Nel corso degli anni l’Influencer Marketing si è evoluto. Da novità che genera curiosità a tattica di marketing ormai radicata nelle aziende e nelle organizzazioni che puntano alla visibilità online.
Questa trasformazione ha fatto sì che anche il modo in cui le campagne di Influencer Marketing vengano gestite con più consapevolezza.
Dieci anni fa i brand hanno iniziato a collaborare con gli influencer per raggiungere il proprio target sui social media e creare programmi di marketing più autentici come alternativa al tradizionale Paid Advertising. Spesso senza troppa cognizione di causa, senza dare troppa importanza alle capacità comunicative dei creator e sottovalutando ciò che poi si è rivelato essere molto più di un trend.
Oggi vediamo aziende, imprese, professionisti e organizzazioni espandere il loro potenziale di visibilità riducendo la loro dipendenza da alcune piattaforme per sperimentare altri canali emergenti.
Luoghi digitali che permettono una rapida crescita organica nel momento in cui il brand riesce a gestire community diverse che rispondono a una specifica organizzazione, diversa dal tradizionale presidio dei classici social.
Ad esempio ciò significa creare prodotti, offrire esperienze e raccontare storie create insieme alla community del brand.
Ogni volta che si invia un messaggio, questo deve offrire valore al destinatario per poter riscuotere successo. Comunicare in maniera genuina e sinceramente attenta alle persone è il modo più diretto per entrare in contatto con il proprio pubblico.
Dato che i brand cercano di approfondire le relazioni con i clienti, una community rappresenta il canale più potente per questo scopo.
I referral generati all’interno di una community hanno un valore 3 volte superiore rispetto a quelli che derivano da altri canali e azioni di marketing.
Investire in una community – invece di limitarsi solo alla pubblicità a pagamento – favorisce la fidelizzazione dell’utente e sostiene una solida crescita organica a lungo termine.
Dalla transazione allo storytelling
Gli ultimi due anni hanno costretto anche i marketer a fare i conti con restrizioni e distanziamenti.
Un momento storico in cui spingere con energia alla vendita diretta non è esattamente la mossa migliore per un brand.
Ecco perché è fondamentale investire le proprie risorse su una tipologia di marketing che aiuta a entrare davvero in contatto con le persone potenzialmente interessate ai prodotti o servizi di un’azienda. Mettere a frutto i proprio sforzi comunicativi di brand attraverso la creazione di una community significa:
chiedere quali contenuti sono più preziosi e utili al proprio target di riferimento;
cosa vogliono vedere le persone in relazione ai prodotti o i servizi di un’azienda;
proporre offerte personalizzate e che rispettano le esigenze e le necessità – soprattutto in seguito a un periodo così difficile e faticoso.
In sostanza, adattare i messaggi del brand affinché riflettano il desiderio e le aspirazioni delle pubblico di riferimento significa lavorare per cementificare le basi della propria community.
Significa che l’Influencer Marketing è morto?
No affatto!
Sia gli influencer che i brand seguono lo stesso funnel di marketing per intercettare e convertire l’utente finale. Presidiano le stesse piattaforme, parlano allo stesso pubblico, lavorano con strutture e dinamiche comunicative spesso molto simili.
La collaborazione temporanea tra brand e influencer ha ancora senso di esistere soprattutto nel momento in cui una campagna one-shot è focalizzata su una nicchia estremamente verticale e ben circoscritta.
Tuttavia, esiste un modo migliore con cui brand e influencer possono collaborare tra loro per ottenere performance di marketing (ovvero engagement) più durature nel tempo: lavorare verso la creazione di community.
Significa integrare due forze comunicative di grande impatto in un’unica strategia di marketing online. Un po’ come quando i supereroi decidono di unire le proprie forze, i propri strumenti e i propri superpoteri per salvare l’umanità da una minaccia insuperabile.
Aziende e influencer, insieme per la costruzione di una brand community!
Marketing autentico oggi e domani
Oggi i consumatori vogliono essere coinvolti nel processo di sviluppo di un brand. Non si tratta solo di umanizzare l’azienda e adottare un approccio customer-centric.
Costruire relazioni autentiche tra brand, creator e il loro pubblico è il punto di partenza.
L’Influencer Marketing ha raggiunto uno scenario standard in cui gran parte del semplice posizionamento di prodotto avviene su Instagram mentre le connessioni più profonde e autentiche si trovano su YouTube o su piattaforme più verticali, come Twitch o TikTok.
