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spotify Alberto Mazzieri

La fotografia di Millennial e Gen Z secondo Spotify: differenze e sovrapposizioni

Spotify ha pubblicato la terza edizione del suo report annuale globale sulle tendenze che definiscono la Generazione Z e i Millennial. Nel 2021 la sfida comune è ricostruire la cultura dalle fondamenta. In questo contesto, l’audio digitale gioca un ruolo di primo piano.

È stato un anno piuttosto lungo per la Gen Z, una generazione che attualmente è sull’orlo di una ritrovata indipendenza: laurea), la Gen Z non vede l’ora di lasciarsi alle spalle gli eventi virtuali e tornare alle esperienze della vita reale.

I Millennial, nel frattempo, hanno dovuto affrontare vari problemi: la pandemia ha scombussolato le loro aspettative di equilibrio tra lavoro e vita privata di questa generazione, impegnata a fare carriera e a crearsi una famiglia.

Abbiamo fatto qualche domanda ad Alberto Mazzieri, Director of Sales di Spotify per comprendere più a fondo quali siano differenze e punti di contatto fra questi due generazioni e come le diverse prospettive (e inevitabili sovrapposizioni) dei Millennial e della Gen Z stiano plasmando il panorama dell’audio.

Alberto mazzieri spotify

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Millennial e Gen Z: aspettative diverse ma comportamenti simili

Millennial e Gen Z sono target molto diversi, a partire dalla fascia di età: vivono esperienze e vite diverse. I Millennials sono più focalizzati sulla carriera e sul percorso professionale, mentre le priorità dei ragazzi della Gen Z sono soprattutto quelle di costruire una community, stabilire dei contatti e dedicarsi alle proprie passioni e cercare di tirare fuori il massimo da queste.

<<Da queste due descrizioni abbastanza generalizzate si può naturalmente tirare fuori molto di più. Hanno infatti anche modalità diverse nella fruizione dei mezzi, in generale, e dell’audio in particolare>>, ci spiega Alberto.

<<Sono entrambe generazioni molto rilevanti: gli under 35 rappresentano infatti il 70% della nostra audience free, quindi di quelli su cui lavoriamo quando collaboriamo con le aziende e sono esposti ai messaggi pubblicitari. Conoscere queste tipologie di pubblico, per Spotify, è davvero importante.

Ciò che accomuna queste fasce di età è che l’audio sta occupando una parte sempre maggiore della loro vita e ha un ruolo sempre più importante e significativo rispetto al passato. Questo è testimoniato dai dati che abbiamo a disposizione: il numero di utenti, il tempo trascorso sulla piattaforma e la tipologia dei contenuti disponibili>>.

Dal report Culture Next di Spotify emerge infatti che i dati sono tutti in crescita e questo testimonia la volontà dei Gen Z a essere partecipi in prima persona dei contenuti che poi si vogliono anche ascoltare, di interagire con gli artisti e i creator che gli permette di avere un ruolo attivo nella curation, cioè nella definizione di come i contenuti vengono ascoltati.

report spotify

<<Pensiamo alle playlist: spesso e volentieri si ascoltano playlist già proposte da Spotify, magari sulla base degli ascolti precedenti. Soprattutto per i più giovani, la cura della propria playlist o dei podcast esprime la loro personalità: non è solo ciò che si ascolta ma anche come lo si ascolta, mixato tra i vari artisti e i vari generi musicali.

L’audio, per entrambe le generazioni, è visto come una via di fuga: è un ottimo strumento per rilassarsi e focalizzarsi su una sorta di salute mentale e ridurre i livelli di stress, per quanto riguarda i Millennial, ed entrare in contatto con le community di persone che riteniamo vicine a noi, per i Gen Z.

Un altro aspetto che accomuna entrambe le generazioni è il fatto che l’audio sia pervasivo in tutti i momenti della giornata attraverso tutti i device: c’è il desktop, c’è l’auto, ci sono le console e gli smart speaker, tutti aumentati in termini di consumo, anche a causa della pandemia>>.

L’autodefinizione dei Gen Z attraverso la musica

Sebbene non ci siano grandi differenze nel modo in cui Gen Z e Millennial fruiscono dei contenuti per tempo trascorso sulla piattaforma o per device utilizzato, la Generazione Zeta punta molto di più ad autodefinirsi attraverso quello che ascolta, entrando in contatto con le community di persone che condividono gli stessi gusti e interessi.

Spotify Gen Z

<<La partecipazione attiva è presente in entrambe le fasce ma l’aspettativa di incidere sui contenuti nativamente è molto più forte nei Gen Z, che sono nati nell’era dei social prima ancora che nell’era digitale e vedono nella condivisione dei contenuti, nello scambio di opinioni e nella raccolta dei feedback qualcosa di assolutamente naturale, cosa che è “meno naturale” per i Millennial, per i quali i social sono nati quando avevano un’età già abbastanza matura>>.

Dai forum ai podcast

Anche se il trend dell’audio era un fenomeno già in crescita nel periodo pre-pandemia, l’affermazione definitiva è avvenuta proprio quando le persone hanno trascorso un tempo maggiore in casa. Ecco che l’audio ha allora preso quel posto di aggregatore che, in passato, era stato assunto dai forum, prima, e dai social, poi. Adesso, questi contenuti consentono di creare community in cui le persone si rispecchiano e si ritrovano.

<<La musica, da sempre, è una modalità per esprimere il proprio interesse. Ora questo avviene anche per i podcast: quello che succede nella società, che sia l’impegno verso la sostenibilità ambientale, l’impegno verso la diffusione dei trend di vaccinazione, qualunque fenomeno culturale e sociale si riflette poi in quello che le persone ascoltano.

Il movimento Black Lives Matter, per esempio, ha comportato un avvicinamento verso la musica Black, anche forse per una sorta di solidarietà verso chi stava vivendo un momento difficile e un proliferare enorme di playlist dedicate a quel tema.

Poi, le community si creano interagendo con gli artisti e questo avviene su vari canali, ma su Spotify si riflette nell’ascolto e negli stream dei contenuti che vengono creati e nei trend di crescita di alcuni artisti che più di altri sanno comunicare attraverso i loro fan, e questo ancora una volta lo vediamo ancora più marcato nei Gen Z>>.

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E, in questo contesto, è facile chiedersi se la progressiva diminuzione delle restrizioni e il percorso verso l’uscita dalla crisi sanitaria non possa comportare, in qualche modo, una contrazione del mercato quando le persone saranno in grado di muoversi liberamente e trascorreranno meno tempo in casa. Secondo Alberto, i trend ormai consolidati non retrocederanno a favore delle precedenti modalità di consumo dell’intrattenimento.

<<Sicuramente ci saranno degli assestamenti: per esempio, l’audio in car è già ritornato ai livelli pre-pandemia, ma con un trend sempre in crescita, che la pandemia ha solo accelerato.

Diverso è il discorso per le nuove modalità di fruizione dell’audio, come da smart speaker e console: c’era già un trend accelerato dalla pandemia, ma sono abitudini ormai consolidate. Chi ha iniziato a usare questi dispositivi in casa, continuerà a utilizzarlo per il tempo trascorso in casa.

