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giovanni rodia ICE

Come rilanciare il Made in Italy nel mondo grazie a eCommerce e digitalizzazione

Abbiamo intervistato Giovanni Rodia, Direttore della comunicazione dell’ICE, l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, l’organismo attraverso cui il Governo favorisce il consolidamento e lo sviluppo economico-commerciale delle nostre imprese sui mercati esteri.

giovanni rodia ice

In che modo l’ICE supporta la digitalizzazione delle PMI italiane?

Le azioni di ICE per la digitalizzazione si inquadrano nella risposta alla pandemia e ai paradigmi della promozione commerciale che mutano di conseguenza.

Si focalizzano da un lato sugli accordi eCommerce con grandi marketplace; dall’altro, in una serie di servizi che possano accompagnare le imprese italiane nei loro processi di digitalizzazione. Sono 28 gli accordi B2C attualmente conclusi in 28 Paesi che insieme a un grande accordo B2B con Alibaba.com, che di Paesi ne copre 190, permetteranno a 7.000 imprese italiane, specialmente PMI, di vendere sul web in tutto il mondo.

A questo abbiamo dedicato un team di 30 esperti digitali interno all’ICE, ma anche dei percorsi di formazione per  Digital Temporary Export Manager. Quest’anno ne formeremo in tutto 150. Abbiamo poi presentato insieme a MAECI e CRUI, in collaborazione con 5 delle più importanti Business School italiane, un ambizioso progetto di formazione gratuita per PMI e professionisti, la Smart Export Academy, che nei 6 moduli formativi affronta, tra gli altri, i temi relativi alla digitalizzazione e commercio online.

Pochi giorni fa c’è stata la conferenza stampa per il lancio del progetto madeinitaly.gov.it che vi ha visto coinvolti anche in formula 1 a Imola nel gran premio del Made in Italy e dell’Emilia Romagna, ci può dare qualche dettaglio in più?

Anche la comunicazione deve adattarsi al cambiamento. In un mondo sempre più complesso e interconnesso, le sinergie tra settori, territori, imprese e organizzazioni diventano un fattore competitivo di successo. I grandi eventi sportivi possono raccontare non solo l’evento in sé, ma anche il sistema economico e produttivo intorno a cui ruotano, il territorio su cui insistono.

Le eccellenze, l’innovazione, la sostenibilità, le tradizioni, la biodiversità che siamo in grado di esprime entrano così, di volta in volta, nelle case di tutto il mondo. Il progetto Motor Valley, realizzato con il MAECI e la Regione Emilia Romagna, lo ha fatto con Formula 1 e tornerà a farlo con la MotoGP,  il Mondiale Superbike e il Motor Valley Fest.

Lo stesso stiamo facendo con il Giro d’Italia. Lo sport è inclusivo, aumenta la ricettività emotiva, stupisce. Esattamente come il Made in Italy nel mondo.

LEGGI ANCHE: Includere le leve del gioco nella sfera professionale per abbandonare i modelli pre-digitali

ice giro d'italia

Obiettivo digitalizzazione

Qual è il principale freno alla digitalizzazione per le pmi?

Le nostre imprese pagano il conto di un gap tecnologico e di capitale umano accumulato negli anni. Al 2018, solo il 22,3% delle imprese utilizzavano tecnologie come il cloud e computing e solo il 7% i big data. Inoltre, anche le competenze digitali dei nostri professionisti sono rimaste indietro.

È per questo che come ICE investiamo molto in progetti formativi in ambito digitale, ma anche sulle nuove tecnologie, come la blockchain, che potranno aiutare le nostre imprese a colmare il ritardo degli ultimi anni. La pandemia ha dimostrato la grande capacità del nostro settore produttivo di accelerare e modificare processi e mezzi quando le circostanze lo richiedono.

Questa capacità è sicuramente la base di partenza che ci permetterà di cogliere i grandi vantaggi che deriveranno dalla transizione digitale prevista dal PNRR.

L’eccellenza manifatturiera italiana può fare da volano al rilancio dell’economia del Paese?

Assolutamente può e lo farà. Le nostre imprese sono particolarmente apprezzate all’estero per la loro eccellenza manifatturiera e tradizione artigiana che conferiscono loro una grande capacità di adattamento e flessibilità, rendendole capaci di offrire un servizio quasi su misura per ciascun cliente.

Inoltre, durante la pandemia abbiamo assistito a un aumento dell’export di prodotti intermedi, perché l’Italia è riuscita a sostituirsi ad altri Paesi storicamente esportatori che, non godendo della stessa flessibilità, hanno risentito maggiormente delle restrizioni derivanti dalla pandemia. Il 2021, secondo il nostro Rapporto ICE – Prometeia sulle prospettive dei mercati esteri, sarà l’anno della ripresa.

Se le nostre imprese sapranno conciliare la tradizione manifatturiera coi nuovi trend di mercato – digitale, innovazione, sostenibilità – potrebbero riportare l’export ai livelli pre-Covid già entro la fine dell’anno per i settori meno colpiti, entro il 2022 per quelli che hanno maggiormente risentito della crisi pandemica.

ice frecce tricolori

Quanto conta in questa operazione e che attenzione è riservata agli aspetti della sostenibilità e dell’economia circolare?

Sostenibilità e rispetto per l’ambiente sono fattori fondamentali che caratterizzeranno i mercati nel prossimo futuro. Attualmente l’industria italiana registra performance in questo settore migliori della media europea e addirittura, per la maggior parte dei comparti produttivi, al di sopra degli obiettivi dell’Unione.

Oggi, penso che il nostro primo compito sia saper comunicare questo aspetto, riportando la sostenibilità anche al suo ruolo di leva promozionale. Stiamo provando a farlo con il nostro portale www.madeinitaly.gov.it, ancora allo stato embrionale ma suscettibile di grande sviluppo.

Ma abbiamo allo studio anche diverse campagne di promozione mirate e saremo presenti a ExpoDubai, un grande palcoscenico per tutta l’eccellenza che come Paese siamo in grado di esprimere.

Considerare le difficoltà come sfide

Le eccellenze italiane investono settori diversissimi, dall’automotive all’arte passando per farmaceutica e agricoltura. Quali sono le difficoltà nel supportare un patrimonio così variegato?

Non mi piace parlare di difficoltà, ma di sfide. Promuovere le eccellenze dei diversi settori richiede una conoscenza approfondita delle loro dinamiche interne e dei mercati, per i quali possiamo contare su team specializzati e, soprattutto, sulla rete dei nostri 78 uffici all’estero.

Allo stesso tempo, sebbene ci troviamo ad affrontare spesso settori produttivi molto diversi fra loro, possiamo far leva su quei tanti punti in comune – fra tutti, qualità, flessibilità e artigianalità – che nel tempo hanno contribuito a costruire il brand Made in Italy oggi così apprezzato nel mondo.

creator economy

Cosa è la creator economy, come funziona e perché ci riguarda tutti

In queste settimane stiamo assistendo  all’affermarsi di una vera e propria “creator economy” o “passion economy”: un settore di business incentrato su creatori di contenuti e sui prodotti software e servizi concepiti per supportarli nella realizzazione delle loro passioni.

Che ci siano notevoli opportunità nel raccogliere e valorizzare le passioni individuali lo dimostra il fatto che il 30% dei bambini in USA e Regno unito sogna di diventare uno YouTuber e che il 70% degli Americani aspira a diventare un imprenditore.

Il concetto di contenuti creati dagli utenti delle piattaforme digitali non è un concetto nuovo perché nato molti anni fa con la comparsa sulla rete Internet dei primi User Generated Content (termine spesso abbreviato con l’acronimo UGC). La prima e più significativa espressione di tale tipologia di contenuti è stata YouTube, il cui eccezionale successo spinse Google al suo acquisto nel 2006.

Tuttavia l’aspetto relativo alla monetizzazione è stato accantonato per molti anni, sia perché i social network non ne percepivano la necessità economica e sia perché i creators giudicavano sufficiente contropartita la distribuzione delle loro opere (e la relativa visibilità) garantita dalle piattaforme digitali.

Qualcosa è iniziato a cambiare quando sono nati Gumroad nel 2011 e Patreon nel 2013 proprio per aiutare i creator a monetizzare la propria fan base.

“Ci sono voluti 15 anni di frustrazione e le prime piattaforme come Patreon e altre simili” – dice Jack Conte, CEO di Patreon – “per forzare la mano alle piattaforme di distribuzione e costringerle ad inserire i meccanismi di pagamento all’interno delle funzionalità base delle loro infrastrutture.”

La creator economy

Nel passaggio dal 2019 al 2020, il numero di creatori di contenuti che guadagnano almeno $10.000 al mese è cresciuto dell’88% e quello dei creatori con un introito mensile di $1000 ha visto un incremento del 94%.

Secondo Yuanlig Yuan, una manager del fondo di investimenti Signalfire, nel mondo ci sono attualmente oltre 50 Milioni di content creators.

creator economy

Inoltre, come evidenzia il grafico di Hugo Amsellen, stanno spuntando come funghi startup che coprono una o più fasi del ciclo di vita della creator economy.

creator economy map

Analizziamo insieme il grafico.

