 2030, Colao vuole battere sul tempo gli altri Paesi e punta al 2026. Per i 5 anni futuri, infatti, ha individuato altrettanti obiettivi necessari per la transizione digitale: 

  • Fare in modo che almeno il 70% della popolazione usi regolarmente l’identità digitale, contro la percentuale di utenti attuale che è meno della metà.
  • Rendere digitalmente abile almeno il 70% della popolazione.
  • Portare il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi cloud.
  • Erogare online almeno l’80% dei servizi pubblici.
  • Raggiungere il 100% delle famiglie e delle imprese italiane con reti a banda ultra larga, grazie alla collaborazione con gli operatori di mercato e il MISE.

Una sfida che gli operatori impegnati in Italia nella lotta al digital divide, come ad esempio Open Fiber, non vedono l’ora di cogliere!

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comunicazione politica

Come cambia la comunicazione politica in tempi di pandemia

Il mondo sta affrontando una sfida che non ha precedenti e per la quale non c’è stata la possibilità di essere sufficientemente preparati.

La pandemia ha stravolto non solo le certezze individuali, ma anche le regole del gioco nell’economia, nella politica e, inevitabilmente, anche nei meccanismi di formazione dell’opinione pubblica.

La comunicazione politica, espressione-cappello che può servire a racchiudere sia la comunicazione istituzionale (quella di chi ‘sta al potere’) sia quelle dei partiti e dei loro esponenti (sia di maggioranza, sia di opposizione), sia quella più squisitamente elettorale, ha subito a sua volta alcune profonde modificazioni.

In verità alcune dinamiche sono mutate in misura persino superiore rispetto alla capacità delle macchine della propaganda di leggere quei cambiamenti e adattarsi così alla “nuova normalità”; per questo motivo può essere utile analizzare nello specifico tre regole che sono saltate nel passaggio dal pre-Covid al Covid, senza però immaginare che questa modificazione di scenario sia stata davvero metabolizzata da chi comunica la politica.

#1. L’accountability non è mai stata così importante

Il principale cambiamento relativo al dibattito pubblico riguarda una doppia, e apparentemente contradditoria, dinamica: da un lato gli argomenti di discussione si sono profondamente ridotti per numero (il Covid e davvero poco altro), dall’altro lato è cresciuta la complessità delle questioni da affrontare.

Non si può parlare di pandemia limitandosi esclusivamente alle opinioni e senza tenere costantemente d’occhio i dati scientifici; o meglio, si può fare, ma con il concreto rischio di essere sbugiardati pochi giorni dopo dal dato di realtà.

Basti pensare, per esempio, alle rapide ritirate di tutta la classe politica italiana, a turno, prima del primo lockdown e dopo aver esagerato negli slanci di ottimismo, o a quello che sta accadendo in Germania in queste settimane. Angela Merkel continua da tempo a chiedere un inasprimento delle restrizioni, ha dovuto fare marcia indietro (chiedendo scusa) prima di Pasqua su pressione del suo partito, la CDU, preoccupata di perdere voti a meno di sei mesi dalle elezioni politiche, e ora è tornata sulle sue posizioni iniziali in ragione del nuovo incremento dei contagi nel suo paese.

sondaggio ipsos

Questo continuo “autosmentirsi” rappresenterebbe in qualunque caso un danno reputazionale, perché si dimostra plasticamente di aver parlato – in taluni casi prendendo decisioni nell’interesse della collettività – senza aver avuto piena consapevolezza di ciò che si stava dicendo.

Ma proprio perché gli argomenti di discussione sono diminuiti per numero, quel danno reputazionale è ancora maggiore rispetto al passato: tutti stanno guardando nella stessa direzione, oramai da oltre un anno, e dunque non si può confidare nella tattica della “distrazione di massa”, cioè nel passare costantemente da un fronte – spesso polemico – all’altro per far dimenticare lo strafalcione precedente.

Per questo motivo l’accountability, cioè la coerenza tra il dire e il fare (semplificando), rappresenta un valore assoluto per chi comunica la politica, oggi ancora più che in passato.

#2. La comunicazione di crisi non prevede “no comment”

Il quadro si complica ulteriormente se pensiamo che la comunicazione politica di crisi è del tutto paragonabile a quella aziendale. In quel genere di situazioni, chi si trova sotto pressione mediatica non può (più) aspettare che il tempo passi: anche se i media tradizionali decidessero di passare ad altro, la conversazione potrebbe comunque proseguire su web e social. Non comunicare in tempi di crisi non è più, dunque, un’opzione se si vuole gestire efficacemente la propria reputazione.

Sarebbe impensabile, ad esempio, che un’azienda che commette un grave errore di comunicazione digitale (la storia recente è piena di casi del genere) non tenga conto del fatto che si possa finire nei trend di Twitter o di Google per quelo motivo: bisogna fare qualcosa. Se – come credo – il parallelo tra queste due forme di comunicazione di crisi regge, allora la comunicazione politica non può che essere iper-prolifica in momenti di difficoltà come questo.

A tal proposito, è in corso un interessante dibattito sulle differenze di stile (sia per quantità sia per qualità) tra il modello Conte-Casalino, accusato di essere fin troppo pressante (e talvolta contraddittorio) nei messaggi immessi nel circuito dell’informazione, e le scelte di Mario Draghi che invece sembrano andare nella direzione opposta.

È difficile – soprattutto a emergenza in corso – stabilire quale dei due modelli sia il più adatto in una fase del genere, ma di certo bisogna tenere conto che i processi che portano alle decisioni in tempo di crisi non vanno solo condivisi ma anche spiegati, per evitare distorsioni nella ricezione dei messaggi, vuoti di comunicazione e polemiche evitabili (basti pensare al caos informativo su Astrazeneca di cui ho scritto nel post precedente qui su Ninja Marketing), esattamente come bisognerebbe coinvolgere le popolazioni interessate da un’infrastruttura da costruire sul proprio territorio per provare a scongiurare l’effetto Nimby.

La comunicazione di crisi è dunque comunicazione di processo e non solo condivisione degli output decisionali. C’è però un problema: si è detto, nel paragrafo precedente, che l’accountability è il valore supremo e che bisogna evitare di contraddirsi troppo spesso e troppo velocemente in pubblico.

sondaggio ipsos

Source: Ipsos

Questo dovrebbe indurre a una certa prudenza, dunque, nelle proprie esternazioni, a meno che non si sia totalmente certi di quello che si sta per dire. Dall’altro lato, però, la scarsa comunicazione espone a fragilità di leadership, soprattutto di carattere emotivo (spiegare le cose perché siano comprese, rassicurare la popolazione sulla bontà delle scelte fatte), nei confronti degli elettori.

Da un lato, dunque, converrebbe comunicare poco; dall’altro bisognerebbe comunicare molto. La complessità di questa fase, per i (comunicatori) politici, sta proprio nella gestione virtuosa di questa contraddizione.

#3. Fare opposizione è più difficile in tempi di crisi

Criticare la linea politica di chi sta al governo è, naturalmente, sempre legittimo. Ma è opportuno ed efficace farlo mentre un governo sta provando a risolvere un’emergenza che riguarda tutti gli italiani?

Questo è il grande dilemma che riguarda le forze politiche di opposizione. Le difficoltà sono di due tipi. La prima è riassumibile nel concetto ‘Rally Around The Flag’: quando una comunità si sente minacciata, l’istinto è di ‘tifare’ per chi la governa, a prescindere dal proprio colore politico, perché si confida di essere liberati quanto prima da quella minaccia alla propria vita.

flag effect

Proprio questo effetto ha generato un boost di consenso per il governo Conte-bis agli inizi del lockdown. Questa dinamica non è del tutto scemata, anche se siamo in una fase diversa della campagna contro il Covid e, soprattutto, è cambiato il Governo nel nostro paese. Basti pensare a ciò che può accadere in qualsiasi regione in Italia e, per paradosso, ancor di più nelle zone d’Italia in cui la campagna vaccinale procede a rilento.

Cosa dovrebbe fare l’opposizione in una circostanza del genere? Denunciare che va tutto male rischiando di apparire come coloro i quali, per convenienza politica, sperano che i vaccini non arrivino ai cittadini, e quindi rischiando di ottenere l’effetto opposto? O al contrario sarebbe più sensato sostenere la regione con spirito istituzionale, rischiando di co-intestarsi un eventuale fallimento? O addirittura converrebbe tacere?

Anche in questo caso, probabilmente, non esiste una risposta univoca: molto dipende dal livello di credibilità di chi governa e di chi è all’opposizione rispetto alla capacità di gestire quel tipo di processi. Se, per esempio, il capo dell’opposizione avesse maturato esperienze amministrative in contesti complessi e criticasse nel merito una campagna vaccinale, riuscirebbe a non essere percepito in malafede. In ogni caso – e questa è un’altra grande differenza rispetto al recente passato – la classica strategia di demonizzazione “a prescindere” di tutto ciò che fa il proprio avversario potrebbe non funzionare più.

lavoro liquido

Largo al lavoro liquido: è finita l’era dei percorsi lavorativi lineari

  • Siamo tutti “slasheur”: cambiano i paradigmi delle professioni tra freelance e lavoro dipendente.
  • Le piccole grandi rivoluzioni sostenibili che le aziende possono innescare nel mercato del lavoro con il recruiting responsabile.
  • “Assumere fiducia” è il concetto chiave per motivare alla ricerca di lavoro e portare in azienda i valori e le attitudini necessarie per l’organizzazione.

La sovrapposizione ormai problematica tra vita professionale e vita personale, il nomadismo digitale e il lavoro agile, l’obsolescenza delle competenze per via della trasformazione digitale, rappresentano i cardini di una trasformazione critica del lavoro che va di pari passo con i cambiamenti profondi innescati negli anni della pandemia.

In questo scenario, si modifica vistosamente anche il concetto di occupabilità, da considerare come la capacità delle persone di trovare un lavoro, di mantenerlo o di saperlo comunque cercare in maniera attiva. Un processo che era già in atto negli ultimi anni (vd. Il Report  2018 del progetto EU “Independent Workers and Industrial Relations in Europe”) e che ha inevitabilmente accelerato la sua evoluzione, mese dopo mese, e continuerà a farlo.

lavoro agile

Il mito del posto fisso, già incrinato da tempo, ha generato uno sgretolamento definitivo anche dei percorsi lavorativi “lineari”. E in un mondo dove “non sappiamo ciò che non sappiamo” (come rappresenta il framework del Cynefin – kəˈnɛvɪn), se il mercato del lavoro è sempre più incerto, per il job seeker perseguire la ricerca di più posti di lavoro anche inconciliabili tra loro diventa una tattica.