A livello globale, il tempo speso sull’audio continua ad aumentare, perché viene visto anche come un aggregatore nelle dinamiche familiari. L’esposizione ai video e agli schermi ha avuto un aumento importante negli ultimi anni, probabilmente arrivando a un picco; ora le persone cercano modalità diverse di interagire ed essere esposti ai contenuti, anche senza schermo e, in questo, l’audio può avere un ruolo importante.

Per le aziende è un’opportunità gigantesca, perché permette di entrare in contatto con l’audience che vogliono raggiungere, con le stesse capacità di profilazione che fino a poco fa erano offerte solo in modalità video, presidiando però momenti che non hanno bisogno dello schermo, a complemento di una strategia video e in una modalità di comunicazione molto efficace e immersiva come l’audio.

Gli utenti che ascoltano Spotify con il mobile, nella grande maggioranza dei casi, lo fanno indossando le cuffie rendendo l’esperienza ancora più immersiva e questo aumenta la pre-call e l’efficacia dei messaggi, se sono costruiti utilizzando i dati a disposizione>>.

Curator e creator a confronto

Tutte le big di internet ma tante, tantissime aziende più piccole stanno pubblicando annunci e offerte di lavoro per ruoli adatti ai creatori di contenuti. Il creator è diventato una figura importante per un mercato del lavoro in cui si è delineato un nuovo sottoinsieme trasversale ai settori pubblicità, intrattenimento e informazione.

Una figura altrettanto importante, non solo su Spotify, è quella del curator che, se per alcuni versi si sovrappone al creator, propone un approccio diverso alla produzione e aggregazione dei contenuti.

<<Il confine è abbastanza sottile>> spiega Alberto <<diciamo che oggi c’è la propensione a creare contenuti in prima persona per condividere le proprie esperienze e le proprie passioni. Questo era già vero in ambito musicale ed è sempre più vero per i podcast, che hanno allargato i terreni di azione in qualunque ambito, come sport, intrattenimento, news o finanza.

Lì ognuno si mette in gioco e ha la possibilità di condividere ed essere rilevanti per persone che sono interessate ai suoi messaggi creando dei contenuti.

i curator di Spotify

I curatori hanno forse un aspetto qualitativo in più, quello di attingere da contenuti che già esistono e metterli a disposizione sfruttando quello che già c’è rendendolo fruibile con un messaggio>>.

Il rapporto dei creator con i brand

Anche per la produzione di contenuti audio, individuare le collaborazioni giuste con creator e influencer rimane una delle attività più complesse per i brand. Prima ancora, però, è necessario partire dai giusti presupposti per la creazione di una strategia in grado di raggiungere efficacemente il proprio target.

<<L’affinità di target finale è l’aspetto principale. è importante non lasciarsi ingolosire da reach e possibilità di copertura giganti ma rimanere focalizzati su quali sono effettivamente le persone che si vogliono raggiungere.

L’altro aspetto è sicuramente instaurare un rapporto che sia credibile per i valori del brand e per i messaggi che vengono veicolati agli utenti.

Sappiamo quanto le persone abbiano una propensione e condividere e ascoltare messaggi pubblicitari in cambio della fruizione gratuita della piattaforma, ma sappiamo bene anche che alla condivisione dei propri dati per essere tracciati e profilati corrisponde un’aspettativa altissima sulla rilevanza dei contenuti a cui sono esposte.

Questa è una responsabilità per i brand che devono partire dalla credibilità nel deliverare un messaggio. Su questo, noi di Spotify siamo a disposizione per supportare le aziende nella ricerca dei contenuti migliori e dei creator più adatti a cui affidarsi, ma credibilità e rilevanza sono sicuramente gli aspetti fondamentali da cui partire per definire una strategia e raggiungere questi target che sono, più di altri, esigenti in termini di messaggi a cui vengono esposti>>.

Il turismo in Italia è cashless. SumUp: nell’estate 2021 transazioni cresciute del 71%

Il turismo in Italia è sempre più cashless e digitale: è quanto emerge dall’Osservatorio Turismo Cashless realizzato da SumUp, fintech leader nel settore dei pagamenti digitali e soluzioni innovative cashless, che ha analizzato transazioni medie e valore del transato medio per commerciante registrati nei mesi estivi (dal 1 giugno al 15 agosto), da hotel e altre strutture ricettive, operatori turistici, centri benessere, ma anche bar, club e ristoranti

Secondo SumUp, infatti, il valore del transato medio cashless dei commercianti che operano nei settori Turismo e Ristorazione, dopo essere diminuito dal 2019 al 2020 del 9%, è cresciuto nell’ultimo anno del 46% e, confrontando il 2021 con il 2019, si osserva un aumento del 32%.

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Trend in aumento

Un trend confermato anche dal numero medio di transazioni per esercente: i dati SumUp mostrano una crescita del 71% tra il 2020 e il 2021: tra il 2019 e il 2021, l’aumento è del 113%. 

I numeri del turismo si inseriscono perfettamente nell’ambito della rivoluzione digitale che ha caratterizzato il Paese negli ultimi due anni, anche a causa della pandemia, e che ha avuto risvolti importanti  soprattutto per quanto riguarda i pagamenti. Le soluzioni cashless sono sempre più apprezzate ed utilizzate sia da parte dei commercianti, che dei clienti, da un lato per la possibilità di integrare cassa fisica e online più facilmente, dall’altro per la sicurezza, poiché assicurano il distanziamento, evitano lo scambio di contanti e il crearsi di file e assembramenti in cassa. 

Commenta Umberto Zola, Country Growth Lead Italia di SumUp.

Una rivoluzione che, dal Nord al Sud, tocca tutta Italia, come racconta il “podio” delle città in cui è risultato più alto l’utilizzo di pagamenti digitali durante l’estate: al primo posto compare Trieste, che ha scalato la classifica anno dopo anno (dal 25esimo posto del 2019); al secondo Livorno, che nel 2019 era addirittura al 46esimo. Vibo Valentia, in Calabria, conquista la terza posizione, salendo di tre posti rispetto allo scorso anno. 

Diminuzione scontrini

Lo scontrino medio diventa più piccolo – “È interessante notare come, con il passare del tempo, stiano diventando sempre più popolari e accettate anche da parte dei commercianti le transazioni digitali per cifre più piccole, dal caffè al bar, al noleggio dell’ombrellone”, sottolinea Zola. Confrontando anno su anno l’andamento delle transazioni per i commercianti del Turismo e della Ristorazione, SumUp ha, infatti, registrato una diminuzione dello scontrino medio, mentre il numero di transazioni è cresciuto anche in modo significativo, assicurando così un valore di transato per esercente complessivamente maggiore. 

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In particolare, i Bar mostrano lo scontrino medio più basso in tutti i periodi, con un decremento del 6% tra 2019 e 2020 e del 15% tra 2020 e 2021. Tuttavia, è il settore Turismo (b&b, agenzie viaggio, operatori turistici), ad aver registrato il maggior calo nello scontrino medio: -30% tra 2019 e 2020 e ulteriore -15% tra 2020 e 2021. Anche per i Ristoranti si segnala un -11% tra il 2019 e il 2020, seguito da un altro calo tra il 2020 e il 2021 del 18%. 