  1. Creazione contenuti.
    In questa categoria si inseriscono le aziende che forniscono strumenti specializzati per la creazione di contenuti di qualità. La tipologia dei contenuti gestiti è molto ampia e si estende dalle foto (VSCO, Mojo) o video (Kapwing) al livestreaming (Restream), dall’audio al gaming (Roblox, Epic Games).
  2. Crescita del pubblico.
    Nell’ecosistema della creator economy, i social media sono essenzialmente dei canali digitali che i creator possono “affittare” per la distribuzione dei contenuti ed utilizzare come volano per la propria crescita
  3. Acquisizione del pubblico.
    Vengono raggruppate in questa categoria tutte le startup che offrono servizi in grado di aiutare i creators a realizzare una propria community (cioè a diventare “proprietari” del proprio pubblico) a partire dall’audience costruita sui social media, come live streaming (Crowdcast), piattaforme per la creazione di newsletter (Substack) o community (Discord). Si tratta di una tipologia di servizi molto importante per non vincolare il creator al successo e alle condizioni commerciali imposte dalle piattaforme social. Come vedremo più avanti, tutti i principali social network sono al lavoro per limitare questi fenomeni offrendo delle opzioni di monetizzazione.
  4. Monetizzazione online.
    Rientrano in questo gruppo le piattaforme per la vendita di prodotti digitali quali corsi online (Teachable, Thinkific), donazioni (BuyMeACoffee), downloads (Gumroad), membership (Patreon).
  5. Monetizzazione offline.
    Le opportunità di monetizzazione possono anche essere estese al mondo off-line, dal momento che è molto frequente che i fan vogliano acquistare non solo prodotti digitali ma anche prodotti fisici. Esistono quindi delle aziende che sono focalizzate nell’aiutare i creator nelle attività relative al merchandising e sui servizi per la creazione e commercializzazione di prodotti fisici (supporto al merchandising).
  6. Gestione delle attività di business.
    Si inseriscono infine in questa categoria quelle aziende che forniscono un insieme completo di strumenti a supporto delle attività gestionali e operative del creator, come fatturazione, project management, CRM, etc.

The creator dilemma

 Il panorama della creator economy è un ecosistema estremamente frammentato e, per avere successo, un creator dovrà essere in grado di maneggiare un ampio e variegato insieme di canali di distribuzione e di formati: profili personali, SMS, storie, short e long video, annunci PPC, email, newsletter, dirette video e, di recente, anche audio.

Prendendo spunto dal titolo di un film prodotto recentemente da Netflix, anche per i creators si presenta quindi un dilemma: su quale piattaforma investire la maggior parte del tempo?

La vera sfida per il creator è saper scegliere oggi l’ecosistema che meglio si adatti alle sue esigenze e che offra le migliori garanzie in termini di continuità e di ritorno monetario in una prospettiva di vertiginosa evoluzione.

TikTok ha aperto la strada

TikTok è stata una delle prime piattaforme a focalizzarsi sui creators.

Come dice infatti l’azienda, sulla sezione italiana del proprio sito web: “Se qui da noi TikTok ha avuto così successo è anche perché siamo un paese di creativi… e di creator! Ogni giorno le persone su TikTok, da tutta Italia, uniscono video e musica, lanciando nuovi trend o improvvisando su una base musicale. Un mix unico di meme, canzoni e hashtag che non solo presenta a un pubblico più ampio una creatività innovativa, ma influenza anche la cultura e il costume”.

I creator sono la linfa vitale di TikTok e per questo motivo l’azienda ad agosto del 2020 ha lanciato in Europa il TikTok Creator Fund, con l’obiettivo di dare alle persone di talento l’opportunità di trasformare la loro creatività in una vera e propria professione.

Il fondo europeo è partito con una dote iniziale di 70 milioni di dollari per il primo anno (pari a circa 60 milioni di euro), e che sembrerebbe destinata a salire ad almeno 300 milioni entro tre anni.

Facebook

Facebook ha un manager dedicato agli aspetti di monetizzazione e ha lanciato al riguardo uno specifico programma, Facebook for Creators,  dove viene data una particolare attenzione agli autori dei video.

L’azienda di Palo Alto ha aggiornato infatti i criteri di idoneità per le inserzioni in-stream consentendo ai creator di guadagnare con video lunghi un minuto, con un’inserzione con interruzione minima dopo 30 secondi, o con video di 3 minuti o più, includendo un’inserzione dopo 45 secondi. In precedenza, la monetizzazione con inserzioni in-stream era possibile solo con i video di 3 minuti o più, con l’inserzione mostrata non prima della soglia del minuto.

Facebook ha anche annunciato che inizierà a sperimentare la possibilità di inserire nelle Storie su Facebook delle inserzioni tramite adesivi e di condividerne i ricavi. Il test iniziale è per ora limitato a poche persone ma verrà presto esteso a più creator e successivamente ai video brevi.

Oltre ad estendere i tipi di video monetizzabili, Facebook amplierà anche il numero di potenziali creator con dei nuovi criteri di idoneità per le pagine:

  • 600.000 minuti di visualizzazioni totali di ogni tipo di combinazione di caricamenti video (on demand, dirette e dirette precedenti) negli ultimi 60 giorni;
  • 5 o più caricamenti video attivi o video in precedenti dirette.

L’obiettivo principale di questi nuovi criteri è aiutare i creator che realizzano prevalentemente video in diretta o brevi estratti delle dirette.

Se le inserzioni sono un’ottima soluzione per monetizzare le dirette streaming, il social di Mark Zuckerberg intende anche offrire opportunità per guadagnare denaro attraverso la funzione Stars (v. Fig. 3): il creatore riceve un centesimo da parte di Facebook per ogni stelletta ricevuta da un fan.

Emerge chiaramente che in questo modo Facebook vuole curare gli aspetti di monetizzazione e allo stesso tempo rendere più solidi i rapporti tra creator e le rispettive community.

monetizzazione Facebook creators

Ricordiamo inoltre che Facebook sta gradualmente rilasciando la funzionalità di eventi online a pagamento, tramite pagine che prevedono l’utilizzo di una tariffa di accesso addebitata una sola volta al momento della registrazione dei partecipanti.

Instagram

Anche l’altro social della galassia Facebook sta lavorando per incentivare i creator alla produzione di contenuti di qualità, attraverso l’introduzione di “badge” nelle dirette e la possibilità di inserire inserzioni all’interno dei video IGTV.

Cosa sono i “badge” di Instagram? Si tratta in pratica di una targhetta virtuale (costo attuale: 0.99, 1.99 o 4.99 dollari) che consente ai fan di distinguersi tra i vari partecipanti ad una diretta Live, con un posizionamento privilegiato nei commenti, tramite l’utilizzo di un particolare tipo di cuore, nonché figurare nell’elenco dei supporter del creator.

Twitter

Fin dai primi mesi di quest’anno il social di Jack Dorsey è stato molto attivo, ed ha annunciato un ambizioso programma di raddoppiare il suo fatturato e superare la soglia dei 300 milioni di utenti attivi entro il 2023.

Come primo passo alla realizzazione di questo piano di crescita Twitter ha scelto di unirsi al club dei social network che hanno deciso di dedicare particolare attenzione al mondo dei creators. Grazie alla funzionalità denominata Super Follow, gli utenti potranno quindi monetizzare la loro fan base richiedendo il pagamento di una fee (a partire da 4,99$) per avere accesso a contenuti extra, quali tweet riservati, accesso a gruppi privati, iscrizione a newsletter o identificazione tramite un badge.

Twitter superfollows

In quest’ottica va anche inserito la funzionalità di Tip Jar (per il momento disponibile solo per pochi utenti) e l’acquisto di Scroll, un’azienda che offre un servizio per rimuovere gli annunci pubblicitari dai siti di notizie online.

Ma anche le altre piattaforme non stanno a guardare:

  • YouTube sta ripensando gli YouTube Spaces (il cui utilizzo in presenza è stato ovviamente interrotto durante la pandemia) con l’adozione di una strategia che combini eventi virtuali e in presenza, venendo incontro alle esigenze dei creators e degli artisti.
  • Linkedin aggiunge nuove funzionalità al profilo degli utenti, che potranno attivare la modalità “creatore” per mettere in evidenza le proprie competenze e i propri servizi.
  • Clubhouse ha iniziato ad attivare Payments, uno strumento di monetizzazione che permetterà agli utenti di inviare e accettare pagamenti all’interno dell’app.
  • Pinterest ha annunciato il suo Creator Fund, con una dotazione iniziale di 500.000 dollari e l’istituzione di un codice di comportamento per i creators (un manifesto per mantenere uno standard elevato di comportamento all’interno della piattaforma).

Ci sono poi grosse novità anche per i podcasters: sia Spotify che Apple intendono aiutare i creator di contenuti audio con dei meccanismi di monetizzazione.

Spotify ha iniziato infatti a rendere disponibile in USA la possibilità di classificare i podcast come contenuto a pagamento. Nei primi due anni questa funzionalità sarà completamente gratuita per i creators che potranno così incamerare il costo completo dell’abbonamento, mentre dal 2023 la piattaforma inizierà invece a trattenere una commissione del 5%.

Anche Apple, con il rilascio della versione 14.5 di iOS, inserisce una nuova offerta per i podcaster che avranno la possibilità di pubblicare i loro contenuti secondo tre meccanismi di abbonamento: gratuito, parzialmente gratuito (freemium) e completamente a pagamento.

Per concludere

Gli annunci di queste settimane sottolineano come le principali piattaforme abbiano compreso che senza il contenuto creato dagli utenti (ed un adeguato incentivo economico per i creators) rischiano di diventare una scatola vuota e pertanto poco appetibile per gli inserzionisti pubblicitari, ma ci dicono anche un’altra cosa: dobbiamo dimenticarci Internet come luogo di contenuti e servizi gratuiti.

La Rete si sta lentamente trasformando verso un nuovo mondo dove coesisteranno i servizi gratuiti (in diminuzione) e quelli a pagamento (in aumento).

Ce lo ricorda Facebook, anche in una maniera non troppo velata, con il messaggio inviato agli utenti iOS 14.5 (v. Fig. 5) per richiedere il consenso all’utilizzo del loro IDFA (IDentifier For Advertiser), in evidente polemica con le nuove policy di Apple:

“Utilizziamo le informazioni delle tue attività ricevute da altre app e siti web per […] aiutare a mantenere gratuito Facebook”.

mantenere gratis facebook

test per valutare la maturità delle imprese

Digitalizzazione imprese: un test per valutare il livello digitale delle aziende

La necessità di migliorare e portare avanti la digitalizzazione delle imprese è un argomento che interessa molte aziende, di ogni tipo e dimensione, e che viene dibattuto da diversi anni.

Nell’ultimo periodo ne abbiamo sentito parlare sempre di più, anche perché la pandemia da COVID-19, oltre a cambiare le nostre abitudini, ha accelerato piccole e grandi trasformazioni che avrebbero impiegato normalmente molto più tempo ad adempiersi.

Cosa intendiamo per digitalizzazione delle imprese?