Sia che il fenomeno sia di tipo congiunturale oppure una scelta consapevole, non può essere sottovalutato anche dall’universo delle grandi aziende, soprattutto se sono alla ricerca di “talenti”.

“Job Surfers”, “Lance Libere” e “Professioni barrate”

Quanto mai centrate suonano le parole che sir Walter Scott faceva dire al Capitano dei Free Companions nell’Ivanhoe: “Grazie a questi tempi inquieti, un uomo d’azione trova sempre un impiego”. In quel romanzo, che ha fatto la storia della letteratura, veniva coniato per la prima volta il termine “free-lance” per descrivere un soldato mercenario medievale; oggi sta a significare un libero professionista che presta il proprio operato per diverse organizzazioni dove nello specifico il soggetto non ha clienti diretti ma soprattutto indiretti, perché sono resi disponibili dai committenti.

Una sorta di “subappalto” di opportunità dove però si gioca un ruolo fondamentale se si è esperti nella risoluzione di problemi specifici attraverso il mettere a disposizione le proprie competenze.

Ancora di più questo concetto è radicalizzato dalla presenza sempre più crescente di “slashworkers” che, come spiega Matteo Sola, sono in molti casi persone di talento, dotate di competenze che risultano essere scarse sul mercato (come nel caso delle competenze digitali) che, non avendo il mito del posto fisso e delle sue garanzie, infatti, non hanno nessun interesse a diventare collaboratori fissi di un’azienda.

Certamente, molti di questi profili sono spinti dalla necessità, per dirla all’inglese, del ““keep body and soul together” (sbarcare il lunario), che trovano espressione in molte professionalità della gig economy, ma ancora più spesso si tratta di ibridazioni consapevoli, soprattutto a livello aziendale.

Per giunta, come sottolinea Marielle Barbe in “Profession Slasheur” si tratta di un fenomeno che riguarda più generazioni, non solo quelle più giovani, e che riflettono il desiderio di attribuire sensemaking alle proprie attività lavorative in maniera deliberata.

Lo slash “/”, che contraddistingue sempre di più le headline dei professionisti nei propri profili Linkedin, è così il simbolo forse di una crisi di identità professionale, che culturalmente sta cambiando la nostra abitudine a catalogare le persone secondo il lavoro che fanno (ed è sempre più spinoso porre la domanda “cosa fai nella vita?”).

Per le nuove generazioni, i tempi in cui ci si poteva identificare col proprio lavoro sono finiti. Le carriere sfuggono alle classificazioni classiche che la generazione precedente sovrapponeva alla vita personale per trenta o quaranta anni. Nelle piccole località italiane è sempre stato naturale identificare “il maresciallo”, “l’avvocato” o il “dottore” come identità nette che rappresentavano anche valori e profili di personalità già delineati.

colloquio di lavoro

Come sottolinea Nicolò Andréula in Flow Generation, gli economisti identificano questo comportamento come path dependency (dipendenza dal percorso): crediamo di sapere chi siamo e in cosa siamo bravi perché abbiamo studiato una certa materia o perché abbiamo lavorato in un certo ambito per anni. Ma oggi il mito del posto fisso non trova più lo stesso spazio di applicazione.

Si tratta di costruire un percorso, non di trovare un lavoro, in accordo con le leggi della società liquida denominata da Zygmunt Bauman da ormai diversi anni e diventare dei “giocolieri di mestieri”, mentre ci si rende conto che l’intelligenza artificiale e la tecnologia digitale diventano sempre più presenti nei posti di lavoro, mettendo in crisi le nostre certezze lavorative.

Ma esistono anche risvolti innovativi e di cambio di mindset: la pandemia, con il più grande esperimento di remote working della storia dell’umanità, ha fatto vivere ancor di più a tutti un’esperienza che prima era solo una prerogativa dei nomadi digitali, evidenziando molto bene quali compiti e quali mestieri possano essere riformulati in un’ottica diversa nel “new normal” e quali no. Per molti, inoltre, è fiorita l’occasione di immaginare altre professioni o nuove competenze a cui attingere per ricodificare il proprio profilo professionale.

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Nel futuro del mondo del lavoro sarà quindi sempre meno importante aver seguito un percorso di carriera lineare. Quello che conterà di più sarà la propria capacità di risolvere problemi specifici e di essere autosufficienti e affidabili nel processo decisionale. La domanda da fare quando ci presentiamo a qualcuno potrebbe pertanto diventare nei prossimi anni non più “cosa fai nella vita?” ma “in cosa sei bravo”?

Dal responsabile di selezione alla “selezione responsabile”

In questo panorama di riformulazione delle strategie di employability che riguardano il singolo, come devono essere riformulate le strategie organizzative HR?

Accrescere l’occupabilità è generalmente un obiettivo prioritario delle politiche per l’occupazione a livello istituzionale, ma lo sarà sempre di più anche per il mondo del business, che deve favorire la crescita delle persone all’interno dell’organizzazione e riformulare i processi di acquisizione di nuove risorse dalle skills multiple.

L’ innovazione, infatti, non è detto che passi unicamente per la digitalizzazione dei processi di selezione, in quanto non è auspicabile renderla un’attività meramente “meccanica”, dove basta pubblicare un annuncio e poi lasciar fare tutto il lavoro all’intelligenza artificiale o ad alcuni specialisti per misurare le persone e individuare senza fatica il candidato più adatto.

La ricerca del lavoro reca con sé un costo emotivo per l’individuo sempre rilevante, che rischia di essere ulteriormente caricato dalla tensione sociale ed economica di prossimo avvento, non appena la fine del blocco dei licenziamenti sarà formalizzata. Anche per l’azienda occorre riprendere la dimensione umana del lavoro, evitando i messaggi di assistenzialismo o attribuendo percorsi formativi o nuovi ruoli professionali senza mettere le persone al centro del proprio progetto lavorativo.

Ecco quindi alcune piccole, grandi, innovazioni che possono essere attivate nelle funzioni People & Culture aziendali per attualizzare i processi al mercato del lavoro post-pandemico e approcciare la gestione dei talenti in un’ottica sostenibile.

Job Description Agili

Nell’approccio Agile declinato sui processi delle risorse umane gli aspetti del reclutamento possono essere ridisegnati iniziando ad operare con la missione del fit culturale tra le nuove risorse e l’organizzazione, puntando sugli aspetti attitudinali ancor prima delle competenze di ruolo.

L’intero processo di selezione dovrà però contemplare oltre ai requisiti di tipo tecnico specialistico anche la valutazione delle cosiddette competenze a “T”, degli aspetti motivazionali e del fitting culturale: i tratti di apertura al cambiamento, diversity e adattamento saranno da ritenersi privilegiati per la rappresentazione di un mindset più vicino ai principi “agili”.

Gli annunci di lavoro, al di là dei ruoli e delle funzioni presenti negli organigrammi, dovranno esplicitare più marcatamente: gli ambiti di innovazione, di team involvement, di impatto e carriera organizzativa e forse meno segnatamente le sole classiche conoscenze e competenze tecniche richieste dal ruolo.

Sarà una misura più “sostenibile” perché dall’informazione più trasparente, più legata ad una visione olistica della persona nonché prodromo indispensabile per la relazione di fiducia reciproca che deve instaurarsi tra il datore di lavoro e il job seeker.

Corporate Entrepreneurship e Recruiting per team

Che le nuove generazioni siano maggiormente attratte dall’universo delle start-up rispetto all’ambiente corporate probabilmente non è più un segreto.

Attrezzare quindi i processi di recruiting e selezione immaginando l’inserimento di interi gruppi di lavoro già coesi da un’esperienza professionale pregressa (giovani o adulti che siano), potrebbe significare una vera rivoluzione.

Magari anche attraverso la costruzione di “Call for Ideas” formalizzate che non siano semplicemente rivolte al singolo, ma anche a team di lavoro (e non per forza sotto forma di contest o hackathon con dei premi in palio).

Non è un caso che la spinta verso l’Open Innovation o l’acquisizione di intere Start-up all’interno della galassia Corporate sia stata un processo sempre più diffuso negli ultimi anni.

Accompagnata dalla declinazione della filosofia della “Corporate Entrepreneurship” all’interno del contesto organizzativo, la ricerca del lavoro può in questo modo essere incoraggiata all’esterno come percorso collettivo condiviso che favorisca la contaminazione e il networking tra competenze professionali diversificate, che reagisca all’estrema volatilità delle figure professionali identificate dalle linee di business e risponda in maniera più aderente alla ricerca di profili “multipotenziali” o “ibridi”, spesso idealizzati, la cui caratteristica principale è purtroppo sempre l’estrema rarità.

lavoro intergenerazionale

Employability e Multi-generational Learning

Una visione del mercato del lavoro fluido e contaminato tra esterno ed interno non può che guardare anche alla possibilità di agevolare processi di learning organization che mettano a fattor comune competenze e potenzialità multi-generazionali.

Le peculiarità dei senior che l’azienda ha con sé possono essere messe a disposizione delle nuove generazioni per migliorare le skills trasversali di time management, comunicazione efficace, gestione dei progetti, di leadership, etc: skills strategiche che non possono mancare agli “slash-workers” di oggi e di domani.

Allo stesso modo, l’avvicinamento della Zed Gen al mondo del lavoro può avvenire, forse per la prima volta nella storia, a partire dalla possibilità di rendere i giovani e i giovanissimi dei “trainer” di competenze tecniche (digitali) o culturali, utilissime ai lavoratori più adulti per il proprio reskilling e il proprio rinnovamento di employability.

Last 2¢: “assumere fiducia”

In conclusione, il termine employability rappresenta le caratteristiche individuali e sociali utili al lavoratore e al job seeker di fare fronte ai problemi di adattamento e all’incertezza del mondo del lavoro. Ma sempre di più si fa strada l’idea che per avvicinare domanda e offerta nel mercato, si debba ricostruire il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e persone.

L’esperienza dell’home working/remote working ha polarizzato tantissimo il concetto di collaborazione tra azienda e persone, rappresentando minacciosamente sullo sfondo la possibilità di immaginare un futuro dove il “datore di lavoro” può diventare un mero “datore di stipendio”, poiché le mansioni possono essere svolte senza vivere la collettività e i valori culturali di uno specifico brand o di un ambiente particolare. E puntare sulla relazione di fiducia per ricostruire i legami è l’unica strada possibile in tal senso.