Unica eccezione è il settore Hotel, che nel 2021 ha registrato una lieve crescita del prezzo medio dello scontrino (+3%), e una diminuzione del 14% sul numero medio di transazioni per esercente rispetto al 2020, probabilmente correlato alle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria. 

Turismo internazionale: i pagamenti con carte straniere in Italia – L’analisi di SumUp ha, inoltre, permesso di osservare l’andamento del turismo internazionale in Italia dal punto di vista della spesa effettuata tramite carte di credito estere

La presenza di pagamenti ‘stranieri’ legati al turismo segue ovviamente  il corso della pandemia: la più alta rappresentazione di carte di credito internazionali si è verificata in tempi pre-Covid tra aprile (39%), e ottobre 2019 (33%).

Spiega Umberto Zola.

Da quel momento in poi si è notata una diminuzione significativa, toccando il 7% nell’aprile 2020, con un primo miglioramento tra luglio e ottobre 2020 (con un 19% di pagamenti con carte di credito straniere ad agosto), ma nel dicembre 2020 si è tornati al 7%. Con l’arrivo dell’estate, dei vaccini e delle nuove regole per viaggiare, da maggio 2021 in poi il trend è stato nuovamente invertito, superando il 24% nell’agosto 2021.

Di fatto, nel 2020 si era registrato un calo di quasi il 55% della quota di transazioni internazionali in Italia, mentre nel 2021 abbiamo notato un aumento del 16% rispetto al 2020: una percentuale che racconta come il turismo stia naturalmente seguendo l’evoluzione della situazione sanitaria.

“Difficile predire quello che sarà il trend del turismo straniero – e quindi dei pagamenti con carte internazionali – per i prossimi mesi, ma siamo convinti che, per quanto riguarda i pagamenti interni, sarà difficile tornare indietro verso il contante ora che tanto i commercianti, quanto i consumatori hanno compreso e preferito la comodità del cashless in ogni contesto”, conclude Zola.

Etro nomina Fabrizio Cardinali come Chief Executive Officer

Etro (“Etro” o la “Società”), la maison del lusso rinomata a livello mondiale, ha annunciato in data odierna la nomina di Fabrizio Cardinali a Chief Executive Officer, con decorrenza a partire dal quarto trimestre 2021.

Cardinali vanta oltre 25 anni di esperienza manageriale ed un consolidato track record nel promuovere la crescita di marchi del lusso a livello internazionale. Prima dell’ingresso in Etro, Cardinali ha lavorato in Dolce & Gabbana, dove ha trascorso quasi 13 anni ricoprendo diversi ruoli, tra i quali, da giugno 2017, quello di Chief Operating Officer e membro esecutivo del Consiglio di Amministrazione, intervallati da 5 anni in Richemont, con il ruolo di Chief Executive Officer per diversi marchi del lusso del gruppo, tra cui Dunhill e Lancel.

La nomina

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Nel suo nuovo ruolo, Cardinali sarà supportato e lavorerà a stretto contatto con L Catterton, il principale fondo di private equity a livello globale focalizzato sul settore dei beni di consumo, con il quale la Società ha annunciato una partnership strategica lo scorso luglio, e con la famiglia Etro, incluso il Fondatore e Presidente Gerolamo Etro.

Sono entusiasta dell’opportunità di guidare Etro in un momento così decisivo nella storia di questa iconica casa di moda. Ho sempre ammirato l’heritage del marchio Etro, il suo stile e l’artigianalità italiana che lo contraddistinguono, e non vedo l’ora di collaborare con L Catterton, la famiglia Etro e l’intero management team per cogliere le numerose opportunità di crescita volte ad ampliare la base clienti, consolidare l’offerta nelle diverse categorie di prodotto ed espandere la presenza internazionale della Società.

Ha dichiarato Fabrizio Cardinali.

Siamo felici di dare il benvenuto a Fabrizio in Etro. Cardinali si è affermato come manager di assoluto rilievo nel panorama della moda e del lusso grazie ad un’incredibile visione ed energia creativa. La sua profonda esperienza ed acume operativo lo qualificano come la persona giusta per guidare questo nuovo capitolo di crescita e di sviluppo dell’incredibile eredità di Etro.

Ha dichiarato Luigi Feola, Managing Partner e Head of Europe di L Catterton.

Siamo lieti di accogliere un manager brillante e di comprovata esperienza come Fabrizio in questa nuova e significativa fase per l’azienda. Sono fermamente convinto che la sua visione e la sua conoscenza del business contribuiranno a rafforzare la crescita di Etro ed il suo posizionamento come marchio leader nello scenario del lusso globale.

Ha aggiunto il Fondatore e Presidente Gerolamo Etro.

come si diventa copywriter e cosa fa un copywriter

Cosa serve per diventare Copywriter (e cosa fa davvero)

Il copywriter è una delle professioni più ricercate nel mondo del lavoro. Dalle agenzie creative la figura del copy si è fatta strada anche in altri ambiti lavorativi sia digital che offline. Ma cosa fa un copywriter? E che tipo di formazione bisogna avere per diventarlo?

Perché diventare copywriter

Facendo una rapida ricerca su Google Trend ci possiamo rendere subito conto di quanto sia diventata importante la figura del copy arrivando, persino, a superare per volumi di ricerca figure come il Direttore Creativo e Professionista SEO.

copywrting guida

Questo dato ci fa riflettere: se fino a qualche anno fa la figura del copywriter era sconosciuta e poco interessante ora supera di gran lunga figure professionali da sempre considerate pilastri della comunicazione digital e non. 

Il copy sta diventando, quindi, una figura sempre più ricercata ed ambita e questo perché:

  • è una figura versatile che può lavorare in diversi ambiti e team;
  • è una figura che può lavorare tranquillamente da remoto;
  • non è richiesta un’abilitazione particolare.

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Chi è il copywriter

La parola copywriter racchiude diverse persone e professionalità. Tendenzialmente è la figura che, all’interno di un’agenzia o azienda, ha la responsabilità sul contenuto testuale ed editoriale.

Si può dividere la figura del copy in 3 categorie:

  1. Agency copywriters: la figura classica del copy che, solitamente in compagnia ad un art director, si occupa della realizzazione della creatività. Che sia una pubblicità, un videoclip, un post social o una campagna stampa il copy ha la responsabilità sul contenuto editoriale e sul testo scritto. Il suo obiettivo è di collaborare con la figura art per realizzare un contenuto funzionale e di impatto sul target.
  2. Corporate copywriters: il copy che all’interno di un’azienda si occupa della produzione testuale ed editoriale. A differenza del copy di agenzia, che spazia su più clienti e progetti, quello corporate è legato all’azienda in cui lavoro e al tipo di prodotti e/o servizi offerti.
  3. Freelance copywriters: la figura più dinamica e versatile. Solitamente collabora con agenzie e aziende su progetti o campagne specifiche. Molto spesso ha un approccio consulenziale.