Perché è importante la digitalizzazione delle imprese

La digitalizzazione è un insieme di processi che prevede l’uso delle tecnologie digitali per cambiare un modello di business e fornire nuove opportunità di guadagno, di produzione e di valore a un’azienda. A dirla tutta però non è solo questione di tecnologie, ma richiede un vero e proprio cambio di mentalità.

Possiamo affermare che la digitalizzazione è un’opportunità, un investimento a lungo termine per le imprese. 

La pandemia ha creato non poche difficoltà a molte aziende, specialmente a quelle medio piccole. Ha aumentato il divario dei servizi offerti ma anche della gestione interna rispetto a quelle imprese meglio organizzate. La trasformazione digitale, mai come ora, si è dimostrata invece la forza e la risposta che permette alle aziende non ancora digitalizzate, o alle prime armi, di progredire.

Una strategia di business digitale trasformerà qualsiasi realtà perché consente di snellire i processi logistici e fare uso di tecnologie per migliorare l’interazione sia con clienti che con i dipendenti.

Le persone sono al primo posto

Digitalizzare le aziende significa soprattutto puntare sulle persone, il vero cuore di ogni azienda.

Per farlo bisogna focalizzarsi su di esse riqualificando tutto il personale, organizzando e formando professionisti con le competenze digitali necessarie. Si tratta di formazione aziendale continua perché innumerevoli e rapide sono le trasformazioni tecnologiche.

La conoscenza assume sempre più un ruolo chiave e fondamentale nell’evoluzione di un’impresa. Questa conoscenza è effettivamente misurabile? Certo che sì, ci sono degli strumenti creati appositamente e messi a disposizione dai Punti Impresa Digitale delle Camere di commercio.


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LEGGI ANCHE: Learning trends e riqualificazione del lavoro: cosa è cambiato durante la pandemia

Come valutare la maturità digitale delle aziende

I Punti Impresa Digitale, conosciuti anche come PID, sono stati avviati nel 2017 grazie alle Camere di commercio per aiutare gli imprenditori e le imprese nel delicato processo di digitalizzazione.

Sostenuti sia dal sistema camerale e dall’ Unioncamere nell’ambito del Piano Nazionale Impresa 4.0, garantiscono gli strumenti validi per conoscere e capire il grado di consapevolezza del digitale delle aziende e dei lavoratori, ma non solo. Muniscono anche aiuti e supporti per poter progredire nella crescita digitale.

E proprio attraverso i PID si è pensato di attivare un nuovo strumento dedicato in particolare a studenti e lavoratori. Un test di autovalutazione per misurare il loro livello di consapevolezza delle potenzialità del digitale, favorendo la definizione delle strategie di miglioramento. Stiamo parlando di Digital Skill Voyager.

Gli strumenti creati però sono diverse e adatti a ogni esigenza.

Le offerte per comprendere i gradi di digitalizzazione delle imprese

Per migliorare la digitalizzazione di ogni azienda bisogna capire da che punto parte, ecco perché è importante misurarne il livello. Anche gli studenti e i lavoratori, però, dovrebbero conoscere la propria maturità digitale al fine di accrescerla e migliorarla.

I PID hanno in tal caso preparato diverse offerte pensate per destinatari differenti, dagli imprenditori ai lavoratori e a chi sta iniziando a formarsi. Conoscere il nostro livello di digitalizzazione ci permette di capire quanto lavoro dobbiamo ancora fare per diminuire il divario e raggiungere il nostro obiettivo: un’azienda 4.0.

Le offerte proposte fanno parte del programma strategico nazionale “Repubblica Digitale” promosso dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Troveremo tre tipologie di offerte:

  • SELF i4.0
  • ZOOM4.0 
  • Digital Skill Voyager

Vediamole nel dettaglio per capire quale sia la più adatta alla nostra realtà.

SELF i4.0: un test di autovalutazione online per le imprese

SELF i4.0 è un test di autovalutazione online, facile da compilare e indirizzato alle imprese.

È un questionario di 40 domande utili a capire il grado di digitalizzazione della propria azienda e ne riguarda principalmente i processi. Dopo aver risposto a tutte le domande verrà generato un report, inviato via mail, con la posizione della nostra azienda. Verrà quantificato sia il punteggio della maturità digitale globale che quello del singolo processo analizzato. 

I gradi di classificazione in cui l’azienda verrà inserita sono 5:

  • esordiente digitale. L’impresa in questione è incentrata principalmente su una gestione tradizionale ed è poco incline ai processi digitali;
  • apprendista digitale. Il livello di utilizzo degli strumenti digitali è appena agli inizi;
  • specialista digitale. L’azienda si trova già a buon punto con i processi di digitalizzazione;
  • esperto digitale. L’impresa è avviata con successo a un tipo d’Industria 4.0;
  • campione digitale. Il livello di digitalizzazione di un’impresa è avanzato e utilizza, senza intoppi, tecnologie e strategie all’avanguardia.

ZOOM4.0: interviste da svolgere in azienda

ZOOM4.0 è uno strumento da utilizzare direttamente in azienda con l’ausilio di un Digital Promoter appartenente alla propria Camera di commercio.

In cosa consiste questa seconda proposta? Più completo del precedente, prevede delle interviste al personale e alla direzione, ottenendo in questo modo un report esaustivo e dettagliato.

avvocato

Digital Skill Voyager: il test per misurare le skill digitali di lavoratori e studenti

Digital Skill Voyager è riservato a studenti e lavoratori e consente di conoscere e analizzare le proprie skill digitali. Strutturato secondo le regole della gamification, è molto dinamico. Il test è online, gratuito, ed è accessibile dal portale Dskill.eu

Come è strutturato?

Chi vuole mettersi alla prova e misurarsi, dovrà affrontare un viaggio nel tempo seguendo sei macro aree di conoscenza digitale:

  • digitalizzazione di base, era preistorica; 
  • comunicazione e condivisione, era antica; 
  • pensiero computazionale e coding, era medioevale; 
  • tecnologie digitali e le loro applicazioni, era moderna; 
  • innovazione sostenibile, era futura.

Alla fine di questo avventuroso viaggio conosceremo, attraverso una valutazione, il nostro livello di conoscenza digitale.

Dopo aver scelto lo strumento più adatto alle nostre esigenze, come possiamo migliorare il livello della nostra azienda e avviarci a una completa digitalizzazione dei processi e degli strumenti aziendali?

LEGGI ANCHE: Soft skill: 7 strategie per costruire un team più resiliente

Come migliorare il livello di digitalizzazione

I PID affiancano diversi servizi e iniziative di mentoring e orientamento.

Nel primo caso le aziende verranno sostenute dai mentor, persone qualificate nell’ambito della digitalizzazione. Per quanto riguarda invece l’orientamento, le imprese verranno indirizzate verso servizi specialistici e strutture che possiamo trovare nel portale Atlante I4.0

Inoltre i PIM, attraverso i bandi pubblicati dalle Camere di commercio, erogano alle imprese contributi a fondo perduto sotto
forma di
voucher digitali, per usufruire di servizi di consulenza, formazione e tecnologie.

È ora che è tutto pronto per la rivoluzione 4.0.

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Social commerce

Compreremo su Facebook e Pinterest: il Social Commerce sta rivoluzionando lo shopping

  • Il mercato del Social Commerce dovrebbe raggiungere i 604,5 miliardi di dollari entro il 2027
  • Il numero di utenti che interagiscono con la funzione shopping su Pinterest è cresciuto del 44% su base annua
  • Grazie a tutte le nuove feature introdotte negli ultimi 12 mesi, Instagram è diventata la piattaforma chiave per la vendita Social.

Alzi la mano chi ha comprato almeno un prodotto online nell’ultima settimana. Bene, ora alzi la mano chi invece ha comprato un prodotto direttamente da un Social Media, come Instagram o Pinterest.

Ebbene sì, esiste una differenza tra acquistare su piattaforme di eCommerce, come Amazon o eBay, e tramite i canali Social. In questo secondo caso, si parla, nello specifico, di Social Commerce.

Il termine Social Commerce si riferisce al processo di vendita di beni e servizi che avviene esclusivamente attraverso i Social Media.

Quindi, a differenza del classico eCommerce, in cui gli utenti acquistano prodotti da un sito web o da un marketplace di terze parti, nel Social Commerce tutto il funnel di vendita si svolge tutto in un unico posto, ovvero il canale social.

Secondo il report “Social Commerce – Global Market Trajectory & Analytics” pubblicato da Research & Markets, il mercato del Social Commerce è stimato a 89,4 miliardi di dollari in questo momento e dovrebbe raggiungere i 604,5 miliardi di dollari entro il 2027. 

Cifre da capogiro, che sono giustificate in parte anche dalla crisi del commercio locale dovuta alla pandemia di Covid-19. Una buona parte dei consumatori è passata infatti allo shopping online durante il lockdown ed è rimasta fedele a questo nuovo metodo di acquisto.

LEGGI ANCHE: Le nuove sfide dei nomadi digitali tra restrizioni e remote working

Anche i brand, specialmente le piccole e medie imprese e i negozi locali, si sono adeguati a questo trend, alcuni addirittura obbligatoriamente a causa della chiusura definitiva dei loro locali fisici.

Ma non solo: le piattaforme Social si sono evolute di conseguenza, introducendo nuovi strumenti per agevolare la vendita di servizi e prodotti direttamente tramite le loro properties. 

Da un lato troviamo Pinterest che ha aggiornato le sue features negli ultimi mesi aggiungendo la tab “Shop”, un vero e proprio catalogo di prodotto online dal quale gli utenti possono acquistare direttamente cliccando sul Pin.

Secondo i dati pubblicati da Techcrunch, il numero di Pins di prodotto acquistabili è aumentato di 2,5 volte rispetto al 2019 e il numero di utenti che interagiscono con lo shopping su Pinterest è cresciuto del 44% su base annua.

Dal canto suo, anche TikTok si sta muovendo verso questa direzione con la sua ultima partnership con Shopify: le aziende potranno collegare il proprio account TikTok for Business con l’account Shopify e vendere i loro prodotti su TikTok, tramite annunci video shoppable in-feed.

Ma colui che ha cavalcato con maggior successo questo trend è sempre lui, il nostro caro Mark Zuckerberg, che ha lanciato a Maggio la nuova funzionalità Facebook Shops, che consente alle piccole e medie imprese di creare negozi online sia su Facebook che su Instagram.