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In fondo, da sempre, l’interesse e la passione per un lavoro (o per un determinato ambiente professionale) hanno sempre valso molto più dei titoli di studio, dimostrare quello che si è capaci di fare è considerato molto più valido di un’autodichiarazione in un CV e sappiamo tutti che avere già “esperienza” alla prima assunzione è un paradosso a cui inevitabilmente si deve fare fronte intraprendendo un percorso di apprendimento informale all’interno dell’organizzazione diventando solo col tempo efficaci nel ruolo per cui ci si è candidati.

Allora “assumere fiducia” significa biunivocamente, prendere coraggio e infonderlo verso il job seeker attraverso gli strumenti e la forza dell’orientamento professionale e, al contempo, portare a bordo in azienda i valori della competenza, della coerenza e della chiarezza sapendoli confermare, giorno dopo giorno, nell’evoluzione continua del lavoro.

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Core Web Vitals: la rivoluzione della SEOUX, unione tra SEO e UX

L’arrivo di Page Experience ufficializza finalmente l’unione tra SEO e UX, elevando la qualità dell’interfaccia utente a fattore primario di ranking.

L’amore era nell’aria già da tempo e Google ce lo aveva fatto capire chiaramente: tutti gli aggiornamenti algoritmici degli ultimi anni hanno dato sempre maggiore rilevanza alla UX, premiando in termini di posizionamento, i siti web percepiti come “sicuri e facili da navigare”.

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Come specificato dagli stessi sviluppatori di Google, l’esperienza utente è sicuramente importante ma il motore di ricerca è in grado di determinare il ranking partendo da metadati e informazioni rilevanti.

In altre parole, la UX non sarà mai più importante del contenuto, ma sicuramente, tra due pagine che “competono” su una stessa chiave di ricerca, Google darà più visibilità a quella con una qualità più alta del design e tempi di caricamento più rapidi.

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Page Experience: cosa cambia

Circa un anno fa, Google ha presentato le metriche Core Web Vitals come direttive fondamentali da seguire per ottenere risultati soddisfacenti a livello di posizionamento.

Questi vitali del web non sono altro che dei criteri, delle regole che il motore di ricerca applica per decidere quanto è alto il punteggio UX della pagina, considerando diversi elementi:

  • Largest Contentful Paint – LCP, che misura le prestazioni di caricamento delle pagine del sito;
  • First Input Delay – FID, si concentra sull’interattività e i tempi di risposta agli input;
  • Cumulative Layout Shift – CLS, determina invece la qualità della pagina in termini di stabilità visuale

Dunque, ciò che cambierà a partire da maggio 2021 è dichiarato da Google sui suoi canali ufficiali:

Oggi siamo lieti di annunciare che i segnali collegati all’esperienza relativa alle pagine nel ranking verranno implementati a maggio 2021. I nuovi segnali collegati all’esperienza relativa alle pagine combinano Segnali web essenziali con i nostri segnali di ricerca esistenti, tra cui ottimizzazione per i dispositivi mobilinavigazione sicurasicurezza HTTPS e linee guida relative agli annunci interstitial invasivi.

In concomitanza con l’aggiornamento dell’algoritmo, Google metterà a disposizione anche un’estensione che fornirà degli indicatori visivi del punteggio UX della pagina.

In altre parole, sarà possibile sapere quanto il tuo sito è veloce e sicuro ancora prima di navigarlo.

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Come i Core Web Vitals stabiliscono il punteggio SEO

Il compito dei Core Web Vitals è quello di attribuire un valore numerico che costituisce una valutazione dell’esperienza utente, basandosi sui tre elementi fondamentali.

Uno dei principali obiettivi dell’iniziativa Vitals Web, è quello di semplificare l’analisi e porre il focus sulle metriche più importanti.

Nonostante la qualità dell’esperienza utente abbia moltissime variabili, in relazione al contesto e altri aspetti peculiari del sito, con il sistema Core Web Vitals sono state identificate tre macro-categorie a cui ricondurle.

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Caricamento elemento principale della pagina 

Largest Contentful Paint o LCP è una metrica che si basa sulle prestazioni di caricamento del contenuto principale di una pagina web, al momento in cui l’utente clicca per aprirla.

Per garantire un’esperienza di navigazione ottimale, i tempi di caricamento non dovrebbero mai misurare i 3 secondi, secondo Adam Heitzman.

Quest’aspetto non è assolutamente trascurabile, perché se da un lato gli utenti non amano le lunghe attese e tendono ad abbandonare pagine troppo lente; dall’altro Google attribuirà ancora più rilevanza alla velocità delle pagine, penalizzando quelle con i tempi di loading più lunghi e, di conseguenza, una frequenza di rimbalzo più alta.

Quali sono le best practice per migliorare la page speed? Ottimizzare font, file PDF, immagini video, JavaScript e CSS seguendo le direttive di Google per migliorare l’efficienza dei contenuti.

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Stabilità visiva della pagina

Cumulative Layout Shift o CLS è il segnale che indica se la stabilità visiva della pagina è buona. In altre parole, valuta l’impatto che l’eventuale presenza di elementi grafici potrebbe avere sull’esperienza utente.

La stabilità visiva, intesa come capacità della pagina di mostrarsi in modo chiaro e funzionale, è misurata in valori decimali, ritenuti ottimali se compresi tra 0 e 0,1.

In alcuni casi, la posizione di un contenuto può variare durante il caricamento della pagina, o può manifestarsi un malfunzionamento di contenuti e animazioni che compaiono durante lo scrolling di una pagina, disturbando la navigazione rendendola macchinosa e poco user friendly.

Prima interattività 

First Input Delay o FID è un indicatore che misura l’interattività del sito. In particolare misura la prestazione in termini di tempi di risposta al primo input.

Si tratta di un valore in millisecondi che si ottiene calcolando il tempo che intercorre tra la prima azione compiuta dall’utente sulla pagina e il tempo di risposta. Per una buona user experience, il ritardo della prima reazione di una pagina web non dovrebbe mai superare i 100 millisecondi.

Il FID si concentra solo sulla prima interazione, considerando, quindi, solo azioni come clic su link o pulsanti, mentre altre interazioni come scrolling o zoom, non rientrano nella stima espressa da questa metrica.

In altre parole, sarà la prima impressione dell’utente sulla reattività del sito, quindi fondamentale per determinare l’impressione della qualità in generale e dell’affidabilità della pagina. Un elemento chiave, ad esempio, per le landing pages.

Disordine informativo

Disordine informativo: l’influenza dei media sugli user generated content distorti

Nonostante il “caso AstraZeneca” sia ancora lontano dall’essere arrivato alla conclusione, è possibile analizzarlo un po’ più da vicino, perché alcune dinamiche sono paradigmatiche dei reali rapporti di forza tra giornalismo e user generated content nella costruzione dell’agenda informativa.

Il contesto italiano è l’unico in Europa in cui i media tradizionali, a partire dai quotidiani, hanno enfatizzato la componente sensazionalistica della vicenda attraverso l’utilizzo di parole utilizzate in modo deliberato per evocare un certo tipo di emozioni: caos, allarme, dubbi.

L’obiettivo era tenere i lettori sulla corda, immergerli in una specie di spy-story a puntate. Peccato che ci fosse la salute pubblica al centro e che in questi casi le aziende editoriali hanno, ancora più del solito, una responsabilità etica nei confronti dell’opinione pubblica, oltre che un orientamento al profitto.

Altrove non si è scelta la via dell’attivazione emotiva: persino in Danimarca, il primo paese che è intervenuto sulla sospensione dell’utilizzo del lotto ABV2856 del vaccino anti-Covid di AstraZeneca, si è puntato su un altro registro linguistico ed emotivo: ‘sospensione precauzionale’. A questa linea si sono associati i principali giornali del Vecchio Continente.

astrazeneca google trends

L’incorniciamento congnitivo dei media

Fare scelte di framing, cioè di incorniciamento cognitivo su “cosa dovrebbero pensare” gli italiani è tra le prerogative del giornalismo e tale rimarrà. Ciò ha però una conseguenza pratica. Mettere una notizia in prima pagina o definire la scaletta di un telegiornale in un certo modo non è mai una scelta neutra (come del resto non lo è il giornalismo: si può essere accurati e non faziosi, difficilmente si può essere imparziali).

Scegliere il registro dell’emozione a discapito di quello informativo ha dunque conseguenze. Il paradosso è che oggi queste scelte sono più rilevanti sul dibattito pubblico rispetto al passato pre-digitale.

Si è detto molte volte che i social media sono “in competizione” con i mezzi tradizionali dal punto di vista dell’economia dell’attenzione degli utenti e che quindi hanno inciso sulla contrazione dei ricavi pubblicitari dei gruppi editoriali tradizionali. Difficilmente si può essere in disaccordo con questa assunzione. Questo, però, è solo l’aspetto più visibile.

trend marzo
La seconda parte di questa storia è più complicata da mettere a fuoco, ma è anche la più interessante.

Quando si parla di hard news (politica, economia, o vaccini solo per citare gli esempi più comuni) online gli utenti scrivono perlopiù di cose che hanno appreso dai media tradizionali (o da amici che hanno appreso qualcosa dai media tradizionali).

Non possiamo inoltre dimenticare che i grandi gruppi editoriali sono presenti anche online e sui social media, sviluppando moli di traffico notevoli.

C’è chiaramente una elaborazione personale di quel tipo di informazione, ci si può dire d’accordo o in disaccordo; ci può essere un argomento apparentemente marginale rispetto all’agenda setting dei media tradizionali che poi diventa trending topic su Twitter e che viene così rivalutato, e così via. In passato esisteva una modalità individuale, o comunque circoscritta ai propri gruppi informali, di elaborazione dell’informazione.

Oggi il processo può avere conseguenze molto più tangibili, come conseguenza di un mix di fattori: l’agenda setting dei media tradizionali impatta sull’opinione pubblica (cioè dalla somma dei destinatari dell’informazione), che però ha oggi un potere di aumento della propagazione, della rilevanza e visibilità.

Dalla carta stampata ai canali online

Volendo ragionare in termini estremi: un influencer da tre milioni di follower che commenta un articolo di giornale avrà probabilmente una base di lettori più estesa (reach) rispetto al numero di persone che avranno comprato il quotidiano da cui è stato tratto quello stesso articolo, ma ciò non toglie che quel processo di diffusione dell’informazione è comunque nato, seppur in via indiretta, sulla carta stampata.

