Sono passati alcuni mesi dalla firma del protocollo d’intesa che ha visto Ammagamma e l’Istituto Comprensivo 3 di Modena “Mattarella” dare vita a LUCY, la prima scuola sperimentale di intelligenza artificiale per gli istituti secondari di primo grado.
Dato il successo di questa prima esperienza, positiva sotto tutti i punti di vista per gli oltre cento studenti che vi hanno preso parte, Ammagamma e l’Istituto Mattarella hanno deciso di dare vita anche alla fase successiva del progetto. L’obiettivo è quello di educare anche gli adulti a comprendere e a utilizzare i dati e le tecnologie di intelligenza artificiale, in modo consapevole e responsabile, ovvero di formare i docenti del primo ciclo (scuola primaria e secondaria di primo grado) di altre scuole d’Italia, affinché possano replicare il programma didattico di Lucy e gettare le basi per creare una community sulla buona pratica di educazione all’AI.
Con il progetto Lucy abbiamo realizzato la prima sperimentazione curricolare di didattica dell’intelligenza artificiale per la scuola secondaria di primo grado, dedicata non solo agli studenti ma anche ai docenti. Questa esperienza annuale, realizzata per le terze medie dell’IC3 di Modena, ci ha portato a costruire un percorso multidisciplinare e laboratoriale finalizzato alla scoperta dei meccanismi di funzionamento dell’AI e all’immaginazione delle implicazioni e nuovi utilizzi delle tecnologie intelligenti.
Ha commentato Daniele Barca, Preside dell’IC3 Mattarella di Modena.
L’intelligenza artificiale è infatti integrata nella nostra vita digitale quotidiana e può essere un valido supporto nel processo decisionale delle persone. Ma che cos’è l’intelligenza artificiale? Cosa è in grado di fare e dove è possibile applicarla? Come leggere i dati che vediamo tutti i giorni?
Educare all’intelligenza artificiale non significa solo rendersi conto di quali siano gli strumenti “intelligenti”, ma anche, e soprattutto, significa comprenderne il funzionamento per ridimensionare la percezione “magica” e la visione distopica di quello che potrebbe essere il suo impatto nel futuro.
Educare a pensare è un vero e proprio format didattico che abbiamo studiato per rispondere al tema dell’approccio critico al digitale e trova fondamento nei concetti espressi all’interno del libro bianco sulla didattica dell’intelligenza artificiale “De Arte Intelligendi”, redatto e promosso da Ammagamma. Serve un approccio multidisciplinare per comprendere a fondo l’AI. Questa è l’ambizione della nostra scuola e la visione educativa di Ammagamma.
Ha aggiunto Pietro Monari, responsabile dei progetti Education di Ammagamma.
Il percorso, che si svolgerà tra gli spazi dell’Istituto Comprensivo e il convento di suore Orsoline dove ha sede Ammagamma, guiderà i partecipanti in un viaggio tra l’evoluzione tecnologica dell’intelligenza artificiale e la storia culturale modenese, attraverso delle attività laboratoriali che metteranno in collegamento la storia, la letteratura, la magia e l’immaginazione, con l’informatica, la robotica, la natura e la matematica.
Il corso è accreditato S.O.F.I.A., con il codice 60473, darà diritto a crediti formativi e si terrà presso il future lab spazio Leo dell’IC3 di Modena (scuole medie Mattarella, Viale Piersanti Mattarella, 145).
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/Rossellina_01.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-06-28 15:34:252021-07-21 15:46:40Docenti di tutta Italia a scuola di intelligenza artificiale: Summer School sull’AI a Modena
Gli eSport abbracciano un ampio spettro di opportunità, che i brand di ogni categoria merceologica potrebbero sfruttare a proprio vantaggio.
Di fatto, il pubblico degli eSport è altamente eterogeneo e diversificato con una percentuale femminile sempre più crescente e rilevante. Infatti, la ricerca esclusiva condotta da YouGov per i membri dell’Osservatorio Italiano Esports ,“Gaming ed Esports in Italia”, ha rivelato che il 37% degli eSport fan italiani è di sesso femminile, su un totale di 6 milioni di appassionati.
Inoltre, secondo il “Global Esports and Live-Streaming Market Report del 2021” pubblicato da Newzoo, prevede che il settore raggiunga, entro la fine dell’anno, un valore complessivo di 1,1 miliardi di dollari.
In tal senso, tutti i giochi possono essere considerati terreno fertile per i brand che vogliono intercettare la generazione Z e il pubblico dei giovani adulti, utilizzando innovative dinamiche di gamification.
Ecco, quindi, alcune delle migliori attivazioni di brand che hanno sposato con successo gli eSport in chiave di marketing e monitorati dall’Osservatorio Italiano Esports.
Burger King è stato uno fra i primi grandi marchi a cogliere realmente l’opportunità di avviare un processo di attivazione eSports, attraverso due titoli di simulazione sportiva: FIFA e NBA 2K.
“Stevenage challenge” è la sfida lanciata nel 2019 da Burger King. Lo Stevenage FC è un club calcistico inglese che milita attualmente nella Football League Two (la quarta serie del campionato inglese).
La sfida proponeva ai fan e giocatori di FIFA 2020 di vestire la maglia firmata Burger King di una squadra oscurata, giocare e superare una serie di prove virtuali. Condividendo le proprie azioni e gol su Twitter e aggiungendo l’hashtag ufficiale #stevenagechallenge, ai partecipanti era offerta la possibilità di vincere cibo gratis offerto dal colosso americano, già sponsor della squadra inglese.
Sono stati più di 25mila i goal condivisi sui social: per ciascuno BK si è impegnato nell’inviare codici omaggio e sconti da riscattare presso i vari punti vendita.
Un’ondata che ha fatto appassionare sempre più fan che hanno iniziato a giocare con lo Stevenage anche in diretta streaming su Twitch. Attraverso un effetto domino avviato ed alimentato dalle condivisioni social, la squadra è divenuta quella più giocata.
Tuttavia, si tratta di una campagna rivoluzionaria, ma non casuale. Infatti, è nata da uno studio approfondito del pubblico dei gamers, delle loro abitudini e comportamenti: amano il cibo e soprattutto il fast food. Una trovata geniale che ha unito armonicamente FIFA, uno tra i giochi più amati al mondo, e Burger King.
NBA 2K è stato il secondo protagonista delle iniziative di Burger King.
La recente partnership siglata con il gioco ha visto la creazione di un’arena personalizzata “BK TheMenuCourt”. Un’iniziativa che ha coinvolto i fan direttamente dal divano di casa, proponendo, come nella “Stevenage challenge”, sfide e trick da superare per vincere panini e bibite gratis.
Ciò ha dunque portato i giocatori presso i numerosi ristoranti della catena e sicuramente, una buona parte dei vincitori, dopo l’ingresso nel locale, avrà deciso non solo riscattare il panino vinto ma di acquistare anche altri prodotti di BK. In questo modo, i giocatori, già clienti acquisiti, hanno rafforzato il proprio legame con il brand mentre coloro che non lo conoscevano si sono trasformati in potenziali nuovi clienti.
Lamborghini e la nuova vettura digitale in-game
Lamborghini si è cimentata negli eSport nel 2020 attraverso l’organizzazione di un torneo automobilistico, The Real Race, che, grazie al successo riscosso nella prima edizione, si svolgerà anche quest’anno nel novembre 2021.
Un impegno quello di Lamborghini avviato su Rocket League, il gioco che unisce il calcio e le automobili.
Il brand accompagna il gioco su tre differenti livelli: introduzione in-game di una vettura Lamborghini, la Huracán STO, sponsorizzazione dell’ultima tappa primaverile della Rocket League Championship Series (RLCS X Lamborghini Open) e infine realizzazione di un nuovo evento competitivo di gare 1 vs 1, Battle of the Bulls, che si è tenuto durante gli Open.
Un progetto in cui la presenza di Lamborghini è molto forte, ma allo stesso tempo si sposa perfettamente con quella che è la filosofia e l’ottica dei giocatori di Rocket League.
Fashion brand divisi tra eSport e Gaming
Anche i brand di lusso hanno colto le grandi potenzialità del settore, cavalcando l’onda e offrendo ai players nuove esperienze di contatto diretto con il marchio stesso e la sua essenza.