Lo stesso Zuckerberg afferma che : “Questo è il passo più importante che abbiamo fatto finora per agevolare il commercio nella nostra famiglia di app”. Ed è un passo che ha confermato Instagram come la piattaforma chiave di questa rivoluzione.

Instagram è il punto di riferimento del Social Commerce

Grazie a tutti gli aggiornamenti e le nuove feature introdotte negli ultimi 12 mesi, Instagram è diventata la piattaforma chiave per la vendita Social.

Oltre allo Shop previamente citato – che non solo si trova sul singolo profilo del Brand, ma è presente anche come feed a sé stante – le altre funzioni a disposizione dei Brand sono:

  • Shopping Tag, attraverso il quale è possibile taggare i prodotti (inseriti previamente nel proprio Shop) direttamente nei post del feed, nelle Stories, nei video IGTV, nei Reels, nelle Guides e anche nei Live Streaming;
  • Instagram Guides, veri e propri contenuti editoriali a disposizione dei Brand per condividere suggerimenti e consigli (come fosse un microblog). Queste guide sono attualmente disponibili in 3 formati: luoghi, prodotti e post, e ovviamente le guide ai prodotti sono un modo fantastico per promuovere i propri prodotti appunto; 
  • Shopping from Creators, che permette appunto ai Creators approvati dal Brand (come Influencers o Celebrities) di taggare i prodotti presenti nel Shop dell’azienda, direttamente nei contenuti feed o Stories pubblicati dal collaboratore.

LEGGI ANCHE: Giveaway e concorsi fotografici su Instagram: regole base per muovere i primi passi

Cosa comporta il Social Commerce per le piccole e medie imprese?

Come abbiamo visto, le piattaforme Social sono diventate un vero e proprio centro commerciale virtuale, dove gli utenti possono trovare qualsiasi tipo di prodotto e acquistarlo facilmente con un solo click, senza uscire dal loro Social Media preferito.

Inoltre, questo genere di commercio online si distingue dal classico grazie ad una barriera all’ingresso praticamente inesistente, in quanto le aziende non devono preoccuparsi di aprire un sito di e-commerce e possono risparmiare un notevole budget.

Il primo passo per abbracciare il Social Commerce è ovviamente aprire dei profili Social ufficiali collegati al brand, gratuitamente, e impostare una strategia con l’obiettivo di far crescere la propria community e creare un funnel di vendita semplice ed efficace.

Il futuro del Social Commerce

Il successo incredibile che ha raggiunto il fenomeno del Social Commerce nell’ultimo anno ci fa pensare che non si tratti solo un trend passeggero, ma che invece ci troviamo all’inizio di una vera e propria rivoluzione.

Secondo le previsioni di Later per il 2021, i Social Media diventeranno il canale di vendita primario per le aziende, superando di importanza il sito web e l’eCommerce.

Ogni piattaforma social infatti adotterà lo stesso approccio all’acquisto integrato che ha già implementato Facebook, consentendo all’utente di vivere ogni fase del processo di acquisto senza lasciare l’app.

Infine, Later suggerisce di prestare una particolare attenzione alla sottocategoria del Video Shopping, caratterizzata dalla collaborazione di TikTok con Shopify ma anche da YouTube, che secondo Engadget starebbe testando l’opzione di acquisto dei prodotti direttamente dai video pubblicati sulla piattaforma.

Come trasformare gli eventi digitali in un successo reale

L’event industry è un settore che in Italia produce 65,5 miliardi di euro, con un impatto sul Pil di 36,2 miliardi di euro l’anno e che coinvolge 569mila addetti ai lavori. La pandemia lo ha colpito duramente e ne ha stravolto le regole del gioco, introducendo gli eventi digitali, con cambiamenti da cui probabilmente non torneremo più indietro. Ma non è necessariamente un male.

Gli eventi digitali

L’esigenza del distanziamento fisico ha infatti accelerato il processo di ricerca di nuove forme di interazione. E, se il principale difetto degli eventi digitali era il mancato coinvolgimento delle persone, oggi esistono tecnologie in grado di sopperire in qualche modo all’assenza di contatti reali e di fornire soluzioni avanzate di networking interattivo.

Ai vantaggi di tutto questo sarà difficile rinunciare anche post emergenza.

Il futuro sembra sempre più andare in direzione di eventi digitali oppure “ibridi”, che consentano di coinvolgere audience più ampie e allo stesso tempo di contenere tempi e costi organizzativi. Se prima il numero di medio di partecipanti a un evento era stimato a 500 persone, oggi è pari a 5mila.

Il Digital permette di confezionare eventi fatti “su misura” e di garantire esperienze immersive e uniche, anche grazie a soluzioni hardware e software come Realtà Aumentata e VR. Per questo, per il successo di un evento digitale, è centrale la scelta della piattaforma e delle tecnologie da utilizzare. 

La Masterclass di mercoledì 19 Maggio alle ore 13, organizzata da Ninja Academy in collaborazione con The Rocks, l’Innovation Company che ha sviluppato la piattaforma Umans™, al servizio di fiere ed eventi digitali tra cui N-Conference Digital Edition, il Business Visionary Event targato Ninja e in collaborazione con i main partner TIM, AW LAB e Banca Sella, fornirà una panoramica sul mondo degli eventi digitali, sia dal punto di vista degli organizzatori che dei fornitori delle tecnologie utili alla loro riuscita. Si dimostrerà come un evento digitale possa rivelarsi, per le più svariate tipologie di business, una strategia di marketing efficace e sostenibile.  

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the rocks

Cosa imparerai durante la Free Masterclass

  • Come funziona un evento digitale
  • Alcuni numeri dell’industry
  • Le tecnologie per un evento immersivo
  • I principali attori dell’organizzazione
  • Esempi e case history

Esther Intile, Event & Account Manager Ninja, ospiterà Antonio Trepiccione, CEO The Rocks. Appassionato di tecnologia e laureato in Informatica, Antonio ha esordito come IT e Project manager per poi diventare imprenditore. Amante della vita in “trincea” fatta di sfide quotidiane e relazioni con il cliente, è dalla 2014 alla guida di The Rocks.

La Masterclass è online e gratuita, iscriviti adesso per prenotare il tuo posto in prima fila! Così, se proprio non ce la farai a seguirla in diretta, potrai recuperarla on demand, attraverso la tua area utente.

Ci vediamo mercoledì 19 Maggio alle 13.

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ecommerce - aspetti fiscali

Gli aspetti fiscali da conoscere per il tuo eCommerce

Continua la serie di articoli di LegalBlink sulle tematiche legali del mondo eCommerce. Questa volta parliamo di eCommerce e fiscalità.

È importante conoscere i principali temi fiscali in materia di eCommerce? Assolutamente sì. Infatti, come vedremo, le questioni fiscali di un eCommerce possono influenzare il modello di un business.

Distinzione tra ecommerce B2B e B2C

Il primo tema da chiarire è la distinzione tra eCommerce che si rivolgono a clienti business o a clienti consumatori. Definiamo quindi:

B2B: la vendita di prodotti effettuata da un eCommerce ad un cliente business, dove per cliente business intendiamo un professionista che acquista prodotti nell’ambito dello svolgimento della sua attività imprenditoriale o professionale.

B2C: la vendita di prodotti effettuata da un eCommerce ad un cliente consumatore, intendendo per consumatore un soggetto che non conclude l’acquisto nell’ambito dello svolgimento della sua attività imprenditoriale o professionale.

Ai fini della distinzione, B2B e B2C non rileva quindi solamente la qualità del soggetto, ma determinante è se il cliente acquista o meno nell’esercizio della sua attività imprenditoriale.

Un fattore importante per distinguere gli acquisti B2B dagli acquisti B2C è l’inserimento, da parte del cliente, della Partita IVA al momento della conclusione dell’acquisto.

Infatti, un cliente che acquista con Partita IVA, si può presumere che stia esercitando la sua attività imprenditoriale e, di conseguenza, può essere considerato un professionista che acquista in ambito B2B.

LEGGI ANCHE: Le sfide legali a cui le aziende devono prepararsi nel 2021

L’obbligo di fatturazione

Una delle domande che più spesso ci vengono poste in ambito di eCommerce e fiscalità riguarda la gestione e l’obbligo di emissione della fattura.

Prima di affrontare il tema fatturazione nell’eCommerce, è opportuna un’altra distinzione: quella tra eCommerce diretto ed eCommerce indiretto.

L’eCommerce è diretto quando l’operazione di acquisto effettuata dal cliente, B2B o B2C, avviene totalmente online, dal momento dell’invio dell’ordine all’eCommerce fino al momento in cui il cliente riceve quanto acquistato.

Per esempio, la vendita di video-corsi online rientra nella definizione di eCommerce diretto, se il corso viene trasferito all’acquirente online senza l’utilizzo di supporti durevoli materiali.

L’eCommerce è invece indiretto quando l’operazione di acquisto avviene online tramite il sito internet del venditore, o tramite un marketplace, e il prodotto viene materialmente consegnato al cliente.

L’acquisto di un capo di abbigliamento online vale come esempio per identificare l’attività di eCommerce indiretto.

Chiarita la differenza tra eCommerce diretto ed eCommerce indiretto, analizziamo gli obblighi di fatturazione per le due tipologie di eCommerce.

L’eCommerce diretto:

  • Nelle operazioni B2C è obbligato ad emettere la fattura se il cliente consumatore è stabilito al di fuori dell’Unione Europea;
  • nelle operazioni B2B è sempre obbligato ad emettere la fattura, sia che il cliente sia stabilito nell’Unione Europea sia che sia stabilito al di fuori del territorio Comunitario.

L’eCommerce indiretto:

  • Nelle operazioni B2C ha l’obbligo di emettere fattura se i prodotti venduti non sono destinati all’Italia, ma hanno come destinazione paesi dell’Unione Europea o al di fuori dell’UE;
  • nelle operazioni B2B è sempre tenuto all’emissione della fattura, a prescindere dal luogo di destinazione dei beni acquistati dal cliente.