Possiamo provare a definire il copy anche usando la tipologia di testo che realizza:

  1. Creative copy: chi si specializza nell’inventare copy brevi ed efficaci come claim e payoff. Queste figure si trovano solitamente nelle agenzie di pubblicità e si occupano di advertising.
  2. Editorial copy: chi si occupa di testi più lunghi e dal taglio editoriale come articoli del blog, testi di sito o comunicati stampa. Questo genere di copywriter si trovano, spesso, in agenzie di comunicazione, uffici PR o aziende.
  3. Persuasive copy: sono gli esperti di advertising abili nel creare copy persuasivi. Vengono solitamente impegnati in copy per adv digital (social o google ad esempio) e si trovano principalmente in centri media o in agenzie di marketing.
  4. Social copy o Social Media Manager: chi si specializza nella scrittura e ideazione di contenuti per i social. Non solo l’aspetto editoriale, quindi, ma anche quello tecnico viene richiesto a questa figura che si trova sempre più spesso in agenzie digital, aziende e società di consulenza.

Cosa fa il copywriter

Il copywriter si occupa, principalmente, di scrittura. Detta così sembra semplice e… in effetti non lo è! Il copy non è “colui che schiaccia i tasti del pc per scrivere” ma è una figura che definisce l’approccio editoriale, collabora con varie figure professionali e ha la responsabilità sulla qualità ed efficacia dei testi. Le principali attività di un copy sono:

Definizione del Tone of Voice

Da solo o in sinergia con altre figure, il copy definisce il tono di voce del brand. Sua responsabilità, quindi, è quella di delineare il carattere che il prodotto, il marchio o l’evento avrà e per il quale sarà riconosciuto.

Si tratta di un lavoro non semplice che prevede, da parte del copy, un’analisi accurata del mercato competitivo, della situazione attuale e della strategia di posizionamento identificata dal marketing.

Per identificare il Tone of Voice esistono diversi metodi, i più usati sono: l’utilizzo degli archetipi, la definizione attraverso aggettivi, il termometro caldo/freddo e l’identificazione di un personaggio famoso o vip.

Strategia Editoriale

Anche in questo caso il copy può lavorare in sinergia con altre figure, con questa attività il copy identifica gli stream, argomenti e focus della comunicazione. Di cosa andremo a parlare? In che modo? Con che frequenza? 

Nella comunicazione Social, ad esempio, sarà fondamentale capire che tipo di focus comunicativi stressare durante la stesura del piano editoriale. Per un sito, invece, che tipo di contenuti approfondire e quali, invece, lasciare più sintetici.

Scrittura dei testi

Il lavoro concreto del copy si traduce nell’atto di scrittura del testo. Questo processo ha tecniche e processi che variano da persona a persona e da agenzia ad agenzia. Diciamo pure che, essendo un lavoro molto creativo, non esiste una regola unica ed universale ma ognuno ha il suo approccio.

Esistono però tantissime pubblicazioni e blog utili da cui prendere ispirazione ed imparare. Il processo di scrittura è un’attività che si crea mano a mano con esperienza, errori e tanta passione.

Revisione dei testi

Il copy non è solo un creatore di testi ma, a volte, ha il compito di controllare il lavoro degli altri. La revisione dei testi è un’attività importantissima che può evitare problemi non da poco (immaginate la campagna affissioni in tutta Italia con un bel refuso…).

In questo caso al copy è chiesta una grande attenzione per i dettagli e una grandissima conoscenza della grammatica italiana. 

Come si diventa copywriter

“Se volete fare gli scrittori, ci sono due esercizi fondamentali: leggere e scrivere molto. Non conosco stratagemmi per aggirare queste realtà, non conosco scorciatoie.”

(Stephen King)

La citazione di King è il riassunto perfetto delle regole di un buono scrittore: leggere tanto e scrivere ancora di più. Non è possibile diventare un buon copy se non si ama la lettura: è da lì che si apprendono tecniche e idee per realizzare i propri testi.

La prima delle skill di un buon copy, infatti, è proprio la capacità di scrittura. Non stiamo parlando solo di grammatica ma di riuscire a mettere “su carta” un concetto, un pensiero.

La seconda abilità è la curiosità. Per scrivere dei testi efficaci bisogna necessariamente conoscere il proprio target, il proprio cliente e l’attività dei competitors. Un copy curioso è un copy preparato.

L’attenzione al dettaglio è fondamentale per non incappare nel refuso! Un errore grammaticale, una parola scritta male o una lettera saltata sono in grado di vanificare tutto il lavoro. Rileggere, controllare e rileggere di nuovo.

Immancabile la capacità di comunicazione ed empatia. Il copywriter dovrà collaborare molto spesso con altre persone ed è fondamentale saper comprendere le esigenze del cliente e dei colleghi. Non solo, molto spesso il copywriter si troverà a presentare il suo elaborato davanti al direttore creativo, al cliente o al team di lavoro. Avera buone capacità di comunicazione è quindi fondamentale!

Ultima, ma non meno importante, è la creatività: chi più del copywriter deve creare qualcosa da zero? Inventare un testo senza avere nessun appiglio o base? Un bravo copy deve in primis sentirsi “un creativo”, pronto ad affrontare la paura del foglio bianco.

Consigli per aspiranti copywriter

Se siete arrivati fino a qui con l’idea che la strada del copy è per voi eccovi qualche consiglio per iniziare:

1 – Imparare le basi del linguaggio persuasivo

Sono delle regole che aiutano a scrivere testi in grado di far leva su impulsi ed esigenze del lettore. Queste tecniche possono essere applicate a diversi ambiti e sono utili per riuscire a realizzare copy efficaci e diretti  

2 – Lavorare sui principali tipi di copy

Ovvero applicate la vostra conoscenza a qualcosa di concreto. I principali testi che un copywriter dovrà realizzare nella sua carriera sono:

  • Headline
  • Value Proposition
  • Landing page
  • Email, newsletter e DEM
  • Advertising
  • Video script

Esistono numerosi manuali e guide su come scrivere questi tipi di contenuti, esercitarsi è fondamentale per acquisire la tecnica e padroneggiare le difficoltà ed esigenze.

3 – Approfondire delle discipline parallele

Come abbiamo accennato, un copy dovrà collaborare con altre figure verticali in altri ambiti, soprattutto nel mondo digital. Per questo è importante conoscere le basi teoriche e pratiche della SEO o della UX/UI. Avere una conoscenza anche dell’ambito artistico grafico è importante per poter collaborare al meglio con art director o grafici.

4 – Formarsi e informarsi 

Vige sempre la regola del “non smettere mai di imparare”: corsi online, seminari e, soprattutto, leggere! 

5 – Creare un portfolio e un CV

Ovviamente è fondamentale avere un CV strutturato e pensato per ricoprire la posizione di copy. Evitate refusi ed errori, fate capire la vostra propensione alla scrittura ed evidenziate tutte le attività di formazione ed esperienze lavorative fatte nel settore. Non dimenticate del portfolio: che siano lavori veri o esercitazioni sono un ottimo biglietto da visita per far capire le vostre abilità e la vostra passione.