Burberry, negli anni, ha proposto una serie di videogiochi proprietari avviando parallelamente una strategia differente nell’ambito gaming: l’obiettivo è stato quello di raggiungere e intercettare un target ben definito, il pubblico asiatico.
Per questa ragione Burberry ha avviato una partnership esclusiva riservata alla sola Cina continentale con Honour of Kings che nel novembre 2020 ha registrato più di 100 milioni di utenti attivi giornalmente.
Il brand si è inserito armonicamente nel gioco attraverso l’introduzione di due skin personalizzate, ovvero abiti, a tema “Spirt of Nature”.
In questo caso, il progetto offre agli utenti, nonché potenziali clienti, la possibilità di esplorare i prodotti attraverso una dimensione virtuale, andando a stimolare la curiosità ed interesse nell’approfondire Burberry valori, la sua storia e i suoi prodotti.
Sulla stessa scia, Gucci, in collaborazione con tre noti titoli gaming, ha proposto ai suoi fan e player delle creative integrazioni di brand in una nuova esperienza di gioco.
Nel giungo 2020 è stata lanciata l’iniziativa su Tennis Clash, un gioco mobile che propone un’esperienza di gioco simile al tennis reale. Una partnership a doppio livello: introduzione di esclusivi outfit firmati Gucci e realizzazione di un torneo speciale, Gucci Open.
Il secondo gioco scelto è stato The Sims 4, questa volta però con una strategia volta a promuovere e associare Gucci alla sostenibilità ambientale. È stata fedelmente riprodotta, in versione digitale, la collezione eco-sostenibile Off-The-Grid.
L’iniziativa più recente di Gucci nell’ambito gaming è all’interno di Roblox, piattaforma gaming in cui ogni utente può ricreare il proprio mondo e la cui quotazione in borsa ha toccato i 45 miliardi di dollari.
Il progetto Gucci, ideato per festeggiare il centesimo anniversario del brand, ha visto la nascita di Gucci Garden Experience, un evento in cui è stato ricreato un ambiente in cui i giocatori potevano fare shopping oppure rilassarsi in una location personalizzata. Sono stati in molti ad aver acquistato i prodotti Gucci in versione digitale, spendendo cifre paragonabili ai corrispettivi oggetti reali. Infatti, alcune borse hanno anche raggiunto transazioni da 4000 dollari.
Fortnite e le integrazioni creative di grande successo
Fortnite non ha bisogno di presentazioni ed è stato la scelta di numerosi brand. Non si tratta solo di un gioco, ma di una piattaforma di intrattenimento completa in cui le sponsorizzazioni si inseriscono in armonia in un contesto di divertimento e competizione. Con i suoi concerti virtuali in-game, Fortnite ha davvero rinnovato il settore e il concetto di videogame.
Quello di maggior successo è stato The Astronomical, il concerto organizzato da Travis Scott all’interno di Fortnite, che ha avuto una risonanza stupefacente su tutti i social e piattaforme streaming: 27,7 milioni di partecipanti, 1,7 milioni di spettatori su YouTube e 1,2 milioni su Twitch.
Questo non è stato solo un concerto, ma una grande opportunità che Nike ha sfruttato.
Infatti, il 2017 è l’anno che segna l’inizio della collaborazione tra Nike e Jordan con Travis Scott, che insieme hanno realizzato molteplici e colorate rivisitazioni delle iconiche Air Force 1.
Proprio durante l’evento, l’avatar del rapper americano ha indossato vari modelli, garantendo a Nike un’altissima esposizione e la possibilità di acquistare fisicamente le scarpe agli utenti collegati durante il concerto.
Anche Puma ha scelto Fortnite, associandosi al progetto di introduzione della versione virtuale del calciatore brasiliano Neymar. La collaborazione ha visto l’inserimento di una skin personalizzata dell’atleta, molteplici accessori e l’organizzazione di un torneo avviato il 28 aprile 2021, la Coppa Neymar Jr. Partecipando al torneo il miglior giocatore di ogni Paese ha vinto le sneakes Puma x Fortnite Future Z, in limited edition e non in vendita.
Puma si è inserita nel gioco anche nella modalità creativa, proponendo ai players uno spazio dedicato ad esperienze a tema parigino nel Puma Welcome Hub.
Infine anche NBA ha optato per Fortnite, con l’obiettivo di intraprendere una campagna di attivazione di brand avviata nella notte tra venerdì 21 e sabato 22 maggio 2021. Un progetto inaugurato con l’inizio dei play-off negli Stati Uniti e che ha previsto più step: introduzione di skin personalizzabili con le 30 maglie delle franchigie, pacchetti di accessori selezionati da due famosi atleti NBA (Donovan Mitchell e Trae Young), organizzazione di un evento esclusivo e creazione di un punto di ritrovo nella modalità creativa di Fortnite, NBA Welcome Hub.
L’evento, Fortnite x NBA: The Crossover si è svolto nel corso di cinque giornate e ha visto partecipare circa 1 milione di giocatori divisi tra la categoria fan e players delle 30 franchigie.
Come abbiamo visto, i progetti e le idee attraverso cui i brand possono entrare in una nuova dimensione virtuale di gioco, sono infinite. Una rilevante occasione per intercettare target molto ampi e variegati ma allo stesso ben definiti, per sviluppare e potenziare nuovi modelli di business e infine per trasmettere valori e vicinanza del marchio alle nuove tendenze.
Sono infatti il coinvolgimento strutturato su più livelli, l’opportunità di testare in prima persona e la creatività i tre assi portanti su cui sono state sviluppate tutte queste iniziative di attivazione di brand all’interno di giochi e titoli eSport. Un’efficacia reale in cui la customizzazione permette agli utenti di sentirsi profondamente parte del marchio, indossando abiti ed accessori come nel caso delle iniziative in-game di Burberry e Gucci.
I videogame, a fronte anche della nascita di nuovi e diversificati stili di vita, saranno la nuova frontiera di fusione armonica tra il brand e i consumatori.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/gaming-eSport-copertina.jpg8211468Luigi Caputohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuigi Caputo2021-06-28 12:52:162021-06-28 16:33:28Le migliori attivazioni dei brand su eSport e gaming
Nioghalvfjerdsfjorden sembra una parola scritta a caso da un bambino sulla tastiera del computer di casa, di quelle che si escono fuori mentre si gioca a fare gli impiegati come mamma o papà.
In realtà, è una parola islandese, o meglio: è un nome proprio. Di un ghiacciaio della Groenlandia, per la precisione. Uno dei tanti posti che probabilmente non si sarebbero mai sentiti nominare se non fosse per un fatto capitato nell’autunno del 2020.
Le cause sono, manco a dirlo, da ricondurre al Global Warming. È una di quelle notizie che riempiono le code dei telegiornali, lasciano lo spazio dell’indignazione nei primi secondi pur apparendolontanissime e vengono anche dimenticate senza conseguenze apparenti. Un po’ come tutto ciò che riguarda il riscaldamento globale.
Cosa c’entra tutto questo con il Purpose, le aziende e le nuove tendenze?
La risposta sta nel definire l’origine del fenomeno: perché la necessità di identificare un Purpose è sì evidente, ma non si può comprendere fino in fondo se non si comprende il “perché” oggi sia così di stretta attualità.
E no, non può bastare dire “i consumatori ce lo chiedono”. Per capirlo fino in fondo, bisogna capire da dove nasce il bisogno di dare alle aziende uno scopo.
Rimuovere come forma di controllo
Torniamo per un attimo al cambiamento climatico. Il rumore che fa un iceberg grande quanto una capitale europea è diverso da quello di uno scarico di automobile inutilmente in movimento o una bottiglietta di plastica abbandonata in spiaggia.
Il peso specifico è lo stesso, però, se consideriamo che entrambi i fenomeni si possono ricollegare a una stessa matrice, ossia il modello di sviluppo che il mondo, o meglio, una parte del pianeta, si è dato.
Il fenomeno del riscaldamento globale infatti, pur ostracizzato da una certa corrente di pensiero definita negazionista, da più parti è indicato come un fenomeno fortemente correlato all’azione umana e anzi, causato dalla stessa. Ed è evidente che molto c’entri come e quanto produciamo e consumiamo.
Questa consapevolezza, però, non ha sembrato generare, almeno fino ad oggi, un mutamento nei comportamenti delle persone. Anzi, si potrebbe tranquillamente dire che le persone abbiano continuato a comportarsi come se il problema non ci fosse.