La produzione di contenuti online, soprattutto su questioni di rilevanza pubblica, è dunque messa in moto dallo stesso propellente che orientava il mondo prima che Facebook esistesse: le priorità informative dei media tradizionali. Ciò ha due conseguenze:

  1. I media tradizionali hanno una capacità persuasiva ben più rilevante di ciò che sia gli utenti dei social media sia gli stessi editori sarebbero disposti ad ammettere nel 2021;
  2. Quando ci si lamenta dell’incapacità di elaborazione dei destinatari dell’informazione o nella propagazione di pezzi di disinformazione ‘user generated’ sarebbe buon consiglio non cercare responsabilità solo nella coda del processo, ma anche nella testa.

Questa dinamica, che certamente genera esiti almeno in parte dipendenti dalle priorità di agenda dei gruppi editoriali, può distorcere il dibattito pubblico anche in modalità meno dannose per il dibattito pubblico, ma questo non vuol dire che non succeda anche in modo “involontario” o “a fin di bene”. 

Basti pensare a due esempi eclatanti e molto diversi tra loro provenienti dalle cronache italiane degli ultimi anni.

La campagna per le politiche del 2018

Gennaio 2018: nel pieno della campagna elettorale per le Politiche due quotidiani di area, Libero e il Giornale, denunciano un presunto conflitto di interessi tra l’allora segretario del PD Matteo Renzi e Catia Bastioli, amministratrice delegata della Novamont, a causa dell’introduzione dell’obbligo di utilizzare sacchetti biodegradabili nei supermercati per imbustare prodotti alimentari freschi o sfusi. L’accusa era: Novamont agisce in regime di monopolio.

Ciò non si è poi rivelato vero, ma tanto è bastato per far partire un’enorme mobilitazione online, sui social media e anche sui servizi di instant messaging, che di fatto ha propagato un messaggio, manipolatorio se non apertamente falso, nato su un media tradizionale.

Se è vero che il grosso dell’attivazione è avvenuta online (anche perché Libero e il Giornale, sommati, vendono qualche decina di migliaia di copie al giorno in Italia), è altrettanto vero che l’innesco è nato offline.

Gli “eroi del bus” nel 2019

A marzo 2019, due giovani ragazzi figli di genitori stranieri regolarmente residenti in Italia, Ramy e Adam, hanno contribuito a evitare il dirottamento di uno scuolabus in provincia di Milano. L’attuale legge sulla cittadinanza non avrebbe permesso a questi due “eroi” di essere considerati cittadini italiani. La soluzione provvisoria che fu trovata per rendere la circostanza meno imbarazzante per lo Stato fu l’assegnazione della cittadinanza onoraria per Ramy e Adam.

La legge sulla cittadinanza non è ancora cambiata: un figlio di genitori stranieri diventa italiano solo al diciottessimo anno d’età. Ciò che però accadde nell’opinione pubblica fu assolutamente rilevante, seppur temporaneo.

Basta andare a consultare i sondaggi a cavallo tra il mese di marzo e di aprile del 2019 per scoprire che il gradimento degli italiani nei confronti dello ius soli raggiunse livelli mai toccati in precedenza e mai più rivisti in seguito.

sondaggio ius soli

Istituto Piepoli – 03/04/2019

Ed è sufficiente andare a spulciare una bacheca Facebook di un grosso quotidiano italiano (in questo caso il Corriere della Sera) per scoprire come i movimenti di opinione fossero stati generati anche online, e anche grazie alla “collaborazione” dei media mainstream (nel loro esercizio del diritto di cronaca).

Conclusioni

Tornando al caso AstraZeneca: il panico da vaccino è (stato?) più italiano che internazionale, ed è italiano anche perché i nostri media nazionali hanno raccontato la storia di AstraZeneca imbattendosi (non si sa quanto volontariamente) in tutti i principali bias cognitivi: falsa correlazione e utilizzo del caso particolare per ricavare riflessioni di carattere generale hanno trasformato un’incidenza statistica modestissima delle reazioni avverse al vaccino (i famosi “trenta casi su un milione”) in un processo di elaborazione personale dei fattori di rischio, riassumibili in migliaia di post uniti da una comune matrice: “e se capitasse anche a me?”

Al di là dei casi specifici, possiamo provare a dedurre una considerazione generale: questa irrazionalità non è una totale invenzione degli utenti, ma è frutto di un processo di induzione da parte dei media tradizionali. E i rapporti di forza tra editori e utenti, tra mittenti e destinatari, restano a vantaggio dei mittenti, nonostante da anni piaccia pensare il contrario. 

podcast kimbo

Come trasformare un brand grazie all’audio e ai podcast: l’esempio di Kimbo

Nell’ultimo anno il podcast è cresciuto per un valore pari al 108%, con circa 1,8 milioni di titoli su Spotify nel 2020. Un andamento più che raddoppiato rispetto all’anno precedente, con un conseguente aumento anche sotto il profilo dei creator e produttori di contenuti. Contemporaneamente è cresciuto anche il numero di aziende che hanno cominciato a utilizzare podcast branded come strategia per rapportarsi al proprio pubblico, creando un rapporto più stretto.

Tra queste, anche Kimbo ha recentemente inaugurato un nuovo format editoriale destinato ai social, con lo scopo di accompagnare gli utenti in un viaggio fatto di  storie e di momenti speciali davanti un caffè.

Il progetto “Caffè Animati” punta su due elementi distintivi: lo storytelling e l’animazione, fondamentali per lo svolgimento della storia. La voce di Massimo Cotto, giornalista, speaker radiofonico di Virgin Radio e noto scrittore, trasporta gli utenti in un viaggio  che profuma di caffè, reso ancor più suggestivo da illustrazioni e musica originale del Maestro Tonino Tomeo, tra i più importanti compositori e chitarristi italiani di fingerstyle.

Un nuovo asset comunicativo per Kimbo, dunque, che lo catapulta direttamente nell’era del digitale e soprattutto dell’audio-first. La produzione continuativa di contenuti, infatti, veicolata sui profili social dell’azienda Instagram, Facebook, Twitter e Pinterest, è stata seguita anche dal lancio di un canale Spotify, dove i racconti di Massimo Cotto si possono ascoltare in versione audio.

La scelta del formato vocale è dettata dalla volontà di rendere questi racconti disponibili  su più piattaforme e di alimentare il loro cammino in questo mondo sempre più digitale, attirando anche un target più giovane. Tutto verrà poi caricato anche sulle app per Amazon Alexa e Google Home di Kimbo.

A completare il tutto, una call-to-action rivolta agli utenti che potranno realizzare contenuti che saranno di ispirazione per la produzione di nuovi “Caffè Animati”.

Dov’è il caffè in tutto questo? Rappresenta il contesto e l’ispirazione di racconti di vita quotidiana posti al centro dello schema narrativo. Una sorta di sottofondo e al tempo stesso di timer di queste storie leggere che rapiscono il cuore e che durano appunto il tempo di un caffè.

Per scoprire di più sul progetto ne abbiamo parlato con Dario Volpe, Global Head of Ecommerce & Digital di Kimbo.

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trend podcast Kimbo

Da tradizionale a digitale: l’evoluzione di un brand

«Kimbo è un brand che ha sempre lavorato su canali tradizionali, forte storicamente sul retail grazie ai suoi 60 anni di storia, che si è affacciato con successo anche al settore Horeca, ma che ha tardato ad approcciarsi ai canali digitali negli ultimi anni», inizia a spiegarci Dario.

Nel 2019 l’azienda ha deciso di intraprendere un percorso di sviluppo sui canali digitali, sia eCommerce sia comunicazione e social media, con un progetto su tutti i touchpoint. Il target si è così allargato: oltre ai consumatori storici, abituati ad acquistare sui canali tradizionali – ma che ora potrebbero volersi rivolgere anche ai canali digitali -, la base dei consumatori si è ampliata, andando a lavorare direttamente su un target più giovane.

Per fare questo, oltre a rinnovare piattaforme e comunicazione, il brand ha cercato di lavorare su asset poco consueti per brand tradizionali, ma con un forte trend di crescita come il podcast. «Questo è servito ad allargare l’audience, lavorando in maniera innovativa, con un progetto in cui la voce narrante è il perno centrale di tutta la costruzione».

trend podcast brand case study kimbo

Nuove sfide legate all’emergenza

Il 2020 è stato un anno sfidante, nel quale il brand – come molti altri in questo periodo – si è trovato a costruire un ecosistema digitale, sebbene le basi fossero già state poste prima della pandemia. «Ci siamo trovati in una situazione del tutto inaspettata – ci racconta Dario Volpe – e questo ha alzato ancora di più l’asticella. Se prima pensavamo di trovarci in una situazione in cui il digitale era un perno nella costruzione della relazione con i consumatori finali, sia dal punto di vista di comunicazione che di vendita, con l’emergenza abbiamo dovuto necessariamente continuare a seguire i progetti che avevamo già previsto. Questo ci ha portato su una strada nuova, però, cioè oltre i nostri limiti nel perseguire gli obiettivi digitali».

Il progetto di “Caffè Animati” è nato proprio in questo contesto, in corsa nel 2020, come occasione per capire anche il valore di un progetto che non è solo di digitalizzazione, ma è al servizio dell’azienda dal punto di vista della comunicazione e quindi multi-touchpoint e multi-canale.

Raccontare storie per entrare in contatto con le persone

La produzione di questi contenuti audio non è un punto di arrivo ma di partenza. Quello che Kimbo vuole raggiungere è il coinvolgimento degli utenti, che in una seconda fase saranno chiamati a interagire, contribuendo alla produzione di queste storie e del tessuto narrativo realizzato con la collaborazione di Massimo Cotto.

Nello sviluppare questo progetto il brand ha preso in considerazione i dati e i trend sui podcast, che nell’ultimo anno hanno conosciuto una crescita esponenziale. Un trend che però non è ancora sufficientemente valorizzato dai brand tradizionali, che stanno tardando ad avvicinarsi a questo canale. Non dimentichiamo, inoltre, la presenza sempre più massiva anche degli assistenti vocali a casa, che consentono di interagire in modo istantaneo e di avere il brand accanto nel proprio ambiente domestico, in qualsiasi momento.

«Il caffè, nel nostro caso, è presente, ma in maniera quasi educata. Fa da sfondo alle storie che vengono raccontate. Si tratta di uno degli elementi del racconto ma non ne è il principale. Anzi, diventa quasi un pretesto per raccontare delle storie che trasmettono valori più importanti. In 60 secondi i Caffè Animati riescono a sintetizzare degli stati d’animo e a creare delle emozioni importanti».