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Consigli su come scrivere un copy

Scrivere è semplice. Scrivere bene è molto più difficile. Ci sono però delle regole da seguire per realizzare dei testi efficaci e interessanti, ecco alcuni consigli da seguire:

Parti dall’analisi, sarà fondamentale per delineare il territorio e capire il mercato di riferimento. Inizia con l’analizzare l’attività dei competitors e benchmark per poi passare a quella del cliente. Come obiettivo cerca di tirare fuori delle evidenze utili a definire le aree di rischio, di opportunità e da sviluppare.

Scrivi paragrafi corti, non avere paura del punto! Se il testo che stai scrivendo inizia ad essere lungo, pieno di subordinate e ridondante… beh c’è qualcosa che non va. Dividi la frase, accorcia i paragrafi e rendi il testo più facilmente assimilabile e comprensibile per il lettore.

Non allontanarti dal Tone Of Voice, ricorda sempre che il cliente per cui stai scrivendo ha un suo carattere e un suo modo di esporsi e “vendersi” nella comunicazione. Ricorda le tecniche di definizione del tono di voce e tienile sempre a mente.

Senti il suono delle parole che scrivo, anche l’orecchio vuole la sua parte! Ci sono parole che, vicino ad altre, suonano male o si “incastrano” durante la lettura. Cerca sempre di scrivere dei testi piacevoli da leggere e sentire (con l’orecchio o con la mente), in caso contrario il vocabolario italiano è veramente ricco di sinonimi.

Cambiati il vestito, indossa quello del target. Ricorda sempre per chi stai scrivendo, mettiti nei suoi panni e cerca di scrivere un copy che sia comprensibile e efficace per il pubblico a cui ti rivolgi. Quanti anni ha? Che tipo di cultura ha? Cosa stanno cercando? In che stao emotivo saranno mentre leggeranno il mio testo?

Quando possibile, fai valere i fatti. Dati numerici, ricerche, percentuali, danno credibilità al tuo testo e rendono tutto più attendibile ed interessante.

Attento agli anacronismi, non c’è niente di peggio che leggere un testo vetusto con termini arcaici. Se in alcuni ambiti è essenziale (pensiamo alla sfera legale ad esempio), solitamente si predilige un linguaggio contemporaneo e appartenente alla quotidianità.

Prima di consegnare rileggi, fai rileggere e rileggi ancora una volta. 

FAQ

Che tipo di formazione universitaria è meglio avere?

Sicuramente una formazione universitaria umanistica aiuta ad entrare nella mondo della scrittura. Ci sono poi tanti master interessanti che servono a specializzarsi in un ambito o stile di scrittura. Inutile dire che la miglior scuola resta sempre l’esperienza.

Cosa guardano i recruiter per scegliere un copy?

I refusi: evitateli nel vostro CV e nella lettera di presentazione. Altro fattore determinante sono le attività che coinvolgono la scrittura: collaborare con testate giornalistiche, avere un blog o gestire delle pagine social danno una marcia in più al CV permettendovi di spiccare dalla massa.

Come faccio a capire che tipo di copywriter sono? 

Scrivendo e provando vi renderete automaticamente conto di quale tipologia di copy vi riesce meglio. Esercitatevi riscrivendo i copy per campagne pubblicitarie o siti oppure inventatevi un prodotto vostro.

Devo conoscere altre lingue oltre l’italiano?

Per fare il copy non è necessario ma sicuramente conoscere una lingua è un notevole boost per la professione. Sfortunatamente scrivere copy in altre lingue non è semplice: oltre a saper applicare la grammatica si deve anche conoscere la cultura e gli usi delle varie nazioni. Sicuramente un’esperienza all’estero aiuta.

Per approfondire l’argomento ed iniziare subito a “mettere le mani in pasta” dai un’occhiata ai nostri corsi dedicati alla scrittura nella nostra Academy.

Buona scrittura!

Ogury: Fabien Magalon nominato Chief Publisher Sales Officer

Ogury, azienda creatrice del Personified Advertising, annuncia oggi la nomina di Fabien Magalon in qualità di Chief Publisher Sales Officer. Con questo incarico, il manager sarà responsabile della definizione della strategia di offerta globale, guidando il team internazionale dedicato agli editori e influenzando lo sviluppo dei prodotti dedicati a questo target.

Siamo molto felici della nomina di Fabien in un momento in cui stiamo ampliando la portata del nostro business verso gli editori premium, nelle soluzioni in-app e su siti mobile. Ogury sta assistendo a un periodo di grande interesse per le sue soluzioni dedicate a tutti quei publisher che sono alla ricerca di un partner in grado di offrire qualità e ricavi pubblicitari incrementali. La sua notevole esperienza professionale con gli editori online aggiungerà ulteriore valore all’azienda.

Commenta Thomas Pasquet, CEO di Ogury.

Nel 2017 il manager ha lanciato Alliance Gravity Data Media, una Media and Data Platform leader per la quale ha poi ricoperto il ruolo di Managing Director. 

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Strategia e sviluppo

Nel corso della sua carriera, Fabien ha occupato diversi incarichi di rilievo presso alcune delle più grandi aziende tecnologiche del mondo, tra cui posizioni a livello EMEA presso Microsoft e Facebook. Il manager ha anche lanciato la sede francese dell’azienda adtech The Rubicon Project, di cui ha guidato lo sviluppo nel mercato editoriale dal 2010 al 2012. In seguito, è stato amministratore delegato di uno dei primi marketplace di programmatic ADV in Francia, La Place Media, fino al 2015. 

Fabien si è detto entusiasta della soluzione Personified Advertising di Ogury, che garantisce precisione, sostenibilità e tutela della privacy. Il manager entra a far parte del team con l’obiettivo di sostenere il continuo sviluppo dell’azienda, che nel primo semestre del 2021 ha registrato una crescita dei ricavi di circa il 60% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Sono onorato di avere l’opportunità di entrare in una realtà all’avanguardia come Ogury, guidata da professionisti di grande talento. Viviamo un momento interessante per il settore che sta sperimentando un cambiamento epocale dettato dalla necessità del rispetto della privacy. Ogury è stata costruita proprio partendo proprio da questa necessità. Il nostro posizionamento è decisivo nella mia missione di costruire delle solide partnership con i principali editori a livello globale.

carlo ratti le città del futuro - smart city

Città del futuro: dalle case alla mobilità, come potrebbe cambiare la nostra vita

Meno parcheggi perché ci saranno meno auto in circolazione. Sensori ovunque, anche nelle fogne (sì hai letto bene). Garage che diventano case e proprietari che costruiscono nuovi appartamenti nei loro cortili per abbassare il costo degli affitti. E ancora una pittura speciale che evita l’eccessivo riscaldamento delle case.