Certamente, alcuni potrebbero condividere l’opinione che tutto sia frutto di un normale processo trasformativo del nostro pianeta. Questa posizione però è notoriamente minoritaria e non condivisa dalla maggioranza della comunità scientifica.
Nella pubblicazione, un po’ datata ma ancora attuale, si può leggere una riflessione puntuale sulla percezione del problema “riscaldamento globale”, un fenomeno che si sta manifestando da almeno un secolo e negli ultimi trent’anni ha paurosamente accelerato.
“La lentezza del cambiamento e i messaggi tra loro dissonanti veicolati dai mass media generano una sensazione di impotenza diffusa, se non paralisi: l’utente-spettatore che ascolta gli scienziati contrapporsi sullo schermo non sa più a chi credere e su quale base agire; percepisce l’aleatorietà e discutibilità di ogni posizione scientifica e non sa reagire, né ha spesso gli strumenti e le competenze per discernere e farsi un’idea propria su temi così complessi, anche perché spesso non arricchisce il suo sapere con contributi culturali non provenienti dalla televisione.”.
Televisione, certo, ma non solo. Una decina di anni fa si era appena cominciato a parlare di filter bubble e simili. Oggi, però, non è più un concetto così vago, ed è noto che arricchire il proprio bagaglio culturale è azione che contempla inevitabilmente il coinvolgimento della sfera digitale, con il fenomeno di selezione a monte delle fonti che porta, com’è logico, la formazione di un’opinione viziata da preconcetti.
Il professor Caserini però non si limita a questo, e continua con un ulteriore elemento di riflessione, decisamente più interessante.
“Le percezioni soggettive possono solo parzialmente essere informative su un problema, quello del clima, caratterizzato da una grande inerzia temporale. La paura non sembra un fattore che porta ad un maggior coinvolgimento nelle azioni di mitigazione, e gli shock causati da eventi estremi non sembrano determinare necessariamente più consapevolezza. L’irregolarità del fenomeno e i fattori di disturbo rendono importante un’interpretazione non solo dei singoli eventi, magari basata su sensazioni individuali, temporanee, ma su una lettura globale dei processi in corso. Negli ultimi anni si è giunti a teorizzare, quale extrema ratio, una pedagogia delle catastrofi: paradossalmente, gli uomini potrebbero cambiare se e solo se colpiti direttamente da eventi altamente stressanti (ma non letali, o almeno non per tutti…), tali da costringerli a generare e ricercare nuovi apprendimenti, vere e proprie conversioni dei loro stili di vita e di pensiero sul pianeta. Una potente ristrutturazione cognitiva, insomma.“.
In altre parole, il cambiamento climatico non ci sta toccando ancora così direttamente da comprendere come ogni piccolo cambiamento nel nostro stile di vita può impattare sul risultato finale. Questo ci porta a non considerare che anche noi, nella nostra individualità, possiamo contribuire a fermare un fenomeno potenzialmente disastroso.
Possiamo impedire a mani nude e da soli che un iceberg si stacchi dal Nioghalvfjerdsfjorden? Teoricamente no. Praticamente, sì: basterebbe convincersi che è così.
Se infatti tutti capissimo che ogni nostro gesto è correlato a conseguenze più grandi, riusciremmo a orientare avvenimenti decisamente più grandi di noi.
È un problema epocale, si sa: se tutti facessero la propria parte. Il punto è che, cognitivamente, sembra che l’uomo non sia in grado di farlo.
Un po’ perché egoista, un po’ forse perché vittima di questo principio di rimozione.
Ci racconta in esclusiva Stefano Liberti, giornalista esperto di cambiamento climatico e autore di diversi libri sul tema, l’ultimo intitolato Terra Bruciata: “C’è un problema di tempo: si parla infatti del “Dobbiamo farlo per i nostri figli”, quando in realtà c’è un discorso di tempestività. Perché la raccontiamo così? Perché nel dibattito pubblico se ne parla con tempistiche più dilatate? Se si confronta ad esempio come ci siamo confrontati con la pandemia abbiamo una differenza abbastanza evidente. Ci sono due cose complementari: la percezione che siamo di fronte a qualcosa di “spazialmente” e “temporalmente” lontano, che sembra non riguardare noi ma riguardi altre latitudini, altri paesi, e che quindi non ci riguardi. Questo approccio non considera ad esempio l’interconnessione degli equilibri del pianeta. La seconda è che spesso si ha la percezione che il problema sia talmente grande che non possiamo avere soluzioni per risolverlo. Siccome è così grande lo sublimiamo, facciamo finta che non ci sia. Questo anche perché lo si racconta così, come un qualcosa di gigantesca, ed è un qualcosa che riguarda anche gli attivisti, che presentano il Global Warming come catastrofico. Immaginare che ci siano delle soluzioni per temperare e adattare il nostro mondo alla nuova situazione è vitale.“.
Fino ad oggi?
Credere nelle idee non è più così semplice
La risposta per opporsi a una trasformazione epocale, a un problema collettivo, a una sfida per il futuro sembrerebbe essere affidata a due diversi aspetti: alle istituzioni (governo, parlamento, rappresentanti del popolo) e conseguentemente alle ideologie che ne sostengono la gestione.
Se intervengono le entità chiamate a dare un indirizzo alle masse, teoricamente si dovrebbe ottenere un risultato.
Ciò non avviene se a mancare è la fiducia: e nelle istituzioni, così come nelle ideologie, si può dire che ce ne sia rimasta pochina.
Le ideologie sembrano essere morte, a fronte delle idee che invece ancora resistono, con conseguente vulnus gestionale. Scrive Daniele Fulvi su TheVision: “Ad essere scomparsa dai radar, dunque, non è l’impostazione dell’azione politica sulla base di valori etici, ma la buona politica che di tali valori si dovrebbe nutrire. Soprattutto nelle nuove generazioni, è molto forte l’urgenza di implementare una visione del mondo che si contrapponga a quella del capitalismo neoliberista, ormai in profonda crisi.“.
Una sensazione confermata anche dai dati.
Secondo un’indagine pubblicata dal PEW Research Center, negli Stati Uniti dal secondo dopoguerra in avanti si è evidenziato un trend negativo particolarmente marcato nella fiducia dei cittadini verso il governo e verso gli organi che dovrebbero far riferimento per una sana vita pubblica: i partiti.
Non va meglio in Europa: secondo un’indagine svolta dalla Comunità Europea, negli ultimi quindici anni il legame soprattutto con le istituzioni nazionali sta deteriorandosi, lasciando spazio a un generale scetticismo in particolare verso quelle più vicine all’idea di democrazia e rappresentatività, il Parlamento.
A proposito della perdita di fiducia verso le ideologie, ci racconta Giorgio Triani, sociologo e docente di Comunicazione giornalistica e pubblicitaria presso l’Università di Parma, dove è anche coordinatore del master su Web communication e social media: “Il fenomeno orami della caduta verticale delle ideologie non comincia oggi. La fine delle Grandi Narrazioni era già stata annunciata da Francois Lyotard nel famoso saggio La condizione post moderna e da un decennio e più le consideriamo defunte. Morte. Dire però che le ideologie sono morte è una grossa inesattezza, per quanto efficace come immagine. Perché le ideologie non muoiono mai: si trasformano, cambiano. ma sono sempre pronte a riprendersi il loro posto, nella politica soprattutto. Ne di sinistra ne di destra come amano oggi dire in molti. Secondo il noto libro di Barthes, Miti d’Oggi è la più netta, ancorché nascosta e furba, forma di ideologia. D’altra parte le ideologie sono sistemi di valori, di credenze, attese, emozioni, paure e quant’altro. Diciamo che le ideologie, quelle che abbiamo ereditato dal secolo scorso sono in pausa, pronte però a riaccendersi. Credo si possa pronosticare che presto con la crisi epocale in corso ritorneranno prepotentemente in sella.”
E quindi, che si fa?
I CEO (e le aziende) come guida
In questo spazio vuoto comincia a intravedersi la ragione per cui, oggi, parliamo di Purpose.
Chi prende il posto delle istituzioni nel cuore delle persone? Chi sono gli organi preposti a lavorare per risolvere i grandi problemi del pianeta?
