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Come trasformare gli eventi digitali in un successo reale

L’event industry è un settore che in Italia produce 65,5 miliardi di euro, con un impatto sul Pil di 36,2 miliardi di euro l’anno e che coinvolge 569mila addetti ai lavori. La pandemia lo ha colpito duramente e ne ha stravolto le regole del gioco, introducendo gli eventi digitali, con cambiamenti da cui probabilmente non torneremo più indietro. Ma non è necessariamente un male.

Gli eventi digitali

L’esigenza del distanziamento fisico ha infatti accelerato il processo di ricerca di nuove forme di interazione. E, se il principale difetto degli eventi digitali era il mancato coinvolgimento delle persone, oggi esistono tecnologie in grado di sopperire in qualche modo all’assenza di contatti reali e di fornire soluzioni avanzate di networking interattivo.

Ai vantaggi di tutto questo sarà difficile rinunciare anche post emergenza.

Il futuro sembra sempre più andare in direzione di eventi digitali oppure “ibridi”, che consentano di coinvolgere audience più ampie e allo stesso tempo di contenere tempi e costi organizzativi. Se prima il numero di medio di partecipanti a un evento era stimato a 500 persone, oggi è pari a 5mila.

Il Digital permette di confezionare eventi fatti “su misura” e di garantire esperienze immersive e uniche, anche grazie a soluzioni hardware e software come Realtà Aumentata e VR. Per questo, per il successo di un evento digitale, è centrale la scelta della piattaforma e delle tecnologie da utilizzare. 

La Masterclass di mercoledì 19 Maggio alle ore 13, organizzata da Ninja Academy in collaborazione con The Rocks, l’Innovation Company che ha sviluppato la piattaforma Umans™, al servizio di fiere ed eventi digitali tra cui N-Conference Digital Edition, il Business Visionary Event targato Ninja e in collaborazione con i main partner TIM, AW LAB e Banca Sella, fornirà una panoramica sul mondo degli eventi digitali, sia dal punto di vista degli organizzatori che dei fornitori delle tecnologie utili alla loro riuscita. Si dimostrerà come un evento digitale possa rivelarsi, per le più svariate tipologie di business, una strategia di marketing efficace e sostenibile.  

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the rocks

Cosa imparerai durante la Free Masterclass

  • Come funziona un evento digitale
  • Alcuni numeri dell’industry
  • Le tecnologie per un evento immersivo
  • I principali attori dell’organizzazione
  • Esempi e case history

Esther Intile, Event & Account Manager Ninja, ospiterà Antonio Trepiccione, CEO The Rocks. Appassionato di tecnologia e laureato in Informatica, Antonio ha esordito come IT e Project manager per poi diventare imprenditore. Amante della vita in “trincea” fatta di sfide quotidiane e relazioni con il cliente, è dalla 2014 alla guida di The Rocks.

La Masterclass è online e gratuita, iscriviti adesso per prenotare il tuo posto in prima fila! Così, se proprio non ce la farai a seguirla in diretta, potrai recuperarla on demand, attraverso la tua area utente.

Ci vediamo mercoledì 19 Maggio alle 13.

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team da ufficio e da remoto

Team da remoto e in ufficio: come migliorare la collaborazione a distanza

L’accelerazione digitale degli ultimi due decenni ha completamente cambiato tantissimi aspetti del posto di lavoro, tra cui anche la collaborazione tra i colleghi del team.

Non è passato molto tempo da quando le riunioni e i brainstorming si svolgevano sempre in sale apposite, o almeno prevedevano che tutti si riunissero attorno a un unico tavolo. Oggi, gran parte della nostra comunicazione è asincrona e le riunioni, quando le abbiamo, sono spesso virtuali.

Questo processo, inoltre, ha subito ulteriori stravolgimenti anche a causa della pandemia da COVID-19. Ma non dobbiamo sottovalutare che lo stesso spazio di lavoro digitale saturo ci ha costretti a diventare più intenzionali nei modi in cui comunichiamo, pensando non solo a quando dobbiamo collaborare, ma a come dovremmo farlo.

Il nostro team è sempre più diviso, una parte lavora in ufficio, un’altra da remoto.

Come possiamo tenere unite le due parti anche se sono lontane? La base di tutto è, come sempre, una buona comunicazione e la fiducia reciproca

Il pubblico giusto

Team da remoto e team da ufficio vanno d’accordo?

I team da remoto sono formati da gruppi di persone che non lavorano fisicamente nello stesso ufficio ma possono essere dislocati in qualsiasi parte del mondo. Senza interazione fisica, i team da remoto possono collaborare insieme ai team da ufficio utilizzando la tecnologia digitale, condividono idee, file di lavoro e comunicando in tempo reale.

Lavorare in ufficio è sicuramente stimolante, ma a volte lo è anche troppo. Porta a uno stato d’interruzione costante, tra richieste di colleghi, qualche chiacchiera tra vicini (ma non troppo) di scrivania, in cui dobbiamo abbandonare ciò che stiamo facendo interrompendo il nostro flusso di lavoro.

Con il lavoro da remoto, siamo completamente responsabili di come e quando lavoriamo, attraverso diverse forme di comunicazione come le videoconferenze, nonché la posta elettronica o le apposite chat.  

LEGGI ANCHE: Come Google o come Dropbox? Il lavoro da remoto non funziona per tutti

Inoltre, il rapporto a distanza tra un team da remoto e un team da ufficio aiuta anche a migliorare il contenuto della comunicazione. Quando stiamo facendo una riunione dal vivo, c’è spesso una pressione inespressa per rispondere immediatamente se viene posta una domanda. Ma le risposte istintive, su cui non abbiamo troppo ragionato, sono raramente prese in considerazione e possono portare a decisioni sbagliate.

Al contrario, quando comunichiamo a distanza, abbiamo più spazio per riflettere su una domanda, pensando attentamente sia a ciò che vogliamo dire sia al modo più efficace per dirlo. Di conseguenza, la collaborazione diventa più misurata, ragionata e ponderata.

Insomma, in un’azienda avere un team che lavora dall’ufficio e un altro che opera da casa, sembra un ottimo compromesso per lavorare nel migliore dei modi. Ma il rapporto tra i due gruppi è davvero così idilliaco come sembra?

Migliorare la collaborazione tra team da remoto e team in ufficio

Partiamo dal presupposto fondamentale che una collaborazione di successo richiede fiducia e un’ottima comunicazione. Questa è la prima regola da ricordare indipendentemente dal nostro luogo di lavoro, che sia in ufficio, da casa o su Marte.

Le aziende e i brand sono alla ricerca di diverse strategie per migliorare la comunicazione tra i dipendenti remoti e quelli in ufficio per una collaborazione produttiva ed efficace.

Ci sono persone che hanno più difficoltà a interagire, durante una riunione, con chi è lontano, ma preferiscono che la conversazione avvenga dal vivo e che sia faccia a faccia.

Ovviamente ciò diventa limitante quando si lavora con chi non può recarsi in ufficio per diversi motivi, ma è importante superare questi limiti fisici.

Una collaborazione efficace tra i dipendenti è fondamentale per la crescita della propria azienda. E allora come fare?
Ecco 15 strategie per ottenere un’intesa perfetta tra team da remoto e team da ufficio.

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manager

1. L’importanza dell’ascolto

Quando il nostro interlocutore sta parlando, lo ascoltiamo davvero? A volte succede che siamo più intenti a pensare cosa rispondere invece che ascoltare ciò che ci sta dicendo.

È importante ascoltare e non solo parlare, soprattutto durante una riunione quando le persone sono tante e non sono tutte nella stessa stanza.

Ognuno dei membri del team, che sia da remoto o in ufficio, vuole dare il proprio contributo. Tener presente i diversi punti di vista, ascoltando attentamente ogni opinione è fondamentale.

Una comunicazione efficace, quindi, è la chiave per migliorare la collaborazione con il proprio team da remoto. Prima di entrare nel vivo del discorso, bisogna accertarsi che tutti dispongano degli strumenti adeguati e che siano gli stessi per tutti per trovarsi sempre allineati.

2. Ascoltare davvero significa fidarsi

È già abbastanza difficile stabilire un legame di fiducia quando si lavora a stretto contatto e nella stessa stanza. Questa sfida diventa esponenzialmente più difficile quando si collabora con un team distribuito in diverse location.

Una collaborazione di successo richiede fiducia e volontà di lavorare bene insieme.

3. Stabilire con chiarezza gli obiettivi del team

Gli obiettivi devono essere definiti fin da subito e in modo chiaro. Chi lavora da remoto deve conoscere nei minimi dettagli cosa vuole l’azienda per migliorare e aumentare la produttività di tutto il team. Pertanto è importante condurre regolarmente riunioni e call aggiornandosi a vicenda sullo stato di avanzamento e sulle attività per eseguire i processi senza intoppi.

4. Analizzare le idee del nostro team

Non possiamo limitarci solo ad ascoltare le idee dei nostri colleghi, ma dobbiamo immaginare come potrebbero beneficiare all’azienda le proposte fatte. Dobbiamo abbandonare per un attimo il nostro punto di vista e adottare quello degli altri per capire appieno le soluzioni suggerite analizzandone i pro e i contro.