Le città del futuro si costruiscono, giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi. La loro evoluzione è così rapida che lo stesso termine smart cities non sembra più adatto a definirle, come ci racconta Carlo Ratti, architetto e ingegnere che ha fondato lo studio CRA, a Torino e New York, e dirige il Senseable City Lab presso il MIT di Boston:

«Negli ultimi anni Internet è entrato nello spazio fisico – lo spazio delle nostre città, in primo luogo – e si sta trasformando nel cosiddetto “Internet of Things”, l’Internet delle cose, portando con sé nuovi modi in cui interpretare, progettare e abitare l’ambiente urbano. Alcuni definiscono questo processo con il nome ‘smart city’, la città intelligente. Ma temo che questa definizione rischi di relegare la città a un mero accidente tecnologico e per questo preferisco parlare di Senseable City», spiega Ratti.

Per l’architetto, una città “senseable” è al tempo sensibile e capace di sentire. E favorisce la creazione e diffusione di modelli partecipativi, dalla mobilità al consumo energetico, dall’inquinamento allo smaltimento dei rifiuti, dalla pianificazione urbana alla partecipazione civica. 

Un futuro tra dati,  partecipazione, spazi green e mobilità facile

città del futuro

Il futuro delle città si scrive attorno a quattro parole chiave. La prima è dati, l’infinita quantità di informazioni che come cittadini produciamo ogni giorno con i nostri telefoni.

I dati saranno usati dalle amministrazioni pubbliche per formulare nuovi paradigmi per il disegno delle città che vedranno la partecipazione di tutti: dai semplici cittadini, alle startup, imprese, centri di ricerca. Il coinvolgimento di più soggetti è la base della Senseable City, un modello che è incentrato non più esclusivamente sull’aspetto tecnologico, ma soprattutto sui modelli partecipativi. 

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Partecipazione è non a caso un’altra parola chiave della città del futuro. Nella capitale islandese, Reykjavik, per esempio, i cittadini hanno a disposizione un forum di consultazione, e “Better Reykjavík”, nel quale possono comunicare direttamente con la pubblica amministrazione per presentare idee sui servizi e attività cittadine.

Poi c’è l’efficientamento energetico, con le città che si sono date l’obiettivo di ridurre il loro impatto sull’ambiente, per portare a zero le emissioni di CO2 entro pochi anni. “Energia” si accompagna a “green”, con sempre più natura in città: coltivazioni idroponiche, orti verticali, spazi di urban farming sono alcune delle soluzioni per aumentare la presenza del verde nelle città.

Il futuro delle città infine si scrive intorno alla parola mobilità: auto elettriche e a guida autonoma, scooter e bici  elettriche, posti per la ricarica, saranno i cardini intorno ai quali si costruiscono le strade del futuro:

«Siamo in una fase di grande sperimentazione. Ogni città sta esplorando l’innovazione da punti di vista diversi. Per esempio, Singapore ha intrapreso progetti molto interessanti sulla mobilità del futuro, Copenhagen sulla sostenibilità, Boston sulla partecipazione dei cittadini, Milano sull’integrazione tra natura e architettura e così via», prosegue Ratti.

carlo ratti

Di liftconferencephotos from Geneva, Switzerland – Carlo Ratti, CC BY 2.0

I trasporti pubblici a guida autonoma e la rivoluzione dei parcheggi

Immagina di essere a casa tua e di dover raggiungere il tuo lavoro nell’unica settimana in un mese in cui è prevista la tua presenza in ufficio. Cosa fai oggi lo sai, invece pensiamo a come ti comporterai in futuro.

Avrai la tua app a portata di telefono. Lì digiterai il veicolo a trasporto autonomo che preferisci (sia esso pubblico o privato, un SUV, come un veicolo elettrico) che verrà a prenderti e ti accompagnerà in ufficio, per poi riaccompagnarti comodamente a casa.

Sembra fantascienza, ma stando a un’inchiesta di The Wall Street Journal, alcune sperimentazioni di questo tipo già esistono e funzionano. Ad Arlington in Texas, il servizio di “self driving shuttles” è già attivo e ha una tariffa abbordabile di 3 dollari a corsa.

In un mondo dove sempre meno persone avranno un’auto di proprietà (che non è più una priorità dei Millennials e della generazione Z), a congestionare il traffico saranno gli spedizionieri del delivery. Con le persone in smart working e l’abitudine a comprare online, è molto probabile che il numero di spedizionieri sulle strade sia destinato a crescere nel prossimo futuro, paralizzando le strade. 

smart working nelle città del futuro

Ad Aspen nel Colorado, la cittadina ha lanciato, a tal proposito, un programma davvero originale. La sosta degli spedizionieri in città diventa smart grazie a un’app che l’autista utilizza per avvertire della sua presenza e prenotare la sosta in una zona dedicata, “una smart delivery zone”. In questo modo il comune può collezionare dati e comprendere statisticamente quando c’è un picco della domanda in città, oltre a mettere anche soldi nelle casse comunali, dato che le soste, come i parcheggi, sono a pagamento.

Secondo un dato di The Wall Street Journal, la domanda dei parcheggi nelle grandi città potrebbe diminuire del 30% rispetto al livello pre-pandemico. A contribuire a questa drastica riduzione, l’abitudine delle persone a spostarsi con bici elettriche e e-scooter, al posto dell’auto. I parcheggi pubblici e privati esistenti sono destinati a cambiare la loro natura, trasformandosi in hub multiuso.

 A Las Vegas, per esempio, per bilanciare la sperequazione tra una domanda più bassa di parcheggi e un’offerta sempre alta, alcuni spazi in eccesso sono stati trasformati in aree di ristoro per alcune categorie specifiche di autisti, come i lavoratori Uber che si recano in alcune aree, che trovano in un’app apposita, per ascoltare musica, rilassarsi in un bar, servirsi di bagni pubblici o ancora fare shopping.

Per chi invece non vuole rinunciare all’auto e vive l’incubo del parcheggio, un’app a Philadelphia ti guida in tutto il processo. Attraverso un comando vocale, l’autista dialoga con l’app che, prima di trovare il parcheggio più adatto nelle vicinanze, fa alcune domande, del tipo, “Vuoi parcheggiare nei pressi della tua destinazione? Oppure preferisci fare qualche passo a piedi?”.

Case più piccole, costruite nei cortili per abbassare gli affitti

Le case del futuro saranno più piccole di quelle a cui siamo abituati. La crescita della domanda di abitazioni e un’offerta di spazi per costruirle sempre più bassa sul mercato, porterà le case a ridurre la loro volumetria.

A Pasadena, in California, il problema è stato affrontato con una soluzione ingegnosa. La città offre prestiti fino a 150mila dollari per i proprietari che vogliono trasformare i loro garage oppure lo spazio in più nei loro giardini, in abitazioni da mettere poi in affitto. Nello stesso tempo, la città offre un prestito di 75mila dollari per le persone che hanno salari più bassi e sono alla ricerca di case in affitto.

Sempre di case piccole si parla ma questa volta con uno scopo sociale. Sono le mini case costruite dal comune a Salt Lake, dei veri e propri rifugi per togliere i senzatetto dalle strade e dare dignità alla loro vita.

smart city

Le fogne 4.0 e una pittura speciale

Le città del futuro saranno piene di sensori (dai semafori fino alle fogne). A South Bend, una città dello Stato dell’Indiana i sensori invadono ogni cosa, perfino le fogne, per risolvere un problema molto sentito: lo straripamento dei fiumi in caso di piogge forti o dello scioglimento della neve. Un sistema hitech fatto di sensori e di valvole rileva quando il sistema è in pericolo e direziona le acque di scarico in modo da diminuire la quantità di queste che finisce fuori dalle fogne. Risultati: da 7,5 miliardi di litri che finivano mediamente nei fiumi ogni anno in media, a 1,28 miliardi lo scorso anno, grazie all’installazione dei sensori.