L’indagine ci mostra dei dati molto interessanti, e un assunto che potrebbe diventare un mantra che riassume perfettamente il nostro tempo: le persone si aspettano che il business vada oltre il business.
Il 65% degli italiani afferma che le figure che dovrebbero assolvere il ruolo di problem solver quando il governo non riesce più ad agire per risolvere i problemi sociali sono i CEO.
Il 57% li indica come guida ideale per il cambiamento, a discapito dell’attesa del governo.
Infine, e questa è la notizia più interessante, il 55% crede che i CEO dovrebbero essere responsabili non solo nei confronti di consigli di amministrazione e degli stakeholder, ma anche nei confronti dell’opinione pubblica.
Perché questa fiducia?
La tesi più attendibile sembra quella che indica la maggior attenzione spesa dalle aziende verso temi quali la sostenibilità, la collettività e l’etica: in altri termini, CEO e brand sono vittime della trasformazione (in positivo) che la consapevolezza di dover agire nel rispetto del contesto sociale, economico e ambientale ha comportato.
Pur limitandosi allo scenario italiano, c’è da scommetterci che queste statistiche siano coerenti con quelli europei e mondiali.
Un battito d’ali per cambiare il mondo: il Purpose è un incipit
Con Effetto Farfalla, secondo la Treccani, si indica “l’estrema sensibilità alle condizioni iniziali esibita dai sistemi dinamici non lineari. In altri termini, infinitesime variazioni nelle condizioni iniziali producono variazioni grandi e crescenti nel comportamento successivo dei suddetti sistemi“.
In una situazione di caos, ogni minima variazione può condurre a una trasformazione epocale.
Torniamo allora al tema con cui abbiamo cominciato il nostro articolo: evitare di lasciare una bottiglietta di plastica sulla spiaggia, o di prendere l’auto per percorrere 600 metri, può contribuire a non accrescere l’inquinamento degli oceani o allo scioglimento dei ghiacci del Nioghalvfjerdsfjorden in Groenlandia?
Se rimangono gesti isolati, no.
Ma le se le bottiglie che si evita di lasciare sulla spiaggia diventano cinque milioni, o si evita di prendere trecentomila auto per percorrere 600 metri, si può auspicare che sì, qualcosa possa cambiare.
Per le persone, che assolvono il ruolo di consumatori, diventa più semplice immaginare di smettere di comprare merce in plastica o prendere l’auto per tratti brevi se a consigliarlo è una marca che offre un’alternativa altrettanto soddisfacente, se sapranno che le proprie marche preferite scelgono a monte di cambiare per raggiungere quegli scopi.
Ad esempio, producendo packaging a basso impatto ambientale o proponendo vetture ibride io non faccio solo una scelta di mercato, ma anche etica.
Sempre rimanendo sul mercato italiano: il 30% dei consumatori evita i prodotti con imballaggi in plastica, il 36% non acquista più prodotti che impattano negativamente sull’ambiente, il 62% preferisce i brand che sono concretamente attenti all’ambiente.
Un piccolo gesto come l’acquisto di un prodotto invece di un altro diventa la testimonianza concreta che ognuno di noi sta facendo la propria parte: la cosa più importante, è che tutto questo può avvenire senza cambiare le nostre abitudini.
Ancora Giorgio Triani: “Sì, attualmente pare che il consumo e le marche abbiano preso il posto della politica e delle ideologie. Però è un a funzione vicaria, surrogata. Si sono infilate nel vuoto e lo hanno colmato. Personalmente credo che aziende e brand possano assolvere una funzione importante nell’orientare le persone. Ma lo possono e debbono fare nello specifico proprio. Ovvero sui temi (ideali) che ispirano le rispettive missioni aziendali, ma non pensando di diventare loro delle Chiese, dei Partiti. Per fare esempi Barilla può e deve proporre una cultura corretta del cibo, ma non pensare di potersi esprimere su tutto ( sul cambiamento climatico e sulle smart city) …il mondo che vorrei deve fermarsi alle Nastrine o agli spaghetti…… Per tutti vale la raccomandazione di attenersi al proprio stretto ambito, nel momento in cui si assumono posizioni non meramente merceologico“.
Evitando l’effetto “religione” che può portare l’individuo a deturpare l’effetto benefico di questa tendenza al consumo consapevole e “migliorativo”, possiamo pensare che l’Effetto Farfalla di cui parliamo possa generare in maniera totalmente automatica e sinergica un cambiamento che diventa evidente e si muova come una valanga, come scatenato da un’unica matrice di senso e frutto dell’unione di un’intelligenza collettiva, la community attorno alla marca, che si fa un tutt’uno con l’azienda che ispira il cambiamento.
Cosa che poteva succedere attorno a un movimento politico e di opinione, e che oggi si sviluppa quando andiamo al supermercato o finiamo nello shop online del nostro marchio preferito.
La campagna Adidas in partnership con Parley “Run for the Ocean” per la protezione degli oceani: la plastica raccolta torna in circolo sotto forma di scarpe. Un brand che “cambia la vita” e dà un senso alle persone.
A confermare ciò, Stefano Liberti: “Le grandi aziende si stanno schierando, penso a Patagonia che fa operazioni che sono contrarie al proprio modello di business. Al di là del fatto che siano un B-Corp, loro sembrano genuinamente interessati ad affrontare i problemi che affliggono il clima, sembra anche più dei soggetti pubblici che devono mediare con i grandi centri di potere, le corporazioni, e diventa tutto un compromesso. Questa crisi però non è risolvibile con i compromessi, e bisogna schierarsi: anche perché alcuni interessi saranno sopraffatti, sia per mitigare le cause che per adattarsi agli effetti. Spesso si dice che il cambiamento passa dai comportamenti dei singoli e dei gruppi, che devono diventare sostenibili: il rischio che diventi un alibi per le decisioni che vanno prese, che vanno fatte le macropotenze come USA, Europa, Cina. Gli obiettivi sono difficili da raggiungere, per questo ci va un intervento possente. Lo stesso vale per i territori, la cui azione di adattamento richiede l’intervento dello Stato. Certo, i comportamenti che nascono dal consumo consapevole possono spingere la politica a essere più incisiva: il comportamento del singolo però sposta poco. Se però le aziende diventano driver di cambiamento qualcosa si può smuovere: è più facile comprare qualcosa in cui la soluzione è già integrata, che non cambiare le mie abitudini. Se c’è un’azienda che mi vende una bevanda in plastica riciclata e l’altra no, nn dovrò cambiare abitudini e certamente ci sarà un impatto.“”
Il Purpose è solo una logica conseguenza, una risposta al vuoto lasciato nelle persone per rispondere al loro bisogno di dare un senso alle cose.
Nel “Il Secolo Breve” tutto questo veniva assolto dalla forza delle ideologie, oggi dall’individualistico bisogno di soddisfare le proprie necessità che, finalmente, sembra non più essere fine a se stesso.
Chiaro che centrando il Purpose, un’azienda offre anche un senso alle cose che compie. Diventa più credibile. Attiva trasformazioni più credibili.
In termini narrativi: scrive l’incipit di una storia che diventerà a tutti gli effetti parte di tanti, e a cui tanti prenderanno parte.
Non sappiamo se sia positivo osservare come tutto questo venga generato dall’atavica incapacità dell’uomo di rinunciare a qualcosa (perché, comunque, rimane sempre il consumo il centro di tutto): sicuro non sia del tutto premiante per chi crede che l’umanità possa migliorarsi.
Certamente, se una marca può aiutare a combattere la xenofobia o la diffusione delle microplastiche, allora è comunque un qualcosa di positivo che può contribuire alla crescita collettiva.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/PRO-purpose.jpg8201465Francesco Gavatortahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFrancesco Gavatorta2021-06-25 16:30:462021-09-22 17:17:51Come la tua azienda può cambiare il mondo partendo dal Purpose
Decimo appuntamentocon i Webinar PRO targati Ninja: tutti gli insight, trucchi, trend, dietro le quinte sui temi caldi del momento, condivisi con voi.
L’argomento di questa puntata è la CSR, Corporate Social Responsibility: ne abbiamo parlato con Marco Marchetti, Head of Digital Marketing di Despar. Grande appassionato di marketing e comunicazione, è coinvolto in prima linea anche in tutte le attività aziendali che hanno a che fare con l’impegno sociale.