5. Essere curiosi e autentici

L’esperta comportamentale, la dottoressa Diane Hamilton, ritiene che la curiosità sia la chiave per sbloccare tutto il nostro potenziale umano. “Se sei autenticamente interessato al punto di vista di un’altra persona“, dice la dottoressa Hamilton, “le persone lo sentiranno e saranno più propense ad accettare le tue idee quando sarà il momento di collaborare con loro“.

6. Praticare gentilezza

Nessuno sogna di lavorare con persone scostanti e antipatiche. Ci fa sentire a disagio e preferiamo allontanarci da personalità tossiche e prepotenti.

Se i nostri collaboratori non riescono ad avere un confronto aperto con noi o con qualcun altro del team, il problema potrebbe essere negli atteggiamenti. Questo andrebbe a minare la comunicazione, la fiducia e di conseguenza la collaborazione tra le diverse parti del team. Bisogna parlarne per avere dei feedback a riguardo e cercare di superare questi ostacoli.

7. Sostenersi a vicenda

Questo potrebbe essere uno dei punti più importanti quando si tratta di collaborazione efficace tra team remoti e team in ufficio.

Sostenersi a vicenda è un valore fondamentale per un’azienda e deve fluire dai leader dell’azienda stessa.

Per il team che lavora in ufficio è più semplice ricevere sostegno rispetto a chi lavora da remoto. Per esempio, un gruppo potrebbe abbattersi perché si sente isolato rispetto a una parte dei colleghi. O la mancanza di apprezzamento potrebbe anche influenzare il morale dei membri della squadra.

Ecco perché è importante raggiungere e mantenere un flusso di comunicazione aperto per comprendere i sentimenti di tutti. Inoltre, non tutti riescono ad approcciarsi subito e in modo efficace alla cultura del lavoro a distanza. Alcuni potrebbero aver bisogno di più tempo per abituarsi.

Sostenersi a vicenda è la chiave per promuovere un team sostenibile, produttivo e collaborativo.

LEGGI ANCHE: Lavorare da casa è meglio? No se non hai la personalità e le skills giuste

8. Essere diplomatici ma sempre franchi e trasparenti

Per una collaborazione efficace, le persone devono poter esprimere senza indugi le proprie idee. Essere diretti, chiari, ma sempre con un pizzico di diplomazia, perché chi ci ascolta non deve mai sentirsi sopraffatto.

È importante essere trasparenti soprattutto con chi non è presente fisicamente ma sta lavorando in un altro posto. La mancanza di trasparenza è uno dei motivi principali di disagio, della mancanza di fiducia e dell’entusiasmo da parte dei dipendenti.

Nessuna azienda può raggiungere il suo apice se non condivide le informazioni interne ed esterne con il proprio gruppo di lavoro. Bisogna costruire una cultura di fiducia e solidarietà. Ma come mantenere la trasparenza quando si lavora da casa? Per eventuali aggiornamenti importanti bisogna sentirsi spesso con chi non è fisicamente presente in ufficio, divulgando le info necessarie per condurre nel migliore dei modi ogni compito.

9. Gestire il lavoro in tempo reale senza sparire

Il ghosting sta diventando popolare anche tra i colleghi. Con così tanti modi per comunicare, è importante tenersi aggiornati su tutti gli strumenti utilizzati dalla propria azienda.

Rispondere in un ragionevole lasso di tempo è una dimostrazione di rispetto per i propri colleghi e può aiutare a promuovere una migliore collaborazione tra i diversi team.

In chat bisognerebbe rispondere entro poche ore e alle email entro un giorno. La comunicazione in tempo reale e la condivisione d’idee sono fondamentali per guidare il lavoro quotidiano.

10. Utilizzare strumenti di collaborazione

Approfittiamo degli strumenti di collaborazione che la nostra azienda sta già utilizzando.

Sono lì per facilitare una collaborazione efficace e possono fungere da guida per creare buone abitudini. Per esempio, possiamo ricorrere alla condivisione di video e schermo invece di una semplice telefonata quando bisogna collegarsi con i dipendenti dislocati in diversi luoghi. Ciò può favorire comunicazioni più mirate e migliori relazioni a lungo termine.

La videoconferenza è la soluzione migliore per la collaborazione incrociata. Spesso è più produttivo avere una breve videochiamata o una telefonata con un collega piuttosto che scorrere una chat per 10 minuti.

11. L’importanza dei sistemi d’archiviazione

Un altro strumento fondamentale da avere nella propria suite è un valido e semplice sistema di archiviazione che possa essere utilizzato da tutti i dipendenti. Una sorta di archivio digitale in cui trovare vecchi documenti e potrete caricarne nuovi. Ma attenzione alla deprecazione dei file. Ci sono poche cose più frustranti e dispendiose che cercare un documento specifico e lavorarci sopra per ore, solo per scoprire che quel foglio è obsoleto e la versione corrente si trova in una cartella completamente diversa.

12. Essere sempre coerenti

La coerenza è un aspetto molto importante non solo nella vita privata, ma anche sul lavoro.

Essere coerenti, portare a termine i propri compiti, schierarsi e appoggiare le proprie cause fino alla fine sono tutti atteggiamenti positivi ben visti da chi lavora in un’azienda. Oltre all’apprezzamento dei nostri dipendenti, vedere che i manager sono i primi a impegnarsi nel lavoro, migliora l’umore e invoglia la collaborazione tra team diversi, sia che lavorino in ufficio che da remoto. Le persone tendono a sentirsi più a loro agio se chi sta a capo dell’azienda rispetta gli impegni che ha preso.

13. Trascorrere il tempo libero insieme con il team

Un’altra idea per migliorare la collaborazione tra team che lavorano in ufficio e team da remoto è quella di conoscersi davvero. Bisogna andare oltre l’ambiente di lavoro e viversi in un contesto più libero e informale. Imparar a conoscere gli interessi personali dei colleghi può incoraggiare una connessione più stretta, che può portare a un migliore lavoro di squadra.

14. Coinvolgere tutti i membri dei diversi team

Portare tutti sullo schermo e coinvolgerli in riunioni virtuali è un modo semplice per migliorare la collaborazione tra i reparti. Se i colleghi che lavorano da casa non partecipano tanto alle call di gruppo, potrebbero sentirsi esclusi, o forse la riunione coincide con la fine della loro giornata lavorativa.

Se gli incontri si svolgono alla stessa ora ogni settimana bisogna assicurarsi che avvengano in un orario ragionevole per tutti. Inoltre, ogni dipendente deve avere la possibilità non solo di potersi collegare, ma anche d’intervenire e apparire in video.

15. Umanizzare l’azienda

Chiedere a entrambi i team di organizzare presentazioni regolari in cui possono discutere di ciò che fanno e del lavoro che svolgono in azienda.

Chiedere a un dipendete a turno di scrivere una biografia personale su come sia arrivato ​​a lavorare per la nostra impresa, mostrarci i suoi punti di forza, le abilità che vorrebbe migliorare e magari raccontare qualcosa della sua vita privata e degli hobby, potrebbe avvicinare i diversi team.

Questo potrebbe anche essere un trampolino di lancio per pubblicare le biografie dei dipendenti sul blog dell’azienda e a umanizzarla agli occhi dei clienti. Un ottimo modo potrebbe essere quello di utilizzare i social media focalizzando l’attenzione su chi fa parte dell’azienda, invece che sul brand stesso.

Migliorare la collaborazione tra uffici è tutta una questione di sperimentazione. Bisogna provare cose nuove e la maggior parte dei cambiamenti avrà almeno un effetto positivo sui nostri team. Non dobbiamo aver paura di provare una nuova strategia. In fondo non esiste un unico modo per migliorare la collaborazione tra i diversi team: tutto si riconduce alla fiducia reciproca.

 

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ecommerce - aspetti fiscali

Gli aspetti fiscali da conoscere per il tuo eCommerce

Continua la serie di articoli di LegalBlink sulle tematiche legali del mondo eCommerce. Questa volta parliamo di eCommerce e fiscalità.

È importante conoscere i principali temi fiscali in materia di eCommerce? Assolutamente sì. Infatti, come vedremo, le questioni fiscali di un eCommerce possono influenzare il modello di un business.

Distinzione tra ecommerce B2B e B2C

Il primo tema da chiarire è la distinzione tra eCommerce che si rivolgono a clienti business o a clienti consumatori. Definiamo quindi:

B2B: la vendita di prodotti effettuata da un eCommerce ad un cliente business, dove per cliente business intendiamo un professionista che acquista prodotti nell’ambito dello svolgimento della sua attività imprenditoriale o professionale.

B2C: la vendita di prodotti effettuata da un eCommerce ad un cliente consumatore, intendendo per consumatore un soggetto che non conclude l’acquisto nell’ambito dello svolgimento della sua attività imprenditoriale o professionale.

Ai fini della distinzione, B2B e B2C non rileva quindi solamente la qualità del soggetto, ma determinante è se il cliente acquista o meno nell’esercizio della sua attività imprenditoriale.

Un fattore importante per distinguere gli acquisti B2B dagli acquisti B2C è l’inserimento, da parte del cliente, della Partita IVA al momento della conclusione dell’acquisto.

Infatti, un cliente che acquista con Partita IVA, si può presumere che stia esercitando la sua attività imprenditoriale e, di conseguenza, può essere considerato un professionista che acquista in ambito B2B.