Altra soluzione di ingegno, questa volta per ridurre il caldo in alcune città e risparmiare sul costo dei condizionatori, riducendone al contempo l’impatto sull’ambiente, è quella realizzata da un’università americana nel Purdue Project. In pratica si tratta di una pittura che ha la capacità di non assorbire il calore dalla luce del sole e di portare a un risparmio fino al 70% dei costi dei condizionatori.

Anche se, la soluzione migliore per abbassare le temperature infernali estive in molte città, resta il caro vecchio albero. Non è un caso che molti città del mondo, si stiano dando da fare per piantarne tanti lungo le loro strade. La forestazione urbana è il nuovo obiettivo ambientale di molti comuni, anche italiani. 

Alla ricerca di un’integrazione tra artificio e natura

lavorare all'aperto, smart cities

La città del futuro che si staglia davanti ai nostri occhi si distinguerà dalla sua capacità di trovare una maggiore integrazione, una convergenza tra naturale e artificiale. Come sul nostro corpo sono aumentate le appendici tecnologiche, con cellulare, tablet, dispositivi da polso ecc., qualcosa di simile sta avvenendo alla scala urbana:

«Da un lato il mondo digitale – con le sue reti, i suoi sensori/attuatori e i suoi sistemi di intelligenza artificiale – ci permette di far sì che il mondo dell’artificiale – quello delle nostre città e dei nostri edifici, per intenderci – si comporti sempre più come un organismo vivente. I nostri spazi diventano responsivi, capaci di adattarsi in tempo reale alle condizioni circostanti. Dall’altro lato, le nuove tecnologie ci consentono di incorporare la natura nei nostri edifici e nelle nostre città».

Un processo di convergenza tra naturale e artificiale che è per Ratti al centro del concetto di sostenibilità oggi, “probabilmente la nostra unica via d’uscita dalla crisi ambientale dell’antropocene”.

Supersalone: l’evento speciale 2021 del Salone del Mobile.Milano

Dal 5 al 10 settembre, nei primi quattro padiglioni di Fiera Milano, Rho (complessivamente 68.520mq), oltre 1.900 progetti (di brand espositori, designer auto-produttori e giovani laureatisi nel 2020/2021), un ricchissimo public program con più di 40 voci illustri (tra architetti, innovatori, visionari, imprenditori, artisti e politici), una rassegna cinematografica in collaborazione con il Milano Design Film Festival, quattro food court ideate da Identità Golose e animate da nove dei più grandi interpreti della cucina italiana e una grande mostra dell’ADI/Compasso d’Oro hanno l’obiettivo di capitalizzare i punti di contatto tra settori differenti, sperimentare nuovi format espositivi, coinvolgere e motivare i visitatori.

Arredo e design

E, soprattutto, riaccendere – metaforicamente parlando – i motori della città del design per eccellenza: Milano. Questo, in sintesi, il “supersalone”, evento fortemente voluto dal Salone del Mobile.Milano e curato dall’architetto Stefano Boeri.

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La forza del Salone del Mobile.Milano è sempre stata la volontà di fare squadra, di sperimentare e anche di rischiare, senza mai, però, perdere di vista l’obiettivo finale: il bene per le nostre aziende e per i nostri espositori. Ho sempre vissuto un Salone che, in ogni edizione, è stato capace di mettersi in discussione, di guardare alle trasformazioni della società, di analizzare sfide e cogliere opportunità. Di cambiare punto di vista. È ciò che abbiamo fatto scegliendo la strada di un supersalone.

Afferma Maria Porro, Presidente del Salone del Mobile.Milano. 

Abbiamo rotto gli schemi per non restare fermi in una situazione che avrebbe potuto impoverire il sistema e compromettere il primato di Milano. Non è stato facile, ma l’aver scelto una nuova strada e colto l’occasione di fornire nuove visioni di brand e prodotti è segno di quanto grande sia la forza del nostro design, che, coniugando tradizioni culturali, creatività dei protagonisti, capacità innovativa dell’industria e dei territori, ci permette di guardare al futuro con fiducia.

Un “supersalone” che raccoglie ed esibisce le migliori ricerche, produzioni e sperimentazioni realizzate da un intero settore in questi ultimi 18 mesi, ma che è, contemporaneamente, proiettato verso il futuro, rappresentando un importante momento di visibilità corale e un driver di rilancio per il comparto dell’arredo e del design.

Il riconoscimento di tale importanza e del suo valore simbolico è confermato dalla presenza di alte autorità governative e istituzionali – prima fra tutte il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – che, da sempre, testimoniano quanto il Salone rappresenti uno dei motori dell’economia italiana, grazie al fertile rapporto che riesce a creare tra impresa, città e territori.

A lui il Salone del Mobile.Milano porgerà in dono una riproduzione del manifesto della prima edizione del Salone (1961) in una cornice d’eccezione, progettata dal duo di designer Formafantasma e realizzata dal giovane architetto-artigiano Giacomo Moor e dagli ebanisti Gigi Marelli e Giordano Viganó con il legno degli abeti abbattuti dalla tempesta Vaia in val di Fiemme.

Il Mercato Centrale apre a Milano: un nuovo modo di vivere il food

Tutto nasce a Firenze, nel 2014, con la riapertura del “Primo Piano” dello storico Mercato di San Lorenzo. L’obiettivo era chiaro dal principio. Creare attorno al cibo uno spazio aperto, sentito, vissuto. Dare anima a un contenitore di conoscenza e di arte, di saperi e di emozioni. Di proporre relazioni durature con le città e chi le vive e offrire un’esperienza culturale e sensoriale sempre nuova, buona, elementare.

Un obiettivo realizzato non solo a Firenze, ma anche a Roma, Torino e finalmente anche a Milano. La comunicazione al Mercato Centrale gioca un ruolo importantissimo. Ogni Mercato è diverso dall’altro. Sono simili per forza e diversi per scelta. Hanno tutti una voce, un colore, uno stile e un linguaggio unici sviluppati negli anni, in azione sinergica dal genio creativo di almagreal e dall’esperienza nella comunicazione digitale di Viralbeat.

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Un concept alla ricerca del gusto

Questo perché ogni progetto di comunicazione – interna ed esterna – è progettato e realizzato ad hoc e site specific, per dialogare con la città: dal marchio alle insegne del Mercato e dei singoli artigiani, dalle infografiche degli spazi comuni alle personalizzazioni delle botteghe, dal wayfinding alle illustrazioni, dall’ADV ai progetti digital. 