Non perderti i punti salienti dell’intervista:
Cos’è la CSR, Corporate Social Responsibility: min 03,20
I 4 pilastri fondamentali della CSR: min 07,25
Come avviare un contesto aziendale: min 09,00
I progetti a lungo periodo: min 13,00
I benefici della CSR per le imprese e le persone: min 16,55
La situazione in Italia: min 18,00
I case study: min 22,40
Cosa aspettarci per il futuro: min 32,45
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/ANTEPRIME-PROSANDRO.jpg10801920Rossella Pisaturohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRossella Pisaturo2021-06-25 13:44:422021-07-26 11:12:52Perché ogni azienda ha una responsabilità sociale e come scoprire la tua
Brumbrum, il primo e-commerce italiano di auto usate, a km 0 e di noleggio a lungo termine, annuncia di aver completato un’operazione di finanziamento per complessivi 65 milioni di euro. Alantra Credit Portfolio Advisory, in qualità di sole financial advisor per brumbrum S.p.A. e lo studio legale Orrick, Herrington & Sutcliffe, in qualità di legal advisor, hanno strutturato l’operazione.
Il round di finanziamento è stato condotto tramite la costituzione di un veicolo di cartolarizzazione i cui titoli senior sono stati sottoscritti da fondi di investimento gestiti da Oaktree Capital Management L.P. (“Oaktree”) e da P&G SGR, assistiti da Phinance Partners come financial advisor e dallo studio legale Hogan Lovells come legal advisor, mentre i titoli junior sono stati sottoscritti dalla stessa brumbrum che svolge anche il ruolo di portfolio manager dell’operazione.
È la prima cartolarizzazione di questa tipologia realizzata in Italia. Banca Finint, oltre ad aver garantito supporto nella realizzazione dell’operazione, ricopre il ruolo di master servicer, corporate servicer, representative of noteholders e computation agent, mentre Agenzia Italia quello di back-up portfolio manager.
Nonostante la crisi del mercato automotive legata all’impatto della pandemia Covid-19, il modello di distribuzione digitale di brumbrum si dimostra vincente. L’operazione appena conclusa ha come focus principale il noleggio a lungo termine a marchio brumbrum per clienti privati. Si tratta di un’operazione unica nel suo genere in Italia e tra le prime in Europa, resa possibile da una recente modifica normativa (L. 28 giugno 2019, n. 58) volta a creare innovazione attraverso la cartolarizzazione dei proventi derivanti da beni mobili registrati e beni immobili. Essa consentirà quindi a brumbrum di sviluppare un piano di crescita ambizioso sul noleggio a lungo termine per privati, ed allo stesso tempo di rafforzare ed estendere la flessibilità finanziaria a disposizione di brumbrum per la crescita del business dell’Usato.
L’operazione appena conclusa si somma ad un ulteriore rafforzamento della compagine dei Soci con l’ingresso nel capitale di brumbrum del fondo DIP Capital, che affianca i Soci storici guidati da United Ventures e Accel.
La recente pandemia ha cambiato radicalmente la mobilità delle persone. I mezzi privati sono percepiti come più sicuri rispetto a quelli pubblici, mentre lo smart working e i ripetuti divieti di spostamento hanno costretto molte persone a lasciare ferma per molto tempo l’auto di proprietà, pur continuando a sopportarne i costi. Rispondendo quindi alle esigenze del periodo, brumbrum ha ideato una nuova offerta commerciale modulabile di noleggio a lungo termine dedicata ai privati. Direttamente dal sito brumbrum.it è possibile noleggiare la vettura, pagando un canone composto da una componente fissa molto conveniente, comprendente assicurazione, assistenza stradale, manutenzione ordinaria e straordinaria, e da una componente variabile legata alla reale percorrenza chilometrica.
È quindi un’offerta a consumo, si paga il mezzo in base all’utilizzo mensile. A salvaguardare la spesa dei propri clienti però interviene il servizio di Canone Protetto, offerto gratuitamente: si tratta di un limite di spesa massima mensile, a seconda della vettura, che consente di tenere i costi sotto controllo, annullando il rischio di rate eccessivamente alte nei mesi di maggiore utilizzo dell’auto. Permette quindi di orientare la spesa mensile in base all’effettivo utilizzo del veicolo. Se si utilizza poco la vettura, si pagano i chilometri percorsi. In caso di percorrenze elevate, interviene il Canone Protetto e la rata non è mai maggiore della cifra prevista da contratto.
Francesco Banfi, fondatore e CEO di brumbrum ha dichiarato:
Siamo particolarmente soddisfatti di avere completato un’operazione così innovativa e ambiziosa in un contesto di mercato così complesso. Brumbrum può proseguire lo sviluppo commerciale della propria offerta affiancando al prodotto Usato anche un prodotto di noleggio a lungo termine per privati, affermandosi come il principale canale online italiano nel settore auto.
Oggi brumbrum, che impiega complessivamente più di 120 dipendenti e opera attraverso il sito brumbrum.it, è presente sul mercato italiano attraverso la Factory di Reggio Emilia: un impianto di 50.000 mq, suddiviso tra area produttiva, zona di stoccaggio, uffici e spazi commerciali – dove operano i team di logistica e i meccanici impegnati nel processo di selezione e riqualifica delle vetture – e gli uffici di Milano dove lavorano i team tech, marketing, vendita, acquisti e pricing.
La piattaforma online offre due diverse proposte di mobilità: (i) l’acquisto di usato o auto a km 0e (ii) il noleggio a lungo termine per privati. Per le auto usate in vendita, brumbrum seleziona e acquista le proprie vetture, le controlla e ripara presso la Factory di Reggio Emilia prima di renderle disponibili sul proprio sito. Ai futuri acquirenti viene offerto un livello di trasparenza, qualità garantita e dettaglio senza pari nel mercato dell’usato, oltre a servizi extra, come il finanziamento online e la consegna in tutta Italia.
Per quanto riguarda il noleggio a lungo termine, i clienti hanno la possibilità di sottoscrivere un contratto flessibile, personalizzando anticipo e canone mensile, usufruendo di servizi come manutenzione, spese amministrative e assicurazione inclusi nel prezzo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/1_roxi-1.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-06-25 09:30:172021-07-26 12:52:54Brumbrum chiude un finanziamento con un focus sul noleggio a lungo termine
Dall’esperienza di Meet ho imparato a stare fuori dagli schemi, cercare di avere la mente libera da pregiudizi, regole, schemi, e applicare un pensiero critico.
Questo è il mood di Maria Grazia Mattei, fondatrice e Presidente del centro nonché inventrice di Meet the Media Guru, ciclo di incontri e confronti internazionali con il gotha della cultura digitale e dell’arte, della filosofia e della comunicazione, del marketing e dell’imprenditoria.
Maria Grazia accoglie Mirko Pallera durante il Ninja Van Tour, mostrandogli i manifesti affissi alle pareti del Meet, che raccontano la storia della cultura digitale in un percorso, compreso di proiezioni, chiamato “Le radici del nuovo” e un’intera sala dedicata al Siggraph, l’iniziativa più importante al mondo dedicata all’evoluzione della cultura digitale dalla computer-grafica alla realtà virtuale.
Il luogo di cultura Meet, a Milano è sempre stato un ritrovo dedicato a rassegne e cinema, adesso invece si è rimodernato attraverso la cultura digitale. Le pareti raccontano il percorso “le radici del nuovo” fatta di poster, oggetti, proiezioni sui muri, effetti speciali, web e 3D. Racconta Maria Grazia:
Per questo mio nuovo progetto ho coinvolto 4 artisti: Carlo Stanga, Chiara Luzzana, il gruppo Screen Colors e i Fuse. Abbiamo creato un monitor 12×8 m lineare da girare attorno le opere che danno il benvenuto, la sensazione è una Milano che parla, che si presenta con narrazione più sonora che visiva, con riprese particolari alla continua scoperta di luoghi. Quattro nuove interpretazioni in un modo innovativo di raccontare la città: così nasce Nice to Meet You.
Anche il Meet ha subito una battuta d’arresto con la chiusura forzata dello scorso anno, nonostante molti progetti erano pronti a partire, sempre con lo sguardo dell’arte verso il futuro, con sperimentazioni narrative, artistiche e creative. Una realtà concepita già 7 anni fa, con costanti ricerche e preziose collaborazioni con altri centri Europei, uno spazio che coniuga tutte le dimensioni.