LEGGI ANCHE: Le sfide legali a cui le aziende devono prepararsi nel 2021

L’obbligo di fatturazione

Una delle domande che più spesso ci vengono poste in ambito di eCommerce e fiscalità riguarda la gestione e l’obbligo di emissione della fattura.

Prima di affrontare il tema fatturazione nell’eCommerce, è opportuna un’altra distinzione: quella tra eCommerce diretto ed eCommerce indiretto.

L’eCommerce è diretto quando l’operazione di acquisto effettuata dal cliente, B2B o B2C, avviene totalmente online, dal momento dell’invio dell’ordine all’eCommerce fino al momento in cui il cliente riceve quanto acquistato.

Per esempio, la vendita di video-corsi online rientra nella definizione di eCommerce diretto, se il corso viene trasferito all’acquirente online senza l’utilizzo di supporti durevoli materiali.

L’eCommerce è invece indiretto quando l’operazione di acquisto avviene online tramite il sito internet del venditore, o tramite un marketplace, e il prodotto viene materialmente consegnato al cliente.

L’acquisto di un capo di abbigliamento online vale come esempio per identificare l’attività di eCommerce indiretto.

Chiarita la differenza tra eCommerce diretto ed eCommerce indiretto, analizziamo gli obblighi di fatturazione per le due tipologie di eCommerce.

L’eCommerce diretto:

  • Nelle operazioni B2C è obbligato ad emettere la fattura se il cliente consumatore è stabilito al di fuori dell’Unione Europea;
  • nelle operazioni B2B è sempre obbligato ad emettere la fattura, sia che il cliente sia stabilito nell’Unione Europea sia che sia stabilito al di fuori del territorio Comunitario.

L’eCommerce indiretto:

  • Nelle operazioni B2C ha l’obbligo di emettere fattura se i prodotti venduti non sono destinati all’Italia, ma hanno come destinazione paesi dell’Unione Europea o al di fuori dell’UE;
  • nelle operazioni B2B è sempre tenuto all’emissione della fattura, a prescindere dal luogo di destinazione dei beni acquistati dal cliente.

L’eCommerce, diretto ed indiretto, che effettua una operazione B2C nel territorio nazionale, è invece obbligato all’emissione della fattura solamente se questa viene espressamente richiesta dal cliente prima della conclusione dell’acquisto.

Se il cliente B2C stabilito in Italia, o il cliente che riceverà la consegna dei beni nel territorio nazionale in caso di eCommerce indiretto, non richiede espressamente la fattura, questa non sarà emessa dall’ecommerce, che rimane comunque obbligato all’emissione di un documento fiscale in base al caso concreto.

È importante evidenziare che, anche nei casi in cui un eCommerce non sarebbe obbligato ad emettere la fattura, l’obbligo di emissione della stessa sorge se l’acquirente richiede espressamente la fattura prima della conclusione dell’acquisto.

Inoltre, sempre con riferimento all’eCommerce indiretto, la fattura deve essere emessa senza l’applicazione dell’IVA se la vendita è destinata a paesi non inclusi nell’UE. In questo caso, sarà necessario presentare alla dogana la necessaria documentazione per l’esportazione dei prodotti ed ottenere la relativa documentazione dalla dogana di destinazione.

Ancora con riferimento alla vendita extra-UE, eventuali IVA e dazi del paese di destinazione del bene sono a carico dell’acquirente nelle operazioni B2C, salvo diverso accordo.

Applicazione dell’IVA nell’ecommerce indiretto per vendite UE

Con riferimento all’eCommerce indiretto, che rappresenta la tipologia di eCommerce più diffusa, almeno fino al 1° luglio 2021 è in vigore la disciplina dettata dal D.P.R. n. 633 del 1972.

Le vendite effettuate nel territorio UE da un eCommerce stabilito in Italia sono soggette all’applicazione dell’IVA italiana se, nell’anno solare in corso e in quello precedente, il venditore non ha superato la soglia di fatturato di euro 100.000,00 stabilita dall’Italia o la minor soglia eventualmente stabilita dal Paese di destinazione dei prodotti, per le vendite effettuate da soggetti comunitari nello stesso Paese.

Al realizzarsi di una delle due condizioni di cui sopra, l’eCommerce italiano che ha superato la soglia di euro 100.000,00 o la minor soglia imposta dal Paese di destinazione, sarà tenuto a emettere la fattura con applicazione dell’IVA prevista dal Paese di destinazione dei prodotti e a registrarsi fiscalmente, tramite un rappresentante fiscale, nel Paese stesso.

ecommerce-shopping

Le novità in arrivo

Per il 1° luglio 2021, salvo ulteriori rinvii, è fissata la data per l’entrata in vigore delle nuove regole applicabili alla disciplina dell’IVA nell’eCommerce, dettata dalle Direttive UE n. 2455/2017 e n. 1995/2019, che saranno recepite anche dall’Italia e mirano alla semplificazione degli obblighi e degli adempimenti richiesti oggi agli eCommerce per le operazioni internazionali.

Le principali novità riguarderanno l’introduzione per l’eCommerce indiretto di una nuova soglia unica pari ad euro 10.000,00, valida per tutti i Paesi UE, al di sopra della quale l’imposizione avverrà nello Stato di destinazione dei beni con conseguente applicazione dell’IVA in vigore nel Paese di destinazione.

Contestualmente all’introduzione della nuova soglia comunitaria, si avrà l’abolizione delle attuali soglie previste oggi da ciascuno Stato Membro.

La funzione di semplificazione verrà inoltre assolta dalla possibilità di adesione al Regime MOSS anche per le attività di eCommerce indiretto, oltre che per l’eCommerce diretto.

L’estensione del Regime MOSS rimane comunque opzionale, l’eCommerce avrà quindi ancora la possibilità di operare, una volta superata la soglia comunitaria di euro 10.000,00, assolvendo gli obblighi di registrazione fiscale nel Paese di destinazione dei beni e tramite un rappresentante fiscale.

I vantaggi dell’adesione al MOSS consistono tra gli altri nella possibilità, per chi vi aderisce, di poter assolvere agli obblighi di dichiarazione e di versamento IVA nel Paese di registrazione al Regime MOSS, che salvo eccezioni coinciderà con lo Stato di residenza.

In questo modo, sarà possibile evitare gli adempimenti fiscali richiesti, tra cui la registrazione nel Paese di destinazione dei beni e la necessità di un rappresentante fiscale, assolvendo gli obblighi tramite il sistema previsto dal MOSS ed ottenendo così una notevole semplificazione nell’ambito degli adempimenti fiscali eCommerce.

Importanti novità riguarderanno anche i Marketplace e le vendite effettuate tramite essi, la Direttiva UE 112/2006 prevede infatti un maggiore coinvolgimento delle piattaforme che facilitano la cessione dei beni, vale a dire i markeplace stessi, nell’attività di riscossione IVA prevedendo ulteriori obblighi rispetto agli attuali.

Conclusioni

I principali aspetti fiscali sopra esposti che un eCommerce deve tenere in considerazione per effettuare vendite B2B e B2C, in ambito di eCommerce diretto ed indiretto, sono articolati ed in continua evoluzione.

Oltre ad una costante informazione, è importante consultare esperti del settore per sviluppare al meglio il business di un eCommerce a livello nazionale ed internazionale.

Treccani Futura porta i giovani nel futuro con la Summer School Digitale Future Camp

Quali sono le tecnologie esponenziali che stanno cambiando il lavoro, la società e le nostre relazioni? Quali i nuovi strumenti e modalità digitali che stanno impattando su settori come arte, cinema, sport? Come si trasforma un’idea in una startup? Quali le sfide della nuova età dell’oro dell’esplorazione spaziale? Quali comportamenti virtuosi e sostenibili possiamo attuare per affrontare l’emergenza climatica?

Dal 28 giugno arriva Future Camp di Treccani Futura, un’esclusiva Summer School che proietta nel futuro i ragazzi dai 14 ai 24 anni: un format digitale innovativo con momenti di interazione, gioco, socialità e confronto, con il contributo di imprenditori, docenti universitari, scienziati e professionisti per un percorso formativo inedito rispetto ai tradizionali programmi di studio. Obiettivo, offrire strumenti essenziali alle ragazze e ai ragazzi per renderli dei future maker, capaci di leggere e scrivere il futuro con spirito critico, in grado di capire un’epoca di grandi e repentini cambiamenti e di affrontare con consapevolezza il proprio percorso di vita professionale e personale. 

Future Camp

LEGGI ANCHE: News Literacy: come l’alfabetizzazione digitale può salvarci dalle fake news

I format previsti sono immersivi e interattivi, attraverso un innovativo mix tra lezione online live, lavori in gruppo tramite piattaforme e strumenti dedicati, test e momenti ludici e di condivisione. Ogni studente può scegliere un percorso personalizzato tra i seguenti moduli:

Le tecnologie emergenti come Intelligenza Artificiale, Stampa 3D e Blockchain; elementi di imprenditorialità e tecniche di marketing 5.0 per creare da zero una startup; proposte e riflessioni di sostenibilità per la costruzione di un mondo green; uno Space Camp focalizzato sulle nuove opportunità dell’esplorazione spaziale; le nuove professioni legate al web e ai social network; tecniche di foresight per costruire il futuro; il cinema 2.1, capace di sfruttare nuovi canali di fruizione e linguaggi; il nuovo concetto di arte e l’incontro con mondi tecnologici e digitali; gli eSports e le nuove modalità di socializzazione in ambienti virtuali.