L’eCommerce, diretto ed indiretto, che effettua una operazione B2C nel territorio nazionale, è invece obbligato all’emissione della fattura solamente se questa viene espressamente richiesta dal cliente prima della conclusione dell’acquisto.

Se il cliente B2C stabilito in Italia, o il cliente che riceverà la consegna dei beni nel territorio nazionale in caso di eCommerce indiretto, non richiede espressamente la fattura, questa non sarà emessa dall’ecommerce, che rimane comunque obbligato all’emissione di un documento fiscale in base al caso concreto.

È importante evidenziare che, anche nei casi in cui un eCommerce non sarebbe obbligato ad emettere la fattura, l’obbligo di emissione della stessa sorge se l’acquirente richiede espressamente la fattura prima della conclusione dell’acquisto.

Inoltre, sempre con riferimento all’eCommerce indiretto, la fattura deve essere emessa senza l’applicazione dell’IVA se la vendita è destinata a paesi non inclusi nell’UE. In questo caso, sarà necessario presentare alla dogana la necessaria documentazione per l’esportazione dei prodotti ed ottenere la relativa documentazione dalla dogana di destinazione.

Ancora con riferimento alla vendita extra-UE, eventuali IVA e dazi del paese di destinazione del bene sono a carico dell’acquirente nelle operazioni B2C, salvo diverso accordo.

Applicazione dell’IVA nell’ecommerce indiretto per vendite UE

Con riferimento all’eCommerce indiretto, che rappresenta la tipologia di eCommerce più diffusa, almeno fino al 1° luglio 2021 è in vigore la disciplina dettata dal D.P.R. n. 633 del 1972.

Le vendite effettuate nel territorio UE da un eCommerce stabilito in Italia sono soggette all’applicazione dell’IVA italiana se, nell’anno solare in corso e in quello precedente, il venditore non ha superato la soglia di fatturato di euro 100.000,00 stabilita dall’Italia o la minor soglia eventualmente stabilita dal Paese di destinazione dei prodotti, per le vendite effettuate da soggetti comunitari nello stesso Paese.

Al realizzarsi di una delle due condizioni di cui sopra, l’eCommerce italiano che ha superato la soglia di euro 100.000,00 o la minor soglia imposta dal Paese di destinazione, sarà tenuto a emettere la fattura con applicazione dell’IVA prevista dal Paese di destinazione dei prodotti e a registrarsi fiscalmente, tramite un rappresentante fiscale, nel Paese stesso.

ecommerce-shopping

Le novità in arrivo

Per il 1° luglio 2021, salvo ulteriori rinvii, è fissata la data per l’entrata in vigore delle nuove regole applicabili alla disciplina dell’IVA nell’eCommerce, dettata dalle Direttive UE n. 2455/2017 e n. 1995/2019, che saranno recepite anche dall’Italia e mirano alla semplificazione degli obblighi e degli adempimenti richiesti oggi agli eCommerce per le operazioni internazionali.

Le principali novità riguarderanno l’introduzione per l’eCommerce indiretto di una nuova soglia unica pari ad euro 10.000,00, valida per tutti i Paesi UE, al di sopra della quale l’imposizione avverrà nello Stato di destinazione dei beni con conseguente applicazione dell’IVA in vigore nel Paese di destinazione.

Contestualmente all’introduzione della nuova soglia comunitaria, si avrà l’abolizione delle attuali soglie previste oggi da ciascuno Stato Membro.

La funzione di semplificazione verrà inoltre assolta dalla possibilità di adesione al Regime MOSS anche per le attività di eCommerce indiretto, oltre che per l’eCommerce diretto.

L’estensione del Regime MOSS rimane comunque opzionale, l’eCommerce avrà quindi ancora la possibilità di operare, una volta superata la soglia comunitaria di euro 10.000,00, assolvendo gli obblighi di registrazione fiscale nel Paese di destinazione dei beni e tramite un rappresentante fiscale.

I vantaggi dell’adesione al MOSS consistono tra gli altri nella possibilità, per chi vi aderisce, di poter assolvere agli obblighi di dichiarazione e di versamento IVA nel Paese di registrazione al Regime MOSS, che salvo eccezioni coinciderà con lo Stato di residenza.

In questo modo, sarà possibile evitare gli adempimenti fiscali richiesti, tra cui la registrazione nel Paese di destinazione dei beni e la necessità di un rappresentante fiscale, assolvendo gli obblighi tramite il sistema previsto dal MOSS ed ottenendo così una notevole semplificazione nell’ambito degli adempimenti fiscali eCommerce.

Importanti novità riguarderanno anche i Marketplace e le vendite effettuate tramite essi, la Direttiva UE 112/2006 prevede infatti un maggiore coinvolgimento delle piattaforme che facilitano la cessione dei beni, vale a dire i markeplace stessi, nell’attività di riscossione IVA prevedendo ulteriori obblighi rispetto agli attuali.

Conclusioni

I principali aspetti fiscali sopra esposti che un eCommerce deve tenere in considerazione per effettuare vendite B2B e B2C, in ambito di eCommerce diretto ed indiretto, sono articolati ed in continua evoluzione.

Oltre ad una costante informazione, è importante consultare esperti del settore per sviluppare al meglio il business di un eCommerce a livello nazionale ed internazionale.

head of digital

Head of Digital: 6 competenze chiave da coltivare per stare al passo coi tempi

AAA Head of Digital cercasi! Guidare e dirigere un team digitale, avere una visione d’insieme dei canali web e dei canali di social media aziendali, accompagnati da una visione strategica dei prodotti e delle attività di marketing, non è compito da tutti. Per questo motivo un vero Head of Digital deve avere molte frecce nella sua faretra, per fare centro e raggiungere ogni obiettivo.

Il suo lavoro non si basa solo su numeri e dati, ma deve includere creatività, gestione delle risorse, relazioni con fornitori e stakeholder, per garantire che la presenza online dell’organizzazione di cui si occupa possa continuare a crescere in un periodo di particolari opportunità quando si parla di digitale.

E quali sono le armi migliori del nostro moderno centauro del web? Naturalmente le digital skill. Competenze trasversali che possono andare dall’eCommerce al digital branding, dal data analytics al customer experience design.

Head of Digital: chi (e cosa) cercano le aziende di oggi

Non c’è ombra di dubbio che la pandemia abbia dato un boost alla digitalizzazione, anche in aree geografiche come l’Italia in cui le aziende stentavano a intraprendere la via del digitale. Oggi abbiamo avuto la possibilità di conoscere all’improvviso il grande potenziale di Internet in ogni singolo business, ma mancano ancora figure professionali in grado di accompagnare le imprese verso la crescita legata alla digital transformation.

colloquio di lavoro

Presto, infatti, sarà necessario distinguersi dalla concorrenza per poter continuare a essere produttivi e a sviluppare il business online. E per farlo saranno necessari esperti e professionisti qualificati, primi fra tutti Head of Digital, vale a dire responsabili e manager del marketing digitale, capaci di progettare ma anche di realizzare e mettere in pratica tutte le strategie che consentono a un’azienda di crescere sul web.

Oggi le aziende, insomma, chiedono risultati, perché il valore principale del digital è proprio quello di essere sempre misurabile. Dal fatturato al target, dai lead alle impression, c’è sempre un KPI che è possibile prendere in considerazione per analizzare le performance e soprattutto per migliorarle. Ogni azienda, inoltre, ha degli obiettivi specifici da realizzare, in relazione alla sua dimensione, al mercato, alla clientela, ai competitor. E dunque solo partendo dall’interpretazione di questo bisogno è possibile progettare un percorso di crescita digitale.

Di pari passo con queste necessità e con queste opportunità devono andare le competenze dell’Head of Digital, da implementare continuamente per essere sempre aggiornati sulle novità di un mondo in costante cambiamento.

Skill digitali per lavori digitali

La Commissione europea ha da poco pubblicato la relazione finale dello studio “ICT for Work: Digital Skills in the Workplace” sull’impatto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sulla trasformazione dei lavori e delle competenze. L’evidenza mostra che le tecnologie digitali oggi sono usate in tutti i tipi di lavoro, anche in settori economici non tradizionalmente legati alla digitalizzazione, come l’agricoltura, la sanità, la formazione professionale e la costruzione.

Ma non basta. Nel primo trimestre del 2021 l’eCommerce globale è cresciuto del 58% su base annua contro il 17% del primo trimestre 2020. E l’Italia è riuscita perfino a fare di più, con una crescita del 78%, posizionandosi in questo modo al quarto posto tra i paesi con il maggior aumento percentuale dopo Canada, Olanda e Regno Unito, secondo quanto emerso dai dati dello Shopping Index di Salesforce. Indicando così la vera direzione della trasformazione digitale, che investe soprattutto la vendita online.

A guidare questa trasformazione ci sono gli Head of Digital. Per dirla semplicemente, sono i responsabili di tutti gli sforzi di innovazione e di marketing online di un’azienda, che proprio per questo motivo devono sapere come funziona ogni piattaforma online e ogni social, ma anche come tutti gli strumenti digitali si completano a vicenda.

Ecco quindi le competenze indispensabili per un Head of Digital che punti a guidare le aziende verso il successo online.

1. Pensiero strategico

È essenziale che chi si occupa di marketing digitale possa essere sempre un passo avanti. Il pensiero strategico consiste nel capire come pensano le altre persone, ovvero i potenziali clienti. Senza questa skill non sarebbe possibile capire perché le persone fanno o non fanno determinate scelte, comprano o non comprano un prodotto o servizio. E senza questa competenza, molti soldi rischiano di essere buttati in attività infruttuose.

Un Head of Digital è in grado di ripensare la catena del valore in ottica digitale, attraverso modelli di business e processi di digital governance, misurando la trasformazione con i digital analytics.

Senza un pensiero strategico, insomma, si rischiano di perdere opportunità commerciali chiave.

2. Analisi dei dati

Si parla sempre molto di big data ed è essenziale per i marketer e per i business online capire quali sono le informazioni a loro disposizione. Analizzando i dati sui clienti si possono ottenere intuizioni e aumentare i profitti.

Inoltre, i dati sono in grado di farci capire se le campagne di advertising hanno funzionato o se i processi interni vanno rivisti, per esempio.