Meet è quello che ci serve, a Milano e nel resto del territorio. Riconcilia la dimensione locale a quella internazionale. Continuiamo a raccontare le storie passate, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, che guardano al futuro, aiutandoci a ragionare. Consiglio a tutti di tenere d’occhio questo processo inarrestabile, approcciarci al nuovo con curiosità, avere apertura mentale e diventare pienamente consapevoli di quello che sta accadendo. Non dobbiamo essere passivi di tecnologia, altrimenti saremmo schiacciati. Se si liberano energie, si scoprono praterie da esplorare.
Un museo, dunque, dove gli artisti espongono, non con un pennello, ma con computer e algoritmi, aiutando a cambiare la percezione delle cose, con nuove forme d’arte. È Il Meet vuole rispecchiare questa storia: guardare n° prospettive, non un punto di vista solo.
Non c’è dubbio, il Meet è un posto davvero Unbreakable, in grado di attraversare ogni periodo storico e ogni cambiamento, di continuare a raccontare il passato e allo stesso tempo farsi specchio del futuro.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/intervista.jpg10801920Rossella Pisaturohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRossella Pisaturo2021-06-24 17:30:542021-07-26 11:10:24Come la cultura digitale sta cambiando l'arte in ogni dimensione
Viviamo in un mondo sempre più digitalizzato: quando acquistiamo, quando cerchiamo quello che ci serve, mentre studiamo o lavoriamo, interagiamo sempre più con il web e le sue specificità, senza renderci conto che disseminiamo – come piccoli Hansel e Gretel – briciole fatte di informazioni sensibili. Interagire online, d’altronde, produce informazioni: e questo continuo lasciare tracce, incontrarsi, scambiarsi dati, attira l’attenzione di chi con il furto di quelle miriadi di frammenti informativi può arricchirsi.
Come? Vendendoli o sfruttandoli per scopi non trasparenti o scorretti: un commercio floridissimo in un mondo che è ormai a trazione digitale.
Dietro questi crimini (perché di questo si tratta) ci sono gli autori di attacchi informatici. Non si tratta solo di hacker o di semplici nerd, ma di professionisti esperti e con grandi competenze, lontani dall’immaginario collettivo che li ritrae come goffi ragazzotti chiusi nel buio della cameretta ad armeggiare con complicatissimi linguaggi di programmazione.
Alcuni, scrivendo codice, possono fare danni ad aziende e privati cittadini: vediamo come.
La “forma” degli attacchi informatici
Secondo il rapporto Clusit 2021, un documento molto utile per comprendere il fenomeno, gli attacchi informatici hanno registrato un’impennata notevole nel 2020: se raffrontata al 2019, parliamo di un 12% in più.
Ma come sono fatti, letteralmente, questi “attacchi”?
Il più famoso è del tipo conosciuto come “cybercrime”, letteralmente crimine informatico. In parole povere, sono tutte quelle azioni finalizzate a truffare e rubare, come usare le credenziali altrui per accedere ad aree riservate o il furto di identità. Nel 2020 sono stati il 9% in più rispetto al 2019 (e il trend è ovviamente ancora in crescita).
Ci sono altre forme di attacco informatico: l’Hacktivism, lo spionaggio e le cosiddette cyber warfare, la guerra fra stati di cui tanto si è sentito parlare nei telegiornali.
Vittime dei cybercrime sono molto spesso le aziende, che vengono colpite nelle loro infrastrutture, come reti o siti istituzionali: non è un caso che con l’aumento dell’attività da remoto dovuta alla pandemia, moltissime imprese si siano dotate di protezioni più capillari.
Sempre nel rapporto Clusit si legge come la remotizzazione del lavoro abbia cambiato gli obiettivi dei criminali digitali: si è ridotto di circa il 18% il numero di attacchi informatici rivolti a infrastrutture digitali, ma questo non significa che la situazione sia migliorata.
Se le reti principali erano diventate più difficili da colpire, allora perché non attaccare gli end-point, ossia il singolo device del dipendente?
Proprio così: nell’ultimo anno ad aumentare sono state le azioni che hanno messo nel mirino non tanto le reti dell’azienda, i suoi server, le sue centrali, ma i computer singoli dei dipendenti.
Per capire il fenomeno: si calcola che il numero di infezioni su singoli PC personali sia praticamente raddoppiato nel 2020 rispetto al 2019, dato che da 45.000 infezioni siamo passate a 85.000.
Insomma, nessuno è immune dagli attacchi informatici, a maggior ragione quelle realtà che sul web ci sono arrivate da poco e ancora devono “entrare” nella mentalità di proteggersi.
Proteggersi, per vendersi meglio
Questa generale presa di coscienza si scontra con la realtà, dato che lo scenario italiano propone una situazione alquanto frammentata: circa un terzo degli esperti di sicurezza informatica in Italia ammette di non avere una strategia contro il crimine informatico, mentre il 43% dei professionisti ritiene di doverne mettere in cantiere una entro i prossimi 18 mesi. Proiezioni che non sono avulse dal mondo delle PMI, che a dispetto di quanto si crede possono essere facilmente oggetto di attacchi di questo genere.
In particolare, non si deve abbassare la guardia se si è aziende (piccole e grandi non importa) che operano con l’ausilio di strumenti che impiegano grandi database per funzionare, o che realizzano campagne di advertising online (raccogliendo così tanti dati di clienti e prospect): una buona protezione delle informazioni non è solo una tutela del segreto industriale a disposizione, ma anche una garanzia di serietà per i propri clienti.
C’è poi un risvolto non secondario, cioè che la sicurezza può diventare una leva promozionale: chi infatti ti garantisce una tutela dei dati ha sicuramente una marcia in più rispetto alla concorrenza. Un aspetto da non sottovalutare.
Il problema è “come” lavorare per garantirla, la sicurezza. Per farlo bisogna partire dalle infrastrutture che ospitano le properties aziendali, dall’hosting alla tecnologia cloud, le quali devono essere performanti e assicurare qualità.
Capire come queste siano effettivamente efficienti non è complicato: sul mercato infatti è possibile reperire tool in grado di diagnosticare lo stato di salute di dette infrastrutture, evidenziando i punti di debolezza e indicando dove intervenire.
Uno dei più performanti presenti sul mercato è Marxec, un sistema di controllo altamente evoluto che lavora attraverso i principi di intelligenza artificiale.
Sviluppato da Gmg Net, un’azienda tutta italiana operante nel campo della sicurezza digitale e affiliata alla Clusit (Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica), Marxec opera grazie a un algoritmo che permette di verificare se un sito, un portale eCommerce, una landing page siano sotto attacco informatico, identificando sin da subito se siano stati installati file dannosi o terze parti potenzialmente pericolose, ed evidenziando quali possano essere gli interventi da mettere in opera per risolvere ogni minaccia.
Marxec è insomma una sorta di guardiano silente che protegge e garantisce di individuare eventuali intromissioni, rintracciando in pochissimo tempo eventuali componenti malevoli che possono compromettere la sicurezza di un’infrastruttura digitale: ciò che serve per combattere nemici invisibili e sempre più agguerriti.
Con la venuta del New Normal, il digitale e l’analogico si intrecceranno sempre più, fondendosi: compito delle aziende sarà mettersi al riparo dai tanti malintenzionati che quotidianamente cercano di danneggiare le attività altrui, proteggendosi con strumenti adeguati. Come Marxec.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/05/rox_1_31Magg.jpg10801920Francesco Gavatortahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFrancesco Gavatorta2021-06-24 11:00:312021-06-25 17:55:08Perché mettere in sicurezza il tuo sito è una priorità (anche se sei una PMI)
Facebook ha annunciato nuovi modi per fare acquisti attraverso le proprie app, insieme a soluzioni per le aziende per personalizzare lo shopping con inserzioni e investimenti in tecnologie che daranno forma alle esperienze di shopping di domani.
L’annuncio delle nuove funzioni è arrivato dal CEO di Facebook in persona, Mark Zuckerberg, durante una Live Audio, e diffuso attraverso un post nella newsroom e in un blog post su Facebook for Business con tutti i relativi dettagli.
Il modo in cui le persone fanno acquisti è cambiato negli ultimi decenni: si è passati dal visitare i centri commerciali al fare acquisti online e, ora, a provare virtualmente gli occhiali da sole dal proprio divano.