Treccani Futura, neonato polo di tecnologia educativa, non poteva che partire da una prima proposta formativa rivolta alle nuove generazioni. I Future Camp sono nati proprio con l’intento di fornire ai giovani approcci e strumenti nuovi per renderli persone più consapevoli e quindi capaci di leggere il presente complesso che stiamo vivendo e di scrivere e costruire oggi la migliore società di domani, in un’ottica a medio-lungo termine, oggi più che mai necessaria.

Dichiara Andrea Dusi, ideatore dei Future Camp e CEO di Treccani Futura.

Accanto ad Andrea Dusi e a Cristina Pozzi, direttrice scientifica dei Future Camp e COO – Responsabile Contenuti di Treccani Futura, questi i docenti e i contributors già previsti: Piero Poccianti, Presidente dell’Associazione Italiana di Intelligenza artificiale; Massimo Chiriatti, Italia University Programs Leader e CTO Blockchain & Digital Currencies di IBM Italia; Enrico Pandian, fondatore di startup di successo come Supermercato24 e FrescoFrigo; Alice Casiraghi, Co-Founder & Design Strategist di Future Urban Living; Alessandro Vitale, imprenditore ed esperto di intelligenza artificiale e fondatore di Conversate; Emanuela Girardi, fondatrice dell’associazione POP Ai e membro della task force di esperti del MISE sull’IA; Francesco Inguscio, found e CEO di Nuvolab; Fulvio Fortezza, professore di marketing presso l’Università di Ferrara.

Al termine delle lezioni, è prevista l’assegnazione di un diploma che attesterà le conoscenze e le competenze acquisite nel corso di Future Camp. Ognuno dei corsi, distribuiti nell’arco di 3 settimane (28 giugno – 2 luglio, 5-9 luglio, 12-16 luglio), prevede un percorso di 20 ore, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13; sono inoltre previsti percorsi diversi a seconda della fascia di età. Le iscrizioni sono già aperte. 

fake news

News Literacy: come l’alfabetizzazione digitale può salvarci dalle fake news

Da quando l’informazione è passata dalla sua forma analogica più celebre, la stampa, alla forma digitale, il web, la diffusione di notizie false o fraintendibili ha sicuramente registrato un’impennata.

Il fruitore, non sempre sufficientemente preparato, si è dovuto confrontare con due grandi, o forse tre, temi: la disinformazione, la “misinformazione” e le fake news.

Chiaro è che, per limitare questi fenomeni, è necessario che l’utente medio abbia un’alfabetizzazione digitale, o più propriamente una news literacy, in grado di fargli scoprire fin da subito quali notizie siano attendibili e quali no, ma anche che i diversi organismi di controllo a livello europeo e mondiale siano pronti a prendere provvedimenti contro chi diffonde notizie false, al fianco dei grandi player del web come Google o Facebook.

Il percorso è sicuramente lungo, ma da qualche parte si dovrà pure iniziare.

La News Literacy spiegata e un piccolo glossario

Partiamo riprendendo i tre vocaboli disinformazione, misinformazione e fake news della nostra intro e facciamo un po’ di chiarezza.

La disinformazione è la condivisione di notizie false e maliziose condivise deliberatamente per fare danni; la misinformazione è la condivisione di notizie false o inesatte senza intento malizioso; per fake news, invece, intendiamo le notizia false in sé.

Da uno studio dello scorso anno, un terzo della popolazione mondiale si imbatte ogni giorno in notizie false, perché infondate o perché riportano immagini o contenuti modificati. Numero incrementato fortemente in seguito alla situazione pandemica, quando ognuno si è sentito libero di condividere e dire la propria, anche da non esperto.

LEGGI ANCHE: India accusata di censura. Rimossi da Twitter post critici su gestione Covid

Le notizie false possono essere condivise sia in maniera dolosa che inconsapevole, ma anche premeditatamente, creando profili fake o sistemi di AI che la divulghino.

Più una notizia tratta di temi nazional popolari e caldi, più otterrà buoni livelli di condivisione e sarà in grado, anche se incorretta, da manipolare intere fette di popolazione.

Ecco allora che il primo superpotere che ogni individuo ha a disposizione è l’alfabetizzazione digitale o News Literacy.

La News Literacy è definita come l’intelligenza critica che un individuo è in grado di acquisire e che gli permette di discernere le notizie vere da quelle false, andando a indagare e approfondire le fonti da cui questa informazione arriva, chi l’ha condivisa e attraverso quali canali.

Credo sia importante partire dal chiamare in causa quei soggetti che sono responsabili in modo prioritario della creazione delle news: i giornalisti.

Un giornalista dovrebbe scrivere di fatti reali, comprovabili da fonti autorevoli e in maniera indipendente ed imparziale. Il suo ruolo è, infatti, quello di dare informazione a chi legge.

Chiaro è che, essendo umano anche lui, ha la libertà e facoltà di dare delle opinioni, ma dovrebbe lasciar libero il lettore di distinguere i fatti dalle considerazioni di carattere personale.

Intorno ai giornalisti più autorevoli, molte volte, si creano delle vere e proprie community in cui i partecipanti condividono valori simili e sono coinvolti emotivamente, annotazioni che il giornalista deve essere in grado di cogliere dando forma al suo ruolo più importante: essere la voce di tutti.

Fatta questa premessa sul primo attore della News Literacy, ora è importante passare al focus sul vero protagonista: il lettore.

Lo scenario non ci permette di affermare che chiunque legga sul web sia abbastanza alfabetizzato da poter distinguere in modo facile e corretto notizie false da quelle vere, ma gli sforzi, soprattutto sulle nuove generazioni, stanno diventando sempre più importanti.

L’alfabetizzazione digitale passa per l’insegnare ai fruitori ad avere una mente critica in materia di analisi della notizia: verificare le fonti da dove questa proviene, individuare il grado di imparzialità ed affidabilità, oltre che mettere attenzione al contesto nella quale questa viene condivisa.

Una notizia vera vi dimostra perché lo è, non vi chiede di fidarvi.

Quindi, quando siamo davanti ad un contenuto digitale e non sappiamo se fidarci o meno, utilizziamo questa lista:

  1. Prenditi del tempo per chiederti se questa notizia ha un tono provocatorio o emotivo, o se invece è del tutto imparziale
  2. Ricorda: i meme non sono notizie
  3. Likes e condivisioni non sempre sono sinonimo di credibilità
  4. Non dimenticarti delle fonti, da dove viene la news? È una fonte autorevole?
  5. Chi sta scrivendo l’articolo o il post, è un esperto o solo un utente del web che vuol dire la sua?
  6. Attento ai troll, passa e non ti curar di loro
  7. Evita il più possibile di farti coinvolgere nelle teorie cospiratorie, crea una tua coscienza critica

Ecco anche un piccolo glossario.

Trolls: sono strumenti usati con lo scopo di infiammare l’opinione pubblica attraverso l’utilizzo di parole o immagini deliberatamente offensive

Sockpuppets o i cosiddetti profili fake che, attraverso false identità, diffondono fake news.

Bots: risponditori automatici che danno l’impressione all’utente di parlare con una persona reale. Non sempre sono usati per fare disinformazione, ma sono applicati anche dalle grandi aziende per creare un customer care, ad esempio, più efficiente.

Cosa stanno facendo le organizzazioni mondiali e l’Europa per contrastare la misinformazione

Se pare chiaro che la disinformazione e la misinformazione si combattono principalmente con l’alfabetizzazione così da renderli consapevoli nell’individuare quali siano le notizie vere, è necessario, come già sta succedendo, che anche le organizzazioni mondiali siano al passo con la creazione di regole e punizioni specifiche per chi diffonde e si rende protagonista di una cattiva informazione.

In Europa, si parla dal 2015 di Digital Service Act, un provvedimento legislativo volto a regolamentare tutte le informazioni divulgate dai media online in particolar modo dedicato al loro codice di condotta, sempre più richiesto come etico e che non favorisca la diffusione di fake news.

Insomma, un nuovo impegno nel quale l’UE vuol credere per la creazione di un mercato unico con protagonista il web e i loro contenuti.

Le manovre incluse variano dalla demonetizzazione di siti e ADS che promuovono fake news, al rendere obbligatorio per le piattaforme la condivisione di flussi di informazione e comportamento fino al lasciare la possibilità agli utenti di fornire un ranking di apprezzamento o, al contrario, di segnalazione per i siti che consultano.

Nel concreto le proposte avanzate sono:

  • La rimozione di un contenuto considerato illecito, modificando la responsabilità della piattaforma divulgante le informazioni. Questa viene considerata primariamente responsabile delle notizie che mette a disposizione sottointendendo che la stessa dovrebbe conoscere i suoi clienti e fornitori.
  • La creazione di un sistema di segnalazioni a disposizione dell’utente dove lo stesso può segnalare contenuti o fonti.
  • Un’informativa più trasparente in materia di contenuti pubblicitari e raccolta dati di profilazione.
  • La comunicazione precisa del perché un determinato account sia stato segnalato o bloccato dagli altri utenti.
  • La responsabilità ricade sulle piattaforme che devono fornire spiegazioni in merito a come vengono mostrati annunci pubblicitari e contenuti, in merito alla rimozione di alcune news rispetto ad altre e ridare il potere nelle mani dell’utente che deve essere libero di sottostare o meno alla (facoltativa) profilazione.
  • L’utente deve poter consultare regolamenti e policy, anche in materia di privacy e decidere se ricevere ancora promozioni dedicate e basate sulla profilazione o meno.