 

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La scelta dei 60 secondi è legata sicuramente all’esperienza del caffè, che tra tempo di preparazione e di consumo richiede proprio questo tempo per un espresso. Dall’altro lato i 60 secondi permettono di restare, ad esempio, all’interno del feed di Instagram, per cui il timing è stato scelto anche per la flessibilità rispetto ai vari touchpoint digitali.

Un progetto in divenire…

Dal punto di vista dei risultati Kimbo ha fatto un po’ una scommessa, perché si tratta di un ambito completamente innovativo per qualsiasi brand. Dunque il progetto è stato vissuto in ottica di test&learn, che sta dando già ottimi risultati in termini di ingaggio sui social e su Spotify.

Per lo stesso motivo non è ancora prevista una chiusura del progetto, che è ancora nella sua prima fase di sviluppo. Lo step successivo sarà l’implementazione del meccanismo di coinvolgimento delle persone attraverso un hub di contenuto. «Infine, i contenuti digitali potrebbero anche essere trasportati dal digitale al fisico, sia tramite eventi fisici (speriamo presto), sia tramite cartoline o packaging», ci racconta Dario.

brand podcast audio

… e qualche sorpresa da scoprire

I racconti di Caffè Animati sono accompagnati da musiche e illustrazioni originali. I brani sono costruiti sulle parole del racconto e non viceversa, come spesso accade per le canzoni. Ma c’è di più, infatti il brano contiene degli easter eggs, legati soprattutto alla musica napoletana, con piccole citazioni. E questo elemento punta proprio sul coinvolgimento degli utenti, che sono chiamati a scoprire queste piccole sorprese.

Il podcast come strumento per valorizzare il brand

Circa il 19% degli utenti attivi mensili di Spotify ascolta i podcast, secondo i dati diffusi dalla piattaforma lo scorso agosto. L’azienda ha dichiarato di raggiungere 286 milioni di utenti attivi mensili, che si traduce in circa 54,3 milioni di ascoltatori di podcast.

Con l’arrivo della pandemia, anche il consumo di podcast è cambiato, il tempo di ascolto intorno ad attività come cucinare e fare le faccende domestiche è improvvisamente aumentato, tanto che Spotify ha dichiarato che “Ogni giorno ora sembra il fine settimana”.

Kimbo ha saputo cogliere in modo elegante e in linea con i valori del brand questo trend, senza spingere con una comunicazione social aggressiva, ma ideando un contenuto destinato a proseguire nel tempo, che sarà in grado presto di ingaggiare anche i fruitori delle diverse piattaforme. Un esempio di come sia possibile cogliere le tendenze digitali, modificare i propri asset e allargare l’audience, senza però stravolgere l’essenza della brand identity.

Fondo Nuove Competenze: le opinioni degli HR Manager italiani

Upskilling e reskilling: quali saranno gli effetti del Fondo Nuove Competenze di ANPAL sugli scenari futuri del mondo del lavoro? Quanto sarà importante ispirare le persone e sostenerle nell’acquisire nuove competenze professionali, in un contesto sempre più competitivo e sfidante, proiettato ai grandi asset della rivoluzione digitale, accelerati dall’emergenza pandemica?

Cyber Security, lavoro agile, database, internet delle cose, transizione ecologica sono solo alcuni dei temi cardine intorno a cui si è sviluppata l’offerta formative delle aziende, destinata ai propri dipendenti, attraverso l’utilizzo della misura ministeriale.

Un trend in fieri, quindi. Per comprendere il valore del programma, Ninja ha coinvolto nel dibattito i maggiori esperti HR italiani che hanno aderito al Fondo Nuove Competenze (il fondo pubblico cofinanziato dal Fondo sociale europeo, nato per contrastare gli effetti economici dell’epidemia Covid-19), prevedendo piani di formazione aziendale specifici, inseriti nel più ampio contesto strategico dell’organizzazione.

Lo scorso gennaio l’Anpal ha erogato i primi 70 milioni di euro alle 125 aziende beneficiare del Fondo (che abbiano stipulato accordi collettivi CCNL di rimodulazione dell’orario di lavoro), attive da Nord a Sud dell’Italia in mercati differenti, dalle telecomunicazioni all’energia, dal settore manifatturiero al comparto editoriale, oltre che agroalimentare, culturale e del turismo. Percorsi formativi, destinati ai primi 53mila lavoratori coinvolti, per un numero totale di oltre 5 milioni di ore complessive.

Il Fondo sarà rifinanziato nel 2021 con il Recovery Plan

Istituito dal Decreto Rilancio con una dotazione iniziale di 230 milioni di euro a valere sul Programma Operativo Nazionale SPAO 2014-2020, il Fondo Nuove Competenze è stato rifinanziato dal Decreto Agosto, con ulteriori 200 milioni di euro per l’anno 2020 e altri 300 milioni di euro per estendere l’operatività al 2021 secondo quanto disposto dal Ministero del Lavoro.

Un totale di 730 milioni che potrà essere incrementato con risorse messe a disposizione dalle Regioni, dai Programmi operativi nazionali e regionali (PON e POR) del Fondo sociale europeo (FSE) e dai Fondi paritetici interprofessionali.

Il rifinanziamento dello strumento è legato al Recovery Plan, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con un miliardo di euro proveniente dai fondi europei di REACT-EU.

Il programma nazionale di politiche attive per l’occupazione è rivolto non solo a recuperare il gap digitale, ma anche per la definizione di possibili percorsi di ricollocazione dei lavoratori. Inclusività, creatività e spazi collaborativi, ma c’è anche chi immagina uffici con nuovi layout spinti verso la sostenibilità ambientale.

Bando prorogato al 30 giugno per accordi collettivi e domande

Il bando, con scadenza iniziale al 31 dicembre 2020, con il nuovo decreto approvato dal Ministero del Lavoro di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha subito uno spostamento dei termini al 30 giugno 2021, sia per la sottoscrizione degli accordi che per la presentazione delle domande, confermato dal decreto direttoriale ANPAL del 17 febbraio 2021, che  modifica anche i termini per la fase istruttoria e per la fase di richiesta del saldo.

il-mondo-dopo-il-covidStimolare l’empowerment delle persone: l’esempio di Vodafone

Ad accelerare sulle skill transformation, con un piano di formazione aperto a tutti i 6.000 dipendenti è Vodafone. Ben 120 ore di formazione individuale, per un totale di 300mila in 3 mesi, tra training days e week.

“Prepararci alle professionalità del futuro significa investire sulla resilienza del lavoro delle persone e quindi anche sulla resilienza dell’organizzazione, sulla sua capacità di adattarsi al cambiamento – commenta Ilaria Dalla Riva, direttore Risorse Umane e Organizzazione di Vodafone Italia –  Grazie ad un costante confronto con le Organizzazioni Sindacali, abbiamo avviato un processo di trasformazione e digitalizzazione delle competenze, attraverso percorsi di reskilling e riconversioni professionali, definendone contenuti e obiettivi in specifici accordi sindacali. Percorso accelerato da un grande piano di formazione  avviato grazie al Fondo Nuove Competenze di ANPAL, a cui abbiamo avuto accesso dopo la sottoscrizione di un nuovo accordo sindacale, a dimostrazione di un consolidato sistema di relazioni industriali. Siamo partiti da una mappatura delle competenze digitali delle nostre persone per disegnare un piano di trasformazione profonda”.

Il Fondo Anpal ha così permesso di estendere il piano a tutta la popolazione aziendale. “I primi riscontri sono estremamente positivi: più del 90% dei colleghi (dopo ogni giornata di formazione è prevista una survey di gradimento) ritiene di aver accresciuto le proprie competenze rispetto ai temi proposti. L’elemento più apprezzato è stato il mix di fonti e formati. Anche la scelta di fermare le attività ordinarie dell’azienda per consentire alle persone di dedicarsi completamente alla formazione è stata molto apprezzata dalle persone”.

Lavoro agile che per Vodafone diviene parte integrante di un più ampio sistema di welfare aziendale: tema interconnesso con il cambiamento culturale, su cui si concentra Ilaria Dalla Riva, con la previsione di corsi per “promuovere un modo di pensare innovativo, per allenare la capacità di assumere decisioni sulla base dei dati, o ancora, per diffondere quella “cultura dell’errore” essenziale per l’innovazione”.

“E’ previsto, inoltre, un importante programma che coinvolge tutti i 600 manager di Vodafone Italia per stimolare un modello di leadership ancora più inclusivo, basato sulla fiducia e l’empowerment delle persone – insiste il direttore HR – Elementi sempre più importanti in un contesto di lavoro da remoto”.

Ilaria Dalla Riva, Vodafone

Lo sviluppo della digital leadership in American Express

“I nuovi scenari servono a mettere a sistema le competenze. Significa supportare, attraverso i giusti investimenti, il settore pubblico e i privati, in particolare le aziende nel pensare alle nuove competenze che serviranno da qui ai prossimi 10 anni”, evidenzia Vittorio Carparelli, HR Manager Amex Italia.

Iniziare, soprattutto, ad un piano di formazione che preveda un linguaggio comune, partendo dalle università: “Abbiamo bisogno di ripensare i modelli formativi degli individui, dei lavoratori e dei manager del domani, per metterli in condizione di affrontare le condizioni del mondo del lavoro che saranno sempre più complesse e veloci – continua Carparelli – L’obiettivo non sarà solo focalizzato su competenze specifiche, ma sulla capacità di adattarsi al cambiamento. Questo aiuterà le organizzazioni ad essere più pronte ad affrontare le nuove sfide del mercato e a proporre soluzioni più efficaci per i propri clienti.

L’opportunità offerta dal Fondo è, quindi, di fare sistema ed essere più pronti nel formare sulle soft skill e sulle competenze di digital leadership: in American Express stiamo affrontando questa sfida anche grazie alla collaborazione con Ninja Academy. Oggi, come mai in passato, nelle organizzazioni è importante avere persone in grado di abbracciare la cultura digitale”.

Vittorio Carparelli, American Express

Il cambio radicale di prospettiva verso la sostenibilità di Enel

È il programma di più ampie proporzioni realizzato in Italia quello predisposto da Enel. Oltre 22mila persone coinvolte per un totale di 37 percorsi formativi attivati, per un massimo di 250 ore di formazione per ciascun dipendente. Un approccio “train the trainer”, con progetti di job shadowing per favorire la trasversalità delle competenze, ma anche di riduzione del gap digitale, upskilling e reskilling, in linea con la visione strategica del Gruppo, spinta verso la transizione energetica.