Un Head of Digital è capace di prendere e migliorare le proprie decisioni con i data analytics, raggiungendo così gli obiettivi di business.

3. eCommerce management

Lo abbiamo già detto e lo abbiamo dimostrato con i dati relativi all’ultimo trimestre, dunque non ripeteremo ancora che in Italia l’eCommerce è stato uno dei settori con i più alti tassi di crescita nell’ultimo anno.

Conoscere strumenti, strategie, ma anche criticità ed esempi da cui prendere spunto, è essenziale in un ambito come quello delle vendite online, che ancora registra ampi margini di sviluppo tanto nel b2b quanto nel b2c.

Le skill di un professionista del digital business oggi dovrebbero prevedere lo studio di forme, modelli e case study per costruire un eCommerce di successo, ottimizzando le vendite online grazie all’omnicanalità.

4. Digital Branding

Come fare ad avere successo sul web? Innanzitutto costruendo un brand riconoscibile, affidabile e amato dalle persone. Per farlo, un Head of Digital deve essere capace di individuare tutti i touchpoint tecnologici necessari per disegnare l’anima digitale della marca e aumentare l’engagement puntando su empatia e rilevanza.

Insomma, una sorta di formula magica, che richiede competenze da vero stregone digitale!

5. Attenzione all’esperienza online delle persone

Progettando un business digitale non si può dimenticare di tenere ben presente che si tratta di un canale completamente diverso da quelli tradizionali, con regole precise per raggiungere in modo corretto i clienti.

La user journey, ossia il viaggio dell’utente online attraverso tutti i punti di contatto con il brand, va costruito e poi migliorato grazie al data driven design. Il modo migliore per imparare spesso è guardarsi intorno, trovando modelli di riferimento e traendo poi ispirazione dalle esperienze digitali più memorabili dei brand, ma sempre con grande attenzione alle reali necessità dell’azienda.

6. Vendere con la tecnologia

Facile a dirsi difficile a farsi, vero? Sì, ma è il nocciolo di tutta la questione per un Head of Digital ed è la sua competenza chiave.

Il vero professionista del business digitale conosce tool e canali, li padroneggia ed è in grado di adattarli alle esigenze del cliente digitale. Sa centrare tutti gli obiettivi, a volte anche pensando fuori dagli schemi, ma soprattutto ha ben chiaro in mente che il web e il marketing sono strumenti meravigliosi con regole precise e possibilità infinite, ma che alla fine lo scopo di ogni business è la vendita.

Da dove partire per diventare Head of Digital

Prepararsi per un lavoro nel mondo del marketing di domani sarà molto diverso da oggi. Mentre le basi del marketing possono essere le stesse, le competenze digitali e gli strumenti necessari per analizzare, creare e implementare il business continuano ad evolversi continuamente.

Il 74% dei dirigenti di marketing riconosce che le organizzazioni devono affrontare una carenza critica di talenti a causa della mancanza di competenze digitali. In altre parole, c’è un enorme divario tra ciò che un professionista dovrebbe sapere e ciò che effettivamente sa. Per far fronte a questo gap, quasi la metà dei dirigenti ha dichiarato che si concentrerà di più sul reclutamento; il 40% ha detto che si concentrerà ugualmente sul reclutamento e sulla riqualificazione della forza lavoro esistente.

Questo rappresenta un’enorme opportunità e padroneggiare queste competenze chiave significa prepararsi già ora per quel futuro.

Anche tu pensi che la Digital Transformation ci riserverà ancora enormi possibilità e vuoi iniziare a sviluppare le tue potenzialità e competenze in questo settore?

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agile digital marketing

Agile Digital Marketing: countdown per adattarsi al nuovo Digital Landscape

Il Digitale Agile si basa sul concetto di trasformazione digitale ed è la conseguenza pratica di cosa si intende, ad oggi, per Digital Transformation dal punto di vista del team di Digital Marketing.

Il primo punto certo su cui poter discutere è certamente l’innovazione continua come necessità nel Digital Marketing. Se non ci si innova, si perde il contatto con i prospect, lead e client.

Il cambiamento deve avvenire a partire dal modello di business, dalle procedure, dalla modalità di lavoro condiviso, dal continuo avvicendarsi tra aziende e dalla capacità di misurazione nel tempo.

Soltanto così avremo il potere di creare, apprendere e rilanciare tutte le iniziative digitali della nostra azienda e farci guidare al meglio.

Il problema comune è la risposta rapida che dobbiamo essere in grado di dare ai cambiamenti del mercato e alle esigenze dei clienti. La soluzione è fare Digital in modo diverso.

Da Agile Software ad Agile Marketing

La definizione di Agile Marketing, prende in prestito la formula e fa riferimento alla gestione dei progetti dedicati all’ambiente softwarista “Agile Software development”, in uso dal 1957, ma effettivamente in auge dagli anni ’70 grazie all’accelerazione dell’informatica di quell’epoca.

Non solo, “Agile” strizza l’occhio al Metodo Lean, filosofia e metrica di lavoro applicata da Toyota negli anni ’50, che, nel periodo tra gli anni ’80 e il 2000, viene esteso al Six Sigma: una delle prime modalità di lavoro basate sul data-driven.

six sigma principles
Il manifesto dell’Agile Development si serve di 4 punti che si sposano con le attività di natura digitale e, di riflesso, con le attività Marketing, e sono i seguenti:

1) Individua le interazioni nei processi e nei tool che utilizzi.

2) Utilizza software funzionanti con una documentazione omni-comprensiva e verticale: dalla funzionalità espresse, agli obiettivi imprenditoriali.

3) Customer collaboration: collabora con i clienti per migliorare.

4) Rispondi al cambiamento in riflesso ad un piano prestabilito e di risposta al mercato.

Tecnologicamente, il metodo Agile nei software viene utilizzato con diverse metodologie definite Scrum, WaterFall e così via, che dovrebbero essere inglobate e utilizzate nella attività esecutive digitali.

In sintesi, “Agile” è un insieme di principi, documentati nel suo manifesto, che si sono diffusi anche in altre funzioni e altri aspetti delle imprese moderne.

Una trasformazione Agile prevede di fornire funzioni all’intera organizzazione, con l’obiettivo di adottare dei principi snelli (agili, appunto) coltivando coinvolgimento e collaborazione.

Cosa caratterizza l’Agile Marketing

Se applicato correttamente, il Digital Marketing in versione Agile fornisce un valore immenso agli utenti finali ed è l’apripista su ciò che viene definito il Digital Marketing Ibrido, dove il team Marketing si incontra finalmente con il mondo della Marketing Automation. Vediamo insieme i punti chiave.

Cambio di mentalità

Il primo passo è cambiare mentalità grazie alla possibilità di automatizzare l’intera filiera marketing, dall’uso di email marketing passando per le campagne adv, lead scoring, lead acquisition, lead generation, bot. Il team marketing è troppo spesso sopraffatto dalle continue e incessanti moltitudini di operazioni nelle quali non è più possibile mantenere il pieno controllo.

Il cambio di mentalità consiste quindi nel comprendere l’aiuto delle macchine e dei software che possono operare per noi nei task che ad oggi risultano infinitamente ciclici e manuali; quante e quali attività di Marketing possono essere ridefinite, ricontrollate e agevolate dalle automazioni, dove la macchina può ricontrollare e ritornare al principio verificando ogni singolo cambiamento.

La sperimentazione continua

Ogni azienda è diversa e ha i propri obiettivi. Ma tutte le aziende hanno in comune un’esigenza “verticale”: ridurre i costi migliorando i margini operativi. Questo risultato è raggiungibile in modo naturale nel marketing e in tutti quei settori che ci permettono di migliorare i processi.

Il marketing è continua sperimentazione, controllo, lettura dei risultati, rimodulazione delle attività. Ed è un ciclo continuo senza sosta.

Il supporto della leadership

I leader delle aziende, non solo C-level (CEO, CIO, CMO, CFO e gli altri), nel mondo digital dovrebbero sforzarsi di contribuire a dare un considerevole contributo al team su due aspetti in particolare:

1. promuovere e attuare in prima persona i principi di Marketing Agile e, di conseguenza, promuovere e applicare i principi di automazione, agevolando l’intera filiera.

2. essere in grado di leggere e interpretare correttamente i dati che le automazioni e i software producono quotidianamente, ricevendo una conoscenza puntuale della situazione, senza dover necessariamente richiedere aggiornamenti al team.

Team-work e cooperazione

Il team-work non si basa sul concetto di “solitudine nell’applicazione di un task”. Si tratta, invece, di condividere contemporaneamente e in tempo reale le informazioni di un progetto, di una campagna digital, lo stato di salute, la riuscita, le difficoltà e gli obiettivi imposti a inizio campagna.

Un Digital Marketer non può permettersi il lusso di non conoscere le sfaccettature di un progetto, di perdere budget e di non avere il controllo della parte operational che, invece, possono in gran parte oggi (e finalmente) essere delegate alle automazioni.

Data-Driven Marketing

Anche il Data Driven è una modalità vincente di lavoro. Quando il Marketing pratica un approccio basato sui dati e l’azienda prende decisioni aziendali calcolate sulla base dell’analisi e dell’interpretazione di questi, possiamo con coerenza definirlo un Data-Driven Marketing.

Il Data-Driven Marketing consente di organizzare, leggere e agire sulla base dei dati raccolti con l’obiettivo di servire meglio i propri clienti, contestualizzare e personalizzare la comunicazione, guidare le campagne fino alla scelta dei contenuti pertinenti e inerenti al nostro pubblico.

Potenziare i clienti, posizionare il brand e definire attività inbound e outbound, nell’era del Marketing 5.0, sono obiettivi realizzabili mettendo al centro il cliente (approccio Customer-Centric) e utilizzando i dati per guidare le proprie azioni personalizzate su di essi.

Per parlare di Customer-Centric, torniamo a riferirci al Digital Lean Six Sigma, perché è proprio all’interno del Six Sigma che il manifesto del data driven è stato creato.

DMAIC
Esso ci viene in aiuto nel Digital Agile e può essere applicato, di conseguenza, nell’approccio Customer-Centric; ecco i punti definiti dal framework D.M.A.I.C.