Fact-cheking program, lo strumento utilizzato da Facebook

Quando si parla di online policy e News Literacy non possiamo non citare uno degli esempi più conosciuti e più chiacchierati: Facebook.

Il social network di Mark Zuckerberg è stato spesso nell’occhio del ciclone. In particolare, una delle ultime decisioni riguarda il tema della satira politica e della sua limitazione nella diffusione online.

In parole povere, se i sistemi di fact-checking di Facebook individueranno dei contenuti in cui si fa della satira, anche politica, non li penalizzerà nel suo algoritmo.

La polemica? Non tutti gli utenti sono in grado di discernere un contenuto satirico dalla realtà andando quindi a percepire vero un contenuto, invece, ironico.

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Approfondiamo: i sistemi fact-checking di Facebook

Il gruppo si affida a strumenti di fact-checking, anche terzi, in grado di controllare i contenuti presenti online, andando a nascondere o limitare contenuti lesivi per il consumatore, con particolare attenzione alla disinformazione che questi possono produrre.

La procedura parte con l’individuazione delle potenziali notizie false in base alla segnalazione degli utenti, di eventuali commenti negativi anche individuati grazie a sistemi di AI e prosegue con l’analizzare i contenuti segnalati con il fact-checking che controlla:

  • se un testo è stato alterato;
  • se le fonti citate sono attendibili;
  • se le immagini non sono false o volutamente modificate.

Se un contenuto è rilevato come falso, allora viene anche etichettato come tale e viene limitato nella visualizzazione per gli utenti. Infine, se si individua un trasgressore recidivo, questo subirà delle conseguenze, come sanzioni o l’impossibilità di pubblicare per diverso tempo.

Quindi, cosa c’entra la satira? Un consumatore informato e alfabetizzato sarà in grado di discernere il vero dall’ironico, ma è corretto che Facebook abbia deciso di escludere a priori di sottoporre i temi dei politici dal suo sistema di fact-checking perché, in ogni caso, degni di nota e di informazione per gli utenti?

L’unica limitazione verrà, al contrario, applicata ai video considerati deepfake, ossia quei contenuti multimediali modificati tramite intelligenza artificiale che fanno dire o fare ai protagonisti cose assolutamente non vere. Video in cui i politici sono i protagonisti più gettonati.

“Fashionscapes: A Living Wage”, il docu-film di North Sails

A otto anni dalla tragedia del Rana Plaza, che costò la vita a oltre mille persone, North Sails prende posizione contro lo sfruttamento dei lavoratori dell’industria tessile nei Paesi in via di sviluppo. Fedele alla filosofia “Go Beyond” del brand, North Sails ha scelto di allearsi con Livia Firth e il regista di The True Cost, Andrew Morgan supportando il docu-film A Living Wage, per denunciare le condizioni intollerabili in cui operano i lavoratori dell’abbigliamento e la necessità inderogabile di riconoscere loro diritti e un salario adeguato.

Docu-film di denuncia

A Living Wage è un viaggio drammatico, raccontato attraverso la voce dei diretti interessati e dei migliori avvocati, che stanno lavorando per sostenere la prima legge UE a favore del Living Wage, ossia il salario minimo che permetta ai lavoratori di condurre una vita dignitosa.

Questo documentario ci ha aperto gli occhi. Noi di North Sails Apparel l’abbiamo visto e credo che anche tutti gli attori nel settore dell’abbigliamento dovrebbero guardarlo. Alcuni dati sono davvero scioccanti … 6 $ al mese per 400 ore di lavoro ?!

ha commentato Marisa Selfa, CEO di North Sails Apparel.

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I marchi di fast fashion per anni hanno mentito sulla situazione dei salari dei lavoratori dell’industria tessile nei Paesi in via di sviluppo. Ora sono obbligati a cambiare grazie a un gruppo di donne: da un lato, le lavoratrici della supply chain dell’’abbigliamento, che vivono quotidianamente una situazione di povertà, degrado e ingiustizia; dall’altro, professioniste in ambito legale. Il risultato sono un report e una strategia basati sul rispetto e sull’impegno reciproci. I marchi e i rivenditori che hanno sempre sostenuto che un salario dignitoso non sia possibile, dovranno renderne conto. Le promesse non mantenute saranno contestate sulla base del diritto e sul rispetto dei diritti umani. Ora vedo un giorno in cui otterremo giustizia per i lavoratori dell’abbigliamento.

ha sottolineato Livia Firth, founder di Eco-Age.

“Fashionscapes: A Living Wage” è supportato da North Sails e The Circle, l’ONG globale impegnata a creare un mondo più equo, aiutando le donne a raggiungere l’emancipazione economica e a porre fine alla violenza di genere, ed è disponibile sulla piattaforma Eco-Age Tv a partire da sabato 24 aprile 2021.

gafa

TikTok, Twitch e le altre piattaforme che possono mettere in crisi il monopolio del GAFA

È indubbio che il mondo del web e del mobile sia al momento dominato dai nomi di Google, Amazon, Facebook e Apple, le 4 multinazionali digitali comunemente identificate con GAFA, l’acronimo che unisce le loro iniziali.

Il 2021 sarà l’anno in cui cominceremo a vedere l’affermazione definitiva di qualche nuovo player o la crisi di uno di questi giganti del web?

Le statistiche relative al fatturato o al numero degli utenti di questi giganti della tecnologia continuano a dipingere per loro uno scenario ancora roseo, a tal punto che il CEO di JPMorgan, in una lettera agli azionisti, ha citato come principali concorrenti, oltre alle altre istituzioni del comparto Fintech, anche aziende come Amazon, Apple, Facebook, Google (e Walmart).

È recente la notizia che il servizio Prime di Amazon ha raggiunto 200 milioni di utenti, con un incremento del 33% rispetto ai numeri di gennaio 2020.

Riteniamo che un cambio completo dello scenario sia quindi ancora lontano, ma dobbiamo dare atto che è in corso una diversificazione dell’utilizzo dei canali digitali. Stanno emergendo infatti nuove piattaforme e nuovi modi di utilizzo dei servizi digitali destinati a sottrarre ai 4 giganti frazioni sempre più considerevoli del tempo trascorso dai navigatori online e della raccolta pubblicitaria.

Oltre all’esplosione di Clubhouse e del social audio, che ha caratterizzato i primi mesi del 2021, meritano una particolare attenzione Fortnite, Twitch, Snapchat e TikTok.

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Fortnite

Cominciando ad analizzare questi nuovi fenomeni, prendiamo in esame Fortnite, un’app di gaming che sta radicalmente modificando il concetto dell’intrattenimento e del divertimento online.

I numeri di Epic Games, la casa di video giochi che sviluppa Fortnite, continuano a essere interessanti nonostante la battaglia legale con Apple: 350 milioni di utenti (dati ufficiali di Epic Games aggiornati a maggio 2020), una stima di oltre 400 milioni di fatturato e un utilizzo medio da parte dei suoi utenti da 6 a 10 ore a settimana.

Uno degli aspetti che caratterizza Fortnite è la capacità di fungere da catalizzatore per la costruzione di legami sociali tra i partecipanti al gioco. Un interessante studio di NRG rivela infatti che il suo pubblico attribuisce agli aspetti di connessione sociale una delle principali motivazioni alla scelta di questo gioco.

A differenza di altri giochi analoghi, in questa piattaforma gli aspetti di collaborazione e di creazione di una community sono incentivati e non scoraggiati, in quello che NRG chiama il “community – competition paradox”.

All’interno di Fortnite le caratteristiche di collaborazione, collegamento e appartenenza – tipiche delle community – convivono infatti accanto a quelle di individualità, confronto e ricerca dello status – tipiche delle competizioni.

In Fortnite abbiamo quindi una delle massime espressioni di social gaming, fenomeno che, certamente stimolato dall’impatto dei lockdown e delle restrizioni che hanno favorito le occasioni di interazione online con amici e parenti, è destinato a durare e ad incoraggiare la diffusione di giochi che facilitino le esperienze di condivisione.

Ma Fortnite non è solo social gaming. Alla base del funzionamento della piattaforma c’è Unreal Engine, un software che può anche essere utilizzato per la produzione di serie TV, film musicali, eventi come quello di Travis Scott – che potete vedere nel video seguente – o la promozione di film come Tenet di Cristopher Nolan.

Twitch

Anche Twitch, con le sue funzionalità integrate di chat e livestreaming, è una piattaforma utilizzata dai gamers ma sarebbe riduttivo restringerla unicamente a questo ambito.

Twitch è infatti divenuta un canale di riferimento per il livestreaming di contenuti prodotti dagli utenti e sta gradualmente estendendo le proprie funzionalità per diventare una piattaforma completa di intrattenimento e riempire il gap tra giochi e TV.

Diventata di proprietà di Amazon nel 2014, Twitch può vantare oltre 9 milioni di utenti nel mondo, di cui circa il 12% in Italia, secondo i dati forniti da Blogmeter. Gli utenti sono prevalentemente studenti, Millenials, di sesso maschile, con un marcato interesse verso gli eSports.