“Il reskilling per me significa permettere ai colleghi di essere pronti e non spaventati dagli scenari futuri. Alla base c’è il principio del rispetto per le persone – esordisce Guido Stratta, Direttore People and Organization del Gruppo Enel – Mi sono mosso subito coinvolgendo le organizzazioni sindacali, che hanno compreso la mia passione e mi hanno consentito di realizzare un accordo dal volume importante per Enel, oltre 22.000 persone. Coinvolgimento e non lasciare le persone spiazzate, è questa la forza dell’idea. Abbiamo realizzato 37 percorsi, non solo sulla digitalizzazione, ma anche soft skill per preparare il futuro. Le persone devono comprendere ciò che li aiuta a lavorare meglio con gli altri”.

Rivoluzionario il punto di vista di Stratta, divulgatore della “leadership gentile”, che stravolge il punto di vista, riportando il valore e l’unicità di ogni singola persona al centro del processo produttivo. “Tutti mi dicevano che avrebbero bocciato le mie idee, perché troppo teoriche – sottolinea Stratta – invece c’è stato un grande gradimento del ministero, perché abbiamo realizzato un progetto molto innovativo. Sono molto soddisfatto”.

È un cambio radicale di paradigma, lo scenario ipotizzato dal manager Enel: “Sottolineo l’importanza per tutti, in questo momento, di trasformare questo dolore in una svolta forte che abiliti le persone a realizzarsi. Ognuno di noi deve riflettere su questo aspetto. Da soli non potremo più fare nulla, bisogna essere insieme. I risultati dovranno essere coniugati alla sostenibilità. Dovrà esserci un’etica della biosfera, non basterà realizzare profitti.  Ottenere risultati significherà rispettare il mondo.  Terzo aspetto essenziale, a tutti i livelli dell’organizzazione, per reagire al disastro del prodotto interno lordo e alla crisi economica, la condizione sarà non avere conflitto sociale: significa valorizzare ogni singolo essere umano e offrire opportunità. Tutti devono fiorire”.

Guido Stratta, Enel Group

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Superare la dicotomia domanda-offerta verso un know-how contemporaneo di Adecco

“Il fondo nuove competenze è senz’altro un’iniziativa necessaria che la situazione pandemica ha – fortunatamente – posto al centro delle politiche del lavoro. Tuttavia il tema risponde ad una necessità che il Paese esprime da tempo e che si traduce, da una parte, nel disallineamento delle competenze richieste e dall’altro nella mancanza di competenze contemporanee – sottolinea Manlio Ciralli, Chief of sales, branding and innovation at The Adecco Group Italy.

Un processo dicotomico tra domanda e offerta, ulteriormente acuito dall’arrivo della Pandemia che ha avuto un impatto su molti settori: “Impone ripensare alle competenze trasversali per immaginare come spostare cluster di lavoratori in modo orizzontale. Questo rende indispensabile una riflessione sull’attuazione sistemica dei modelli di re-skilling e upskilling della forza lavoro italiana – continua il manager di Adecco Group – La competitività delle persone deve inderogabilmente transitare da un nuovo modello culturale che sposa il concetto di occupabilità dell’individuo sostenuta dall’apprendimento continuo”.

È sulla concretezza dei corsi che insiste, inoltre, Ciralli, rispetto alle opportunità di placement. “L’augurio è che ogni eventuale componente burocratica di accesso al Fondo lasci spazio ad una azione agile nella quale la proxy di rilascio dei fondi sia la stretta correlazione tra formazione e percorsi di impiegabilità reale”.

Manlio Ciralli, Adecco

Competenze trasversali per proiettarsi al futuro, secondo Fastweb

“Il Fondo Nuove Competenze di ANPAL è uno strumento davvero prezioso perché ci consente di arricchire ulteriormente con nuovi stimoli il percorso avviato in azienda volto all’ampliamento, alla diversificazione e all’evoluzione delle competenze delle nostre persone” spiega Matteo Melchiorri, Chief Human Capital Officer di Fastweb.

“La formazione è un elemento centrale per lo sviluppo delle organizzazioni che sono chiamate a evolvere molto più rapidamente rispetto al passato sotto la spinta dell’innovazione e dei cambiamenti della società.  Investire sulle competenze tecniche, così come su quelle trasversali delle persone è la chiave per continuare a crescere e a proiettarsi nel futuro”.

Matteo Melchiorri, Fastweb

Fiducia, autonomia, capacità di comunicazione e soft skill di Flixbus

“In Flixbus non abbiamo aderito al Fondo Nuove Competenze in quanto mancanti del requisito dell’accordo collettivo. In azienda infatti lo smart working è in essere già dal 2018 gestito tramite accordi individuali. Il percorso quindi di smart working, che non è semplicemente un tema di remotizzazione del lavoro, quando piuttosto di fiducia, autonomia e chiarezza di obiettivi”, evidenzia Fabio Salvi, Team Leader HR Flixbus.

Un’esperienza di lavoro agile in essere da tempo per FlixBus. “Tramite Avvisi Regionali e Fondi Interpersonali stiamo finanziando percorsi volti a migliorare la consapevolezza delle specifiche della comunicazione e gestione di un gruppo di lavoro diffuso, oltre alla padronanza piena degli strumenti digitali forniti.”

Fabio Salvi, Flixbus

La sfida dei contenuti di RDS

“Il gruppo RDS ha aderito al progetto Fondo Nuove Competenze proseguendo un cammino intrapreso da tempo e dedicato alla crescita e allo sviluppo professionale delle Risorse Umane. Ancor di più in un momento come questo, in cui ognuno di noi ha voglia di rinascita”, dichiara Tiziana Mennuti Head of HR & Legal Affairs RDS Spa.

Uno strumento accolto con favore e ritenuto di grande valore, “perché è evidente che l’upskilling delle persone non può essere solo una responsabilità dell’impresa, ma dell’intero sistema Paese – continua Tiziana Mennuti – Dunque una grande opportunità per noi in uno scenario di mercato, quello dei contenuti, sempre più competitivo e sfidante”.

Tiziana Mennuti, RDS Spa

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Personal brand

Personal Brand, come crearlo nel modo giusto

Nei due articoli precedenti abbiamo discusso dell’imminente recessione, di come adattarsi al mercato del lavoro e di come trovare il lavoro dei sogni. Ora è importante capire come aumentare le tue possibilità di aggiudicarsi quel lavoro, perfezionando il tuo brand.

Perché il tuo brand è importante

Esattamente come accade quando fai un acquisto, magari particolarmente costoso, e presti attenzione al marchio del prodotto, il tuo brand è fondamentale per i recruiter quando hanno bisogno di inserire un nuovo membro nel team. Per essere “il marchio giusto” per l’esaminatore, dovrai allineare i tuoi talenti alle sue esigenze.

Il tuo brand è praticamente già ovunque: le foto che condividi sui social network, le opinioni espresse nei tuoi blog post, anche quelle che gli altri hanno su di te, sono rintracciabili su moltissimi canali accessibili online. La presenza online rivela moltissimo di te ai reclutatori.

Sarà necessario, quindi, fare sempre del nostro meglio per assicurarci che la nostra immagine pubblica su tutti i media sia costantemente a supporto del nostro personal brand e che i contenuti visibili non lo indeboliscano.

Inutile negarlo: sono molti i casi di persone che hanno perso una buona occasione di lavoro, o addirittura hanno perso il posto, dopo aver pubblicato messaggi o immagini “sconvenienti” sui social media.

In più, la tua immagine dovrebbe essere coerente con la carriera che hai scelto. Se il tuo obiettivo è lavorare nel settore delle arti creative, allora hai probabilmente un certo margine di manovra. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, proporre un atteggiamento positivo, sicuro di sé e, semplicemente, professionale, può fare la differenza.

Non c’è nulla di male a voler desiderare un’immagine diversa, più privata, che si condivide con la famiglia e gli amici più stretti, ma bisogna fare attenzione a tenere separati i due ambiti, in modo che i comportamenti più disinvolti non vadano a intaccare la sfera professionale, trapelando nell’arena pubblica.

Il posizionamento del tuo personal brand

Ognuno di noi ha una percezione personale del prossimo. Va da sé che anche gli altri hanno una percezione soggettiva di quello che riguarda noi.

A volte è il risultato di una esperienza diretta, personale o professionale: altre volte deriva da messaggi e comunicazioni indirette attraverso amici, familiari, colleghi o media. Altre volte ancora, questa percezione è il risultato di nient’altro che immagini stereotipate che si formano in base all’età, al sesso, all’aspetto fisico, alla nazionalità e a molti altri fattori superficiali.

different brand positions

In questa immagine, sono stati presi in considerazione due aspetti del possibile posizionamento del brand personale: Popolarità e Rispetto.

Questi due aspetti sono molto diversi e conducono a un risultato divergente comportando un posizionamento spesso agli antipodi per le persone. Alcune persone non dotate di grande talento, inseguono senza grande successo la popolarità ad ogni costo, e questo può portare a ridurre in maniera considerevole il rispetto che abbiamo per loro.

Il punto chiave è che è necessario concentrarsi sulle caratteristiche personali da coltivare per sviluppare un giusto posizionamento del nostro brand ed ottenere il lavoro che cerchiamo.

Comprendere chiaramente la tua Brand Proposition

Il modo migliore per raggiungere questo obiettivo è costruire la tua Brand Proposition.

La Brand Proposition è il “valore che metti sul tavolo” ed è quindi importante che quello che puoi offrire sia diverso e in qualche modo migliore rispetto alle proposte degli altri candidati. In parole povere, la tua offerta deve essere superiore.

Per “diverso”, intendiamo che è necessario distinguersi dalla massa. Per “superiore”, vogliamo dire che le differenze aggiungono un valore significativo alla proposta in questione.

In altre parole, i vantaggi di assumere te dovranno essere di gran lunga superiori a quelli che potrebbe apportare chiunque altro. La chiave sono proprio i benefici che l’azienda acquisirà potendo contare su di te, non solo, banalmente, della mansioni lavorative che potrai svolgere. Anche il selezionatore vuole avere “successo” e il modo migliore per raggiungere l’obiettivo è puntare sulla scelta migliore possibile tra i candidati.

Per spiegarlo ulteriormente, diamo un’occhiata al modello qui sotto in modo da lavorare efficacemente sulla tua Personal Value Proposition.