Per questo quarto progetto di comunicazione, il concept, la strategia e la direzione creativa di almagreal trovano forma e sostanza in artwork unici in un ideale viaggio che rintraccia il vissuto, le memorie, i segni che un frammento di muratura ha raccolto e raccoglierà nel corso degli anni, passati e a venire. Il cliente viene invitato e sollecitato a guardare e riguardare gli spazi, in un continuum senza tempo, nella distanza, nella ripetizione, nel ritorno.

Per uscire dalla molteplicità dei messaggi presenti oggi e omaggiare la città in coerenza con lo spirito di Mercato Centrale, almagreal si è lasciata ispirare da grafica e arte degli anni ’50 interpretandola con diversi sistemi di rappresentazione dell’immagine: illustrazioni, pittura, segni, fotografia mescolati a colore, concetti, materiali, con spunti dal collage, dall’arte concreta, dalla Art Brut. 

Anche per il Mercato Centrale Milano Viralbeat interviene a gestire con talento propositivo tutte le properties digitali, con l’obiettivo di comunicare il concept in modo chiaro e coerente alla vocazione di marca, e di coinvolgere così i milanesi – come prima i fiorentini, i romani, e i torinesi – e i visitatori accomunati dalla ricerca del gusto, del convivio e di stimoli estetici e culturali tanto cari al Mercato Centrale. 

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Viralbeat ha lavorato e lavora per portare Mercato Centrale a distinguersi nel mondo digitale, reso ancora più fluido e affollato dalle vicende pandemiche. È il caso della realizzazione del sito dedicato mercatocentrale.it/milano che coniuga il concept e la creatività di almagreal all’identità di brand, dei suoi canali social e delle sue iniziative digitali, di campagna ed editoriali. 

Con il medesimo spirito, Viralbeat lavora in termini strategici per sostenere il lancio del nuovo punto vendita, per promuovere awareness e lead, e per comunicare progetti non ordinari e complessi da veicolare, attraverso campagne di influencer marketing e iniziative speciali. Per contribuire, infine, in modo misurato e verificabile al successo di eventi che fanno e faranno la storia del marchio Mercato Centrale, che già oggi possiede una identità forte, riconoscibile e preminente nel settore dei food hall. 

La campagna opening del Mercato Centrale Milano ha visto una pianificazione che va dal digital advertising all’outdoor, dalla stampa alla dinamica, dalla metro fino agli spot su circuito Grandi Stazioni. Dal 2014 ad oggi la partnership tra almagreal e Viralbeat ha contribuito e continua a contribuire all’affermazione del brand Mercato Centrale. Una sinergia di intenti e visioni che lascia il segno.

Just Eat svela i food trend a domicilio che hanno caratterizzato l’estate italiana 2021

Da sempre l’estate rappresenta la stagione in cui più si può godere delle meraviglie del territorio e delle eccellenze gastronomiche che il Belpaese offre, potendo viaggiare e approfittare delle tanto desiderate ferie estive. Il meritato relax concesso dalle vacanze permette di abbandonare anche le rinunce e le rigide diete e coccolarsi dal punto di vista culinario.

Il food delivery rimane sempre il miglior alleato per soddisfare qualsiasi voglia anche durante la bella stagione, sia in vacanza che in città. Lo dimostrano anche i dati di Just Eat, app leader per ordinare online cibo a domicilio in tutta Italia e nel mondo, e parte di Just Eat Takeaway.com, leader mondiale nel mercato della consegna di cibo a domicilio e top player assoluto fuori dalla Cina, che ha analizzato gli ordini degli italiani per scoprire trend e differenze che hanno caratterizzato le abitudini di consumo a domicilio degli italiani nei mesi più caldi. 

Ferragosto, cos’hanno mangiato gli italiani?

Nella giornata preferita dell’estate italiana, Ferragosto, quest’anno non ci sono state solo tradizionali grigliate e picnic, ma anche ordini a domicilio, cresciuti del 40% rispetto allo scorso anno. Sono stati ordinati oltre 11.000 kg di pizze (+18%), oltre 4.000 kg di pietanze cinesi (+31%), oltre 1.200 kg di hamburger (+18%), 400 kg di gelato (+51%) e 322 kg di insalate (+39%). L’ordine più grande è stato registrato da un ristorante giapponese a Messina e composto da 35 piatti, mentre nel 2020 era stato registrato a Torino con 24 pietanze di cucina cinese.

Classifica delle città dove si è ordinato di più a Ferragosto:

  1. Roma;
  2. Bologna;
  3. Genova;
  4. Milano;
  5. Torino;
  6. Trieste;
  7. Napoli;
  8. Palermo;
  9. Firenze;
  10. Rimini.

La regina indiscussa del Ferragosto rimane la pizza margherita, che si conferma in piatto più ordinato nelle principali città italiane. A Milano sono stati molto apprezzati anche i piatti internazionali come ravioli al vapore, involtini primavera, cheeseburger e kebab, mentre a Roma hanno vinto specialità regionali come olive ascolane, fiori di zucca e supplì. A Bologna si è preferita la pizza in varie declinazioni con golose aggiunte come la salsiccia, alla diavola o con wurstel. A Torino, oltre a pizze e patatine fritte, prediletti anche piatti della cucina cinese come gli involtini primavera, ma anche gelato e poke bowl, che non sono mancate neanche a Napoli, seguite da piatti tipici regionali come crocchè e frittatina. A Palermo invece si è optato per la classica parmigiana.

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Tra cucine regionali e internazionali: le preferenze degli italiani lungo la penisola

Gli italiani amano le cucine regionali, in particolare quando sono in vacanza. Le città di mare, infatti, mostrano molta più varietà tra i piatti regionali più ordinati che rappresentano le pietanze tipiche del posto. Tra le specialità spiccano: crocchè e frittatine a Napoli, brioche con gelato e anelletti al forno a Palermo, piatti a base di prosciutto San Daniele e salame Viennese a Trieste. Roma rimane comunque la città in cui si sono ordinati più piatti tipici, con ben 2.211 kg di supplì ordinati durante l’estate e consumati principalmente a cena (96%), una preferenza che si ritrova anche nelle città di mare che ordinano le specialità regionali soprattutto durante questo pasto della giornata (89%).

Mentre le città di mare si sono orientate di più verso la cucina regionale della tradizione italiana, le città metropolitane sono invece risultate essere più aperte alle cucine internazionali con il 64% in più di piatti internazionali ordinati. Infatti, oltre la metà dei piatti più popolari ordinati nelle città sono piatti della cucina cinese (riso alla cantonese, ravioli al vapore o alla griglia), giapponese (sushi), mediorientale (kebab) oppure hamburger. La cucina italiana rimane la scelta migliore per la cena, mentre le cucine internazionali sono preferite principalmente a pranzo sia in città (61%) che al mare (73%). 

Oltre a scelte più golose, gli italiani d’estate preferiscono anche pietanze più leggere e salutari: infatti, la cucina vegetariana e vegana hanno visto un aumento del 130% durante i mesi caldi. Tra i nuovi piatti di tendenza troviamo non solo hamburger in versione vegana, ma anche piatti della tradizione rivisitati in chiave vegetale come le lasagne, il pesto e zucchine ripiene di lenticchie. In crescita anche piatti mediorientali come falafel, hummus e pita.