Molti dei contenuti sono relativi ai giochi ma si possono trovare anche canali che trattano gli argomenti più disparati: dal fitness ai DJ set, dalle ricette di cucina alle semplici conversazioni.

Si tratta quindi di una piattaforma molto interessante, visto l’audience costituito prevalentemente da Millenials e Generazione Z, per tutte le aziende che vogliono entrare in contatto con le nuove generazioni, categorie di cui molto spesso è difficile individuare gusti e tendenze.

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Snapchat

Un’altra app da tenere in considerazione è Snapchat. In Italia questa piattaforma viene spesso sottovalutata perché ha poco più di 2 milioni di utenti ma in realtà, già dal suo lancio, si è rivelata essere molto innovativa. Non dimentichiamo infatti che le Storie, ormai imitate e adottate da Facebook e da quasi tutti gli altri social, sono un formato inventato appunto da Snapchat.

Uno dei punti di forza di questa app sono le funzionalità di Realtà Aumentata quali filtri, lenti e smart glasses (occhiali dotati di obiettivo fotografico e in grado di registrare brevi segmenti video).

Di recente, Snap ha raggiunto un accordo con il museo della contea di Los Angeles (LACMA) per la creazione di 5 monumenti in Realtà Aumentata.

Il progetto denominato Monumental Perspectives, nasce con l’obiettivo di raccontare aneddoti e storie poco note associate ad alcuni luoghi di Los Angeles, arricchendo le installazioni con opere di digital art visibili attraverso una Snapchat camera.

snapchat instalalzione LACMA

Fig. 1: No Finish Line di Glenn Kaino (Fonte: Glenn Kaino e Snap Inc.)

Il progetto di Snapchat con il museo di Los Angeles è solo il più recente tra quelli che hanno visto l’azienda fondata nel 2011 da Evan Spiegel, Bobby Murphy e Reggie Brown impegnarsi nel settore artistico: le installazioni di Jeff Koons, Damien Hirst e City Painter sono tutte perfettamente in linea con la volontà di posizionare la piattaforma come strumento per creare e promuovere un movimento artistico basato sull’arte digitale.

Grazie a queste funzionalità innovative e alla recente crescita della tecnologia degli NFT, che faciliterà la diffusione della digital art, Snapchat ha certamente tutte le caratteristiche per diventare la piattaforma di riferimento nell’Augmented Reality.

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TikTok

Uno dei social network di cui si è parlato di più negli ultimi mesi è certamente TikTok.

L’app di proprietà della società cinese ByteDance sta avendo un trend di crescita veramente impressionante. Tra tutte le statistiche disponibili, è interessante osservare il grafico pubblicato dal Financial Times (v. Fig. 2) che riporta il tempo impiegato dai vari social network a raggiungere un miliardo di utenti: 3 anni per TikTok contro gli 8 anni di Instagram e Facebook.

Anni TikTok 1 miliardo utenti

Fig. 2: Utenti attivi su base mensile vs. anni dal lancio (Fonte: Financial Times).

Anche in Italia, i 6.3 milioni di utenti (secondo gli ultimi dati Audiweb-Nielsen) ne confermano la notevole diffusione presso un pubblico sufficientemente esteso.

Descrivere il fenomeno TikTok richiederebbe uno spazio più ampio e comunque vi sono numerosi altri articoli, anche su Ninja, che trattano questo argomento. Ci limitiamo qui ad evidenziare che aziende come Amazon, Fendi, Furla, Vodafone, Barilla, Rai Cinema, Yves Rocher, solo per citarne alcune, stanno investendo nella presenza e nella promozione del loro marchio su TikTok.

A conferma del fatto che questo social network si sia già ricavato uno spazio importante nel panorama dei social media, tutte le principali piattaforme concorrenti hanno aggiunto o stanno per rilasciare il supporto degli short video: Instagram Reels, YouTube Shorts, Snapchat Spotlight.

Nuovi modi di utilizzo

Concludiamo rilevando infine che si stanno affermando nuovi modi di utilizzare i canali social.

Accanto al già citati social gaming e community – competition paradox negli esports, stanno assumendo una crescente importanza alcuni fenomeni (e relativi player) che verrà la pena monitorare nei prossimi mesi perchè destinati ad un ruolo sempre più rilevante, come il livestream shopping, la diffusione della collaboration house fondate dagli influencer di TikTok, i tentativi di portare i social media anche sulla televisione di casa, la diffusione di concerti virtuali (Justin Bieber e The Weeknd su TikTok, Travis Scott su Fortnite).

Basterà per mettere in crisi il monopolio delle GAFA?

Si può ridurre il digital divide nelle scuole? La rivoluzione di Open Fiber

Vi siete mai chiesti quanto tempo, in media, trascorriamo su Internet? Passiamo all’incirca 6 ore della nostra giornata a navigare nell’oceano del web. E perché lo facciamo? Principalmente per comunicare con gli altri, essere informati su cosa succede nel mondo, e spesso connessi anche per divertimento.

Internet è un universo di opportunità che ci permette non solo di tenerci in contatto con tutti, ma anche di approfondire le nostre conoscenze, solleticare le nostre curiosità o semplicemente svagarci dopo una lunga giornata, guardando film, serie TV o video divertenti. Quante cose sono cambiate negli ultimi decenni con la cosiddetta rivoluzione digitale? Un termine che abbiamo sentito tante volte, e che nell’ultimo anno ha assunto un nuovo valore.

Accelerazione digitale ai tempi del COVID-19

Più che di rivoluzione, parliamo di una fortissima accelerazione. A causa del COVID-19 le nostre abitudini sono cambiate. Se prima ordinare un panino con un click ci sembrava pura comodità, con la pandemia è diventata un’esigenza. Se acquistare vestiti sul web ci sembrava una buona idea per non incontrare una fila chilometrica alle casse dei negozi, adesso è diventato il modo più veloce e sicuro per fare shopping. Ma questa è solo la punta dell’iceberg.

Anche tante realtà aziendali e scolastiche si sono dovute adeguare a gestire compiti e mansioni da remoto. La quotidianità di tutti è stata stravolta da avvenimenti così grandi che hanno costretto le persone a ritirarsi a vita privata, in un grande stato di standby. L’unico modo per continuare ad andare avanti? Restare online.

Ovviamente non è stato facile per tutti. Spesso diamo per scontato che accedere a Internet sia immediato per chiunque e in tutte le città italiane, quando molto spesso,  soprattutto in molti borghi e piccoli Comuni, non si dispone di una rete performante. Avete mai sentito parlare di digital divide?

digital divide

Digital divide: come abbatterlo?

Il digital divide è il divario che sussiste tra coloro che possono utilizzare senza troppe difficoltà le nuove tecnologie, accedendo a Internet, e quelli che non possono farlo. I motivi sono svariati, possono infatti essere tecnici, economici o sociali. 

Quando parliamo di problematiche economiche e sociali ci stiamo riferendo a quella fascia della popolazione più svantaggiata che non può permettersi gli strumenti necessari. Con l’accelerazione digitale dell’ultimo anno, queste persone sono rimaste purtroppo indietro, avendo ripercussioni sul piano scolastico, culturale e lavorativo. 

Se invece ci riferiamo agli aspetti puramente tecnici di assenza dell’infrastruttura, stiamo parlando di quelle zone del nostro Paese in cui l’accesso a Internet, in generale, e alle nuove tecnologie, come quelle in fibra ottica, in particolare, è completamente precluso, o quasi.

Può sembrarci strano, ma sono in molti ad avere difficoltà di questo tipo. Ci sono poi quelle attività che non dovrebbero mai farne a meno, perché Internet è una risorsa fondamentale e inclusiva, che riguarda tutte e tutti. Tra queste realtà purtroppo dobbiamo necessariamente annoverare le scuole.

LEGGI ANCHE: Digital Divide e competenze digitali in Italia: a che punto siamo

Il problema del Digital Divide nelle scuole

Il digital divide è un problema serio che molte scuole hanno vissuto in prima linea. Abituati a trascorrere la mattinata in classe e gran parte del pomeriggio a studiare sui libri, tutti gli alunni si sono ritrovati nella propria stanzetta, i più fortunati, a passare ore davanti al PC dalla mattina alla sera, vivendo una scuola a distanza, lontano dai compagni di classe e dagli insegnanti.

Stessa sorte è toccata ai più piccoli, quelli della materna. Ma come spiegare a bambini e bambine che non possono più giocare o colorare insieme? E gli universitari, finalmente liberi dagli orari scolastici e ora perennemente al PC. Quanti si sono laureati in giacca e pigiama?

Un cambiamento enorme di certo non facilitato da connessioni ballerine, ma non solo per ragazzi e ragazze. Molti sono stati gli insegnanti che si sono ritrovati a confrontarsi con strumenti a cui non erano abituati ma hanno dovuto imparare in fretta. 

Ma come si può superare il digital divide in ambito scolastico?

digital divide

La rivoluzione di Open Fiber parte dalle scuole

Open Fiber è un operatore wholesale only che ha come mission quella di realizzare un’infrastruttura a banda ultra larga (BUL) in Italia. Il suo obiettivo è proprio quello di creare un futuro in cui la nuova tecnologia in fibra ottica potrà cambiare la vita di tutti, a partire dai piccoli borghi fino ad arrivare alle grandi città.