Lo shopping fa parte da anni del DNA di Facebook, con brand del mondo retail che utilizzano annunci personalizzati per raggiungere i clienti. Lo scorso anno, quando il COVID-19 ha bloccato le attività economiche locali, Facebook ha accelerato il lancio di Shops per aiutare le imprese a vendere online.
Una tendenza, quella del social commerce, su cui l’azienda di Mark Zuckerberg punta perché crede fortemente che non sia un fenomeno temporaneo: un consumatore su tre, a livello globale, afferma di voler passare meno tempo in negozio anche dopo la fine della pandemia, e quasi tre quarti dichiarano di trarre ispirazione per lo shopping da Facebook, Instagram, Messenger o WhatsApp.
Facebook è quindi intenzionata a continuare a investire in Shops, rinunciando a richiedere commissioni alle aziende fino a giugno 2022.
Secondo i dati diffusi dall’azienda di Palo Alto, oggi Shops può contare su oltre 300 milioni di visitatori mensili e più di 1,2 milioni di Shops attivi mensilmente, ma l’obiettivo è quello di rendere ancora più semplice per le persone scoprire prodotti e fare acquisti sul social media, attraverso due step già previsti:
permettere alle aziende di alcuni Paesi selezionati di mostrare il loro Shop su WhatsApp
a partire dagli Stati Uniti, consentire di portare i prodotti di Shops su Marketplace, aiutando i business a raggiungere oltre 1 miliardo di persone che a livello globale che visitano Marketplace ogni mese.
Particolare attenzione verrà data anche alla soddisfazione delle persone che acquistano online: ci sarà infatti un’implementazione delle recensioni dei prodotti negli Shops su Instagram e la visualizzazione di foto e video della community. L’idea è quella di aiutare le persone a prendere decisioni più consapevoli su cosa comprare e permettere alle aziende di ricevere feedback sul loro operato.
Personalizzare il percorso d’acquisto con le inserzioni
Anche le soluzioni pubblicitarie per Shops verranno personalizzate, in modo da fornire esperienze pubblicitarie uniche basate sulle preferenze di acquisto delle persone.
Ad esempio, Facebook sta testando la possibilità per le aziende di indirizzare i consumatori dove è più probabile, in base al loro comportamento di acquisto, che comprino qualcosa, come una selezione di prodotti a cui potrebbero essere interessanti in uno Shop o sul sito web di un’azienda.
La scelta sarà possibile grazie a strumenti già a disposizione delle aziende che le aiutano a trovare il pubblico giusto, come il Pubblico personalizzato e inserzioni con tag di prodotto, che consentono ai business di indirizzare le persone al loro Shop direttamente da un annuncio. Nel complesso, questo insieme di soluzioni personalizzate per le inserzioni in Shops può aiutare le aziende a portare i clienti dalla fase di scoperta a quella di acquisto.
Nuove tecnologie per potenziare il futuro dello shopping
Anche le tecnologie come la realtà aumentata e l’intelligenza artificiale faranno la loro parte in questo cambiamento. Questo nuovo approccio all’acquisto sarà, con grande probabilità, il modo in cui faremo shopping in futuro.
Il gruppo di Facebook sta quindi investendo in tecnologie immersive come la realtà aumentata e l’intelligenza artificiale, che saranno le fondamenta del modo in cui faremo acquisti online in futuro. Con i nuovi strumenti di scoperta visuale su Instagram, stiamo aiutando i consumatori a trovare nuovi prodotti, e con le esperienze di Realtà Aumentata stiamo aiutando le persone a visualizzare gli articoli prima dell’acquisto.
Su Instagram, lo shopping inizia con la scoperta visiva. Ogni giorno le persone scorrono attraverso l’app fermandosi quando vedono dei contenuti che le ispirano, un momento che diventa un punto di partenza per il percorso di acquisto.
Quest’anno il social media inizierà a testare una nuova ricerca visuale alimentata dall’Intelligenza Artificiale. La ricerca visuale aiuta le persone a trovare prodotti simili tra loro semplicemente toccando l’immagine di un abito che gli piace. In futuro sarà possibile semplicemente scattare una foto per avviare una ricerca visuale.
Anche se i negozi stanno riaprendo in molti paesi, due terzi delle persone che fanno acquisti online affermano che vorrebbero provare “virtualmente” i prodotti stando comodamente a casa propria.
Per aiutare i consumatori a valutare meglio la vestibilità di un prodotto prima dell’acquisto, le app di casa Facebook stanno rendendo più facile per i brand creare esperienze di prova con la Realtà Aumentata in Shops attraverso nuove integrazioni API con Modiface e Perfect Corp e stanno anche introducendo nuovi strumenti per aiutare i brand a includere cataloghi di prodotti in Realtà Aumentata nelle inserzioni, per mostrare automaticamente prodotti rilevanti per le persone, in base ai loro interessi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/facebook-social-commerce.jpg7261301Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-06-23 16:10:132021-12-29 15:00:03Social Commerce: Facebook annuncia Shops su WhatsApp e altre novità
Nel 2020, per la prima volta nella storia di Twitter, sono stati pubblicati più di 2 miliardi di Tweet a tema gaming, e la conversazione non si è interrotta nel 2021.
Tra le leghe eSports come la Call of Duty League e il VALORANT Champions Tour, agli eventi di gioco globali come l’E3 e il Summer Game Fest, c’è stato un aumento del 18% dei Tweet sul gaming rispetto all’anno precedente.
I giocatori di tutto il mondo si ritrovano su Twitter per discutere di tutti gli ultimi avvenimenti e tendenze.
Dagli annunci di nuovi giochi, alle note sulle patch, ai momenti salienti dei principali eventi sportivi, alle scommesse su tatuaggi rischiosi, tutto avviene qui.
I dati su leghe, nazioni e team
Qui di seguito diamo uno sguardo ai paesi che hanno twittato più spesso sul gaming nel 2021 finora, fornito direttamente dal blog di Twitter.
Le 10 nazioni che finora hanno pubblicato più Tweet sul gaming nel 2021:
Giappone
Stati Uniti
Corea del Sud
Brasile
Thailandia
Filippine
India
Regno Unito
Francia
Spagna
Mentre stiamo iniziando a vedere il ritorno degli eventi sportivi dal vivo, grazie al boom dell’online gaming l’industria degli eSports non si è mai fermata durante la pandemia, con molte leghe che sono cresciute dall’inizio dell’anno.
Twitter continuerà a monitorare la conversazione per misurare l’impatto degli eventi eSports dal vivo, quando questi torneranno nella seconda metà dell’anno. Per il momento, ecco alcune evidenze emerse dalle conversazioni a tema esports su Twitter in questi primi mesi del 2021.
Le leghe di eSports più chiacchierate a livello globale nel 2021:
CBLOL (@CBLOL)
Call of Duty League (@CODLeague)
Overwatch League (@Overwatch League)
VALORANT Champions Tour (@VALORANTEsports)
League of Legends European Championships (@LEC)
CBLOL: i team di cui si è parlato di più nella lega
LOUD esports (@LOUDgg)
paiN Gaming (@paiNGamingBR)
Flamengo Esports (@flaesports)
Furia (@FURIA)
INTZ (@INTZ)
Call of Duty League: i team di cui si è parlato di più nella lega
OpTic Chicago (@OpTicChi)
Atlanta FaZe (@ATLFaZe)
NY Subliners (@subliners)
Dallas Empire (@DallasEmpire)
Toronto Ultra (@TorontoUltra)
Overwatch League: i team di cui si è parlato di più nella lega
Dallas Fuel (@DallasFuel)
SF Shock (@SFShock)
Washington Justice (@WashJustice)
Shanghai Dragons (@ShanghaiDragons)
Florida Mayhem (@FLMayhem)
VALORANT Champions Tour: i team più chiacchierati
Sentinels (@sentinels)
Crazy Raccoon (@crazyraccoon406)
FNATIC (@FNATIC)
Version1 (@version1gg)
Team Liquid (@liquidvalorant)
League of Legends European Championship: i team più chiacchierati
G2 Esports (@g2esports)
MAD Lions (@madlions_lolen)
FNATIC (@FNATIC)
Rogue (@rogue)
Schalke 04 Esports (@s04esports)
I giocatori di esports più chiacchierati a livello globale nei primi mesi del 2021:
Mongraal (@Mongraal)
Benjyfishy (@benjyfishy)
Bugha (@Bugha)
FalleN (@FalleNCS)
Scump (@scump)
mitr0 (@mitr0)
TenZ (@TenZOfficial)
Zayt (@zayt)
Rekkles (@RekklesLoL)
Clayster (@Clayster)
I team di esports più chiacchierati a livello globale nei primi mesi del 2021:
Il 2020 è stato sicuramente l’anno di Animal Crossing: New Horizons, ma quest’anno c’è un nuovo gioco che è sulla bocca di tutti: Genshin Impact. Qui di seguito la classifica dei videogiochi più twittati nel 2021 fino ad oggi.