Personale Value Proposition

Nel grafico vediamo i cinque tipi di competenza che ogni esaminatore prenderà in considerazione: Esperienza, Conoscenza, Capacità, Abilità e Attitudini.

Sul lato sinistro della tabella si trova una semplice scala di punteggio, da 0 a 5, dove zero identifica una prestazione inesistente e cinque invece un livello molto alto di prestazione su quel tipo di competenza.

Potremo disegnare diverse linee per confrontare le differenti prestazioni richieste dal selezionatore in modo da mettere la nostra posizione in relazione a quella degli altri candidati.

Non è necessario ottenere un risultato esatto al centesimo, è sufficiente anche una valutazione approssimativa. Basterà calcolare il divario fra il nostro risultato e quello degli altri per avere una visione chiara di quali siano gli aspetti sui quali valga la pena di concentrarsi per migliorare il nostro personal brand.

Per fare un esempio pratico, valuteremo la proposta di valore del nostro soggetto ideale, David Swift, per una specifica opportunità di lavoro. Come abbiamo visto nel precedente articolo, David era particolarmente interessato alla posizione di Business Development Director in una società di consulenza commerciale di medie dimensioni.

In previsione di un colloquio con la “Flash Sales Ltd” (anche questo è un nome fittizio a titolo di esempio), David vuole assicurarsi di mostrare una value proposition adatta allo scopo.

david swift value proposition

Dal grafico possiamo trarre spunti interessanti:

a) La buona notizia è che David ha solo un Inferior Competitive Gap in cui un altro candidato ha un punteggio maggiore di lui, cioè l’esperienza nella conversione in vendita.

b) Il dato negativo è invece in How to Exploit Technology, dove tutti sono allo stesso livello di performance e non c’è differenziazione tra i candidati.

c) Informazioni contrastanti arrivano invece riguardo al requisito della capacità di aumentare le quote di mercato. Nessun candidato soddisfa il livello necessario e quindi ci troviamo di fronte a un Unmet Needs Gap. Questo può significare che tutti i candidati vengono respinti.

d) David è molto più avanti della concorrenza e molto più avanti delle esigenze del selezionatore per quanto riguarda l’essere un leader etico. In altre parole, è troppo qualificato e non dovrebbe esagerare con questa capacità.

e) C’è un analogo gap di bisogni insoddisfatti per il secondo requisito, quello di avere un atteggiamento orientato ai risultati.

Queste lacune forniscono spunti molto importanti su come dovresti dimostrare il tuo valore al selezionatore. In questo caso, David può enfatizzare la sua conoscenza della tecnologia, le sue abilità nella crescita della quota di mercato e il suo atteggiamento orientato ai risultati. Dovrebbe però dedicare più tempo alla quota di mercato.

Dovrebbe anche menzionare il suo atteggiamento etico, ma senza spenderci troppo tempo. Dovrà invece pensare a come superare la sua debolezza nella trasformazione in vendite ed essere pronto a difendersi su questo punto, se interrogato.

Un consiglio utile per usare questo strumento è di essere focalizzato sul futuro. Pensare a come la linea tratteggiata potrebbe cambiare in futuro. Le esigenze sono in continuo cambiamento e a volte il reclutatore stesso non ci avrà pensato. Potete quindi abbinare i vostri punti di forza a queste esigenze future ed educare il selezionatore sul perché i vostri punti di forza (per esempio flessibilità, esperienza multiculturale) saranno ancora più necessari in futuro.

Definire la SWOT personale

Questa analisi può anche essere trasferita alla tua SWOT personale, che è ora raffinata per raggiungere uno specifico lavoro o segmento di lavoro.

Riguardo al nostro David, l’analisi solleva quattro domande chiave che dovrebbe considerare. Vengono mostrate in ordine di importanza sul lato destro della SWOT.SWOT

Grazie a questi strumenti, dovresti ora essere in grado di scrivere una corretta Personal Value Proposition.

Diventerà è un riassunto memorabile dei tuoi punti di forza chiave che si adattano alle esigenze del reclutatore e ti posizionano come il miglior candidato per il lavoro.

Per completare la tua preparazione, dovresti anche preparare alcune risposte, sulle eventuali domande riguardo alle area di debolezza. Se vuoi fare un ottimo lavoro, cerca di quantificare il ritorno che l’organizzazione avrà nell’assumerti.

Per alcuni settori, sarà certamente più difficile che per altri. Tuttavia, l’obiettivo di cercare di quantificare il ROI del tuo valore nel modo più esatto possibile: più riuscirai ad andare in profondità su questo aspetto, meglio riuscirai a impressionare i valutatori.

Per completare la riflessione su come stimare il giusto valore del tuo brand, segui i seguenti step:

a) Scegli un lavoro reale all’inizio della tua nuova carriera.

b) Completa il template della Proposta di Valore Personale per quel lavoro.

c) Ci sono delle lacune?

d) Raffina la tua SWOT personale per quel determinato lavoro. Quali domande chiave emergono da esso?

e) Prova a scrivere una Personal Value Proposition

f) Quali azioni devi intraprendere per migliorare la tua Proposta di Valore Personale?

Alcuni degli esercizi che abbiamo trattato in questi tre articoli saranno più facili di altri. Tuttavia, nessuno di questi richiede competenze di matematica avanzata o conoscenza della fisica delle particelle. Dovrebbero essere tutti alla tua portata, ma se sei in difficoltà, chiedi aiuto a un amico, un collega o un familiare.

L’obiettivo non è quello di ottenere la perfezione. È semplicemente avere un’idea migliore di dove vuoi essere in futuro, perché, come ci arriverai, e “battere” le persone che competono per quella stessa posizione.

Proprio come nello sport, la differenza tra il primo e il secondo posto può essere molto sottile e allenarsi, cioè “fare i compiti a casa” potrebbe essere la strategia in grado di farti superare il traguardo per primo.

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Google Update Timeline: come l’algoritmo di Google ha imparato a interpretare il linguaggio umano

Fin dagli albori, per Google la priorità assoluta è sempre stata l’esperienza utente.

In particolar modo, negli ultimi 10 anni, tutte le nuove funzionalità, le modifiche apportate alla SERP e gli aggiornamenti degli algoritmi, sono stati studiati nell’ottica di avvicinarsi il più possibile al linguaggio umano, rendere più fluida la navigazione e restituire agli utenti risposte pertinenti alle loro query di ricerca.

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Quando si parla di SEO semantica s’intende proprio questo: scrivere per intercettare il search intent e creare contenuti che s’inseriscano all’interno di un sistema di significati ben definito.

La semantica è quella branca della linguistica che studia i significati delle parole (semantica lessicale) e delle relazioni tra le parole che conferiscono significato alla frase (semantica frasale e del discorso).

Chi si occupa di SEO, sa bene che lavorare sul posizionamento di una keyword non è sufficiente per rendere un contenuto autorevole: è necessario costruire un contesto semantico all’interno del quale collocare il contenuto per evitare le ambiguità di significato.

Per una comprensione più profonda di queste logiche, abbiamo ricostruito una timeline dei più importanti (non tutti) aggiornamenti apportati da Google al suo algoritmo nell’ultimo decennio, che si focalizzano proprio sull’interpretazione dei significati da parte del motore di ricerca e sull’esperienza di navigazione.

Google Panda (2011)

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A febbraio del 2011 viene rilasciato Google Panda, un aggiornamento all’algoritmo di ranking che mira ad attribuire più importanza ai siti web in alta qualità.

Il posizionamento di tutti quei siti web che non restituiscono all’utente una user experience ottimale, di conseguenza, viene penalizzato: l’algoritmo, basato su un sistema di apprendimento automatico, identifica una corrispondenza con degli standard qualitativi di progettazione, velocità e affidabilità dei contenuti, definiti dagli sviluppatori di Google.

Con l’introduzione di molti nuovi fattori di ranking, il contenuto assume un ruolo di primo piano: riempire il sito con contenuti di qualità, ma soprattutto unici, diventa un requisito imprescindibile. Copiare i contenuti può, infatti, rivelarsi una pessima mossa in termini di posizionamento.

Non a caso, in seguito al rilascio di Panda, molte controversie sono emerse sui forum di Google Webmaster, in cui in molti contestavano il fatto che numerose pagine web copiate erano posizionate meglio rispetto al contenuto originale.

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Nel corso dei mesi successivi Google ha apportato numerosi aggiornamenti all’algoritmo, tra cui Penguin, rilasciato l’anno seguente (aprile 2012), con il quale anche la strategia di link building diventa un elemento molto importante per permettere al motore di ricerca di interpretare il contenuto anche attraverso i collegamenti, interni ed esterni.

Google Hummingbird (2013)

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Nel 2013 prende il volo il Colibrì di Google, in un momento in cui, dopo panda e pinguini l’esigenza era di “avere un algoritmo preciso e veloce”, come dichiarato da Amit Singhal, ingegnere informatico ai tempi vice presidente di Google Inc.:

A differenza dei suoi illustri predecessori, Hummingbird non è un aggiornamento: qui siamo di fronte a un algoritmo completamente nuovo, che risponde alle esigenze del nuovo utente sulla rete.

Il rilascio del nuovo algoritmo avviene poco dopo l’implementazione dalla funzione Knowledge Graph, di fatto un primo passo verso la ricerca semantica: con questa funzione il motore di ricerca diventa in grado, non solo di associare un oggetto di ricerca a una query, ma anche di mettere in relazione tra loro più oggetti restituiti ad una stessa query, per attribuirgli un certo grado di rilevanza.

L’introduzione di Hummingbird rappresenta un grosso salto in avanti verso il linguaggio naturale: il focus del nuovo algoritmo è comprendere, non solo il contesto, ma anche l’intento di ricerca dell’utente.

Questo cambiamento si traduce all’atto pratico nel rendere sempre più precise e pertinenti le chiavi di ricerca, con una maggiore attenzione rivolta alle long tail keyword.

Posizionare correttamente un sito vuol dire espandere la ricerca delle parole chiave per includere più fattori contestuali.

E-A-T (2014)

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Pur avendo attirato molta attenzione dal 2018 in poi, il concetto di E-A-T appare per la prima volta nel Quality Rater’s Handbook di Google nel 2014.

Expertise, Authority, and Trust in content, ovvero competenza, autorità e fiducia sono i criteri guida da seguire nelle strategie di contenuto in e off-page per fornire agli utenti i contenuti più pertinenti provenienti da fonti di cui possono fidarsi.

La mancanza di E-A-T dovrebbe essere una ragione sufficiente per un valutatore per assegnare una valutazione bassa a una pagina o un sito.