In un periodo delicato come questo, è necessario migliorare lo stile di vita delle persone, delle famiglie e anche delle imprese attraverso il superamento del tanto agognato digital divide.

La rivoluzione di Open Fiber passa anche dalle scuole garantendo più servizi, velocità, accessibilità e affidabilità a molti istituti scolastici.

La svolta dell’Istituto Alighieri Kennedy di Torino

È il caso dell’Istituto Alighieri Kennedy di Torino che era già dotato di una connessione informatica fin dagli anni ’90, ma negli ultimi 5 anni aveva avviato i lavori per la connessione interamente in fibra ottica nella sede principale dell’Istituto. Il cambiamento è stato enorme e immediato.

La connessione ultraveloce in fibra ottica ha permesso di svolgere attività didattiche in molte classi simultaneamente senza avere problemi di disconnessione o lentezze di caricamento. Nel loro caso specifico, i ragazzi erano già abituati a lavorare online e in modo cooperativo anche prima della didattica a distanza, ma le attività erano legate essenzialmente a progetti e laboratori sia in presenza che da casa.

La chiusura delle scuole senza possibilità di frequenza ha trasformato drasticamente il modo di svolgere le attività progetto. Senza una connessione a Internet adeguata l’esperienza in DAD rischiava di essere poco fluida e non fruibile, ma grazie alla connessione interamente in fibra ottica non ci sono stati grossi intoppi. Gli stessi alunni dell’Istituto hanno notato e riconosciuto il cambiamento tra la connessione precedente e la rete FTTH. Ma questo non è di certo l’unico caso.

Come cambia l’Istituto Aleandri

L’Istituto Aleandri è una delle oltre 10.500 scuole raggiunte dalla fibra ottica FTTH di Open Fiber che, allo scoppio della pandemia, si è subito mobilitato per attivare forme di didattica alternative in grado di sopperire alle lezioni in presenza. Ma anche in questo caso l’inizio è stato traumatico. Di certo non è stato un lavoro semplice soprattutto coordinare i docenti più anziani che hanno avuto un’enorme difficoltà a mettersi a pari con i tempi. Ma non è stato facile nemmeno per i ragazzi, spesso spaesati e demotivati. 

La connessione interamente in fibra ottica è stata fondamentale per svolgere in maniera ottimale tutte le lezioni. I problemi antecedenti al suo utilizzo erano soprattutto di sovraccarico della linea con videochiamate lente e difficoltà di caricare compiti in tempo reale. Con il suo utilizzo queste problematiche sono venute meno, ottimizzando i tempi. 

L’Istituto Comprensivo di Palena-Torricella Peligna contro il digital divide

Abbiamo poi l’Istituto Comprensivo di Palena-Torricella Peligna che si compone di 17 plessi dislocati su 9 piccoli Comuni in un’area interna della provincia di Chieti. Anche qui la pandemia ha rappresentato una sfida per la scuola e al disagio dell’isolamento si è aggiunta la difficoltà della didattica a distanza, con i limiti della connessione. Ciò nonostante i docenti hanno messo in campo le proprie competenze e fondamentali sono stati le figure dell’animatore e del team digitale, oltre alla dotazione tecnologica già a disposizione. 

La scuola ha infatti concesso in comodato d’uso agli studenti tutti i notebook disponibili, ma non è finita qui. Il plesso ha avviato dei lavori per una connessione informatica veloce e potente, un accesso alla rete rapido e senza interruzioni. È stata la sindaca di Lettopalena, la dott.ssa Carolina De Vitis, con la sua Amministrazione, a dotare gran parte dell’istituto della tanto attesa fibra ottica FTTH. La connessione interamente in fibra ottica permette di sfruttare le potenzialità della rete condivisa tra più postazioni contemporaneamente e di valorizzare la dotazione tecnologica e le competenze digitali acquisite negli anni. Inoltre i servizi rivolti agli studenti implementati grazie all’utilizzo della fibra ottica hanno permesso:

  • la creazione di reti tra le piccole scuole all’interno dell’Istituto;
  • la gestione delle pluriclassi;
  • il coinvolgimento attivo del territorio e dei genitori;
  • la collaborazione fra realtà scolastiche appartenenti a territori lontani;
  • l’implementazione di un’istruzione di qualità attraverso la realizzazione di laboratori didattici linguistici, informatici e di coding;
  • la comunicazione interna ed esterna.

La rete FTTH favorisce un apprendimento oltre l’aula innovando la scuola. In contesti come questi mettercela tutta per superare il digital divide è importante. Bisogna garantire un’offerta formativa di qualità agli studenti che rappresentano il domani di un territorio a rischio di spopolamento.

Gli istituti connessi nella città di Lecce

Marco Nuzzaci, assessore comunale ai lavori pubblici della città di Lecce ha richiesto l’intervento di Open Fiber per cablare in fibra ottica 12 scuole del territorio comunale e garantire la continuità delle attività scolastiche online. Un’operazione che avrebbe certamente richiesto tempo per l’iter autorizzativo e per gli scavi che però è stata realizzata in soli 5 giorni.

Il Comune ha mostrato la sua capacità di fare sistema snellendo la burocrazia e lavorando costantemente per poter garantire in tempi rapidi il diritto allo studio. Numerosi sono i feedback positivi che sono arrivati da parte degli istituti scolastici e degli studenti.

Il digitale può potenziare e integrare tutto questo e, in una fase difficile come quella che stiamo affrontando, aiutarci a superare l’emergenza senza dover fermare il mondo della scuola.

Clubhouse per Android

Clubhouse per Android è arrivato e puoi già pre-registrarti sul Play Store

Benvenuti utenti Android!“. Clubhouse per Android è finalmente arrivato e sono stati gli stessi founder, Paul Davison e Rohan Seth, a darne l’annuncio tra gli aggiornamenti della piattaforma.

Clubhouse per Android: puoi invitare i tuoi amici

L’annuncio non è stato un fulmine a ciel sereno: l’azienda aveva già comunicato di essere molto avanti con lo sviluppo di un’app per il principale concorrente di iOS e di stare testando, internamente prima e con l’aiuto di alcuni esterni, poi, il software.

Con Android, crediamo che Clubhouse si sentirà più completo. Siamo molto grati a tutti gli utenti Android per la loro pazienza. Che tu sia un creatore, un organizzatore di club o qualcuno che vuole semplicemente esplorare, siamo entusiasti di darti il benvenuto nella comunità“, si legge nell’annuncio.

La versione Android di Clubhouse ha già cominciato a girare in beta il 9 maggio negli USA e presto seguirà il rilascio anche in altri paesi di lingua inglese, per poi gradualmente procedere al resto del mondo.

Il piano degli sviluppatori per le prossime settimane è quello di raccogliere feedback dalla comunità, risolvere eventuali problemi e lavorare per aggiungere alcune feature come i pagamenti e la creazione di club prima di distribuirlo più ampiamente.

Gli utenti Android possono comunque già scaricare l’app, in qualunque parte del mondo, e iscriversi. In questo modo, verranno avvisati quando le funzionalità saranno disponibili nel loro Paese.

Clubhouse per Android

Chi utilizza già Clubhouse su iOS, può anche invitare i proprio contatti che utilizzano Android: basta cliccare sulla “bustina da lettera” in alto e invitare i contatti dalla rubrica. L’operazione è fortemente consigliata proprio da Paul e Rohan. “Unitevi a noi nel dare il benvenuto ai miliardi di fantastici utenti Android di tutto il mondo nella comunità di Clubhouse. Clubhouse si sente molto più completo ora, e non potremmo essere più entusiasti“, hanno scritto nell’annuncio di rilascio.

LEGGI ANCHE: Ora tutti possono aprire un club su Clubhouse. Ecco come si fa

Perché ci è voluto tanto tempo per la versione Android di Clubhouse

Lo spiegano in maniera molto chiara i founder, i limiti sono stati soprattutto tecnici, causati dal grande successo dell’applicazione e dall’altissimo numero di iscrizioni: “Quando si scalano le comunità troppo velocemente, le cose possono rompersi. Così abbiamo fatto partire Clubhouse su una singola piattaforma e ci siamo espansi gradualmente attraverso un modello a inviti. 

All’inizio di quest’anno, Clubhouse ha iniziato a crescere molto rapidamente, poiché le persone in tutto il mondo hanno iniziato a invitare i loro amici più velocemente di quanto ci aspettassimo.

Per quanto felici del successo, la cosa ha avuto i suoi risvolti negativi, in quanto il carico ha stressato i nostri sistemi, causando interruzioni diffuse del server e guasti di notifica, e superando i limiti tecnici dei nostri algoritmi.

Questa scoperta, ci ha fatto spostare la nostra attenzione sulle assunzioni, sugli aggiornamenti e sulla costruzione dell’azienda, piuttosto che sugli incontri della comunità e sulle caratteristiche del prodotto su cui normalmente ci piace concentrarci. È stato un periodo importante di investimento, che pensiamo ci aiuterà a servire la comunità molto meglio nel lungo periodo.
La cosa buona di questo periodo è che ci ha mostrato quanto la voce sia universale come mezzo di comunicazione”.