  • Definisci: i problemi e gli obiettivi
  • Misura: cosa deve essere migliorato e cosa può essere scartato
  • Analizza: il processo. Definisci i fattori di influenza
  • Migliora: identifica e implementa miglioramenti
  • Controlla: i miglioramenti. Assicurati che i miglioramenti siano sostenuti.

Six Sigma è infatti un processo di risoluzione dei problemi basato sui dati. Comporta variazioni di processo e dovrebbe essere applicato come principio di soddisfazione dei clienti.

Come il Six Sigma migliora le attività marketing

Lean Six Sigma è un principio di miglioramento basato sui dati che valuta la prevenzione dei “difetti” rispetto al rilevamento di questi.

Promuove l’uso della standardizzazione e del flusso del lavoro attraverso la soddisfazione del cliente e i risultati finali, riducendo le variazioni, gli sprechi e il tempo di ciclo.

Lean Six Sigma combina le strategie di lean e six sigma, al fine di migliorare l’efficienza e la qualità del processo.

Queste strategie sono, principalmente:

  • la riduzione delle informazioni;
  • la non ripetizione delle stesse operazioni che possono essere sostituite dalle macchine o dalle automazioni;
  • il controllo sulla lettura dei dati;
  • il riconoscimento della centralizzazione del cliente, il suo bisogno, la volontà con cui esso interagisce con le attività digitali e attraverso il supporto dei processi interni.

In questo modo, l’intero ecosistema avrà maggiore qualità, eliminando di conseguenza i difetti delle campagne o attività stesse.

Può essere applicato ovunque nel mondo digitale. Non esistono limiti: eCommerce, mondo B2B, mondo turistico, Marketing Automation, gestione del contatto nel campo sales, nelle attività di lead scoring, lead acquisition e lead generation.

Il metodo Data-Driven

Data-Driven sta proprio per “marketing basato sui dati”. Grandi quantità di dati con l’obiettivo di creare tecniche di marketing efficaci, vengono inglobati e centralizzati in una sola piattaforma e di conseguenza viene costruito ciò che tecnicamente è definito CDP (Customer data platform).

Dai dati demografici a gruppi di utenti specifici, fino al livello individuale, i dati informano il marketing e la filiera decisionale circa il processo in corso che stiamo osservando.

L’obiettivo emergerà naturalmente: i dati ci riveleranno se la nostra intuizione sia corretta o meno e produrranno informazioni sofisticate sul comportamento dei consumatori, che, se processate in tempo utile, possono far crescere significativamente le attività.

Poiché i big data vengono appresi direttamente dalle interazioni con i clienti, queste possono divenire informazioni importantissime che arricchiscono qualsiasi strategia di marketing.

Questo livello di conoscenza e comprensione dei clienti apre la strada alle organizzazioni per creare contenuti più pertinenti, nei momenti più significativi nel customer journey path di tutti gli utenti, per qualsiasi sito web, app o software Saas.

Promuovere la cultura Digital Agile Marketing + Data Driven

È interessante notare che i maggiori ostacoli alla creazione di attività basate sui dati non sono tecnici, ma culturali.

Affinché le aziende possano implementare con successo un approccio basato sui dati, è necessario apportare modifiche a livello manageriale, ai vertici e di dialogo con le aziende esterne. La cultura aziendale sui dati deve essere in forte cambiamento affinché essi diventino una considerazione automatica tra i vari attori/aziende in essere.

Democratizzare l’accesso ai dati è una filosofia tutt’oggi attiva nelle grandi realtà. Solo con questi è possibile esercitare un forte impatto sul comportamento, scegliendo abilmente cosa misurare e quali metriche ci si aspettano che vengano utilizzate.

Democratizzare l’accesso ai dati all’interno delle aziende significa anche investire in una piattaforma dati universale.

Troppo spesso, i dati sono accessibili solo da analisti e non sono disponibili a tutti. Affinché sia ​​possibile una cultura basata sul Digital Agile, tutti gli attori all’interno di un team dovranno essere consapevoli dei processi e di come interagire a tutti i livelli.

eLearning trends

Learning trends e riqualificazione del lavoro: cosa è cambiato durante la pandemia

Il mondo del lavoro è, probabilmente, uno di quelli che più ha dovuto fare i conti con l’arrivo della pandemia. L’acronimo L&D, (Learning and Development), è entrato prepotentemente nelle nostre conversazioni quotidiane, specie in ufficio.

L&D, in italiano, sta per apprendimento e sviluppo ed è un processo continuo, a lungo termine, progettato per mantenere alte le capacità e le prestazioni individuali dei dipendenti allineandole con gli obiettivi e i requisiti dell’azienda. Lo scopo è quello di aiutare le persone ad acquisire nuove competenze e a mantenerle motivate ​​e produttive nel tempo.

Si è parlato molto di Learning and Development l’anno scorso, perché non solo aiuta a formare i lavoratori appena assunti, ma è anche estremamente utile alla formazione di tutti i dipendenti all’interno di un’organizzazione o un’azienda.

I professionisti L&D cercano di educare continuamente il personale, ma mai come l’anno scorso questo processo di formazione si è trasformato in un vero e proprio apprendimento, un qualcosa di quotidiano e costante per far fronte alle nuove emergenze e sfide.

Molte aziende hanno dovuto allinearsi a cambiamenti così forti e improvvisi che hanno colti tutti alla sprovvista. Abbandonati gli uffici, il lavoro si è spostato a casa, tra le mura domestiche, ma non tutti erano in grado di approcciarsi a questo diverso modo di lavorare.

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Learning and Development: come sta andando davvero

Dopo la spinta iniziale, molti dubbi sulla necessità di perfezionare le tattiche di L&D sono scomparsi.

L’apprendimento just-in-time, la cross-skilling e il miglioramento delle competenze, tendenze che si profilavano già da un po’, sono state fondamentali per andare avanti. Il problema era che nessuno conosceva l’immediatezza e l’impatto che avrebbero avuto quando il lavoro è stato stravolto dalla pandemia.

Molte di queste tendenze preannunciate nel 2020 si sono rivelate vere e necessarie. Sono entrate in gioco velocemente, con urgenza. Da semplici modelli d’aspirazione si sono trasformati in imperativi categorici nel giro di pochissimo tempo.

E, adesso che siamo a metà 2021, come siamo messi? È probabile che queste tendenze di apprendimento, che ormai sono vitali dallo scorso anno, continuino a crescere. Si svilupperanno ancora più velocemente e richiederanno un approccio più mirato e definito.

learning

C’è bisogno di un miglioramento costante del proprio team

Molti hanno parlato della nascita di una vera e propria rivoluzione. Richard Wang, CEO di Coding Dojo, ha definito questo cambiamento come una quarta rivoluzione industriale.

Questa è un’era non solo d’innovazione, ma di rivoluzione e trasformazione guidata dalla tecnologia, e non solo per i passi da gigante fatti negli ultimi anni. Tutte le organizzazioni, dalla piccola e media azienda ai grandi colossi del mercato, hanno dovuto amplificare la propria presenza digitale. Un’esigenza dovuta e accelerata dal COVID-19.

Quante realtà si sono digitalizzate nell’ultimo anno? Non dobbiamo per forza andare troppo oltre, ma basterà dare uno sguardo a noi stessi. Anche ai più scettici, coloro che non si sarebbero mai accostati al mondo del Web, si sono ritrovati ad acquistare online qualsiasi cosa, dai beni di prima necessità a una pizza gourmet, senza batter ciglio.

Di conseguenza, se oggi non si è presenti nell’infinito e, ormai, affollato universo digitale, sarà davvero difficile essere notati. Cosa possono fare le aziende per adeguarsi?

Un primo passo può essere quello di affidarsi a dipendenti più tecnologi ma, come ribadisce Wang, per le imprese è davvero complicato scovarli per poter alimentare questa rivoluzione digitale.

La soluzione? Migliorare e riqualificare gli attuali dipendenti.

Le iniziative di learning aiutano le persone ad approcciarsi a un mondo che cambia migliorando il proprio lavoro e, nel complesso, l’andamento dell’azienda. 

Le competenze più richieste sono la codifica, lo sviluppo web e l’analisi dei dati, ma una comprensione di base della logica computazionale, come quella utilizzata negli strumenti di posta elettronica, è comunque utile.

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Il focus sull’apprendimento a lungo termine resta fondamentale

Le tendenze di learning dello scorso anno hanno visto primeggiare modalità come cross-skilling, cioè sviluppare competenze in ambiti diversi, e la capacità di approcciarsi alle cose con punti di vista differenti. Non bisogna però sottovalutare l’importanza dell’apprendimento a lungo termine. 

Basti pensare che alcuni dei lavori che sono molto richiesti oggi non esistevano nemmeno tre anni fa. Ecco perché le persone devono adattare lo sviluppo delle proprie competenze per stare al passo con esigenze di mercato che mutano velocemente. I processi di learning devono assumere un approccio proattivo per fornire ai dipendenti i giusti strumenti per facilitare e migliorare l’apprendimento sul lavoro e tracciare il loro percorso di carriera.

Ciò non toglie che ci saranno sempre alcune abilità più difficili da padroneggiare, come la creatività, l’innovazione e la leadership inclusiva, tutte cose che richiederanno un approccio a lungo termine.

Il lavoro a distanza richiede un nuovo tipo di apprendimento

Non è un mistero: il lavoro da remoto sta prendendo sempre più piede nelle aziende per i vari vantaggi che comporta.

Con la continua necessità di lavorare a distanza, le aziende dovranno affrontare nuove sfide legate al learning, come ha riferito in una e-mail a HR Dive la CMO di Hibob, Rhiannon Staples. 

Sono molte le aziende e i manager che stanno ancora imparando ad approcciarsi in modo efficace al telelavoro, dall’onboarding alla gestione quotidiana del proprio lavoro.

Una mossa intelligente sarà proprio quella di insegnare ai nuovi dipendenti a lavorare fin da subito da remoto. Una cosa che non era necessaria per molte strutture prima della pandemia di COVID-19, ma che ora sta diventando essenziale per la crescita e il successo del proprio business.