Ecco perché le aziende dovrebbero iniziare a ottimizzare gli strumenti con cui cercare e ingaggiare gli influencer delle campagne di marketing per catalizzare le loro potenzialità di visibilità e costruire – proprio a partire da loro – una robusta fanbase.
I migliori risultati derivano dalla creazione di contenuti unici, fatti su misura, personalizzati per un pubblico specifico. Ecco il valore aggiunto che può dare l’Influencer Marketing verso la costruzione di una brand-community.
I brand moderni hanno l’opportunità di offrire esperienze e raccontare storie, co-creandole con creator, ambassador e influencer in grado di cementare le relazioni con i loro clienti.
Influencer Marketing: la vera sfida della creazione di una Community
Il vantaggio di lavorare con gli influencer a lungo termine supera il ritorno generato da una collaborazione una tantum. Ma ci sono alcuni fattori da considerare. In primo luogo, la costruzione di una community implica la sua costante manutenzione e gestione.
Un brand deve essere capace di ascoltare efficacemente la community e guidare gli influencer al suo interno affinché da semplici follower diventino brand ambassador e sostenitori.
Perciò il processo di selezione, verifica, comunicazione e tracciamento non può essere lasciato al caso. Diversamente, non sarebbe possibile quantificare i risultati e poter decidere quale strada intraprendere per una comunicazione davvero incisiva dell’azienda sulle piattaforme social.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2016/12/socialmedia_community.jpg6761013Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2022-07-05 13:00:162022-07-06 10:47:59Perché il futuro dell'Influencer Marketing è la Community
Quando si tratta di interagire online con un pubblico particolarmente ampio, i video sono un format must-have per i brand di tutto il mondo e una strategia di video marketing risulta indispensabile.
Fare leva sulle emozioni e sull’immediatezza del messaggio sembra essere la chiave del successo, soprattutto nel contesto dei canali di comunicazione digitale. Il mondo di oggi è popolato da consumatori sempre più fruitori di contenuti video, e pertanto, gli inserzionisti si trovano di fronte alla difficile sfida di creare contenuti video volti non solo a catturarne l’attenzione , ma anche a conquistarne i cuori e l’immaginazione.
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Digital Content del Politecnico di Milano (School of Management), il mercato dei video italiano ha superato i 1.3 miliardi di Euro nel 2021: 4 utenti online italiani su 5 guardano contenuti video (in aumento di 7 punti percentuali rispetto al 2020). Questi dati suggeriscono che il video marketing occupa un posto importante che non va sottovalutato.
Inoltre, cresce anche la spesa pubblicitaria associata alla distribuzione di video: l’advertising registra aumento del +11% per un valore complessivo di 510 milioni di Euro. Si tratta, pertanto, di un mercato in forte espansione e che non ha ancora terminato il suo percorso evolutivo: anzi, lo scenario continuerà a mutare in virtù di numerose sfide che i protagonisti del settore dovranno affrontare nel prossimo futuro.
Tutto questo diventa ancora più rilevante se il target desiderato sono i più giovani. Nonostante la continua richiesta online per foto d’impatto, sono i video a dominare nel panorama online della Gen Z e dei Millennial. A differenza delle generazioni prima di loro, non hanno mai conosciuto un mondo senza la tecnologia digitale, cosa che li ha resi dei consumatori consapevoli, in grado di capire meglio i retroscena della creazione di contenuti digitali rispetto alle controparti più adulte.
“Abbiamo rilevato nell’ultimo anno un aumento significativo, sia per gli utenti, sia per i brand, della creazione e fruizione di contenuti video: le persone infatti cercano sempre più fonti di ispirazione immersive e coinvolgenti. La popolarità dei format video incentiva le aziende a creare più contenuti video e, di conseguenza, i marketer, i creator e chiunque voglia veicolare un messaggio destinato alla prossima generazione di consumatori deve investire nella creazione di contenuti di questa tipologia. Pinterest è una piattaforma molto più efficace rispetto ad altre nel raggiungere un pubblico mirato. Secondo una ricerca condotta in Italia da Pinterest e Dentsu, i contenuti pubblicitari video su Pinterest hanno una visibilità 9 volte maggiore e un tasso di finalizzazione di 3,5 volte superiore rispetto alle altre piattaforme. Questa efficacia deriva dal fatto che il pubblico di Pinterest è particolarmente ricettivo a contenuti pubblicitari d’ispirazione.” – Christian Cochs, Head of Sales per Italia e Spagna a Pinterest.