Gli algoritmi di Google si basano in particolar modo sulle “menzioni” in forma di link da parte degli abitanti del web, per riconoscere una fonte come rilevante: in base al numero di condivisioni e link su altre pagine, il posizionamento può aumentare o diminuire.

Ma non solo: il punteggio E-A-T considera diversi concetti interconnessi in relazione ai quali è determinato il livello di autorevolezza di un’organizzazione in un determinato settore. La chiave sta proprio nel saper individuare i giusti trend e topic, per circoscrivere l’area di competenza e fornire le informazioni giuste al pubblico giusto, per mostrare esperienza e creare un rapporto di fiducia con il lettore.

Mobile-friendly Update (2015)

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Il 2015 è l’anno in cui il traffico su Google da dispositivi mobile supera per la prima volta il traffico generato da desktop.

La giornata del 21 aprile viene definita dai media come il Mobilegeddon di Google, ovvero il lancio di un nuovo algoritmo annunciato per la prima volta da Google, che prima di allora non aveva mai rilasciato comunicazioni ufficiali al momento di un cambiamento significativo nei criteri di ricerca, limitandosi semplicemente a mettere gli esperti davanti al fatto compiuto.

Con il Mobile Update l’ottimizzazione della versione mobile di un sito diventa un importante fattore di ranking, a discapito quindi di tutti quei siti web che avevano solo una versione desktop, dunque difficilmente fruibile da mobile in termini di rapidità e usabilità.

Nel comunicato di Google vengono evidenziati chiaramente 3 punti:

  • l’algoritmo avrebbe influenzato il posizionamento solo sulle ricerche effettuate da dispositivi mobile;
  • gli effetti sortiti sarebbero stati gli stessi in tutte le lingue;
  • l’algoritmo avrebbe preso in considerazione la singola pagina e non l’intero sito.

Come ben sappiamo, si tratta solo del primo di molti aggiornamenti che Google ha rilasciato negli anni per dare priorità al mobile. In questa prima versione, l’algoritmo non ha alcuna influenza sul posizionamento dei siti non ottimizzati correttamente per mobile, se la ricerca viene effettuata da desktop.

RankBrain (2015)

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Sempre nel 2015, Google annuncia anche l’arrivo di RankBrain, una nuova intelligenza artificiale, utilizzata per elaborare i risultati di ricerca di Google ed ordinarli nella SERP in base a un criterio di pertinenza.

RankBrain è più di una semplice modifica all’algoritmo: si tratta di un sistema di machine learning, ovvero un sistema progettato per “insegnare a se stesso a fare qualcosa” senza che sia necessario l’intervento umano.

L’obiettivo di questo sistema è garantire che i contenuti restituiti dal motore di ricerca nella SERP riflettano in maniera quanto più veritiera possibile l’intento di ricerca dell’utente. RankBrain è progettato per l’apprendimento e l’individuazione di connessioni tra le informazioni, in modo da avvicinarsi sempre di più al linguaggio conversazionale e rispondere alle ricerche vocali.

RankBrain utilizza l’intelligenza artificiale per incorporare enormi quantità di linguaggio scritto in entità matematiche – chiamate vettori – che il computer può comprendere. Se RankBrain vede una parola o una frase con cui non ha familiarità, la macchina può fare un’ipotesi su quali parole o frasi potrebbero avere un significato simile e filtrare il risultato di conseguenza, rendendolo più efficace nella gestione di query di ricerca mai viste prima .

Google Mobile-First Indexing (2018)

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Nel 2018 Google sancisce il passaggio dal mobile-friendly al mobile-first.

Da quel momento, la versione mobile di un sito web viene considerata primaria dal motore di ricerca. In altre parole, qualunque sito non ottimizzato correttamente per la navigazione da dispositivi mobile, potrebbe vedere precipitare il posizionamento in SERP.

LEGGI ANCHE: Mobile first indexing: cosa cambia con l’aggiornamento di Google

Nel comunicato ufficiale, il team di Google ci tiene a precisare che l’indice è uno solo per desktop e mobile, e non due come molti credevano, e che il questo cambiamento andrà a influire sul modo in cui vengono raccolti i contenuti, non come vengono indicizzati.

Cosa significa?

I contenuti raccolti dall’indicizzazione mobile-first non hanno alcun vantaggio di ranking rispetto ai contenuti per dispositivi mobili non ancora raccolti in questo modo o ai contenuti desktop. Inoltre, se hai solo contenuti desktop, continuerai a essere rappresentato nel nostro indice.

Se un sito web utilizza URL differenti per desktop e mobile, Google mostra l’URL mobile agli utenti che effettuano la ricerca da iPhone o Smartphone, e l’URL desktop agli utenti che navigano da PC. Tuttavia, il contenuto che viene indicizzato è sempre quello mobile.

Broad Core Algorithm Updates (2018)

Il 2018 è stato anche l’anno del Broad Core Algorithm Updates, ovvero un ampio aggiornamento dell’algoritmo di base che viene comunicato da Google sui suoi canali ufficiali:

L’azienda stessa spiega le possibili conseguenze che i siti potrebbero riscontrare nell’immediato a livello di posizionamento in SERP e come potrebbero avvantaggiare siti che erano precedentemente sottovalutati.

Nonostante una confusione iniziale sui fattori di ranking e l’eventuale risoluzione di problemi specifici, diventa presto ben chiaro che, nelle logiche del nuovo algoritmo, il concetto di E-A-T è quello che porta il contenuto in cima alla SERP.

Nelle linee guida fornite da Google sono spiegati nel dettaglio i criteri per rendere un contenuto di qualità, che è la chiave per posizionarsi come ribadito anche da Danny Sullivan:

BERT (2019)

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In seguito all’introduzione di RankBrain, l’obiettivo di Google è stato sempre di più quello di comprendere le query conversazionali.

Come scrive Pandu Nayak sul blog di Google “la ricerca riguarda la comprensione della lingua”. Lo scopo è quello cercare di capire cosa l’utente cerca di visualizzare e fare in modo che il motore di ricerca interpreti correttamente le sue intenzioni, indipendentemente dall’ordine delle parole.

BERT è un ulteriore passo verso il linguaggio umano, che mira ad una comprensione più profonda dei significati per avvantaggiare sempre di più la ricerca vocale.

Danny Sullivan ci tiene a sottolineare che non ci sono istruzioni da seguire: Bert non cambia i pilastri fondamentali di Google, ovvero scrivere contenuti per gli utenti: usare la keyword nel tag title, nel tag alt e nell’URL e giocare con i sinonimi e le correlate, restano le regole fondamentali.

Secondo gli esperti di Google che l’unico modo per ottimizzare un testo dopo BERT è scrivere un testo pensando al beneficio che l’utente può trarne.

COVID-19 Pandemic: March 2020

Durante la pandemia, inevitabilmente, il comportamento del consumatore e i criteri di ricerca sono cambiati, per alcuni versi in maniera irreversibile.

Nella stessa settimana in cui è stato dichiarato lo stato di pandemia, Google ha risposto prontamente con ampia gamma di aggiornamenti di Google relativi a COVID-19, per far sì che le persone si sentano al sicuro, informate e connesse tra loro.

Tutte le modifiche e le implementazioni apportate al motore di ricerca, sono state pensate per agevolare gli utenti nel reperire servizi e assistenza, scoraggiare la disinformazione e favorire l’aggregazione online.

LEGGI ANCHE: Google investirà 900 milioni di dollari nella ripresa economica dell’Italia

Google My Business fornisce ora supporto costante per le attività commerciali che potrebbero essere interessate da COVID-19, per facilitare, ad esempio, l’aggiornamento continuo di informazioni come gli orari di apertura o le comunicazioni al pubblico. Come tutto il resto, nel 2020, il lavoro di Google è stato interamente rivolto alla riorganizzazione generale per l’emergenza sanitaria ancora in atto.

Google Page Experience Update and Core Web Vitals (CWV)

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Il 10 novembre 2020, Google ha confermato il suo nuovo approccio: Core Web Vitals, che diventerà un fattore di ranking a partire da maggio 2021. La novità principale è che saranno introdotti indicatori visivi per segnalare agli utenti quali siti offrono un’esperienza di navigazione migliore.

In termini di Google, “Esperienza sulla pagina” è il modo in cui un utente fruisce le prestazioni e l’esperienza di navigazione, e quanto, di conseguenza, percepisce la navigazione sicura o meno.

L’ottimizzazione mobile continuerà a essere un fattore di ranking imprescindibile, con tempi di caricamento rapidi e la distribuzione dei contenuti finger friendly, ovvero a prova di schermo mobile.

Un sito Web deve essere sicuro e privo di contenuti dannosi o ingannevoli. Ad esempio, nelle nuove linee guida di Google si tende a scoraggiare fortemente gli interstitial che ostacolano l’utente nel trovare i contenuti che sta cercando, come le finestre popup che coprono un’area del contenuto principale sui dispositivi mobile.

Core Web Vitals (CWV) è una misura dell’esperienza utente “nel mondo reale”, inclusi i tempi di caricamento, l’interattività e la stabilità visiva.

E adesso?

Con il passare degli anni, Google ha annunciato con sempre maggiore anticipo le modifiche al suo algoritmo per concedere il tempo necessario per prepararsi.

La domanda che sorge spontanea è: cosa prepararsi fin da subito ai cambiamenti in arrivo?

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Le metriche di Google sono sempre più user-centric: per scalare la SERP dovrai offrire agli utenti un’esperienza di navigazione impeccabile. Ma quali sono queste metriche?

  • Benchmark/audit tools: valuta e monitora esperienza utente sul tuo sito, individua per tempo le criticità;
  • Performance Budget: imposta correttamente gli obiettivi di budget di rendimento, compresi i target per dispositivi mobili e i tempi di caricamento, secondo i dettami previsti dal Largest Contentful Paint (LCP);
  • First Input Delay (FID): in altre parole, i tempi di risposta del sito a un input lanciato da un utente in relazione ad un contenuto che presuppone un’interazione, come un link o un pulsante;
  • Cumulative Layout Shift (CLS): ovvero, il punteggio di variazione del layout, che il browser calcola esaminando la dimensione della finestra e il movimento di elementi instabili nella finestra tra due frame renderizzati. Rivedi i caroselli, controlla i problemi di caricamento dei caratteri o di banner;
  • Prestazioni del sito Web: migliora le prestazioni del tuo sito, ovviamente dando priorità assoluta ai dispositivi mobile utilizzando un CMS headless e pagine AMP mobili.