È un ulteriore passo in avanti che le aziende devono fare: trovare nuovi strumenti tecnologici per le risorse umane che facilitino la funzionalità incrociata di Learning and Development, mentre le risorse umane dovrebbero garantire che leader e manager abbiano una formazione adeguata. 

learning

Le credenziali fanno la differenza

Molti corsi di laurea non hanno più il valore di un tempo. Approcci teorici, sistemi non aggiornati, ma soprattutto ai giganti della tecnologia come Google, Apple e Netflix non interessano questi requisiti. Un percorso di studi tradizionale non rilascia tutte le competenze di cui ora le aziende hanno bisogno.

Invece, le istituzioni che concedono micro credenziali possono offrire ai candidati l’opportunità di acquisire le competenze di cui hanno necessitano al di fuori di una tipica esperienza universitaria.

Perfezionamento di un vantaggioso Learning and Development

Le aziende devono continuare a migliorare le tecniche di L&D rendendole più agili e moderne. L’eLearning, per esempio, può risultare lungo, e passivo. Ecco perché è meglio puntare su microlearning e sul social learning. Lo scopo è quello di connettere le persone agli esperti del settore, creando un’esperienza più coinvolgente.

Fornendo piccole quantità di contenuti, le persone sono in grado di concentrarsi meglio e assimilare di più. Ciò offre l’opportunità di assorbire il contenuto della formazione in un modo diverso per rafforzare l’apprendimento. La gamification e le microvalutazioni consentono di verificare i propri progressi per raggiungere gli obiettivi prefissati.

L’onboarding è un’altra area da rivedere. Staples ha affermato che non è più possibile, o almeno per ora, ritornare a sessioni di esami in aula. Ecco perché le organizzazioni devono trovare modi per facilitare l’onboarding da remoto, rendendolo personalizzato, informativo e tempestivo.

Le aziende devono investire nei lavoratori perché dipendono da loro, e non solo perché è la cosa giusta da fare. Inoltre, i team di L&D hanno aggiunto valore collaborando strettamente con le aziende, strategizzando  il futuro e co-costruendo. 

I riflettori sono tutti puntati sui dipendenti ma non solo sulla loro resa, ma anche al benessere, alla diversità ed equità. La necessità di investire nel proprio team è diventata massima.

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Cosa possiamo prevedere nel prossimo futuro?

Man mano che le esigenze aziendali accelerano ed evolvono, garantire ai dipendenti le competenze di cui hanno bisogno è una strategia vincente e una tendenza che si perpetuerà per sempre, o magari fino alla prossima rivoluzione digitale. 

L’apprendimento è un requisito essenziale per l’innovazione e il successo prolungati nel tempo. Le tendenze a lungo termine e la natura dell’attuale momento storico indicano una conclusione: L&D sarà di fondamentale importanza per le aziende nel mondo post-COVID, dove il successo dipenderà in gran parte dalla capacità di adattarsi rapidamente a forze imprevedibili.

La “trasformazione” come concetto astratto è stata ormai sostituita da esempi concreti di come il nostro mondo sta cambiando in tempo reale.

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impresa significante

Chi ha un perché può fronteggiare ogni come: l’impresa significante

La crisi che sta investendo le imprese italiane (e non solo) non fa che aggiungersi alla crisi (finanziaria prima ed economica poi) che, a partire dal 2008, ha accelerato un’evoluzione già in atto nel contesto competitivo.

Infatti, già prima dell’avvento della crisi, le imprese italiane si trovavano ad affrontare importanti sfide strategiche, imposte dall’emersione di alcuni trend.

Tra questi, di particolare impatto sono stati senza dubbio quelli politico-economici, come la globalizzazione dei mercati di produzione e di sbocco che aumenta l’intensità della competizione internazionale comportando, tra l’altro, una progressiva trasformazione dei prodotti in commodities con una conseguente erosione dei margini.

In secondo luogo, quelli socio-culturali, tra i quali il cambiamento del comportamento del consumatore medio che, oltre al prezzo e alle funzioni del prodotto, è sempre più attento anche ai contenuti immateriali quali la creatività, il design e la sostenibilità, ricercando significati ed esperienze nuove.

Vanno considerati, infine, i trend tecnologici, in particolare l’avvento della quarta rivoluzione industriale che, tra gli altri effetti, porta a ridurre il ciclo di vita dei prodotti ma anche delle economie di scala, permettendo o imponendo la riconfigurazione di prodotti, processi e modelli di business.

La dimensione simbolica del prodotto

Studiosi ed esperti concordano nel ritenere che l’innovazione sia ormai l’unica strategia perseguibile dalle imprese italiane per rispondere alla sfida portata dai concorrenti operanti nelle economie emergenti e, più in generale, per uscire dalle molteplici crisi che le hanno investite.

Alcuni sostengono, poi, l’esigenza di affiancare all’innovazione tecnologica, volta a modificare le funzioni del prodotto per soddisfare i bisogni espliciti del cliente, l’innovazione culturale, volta a modificarne i significati per soddisfare anche i bisogni latenti del cliente.

Per quanto, infatti, non tutti si rendano ancora conto della fondamentale importanza di questo tipo di innovazione, è evidente a qualunque osservatore attento che sempre più le persone comprano i prodotti non solo e non tanto per le loro performance funzionali, ma anche per i messaggi che incorporano: e ciò vale anche per le imprese B2B.

I prodotti hanno, infatti, una doppia natura: la dimensione utilitaristica, che ha a che fare con la funzionalità, le prestazioni, l’usabilità, l’affidabilità e il prezzo, e la dimensione simbolica, ugualmente importante, che riguarda i significati, i messaggi, il design, le emozioni e lo status.

Se il produttore è consapevole di vendere simboli oltre che “utensili”, può avere una visione più completa del prodotto capendo non solo come l’oggetto proposto possa soddisfare determinati bisogni pratici, ma anche come esso possa veicolare significati a livello culturale.

Proprio per questo, è necessario affiancare all’innovazione culturale del prodotto l’innovazione culturale della strategia aziendale: come l’impresa agisce.

modello di business l'impresa significante

Il Tetraedro del Valore, modello teorico che rappresenta l’interezza di un’impresa e le relazioni tra i suoi diversi piani, dal più astratto al più concreto. «La missione aziendale è l’identità profonda e immutabile dell’impresa, l’obiettivo complessivo della sua strategia, e rappresenta quindi lo scopo che informa il modello di business» (Hamel, 2001)

Accanto all’innovazione di prodotto (e processo), assume quindi sempre più importanza l’innovazione strategica, che si concretizza nella riconfigurazione della value chain e del value system, per creare un nuovo spazio di mercato. In esso, resa irrilevante la concorrenza, si genera un incremento di valore tanto per l’impresa quanto per il cliente.

L’obiettivo non è giocare meglio degli altri, bensì cambiare le regole del gioco, gestendo il paradosso tra maggior valore e costo minore.

Se l’innovazione tecnologica, in primis quella digitale, crea opportunità e necessità evidenti per l’innovazione strategica, altrettanto vale per l’innovazione culturale.

I nuovi significati attribuiti ai prodotti (es. prodotti sostenibili) devono essere trasferiti anche a tutti gli altri elementi del modello di business (es. processi sostenibili, risorse rigenerabili, ecc.) per non perdere coerenza strategica. Le aziende italiane tipicamente si concentrano sul prodotto, ma il vero prodotto dell’imprenditore è l’azienda stessa, che per prima deve essere investita da un processo di innovazione strategica.

L’innovazione culturale del prodotto e della strategia non può prescindere dalla precisa (ri)definizione dell’identità aziendale attraverso la formalizzazione di una chiara missione, dei paradossi strategici sottostanti (ne parleremo più diffusamente in uno dei prossimi articoli) e di una altrettanto chiara visione: il perché dell’impresa stessa.

La missione, infatti, definisce il carattere duraturo di un’organizzazione, l’identità profonda che trascende i cicli di vita dei mercati o dei prodotti, la dirompenza tecnologica e i leader individuali. Il più grande contributo di coloro che hanno fondato e cresciuto imprese di successo duraturo è stato proprio la definizione della missione.

I leader muoiono, i prodotti diventano obsoleti, i mercati cambiano, le nuove tecnologie emergono senza soluzione di continuità, le mode del management vanno e vengono, ma la missione si rafforza nelle grandi imprese come una sorta di guida ispiratrice e antifragile.

l'impresa significante

I significati strategici del livello della missione; ogni impresa deve saper rispondere alle quattro domande fondamentali per poter definire con precisione la propria missione.

L’impresa significante

Quanto più le imprese italiane cercheranno di dare vita a un modello imprenditoriale che si interroghi e ponga al centro proprio la definizione della missione, dei paradossi strategici e della visione aziendale, imparando a integrare nelle proprie strategie un orizzonte culturale a lungo termine, tanto più si avvicineranno al concetto di “impresa significante”.

Per chiarirlo si può partire dalla definizione del suo contrario, l’impresa ‘insignificante’. L’impresa “insignificante” crea poco valore per i clienti e la società.

Proprio perché il valore creato è ridotto, tale impresa si concentra sulle modalità più efficaci per appropriarsi della sua fetta maggiore, vittima di una prospettiva limitata e limitante secondo cui il problema è la divisione del valore. Si alimenta così un circolo vizioso che porta a creare ancora meno valore per i clienti e la società.

Per contro, l’impresa “significante” crea molto valore per i clienti e la società. Proprio per questo non è schiava dell’ansia dell’appropriazione e si concentra invece sulle modalità più efficaci per distribuirne la parte più rilevante, nella convinzione che la vera soluzione sia moltiplicare il valore attraverso la condivisione.

Si alimenta, così, un circolo virtuoso che porta a creare ancora più valore per i clienti e la società. In questo senso, l’impresa significante è tale in quanto creatrice di nuovi posti di lavoro legati all’esclusività del territorio, ma anche di nuovi concetti ispirati dalla varietà del territorio e veicolati ai clienti e alla società attraverso i suoi prodotti, processi e modalità di relazione.

In questo senso, il termine “significante” identifica un’impresa ricca di significato per tutti gli stakeholder che incrociano il suo percorso, espressione di un portato culturale e innovativo unico che la distanzia e la favorisce rispetto a qualunque competitor.