Per supportare al meglio gli advertiser, Pinterest fornisce 7 consigli sulla realizzazione di video coinvolgenti, basandosi sui contenuti più efficaci e più seguiti nello scorso anno sulla piattaforma.
Stabilire i propri obiettivi di business: è necessario tenere sempre a mente i propri obiettivi commerciali per capire cosa si vuole ottenere con i propri video: avere un impatto elevato, attirare l’attenzione (con video brevi e incisivi), oppure fornire una versione più estesa ed educativa.
I video esteticamente curati attirano maggiormente l’attenzione: poiché i primi secondi sono cruciali per catturare l’attenzione dell’utente, indipendentemente da tema del video, occorre sempre puntare a scatti di alta qualità estetica. Tuttavia, non va dimenticato che gli utenti non ricercano solo ed esclusivamente questo: avere un ampio range di contenuti, così come di suggerimenti e trucchi del mestiere, permette di attirare tutti i tipi di spettatori da tutto il mondo.
Conoscere i propri clienti: per poter arrivare con i propri contenuti ad un pubblico più targettizzato, è fondamentale conoscerlo al meglio. Dato il superamento dell’idea di un tradizionale profilo del pubblico, è necessario informarsi sulle nuove abitudini dei consumatori e sulle proprie aspettative. Si tratta di un’operazione molto semplice, che può partire banalmente dalla scelta delle palette di colori e parole più attraenti per il pubblico a cui ci si vuole rivolge.
Conoscere i propri numeri: avere un profilo business su Pinterest permette a brand e creator di avere accesso non solo a funzionalità aggiuntive, ma anche a statistiche, uno strumento indispensabile per capire cosa i Pinner vogliono, cercano e apprezzano. Per esempio, si possono analizzare dati raccolti settimanalmente per vedere quali Pin danno migliori risultati e quali funzionalità possono aiutare ad ottimizzare la performance.
Selezionare i giusti ingredienti e lasciarsi ispirare: diversi tipi di pubblico reagiscono diversamente a diversi tipi di video. Dai contenuti generati dagli utenti ai video che rimandano a ad altri contenuti contentiinformazioni aggiuntive, occorre prestare attenzione a tutti gli elementi del video. Pinterest è un ottimo strumento non solo per indirizzare il traffico e ispirare gli utenti, ma anche per ispirare il lavoro di brand e creator. I report di Pinterest, come, per esempio Pinterest Predicts, sono tutte fonti d’informazione significative a livello globale e locale, da poter sfruttare se si è alla ricerca di nuove idee.
Osservareciò che le persone stanno cercando: può essere d’aiuto, nella definizione del taglio dei propri video, osservare ciò che il pubblico in target sta cercando al momento sulla piattaforma. La newsroom di Pinterest è uno spazio utile per inquadrare le tendenze più seguite del momento, come per esempio la stagione dei matrimoni. Le ricerche delle celebrazioni festive aumentano su Pinterest dai 2 ai 3 mesi prima: del resto, la pianificazione in anticipo, come piace ai Pinner, è qualcosa di imprescindibile; a tal fine, i brand possono aggiungere ai propri contenuti descrizioni, hashtag, link alle bacheche e sezioni specifiche.
Essere veloci e facilmente fruibili: i video dovrebbero durare idealmente dai 45 secondi ai 3 minuti, mantenere un equilibrio tra divertimento e informazioni, e preferibilmente, essere registrati in modalità verticale. Nel caso di collaborazioni con creator apprezzati dal pubblico in target oppure di invito ad acquistare un prodotto, è sempre importante realizzare contenuti video che incoraggino un’azione, ma soprattutto coinvolgenti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/video-marketing-copertina.jpg629947Pinteresthttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngPinterest2022-07-05 10:30:472022-07-05 09:27:52Video marketing: perché i video sono un must-have per i brand che vogliono raggiungere un pubblico giovane
Un quarto dei neoassunti in media non rimane più di un anno in azienda
Onboarding digitale, reale o ibrido? Le scelte strategiche per assicurare la retention di giovani e adulti
L’incontro cruciale tra generazioni e cultura del lavoro è proprio alla porta di ingresso in azienda
Il modo in cui le persone accedono o cambiano lavoro sta subendo grandi trasformazioni, così come le loro aspettative sui loro futuri luoghi e datori di lavoro, soprattutto per le nuove generazioni. Dalle opportunità di sviluppo professionale e di crescita personale chiare e continuative, a un forte senso di scopo, i desiderata dei lavoratori del prossimo futuro sono sempre più incisivi, ma possono stimolare concretamente anche il cambiamento culturale dei modelli di lavoro in azienda.