LEGGI ANCHE: Cos’è Clubhouse, il social audio su invito amato da VIP e Venture Capitalist

Il sistema a invito rimarrà anche su Clubhouse per Android

Gli sviluppatori e il team di Clubhouse ha sempre adottato un approccio misurato alla crescita, mantenendo il team abbastanza contenuto  e ricevendo moltissimi feedback dalla comunità durante il percorso di crescita.

cina clubhouse

Come parte dello sforzo per mantenere questa crescita misurata, l’azienda confermerà il sistema di inviti e di liste d’attesa, assicurandosi che ogni nuovo membro della comunità possa portare con sé alcuni contatti, grazie al set di inviti disponibile al momento della registrazione.

Cos’è Clubhouse

Se ancora non lo sapessi, Clubhouse è una piattaforma di social media basata sui contenuti audio, una sorta di podcast interattivo in tempo reale. Le conversazioni sono organizzate in chat tematiche tra le quali si può navigare e si può scegliere di partecipare alla conversazione o limitarsi ad ascoltare. Le chat possono anche essere create dagli iscritti al servizio.

head of digital

Head of Digital: 6 competenze chiave da coltivare per stare al passo coi tempi

AAA Head of Digital cercasi! Guidare e dirigere un team digitale, avere una visione d’insieme dei canali web e dei canali di social media aziendali, accompagnati da una visione strategica dei prodotti e delle attività di marketing, non è compito da tutti. Per questo motivo un vero Head of Digital deve avere molte frecce nella sua faretra, per fare centro e raggiungere ogni obiettivo.

Il suo lavoro non si basa solo su numeri e dati, ma deve includere creatività, gestione delle risorse, relazioni con fornitori e stakeholder, per garantire che la presenza online dell’organizzazione di cui si occupa possa continuare a crescere in un periodo di particolari opportunità quando si parla di digitale.

E quali sono le armi migliori del nostro moderno centauro del web? Naturalmente le digital skill. Competenze trasversali che possono andare dall’eCommerce al digital branding, dal data analytics al customer experience design.

Head of Digital: chi (e cosa) cercano le aziende di oggi

Non c’è ombra di dubbio che la pandemia abbia dato un boost alla digitalizzazione, anche in aree geografiche come l’Italia in cui le aziende stentavano a intraprendere la via del digitale. Oggi abbiamo avuto la possibilità di conoscere all’improvviso il grande potenziale di Internet in ogni singolo business, ma mancano ancora figure professionali in grado di accompagnare le imprese verso la crescita legata alla digital transformation.

colloquio di lavoro

Presto, infatti, sarà necessario distinguersi dalla concorrenza per poter continuare a essere produttivi e a sviluppare il business online. E per farlo saranno necessari esperti e professionisti qualificati, primi fra tutti Head of Digital, vale a dire responsabili e manager del marketing digitale, capaci di progettare ma anche di realizzare e mettere in pratica tutte le strategie che consentono a un’azienda di crescere sul web.

Oggi le aziende, insomma, chiedono risultati, perché il valore principale del digital è proprio quello di essere sempre misurabile. Dal fatturato al target, dai lead alle impression, c’è sempre un KPI che è possibile prendere in considerazione per analizzare le performance e soprattutto per migliorarle. Ogni azienda, inoltre, ha degli obiettivi specifici da realizzare, in relazione alla sua dimensione, al mercato, alla clientela, ai competitor. E dunque solo partendo dall’interpretazione di questo bisogno è possibile progettare un percorso di crescita digitale.

Di pari passo con queste necessità e con queste opportunità devono andare le competenze dell’Head of Digital, da implementare continuamente per essere sempre aggiornati sulle novità di un mondo in costante cambiamento.

Skill digitali per lavori digitali

La Commissione europea ha da poco pubblicato la relazione finale dello studio “ICT for Work: Digital Skills in the Workplace” sull’impatto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sulla trasformazione dei lavori e delle competenze. L’evidenza mostra che le tecnologie digitali oggi sono usate in tutti i tipi di lavoro, anche in settori economici non tradizionalmente legati alla digitalizzazione, come l’agricoltura, la sanità, la formazione professionale e la costruzione.

Ma non basta. Nel primo trimestre del 2021 l’eCommerce globale è cresciuto del 58% su base annua contro il 17% del primo trimestre 2020. E l’Italia è riuscita perfino a fare di più, con una crescita del 78%, posizionandosi in questo modo al quarto posto tra i paesi con il maggior aumento percentuale dopo Canada, Olanda e Regno Unito, secondo quanto emerso dai dati dello Shopping Index di Salesforce. Indicando così la vera direzione della trasformazione digitale, che investe soprattutto la vendita online.

A guidare questa trasformazione ci sono gli Head of Digital. Per dirla semplicemente, sono i responsabili di tutti gli sforzi di innovazione e di marketing online di un’azienda, che proprio per questo motivo devono sapere come funziona ogni piattaforma online e ogni social, ma anche come tutti gli strumenti digitali si completano a vicenda.

Ecco quindi le competenze indispensabili per un Head of Digital che punti a guidare le aziende verso il successo online.

1. Pensiero strategico

È essenziale che chi si occupa di marketing digitale possa essere sempre un passo avanti. Il pensiero strategico consiste nel capire come pensano le altre persone, ovvero i potenziali clienti. Senza questa skill non sarebbe possibile capire perché le persone fanno o non fanno determinate scelte, comprano o non comprano un prodotto o servizio. E senza questa competenza, molti soldi rischiano di essere buttati in attività infruttuose.

Un Head of Digital è in grado di ripensare la catena del valore in ottica digitale, attraverso modelli di business e processi di digital governance, misurando la trasformazione con i digital analytics.

Senza un pensiero strategico, insomma, si rischiano di perdere opportunità commerciali chiave.

2. Analisi dei dati

Si parla sempre molto di big data ed è essenziale per i marketer e per i business online capire quali sono le informazioni a loro disposizione. Analizzando i dati sui clienti si possono ottenere intuizioni e aumentare i profitti.

Inoltre, i dati sono in grado di farci capire se le campagne di advertising hanno funzionato o se i processi interni vanno rivisti, per esempio.

Un Head of Digital è capace di prendere e migliorare le proprie decisioni con i data analytics, raggiungendo così gli obiettivi di business.

3. eCommerce management

Lo abbiamo già detto e lo abbiamo dimostrato con i dati relativi all’ultimo trimestre, dunque non ripeteremo ancora che in Italia l’eCommerce è stato uno dei settori con i più alti tassi di crescita nell’ultimo anno.

Conoscere strumenti, strategie, ma anche criticità ed esempi da cui prendere spunto, è essenziale in un ambito come quello delle vendite online, che ancora registra ampi margini di sviluppo tanto nel b2b quanto nel b2c.

Le skill di un professionista del digital business oggi dovrebbero prevedere lo studio di forme, modelli e case study per costruire un eCommerce di successo, ottimizzando le vendite online grazie all’omnicanalità.

4. Digital Branding

Come fare ad avere successo sul web? Innanzitutto costruendo un brand riconoscibile, affidabile e amato dalle persone. Per farlo, un Head of Digital deve essere capace di individuare tutti i touchpoint tecnologici necessari per disegnare l’anima digitale della marca e aumentare l’engagement puntando su empatia e rilevanza.

Insomma, una sorta di formula magica, che richiede competenze da vero stregone digitale!

5. Attenzione all’esperienza online delle persone

Progettando un business digitale non si può dimenticare di tenere ben presente che si tratta di un canale completamente diverso da quelli tradizionali, con regole precise per raggiungere in modo corretto i clienti.

La user journey, ossia il viaggio dell’utente online attraverso tutti i punti di contatto con il brand, va costruito e poi migliorato grazie al data driven design. Il modo migliore per imparare spesso è guardarsi intorno, trovando modelli di riferimento e traendo poi ispirazione dalle esperienze digitali più memorabili dei brand, ma sempre con grande attenzione alle reali necessità dell’azienda.

6. Vendere con la tecnologia

Facile a dirsi difficile a farsi, vero? Sì, ma è il nocciolo di tutta la questione per un Head of Digital ed è la sua competenza chiave.

Il vero professionista del business digitale conosce tool e canali, li padroneggia ed è in grado di adattarli alle esigenze del cliente digitale. Sa centrare tutti gli obiettivi, a volte anche pensando fuori dagli schemi, ma soprattutto ha ben chiaro in mente che il web e il marketing sono strumenti meravigliosi con regole precise e possibilità infinite, ma che alla fine lo scopo di ogni business è la vendita.

Da dove partire per diventare Head of Digital

Prepararsi per un lavoro nel mondo del marketing di domani sarà molto diverso da oggi. Mentre le basi del marketing possono essere le stesse, le competenze digitali e gli strumenti necessari per analizzare, creare e implementare il business continuano ad evolversi continuamente.

Il 74% dei dirigenti di marketing riconosce che le organizzazioni devono affrontare una carenza critica di talenti a causa della mancanza di competenze digitali. In altre parole, c’è un enorme divario tra ciò che un professionista dovrebbe sapere e ciò che effettivamente sa. Per far fronte a questo gap, quasi la metà dei dirigenti ha dichiarato che si concentrerà di più sul reclutamento; il 40% ha detto che si concentrerà ugualmente sul reclutamento e sulla riqualificazione della forza lavoro esistente.

Questo rappresenta un’enorme opportunità e padroneggiare queste competenze chiave significa prepararsi già ora per quel futuro.

Anche tu pensi che la Digital Transformation ci riserverà ancora enormi possibilità e vuoi iniziare a sviluppare le tue potenzialità e competenze in questo settore?

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