I videogiochi più twittati a livello globale nel 2021 fino ad oggi:
Genshin Impact
Apex Legends
Ensemble Stars!
Final Fantasy
Animal Crossing
Knives Out
Fortnite
Monster Hunter
Fate/Grand Order
Minecraft
Tra i fenomeni osservati grazie alle analisi delle conversazioni su Twitter c’è anche il fatto che quest’anno stanno emergendo delle nuove personalità nel mondo gaming, insieme al ritorno alla ribalta di alcune figure già precedentemente affermate. Qui di seguito la classifica delle personalità legate al gaming più chiacchierate nel 2021 fino ad oggi.
Le personalità legate al gaming più chiacchierate nel 2021 fino ad oggi:
Colon (@Colon56N)
Quackity (@Quackity)
Ibai (@IbaiLlanos)
Corpse Husband (@Corpse_Husband)
GeorgeNotFound (@GeorgeNotFound)
Dream (@Dream)
Valkyrae (@Valkyrae)
Technoblade (@Technothepig)
El Rubius (@Rubiu5)
Kiyo (@kiyo_saiore)
E3 ha fatto il suo ritorno quest’anno, in un formato completamente digitale andato in onda tra il 12 e il 15 giugno. Le conversazioni relative all’evento hanno dominato Twitter, con 26 su 30 Trend globali legati ad E3 in unico momento durante i quattro giorni dell’iniziativa.
Qui di seguito alcuni insights su #E32021.
Il video che ha totalizzato più visualizzazioni durante l’E3 di quest’anno:
The Legend of Zelda: Breath of the Wild Sequel
Elden Ring
Battlefield 2042
Halo Infinite
Forza Horizon 5
Twitter Spaces è una funzionalità molto recente, ma la comunità dei gamer a livello globale la sta già usando dando vita a conversazioni audio molto interessanti. Qui di seguito la top-5 degli Spaces più ascoltati ospitati dai content creator del gaming:
Ranboo (@Ranboosaysstuff) – Secondo Spaces più ascoltato in assoluto su Twitter dal lancio della nuova funzione
Tubbolive (@TubboLive)
Alpharad (@Alpharad)
BadboyHalo (@BadBoyHalo)
Class (@Class)
I dati sul gaming in Italia
Qui di seguito le classifiche relative al gaming in Italia nei primi mesi del 2021 fino ad oggi.
I videogiochi più chiacchierati in Italia:
Genshin Impact
Final Fantasy
Animal Crossing: New Horizons
FIFA
Resident Evil Village
League of Legends
Super Mario
The Legend of Zelda
Call of Duty
Fortnite
I team di esport più chiacchierati in Italia:
G2 Esports
FNATIC
T1
FaZe Clan
Cloud9
Rogue
Schalke 04 Esports
Astralis
TSM FTX
MAD Lions
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/gaming-eSport.jpg7291238Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-06-23 14:30:432021-06-23 16:10:39eSport e Gaming crescono su Twitter: ecco tutti i dati anche in Italia
Mentre l’onda Pride torna a colorare l’estate italiana, eBay, Facebook, Google, Spotify e TikTok scendono in campo, per la prima volta insieme, per sostenere la comunità LGBTQA+ e celebrare la Milano Pride Week con la bandiera #Tech4Pride.
A partiredalle 22:00 di mercoledì 23 giugno e per tutta la settimana del Pride le cinque società, unite a sostegno dei diritti LGBTQA+ e con il Patrocinio del Comune di Milano, illumineranno dei colori dell’arcobaleno lo storico palazzo sede del Comune.
Un’illuminazione fisica, ma soprattutto metaforica, che vuole accendere i riflettori sull’importanza di sostenere un luogo sicuro per ragazze e ragazzi respinti dalle loro famiglie dopo aver fatto coming out. L’iniziativa congiunta, infatti, va a sostegno di Casa Arcobaleno, una Casa per i ragazzi discriminati per il loro orientamento sessuale e identità di genere. Il progetto di Casa Arcobaleno è integrato con il Rainbow desk, ovvero lo sportello di filtro per l’accesso alla Casa, aiuto e orientamento. Il servizio è stato affidato con procedura ad evidenza pubblica e con coprogettazione a Spazio Aperto Servizi e Cooperativa Lotta contro l’Emarginazione, ed è attivo dal 2019.
Casa Arcobaleno è un luogo che accoglie i giovani discriminati dalle famiglie di origine per il loro orientamento sessuale, l’identità di genere o per il percorso di transizione avviato. E’ un ambiente protetto per tutti coloro che dopo il coming out si ritrovano senza una casa e senza una famiglia. Offre un posto sicuro dove sentirsi accolti per realizzare il proprio progetto di vita, seguendo i propri desideri.
Sono felice che anche quest’anno Palazzo Marino torni a illuminarsi dei colori dell’arcobaleno e che, per la prima volta, lo faccia per quattro sere, dal 23 al 26 giugno. Ringrazio eBay, Facebook, Google, Spotify e TikTok per aver deciso di sponsorizzare questa iniziativa e per supportarci nella promozione delle attività di Casa Arcobaleno. Ancora troppo spesso le cronache ci raccontano di casi di discriminazione sessuale e di genere. Per questo motivo, nella battaglia a sostegno dei diritti LGBTQA+, per Milano è importante poter contare sui nuovi luoghi sociali digitali frequentati soprattutto dai ragazzi: insieme possiamo fare la differenza nella promozione dei diritti e nella diffusione della cultura della condivisione, della solidarietà e della tolleranza.
Ha commentato il Sindaco di Milano Giuseppe Sala.
Milano Pride Week
Il supporto a Casa Arcobaleno va oltre l’illuminazione di Palazzo Marino: ciascuna delle cinque aziende aiuterà infatti Casa Arcobaleno a portare avanti la propria missione, con l’obiettivo di farsi conoscere ancora di più, sensibilizzare il maggior numero di persone e raccogliere fondi a sostegno della struttura.
Oltre a essere il promotore dell’iniziativa Tech for Pride, Google continuerà – sulla scia della collaborazione già avviata nel 2020 – a supportare gli ospiti di Casa Arcobaleno nel percorso di acquisizione di competenze utili per un efficace inserimento nel mondo del lavoro, attraverso un programma di formazione personalizzato e multidisciplinare.
Facebook avvierà, invece, un’attività di formazione per aiutare Casa Arcobaleno a far crescere la propria presenza online e a raggiungere il maggior numero di persone sfruttando nuove piattaforme, come Instagram.
eBay metterà a disposizione il marketplace e attiverà la propria community nella campagna “Non tenertelo per te” (#TogetherInvincible): una serie di influencer, tra cui alcuni esponenti della comunità LGBTQA+, metteranno all’asta su eBay.it oggetti il cui ricavato sarà interamente devoluto a favore di Casa Arcobaleno, per sostenere economicamente le iniziative dell’Associazione. Qui il link per partecipare all’asta.
Spotify offrirà spazi di visibilità sulla propria piattaforma, aiutando così Casa Arcobaleno a far conoscere la propria causa a milioni di ascoltatori e a raccogliere nuovi sostenitori intorno ad essa.
L’evento davanti a Palazzo Marino sarà protagonista di una LIVE su TikTok, la popolare app di video sharing, alle ore 21:30 di mercoledì 23 giugno. Protagonisti della LIVE il creator @damn.tee e il team di Casa Arcobaleno, che presenterà il proprio progetto all’interno del ricco palinsesto del #ForYourPride che durante tutto il mese di giugno ha accompagnato la community di TikTok.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/1_roxi.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-06-23 09:30:202021-07-26 12:52:38#Tech4Pride: i big del tech sostengono i diritti della comunità LGBTQA+
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