Nel ciclo di vita aziendale, spesso si tende a sottovalutare un momento cruciale di incontro tra generazioni differenti: l’onboarding.
Il lavoro è oggi sempre di più il touchpoint reale in cui generazioni distanti hanno non solo modo di entrare in contatto (come avviene in maniera distante o addirittura facinorosa nelle discussioni sui social network), ma addirittura di collaborare insieme, molto più che nelle dinamiche di relazione familiare.
Oggi l’approccio all’onboarding in molte aziende non è molto strutturato. La maggior parte delle organizzazioni utilizza un approccio da “check list”, con una serie di pendenze organizzative da smarcare, informazioni da trasmettere, policy da dettagliare. Ma l’onboarding è molto più di un pacchetto informativo, di un manuale della qualità o di un programma introduttivo standard. Fare un onboarding destrutturato è estremamente negativo per le aziende, e negativo per le persone, soprattutto in questo momento storico così delicato, dove il contrasto culturale tra aspettative di generazioni diverse di lavoratori e datori di lavoro tende a emergere con estrema nitidezza.
Employee e newbie si aspettano sempre di più dalle aziende e, se non si sentono connessi e coinvolti, facilmente potrebbero intraprendere nuove strade professionali, anche dopo pochi mesi di vita aziendale.
L’impatto economico diretto e indiretto che un cattivo onboarding ha per l’azienda è molto elevato: ai costi del recruiting si sommano infatti quelli di formazione e upskilling dei neoassunti e tutti i costi amministrativi dei periodi di ingresso in azienda, insieme al tempo investito nel training e quello dedicato dai colleghi per il “percorso iniziatico” all’interno del contesto organizzativo.
Le criticità che un’esperienza negativa di onboarding può attivare sono molteplici, anche perché banalmente significa dover spendere nuove energie per un’attività che non si immaginava di dover sostenere ricominciando da capo il processo di selezione. Perdere un/una dipendente troppo presto è un problema reale (giovane o adulto che sia).
D’altro canto, se implementato con successo, l’onboarding può garantire un maggiore coinvolgimento, una prontezza organizzativa e una vera fidelizzazione tra azienda e neoassunti, minimizzando i livelli di stress e ovviamente migliorando performance, profitti e benessere generale.
Tuttavia, pochissime aziende adottano un approccio di onboarding ben disegnato e sfruttano solo una parte del pieno potenziale di questa fase cruciale dell’employee experience.
il 25% dei nuovi assunti lascia l’azienda entro i primi 12 mesi, il 48% di newbies al primo impiego si è dimesso entro i primi 18 mesi; il tempo medio di onboarding per generare la performance attesa è di 6,2 mesi per i nuovi assunti;
il costo della perdita di un nuovo dipendente entro i primi 12 mesi equivale a 2 anni del suo stipendio;
l’average tenure, ovvero la media di tempo di permanenza in azienda per le nuove generazioni è inferiore ai 2 anni e le aziende con processi di onboarding strutturati e ben progettati riescono ad ottenere una produttività superiore del 54% dai loro nuovi assunti contemporaneamente a un doppio livello di engagement.
Dalle sue ricerche emerge in maniera piuttosto costante che il costo di assunzione di un nuovo lavoratore arriva ad un break-even point dopo 6 mesi e se 1 su 4 “abbandona l’“aereo aziendale lanciandosi con il paracadute” in meno di 12 mesi, è facilmente comprensibile che il contributo che può dare al valore netto per l’organizzazione è davvero esiguo.
I dati si riferiscono a indagini sul mercato americano, pre-pandemia e prima delle dinamiche attivate dalla great resignation, ma già guardando a quei numeri è piuttosto tragico verificare che tra i giovani dimissionari si riscontra che un 20% prende questa decisione entro i primi 45 giorni e un 4% dopo il primo giorno di lavoro.
Nel mio riscontro personale ho avuto modo di sapere di alcuni casi di giovani che hanno addirittura stralciato la lettera di intenti già firmata per grandi realtà aziendali.
Secondo Headway, una società di consulenza per le risorse umane di Barcellona, il 75% dei nuovi dipendenti che decide di lasciare dopo 45 giorni confessa di non essersi sentito a proprio agio nella fase d’inserimento in azienda e il 67% afferma che la realtà aziendale non aveva molto a che fare con ciò che era stato spiegato loro prima di iniziare il proprio lavoro.
Harpelund insieme ai suoi collaboratori, in uno dei volumi più completi sul tema, “Onboarding: Getting New Hires off to a Flying Start” (2015), descrive un modello a 6 dimensioni che intreccia cultura, regole, rete, collaborazione, competenze e prestazioni per disegnare accuratamente il processo di ingresso dei nuovi assunti in azienda.
Tra le dinamiche osservate è interessante citare l’effetto “Honeymoon” che rappresenta una “curva emozionale” dei nuovi assunti che iniziano un nuovo lavoro, che percorre un tracciato prevedibile che va dall’alto al basso e poi di nuovo in alto durante il periodo di onboarding.
Quello che mostra questo effetto “luna di miele” è che i nuovi assunti iniziano sempre con molte aspettative e generalmente sperimentano un’energia e delle emozioni positive al principio del percorso, che però perde intensità entro i primi 3 mesi. Al di là delle diverse interpretazioni, è piuttosto ovvio che in questi primi mesi i nuovi assunti iniziano a conoscere la complessità del lavoro e del loro ruolo, creando un senso di attrito, che erode parte della spinta con cui avevano iniziato, ma ci spiega anche che ci vuole fisiologicamente del tempo per ristabilire l’energia e l’elevata esperienza emotiva.
Misurare questo effetto offre a un’organizzazione diversi vantaggi. In primo luogo, si può capire quando e dove incidere nel processo di supporto ai nuovi assunti. In secondo luogo, se si inizia riconoscere quando arriva la “pendenza” della curva, è possibile migliorare la definizione delle aspettative.
In altri ambiti internazionali, come ad esempio suggerisce SHRM, si tende a modellizzare gli aspetti chiave per un onboarding efficace attraverso le dimensioni della Compliance(ovvero il meccanismo con cui i dipendenti si conformano alle linee guida legali e organizzative all’azienda), della Clarification(quando l’azienda spiega ai dipendenti il lavoro e le aspettative sul ruolo), della Culture(che riguarda anche iter e prassi non scritte di tipo informale) e della Connection(ovvero la facilitazione delle connessioni e del networking interno al contesto organizzativo).
Ma oltre all’allineamento con la missione, la strategia e le pratiche organizzative, vi sono degli aspetti cruciali che sono emersi distintamente nell’ultimo periodo che non possono più essere prescindibili: l’utilizzo della tecnologia per rendere più scorrevole e semplice l’inserimento dei nuovi collaboratori e proprio la configurazione di programmi che facilitino la creazione di reti all’interno dell’organizzazione; per aiutare i neo-assunti a superare le preoccupazioni personali e professionali all’inizio di un nuovo lavoro.
Favorire le dinamiche di socializzazione (all’interno o all’esterno del posto di lavoro) e l’innesco di dinamiche peer-to-peer o di buddy sono elementi importanti per costruire le reti, andando oltre i tradizionali perimetri gerarchici o di funzione.
Molte di queste situazioni di solito si sviluppano in maniera naturale e non è sempre necessario assegnare un “buddy” in maniera forzata, ma può essere importante, ad esempio, mappare competenze e conoscenze di chi è a bordo per poterle offrire e metterle a disposizione dei nuovi arrivati, affinché le “reclute” possano orientarsi sul know who e sapere a chi fare riferimento per i diversi momenti del proprio percorso di inserimento.
Digitale o reale? Tra Remote Onboarding e Onboarding Bootcamp
Forse più che in altri esercizi di riprogettazione dei processi aziendali, l’onboarding può diventare un’ottima palestra di riconoscimento dei segnali distonici che l’organizzazione trasmette tra comunicazione esterna ed interna, di focus sulla cura della reputazione e dell’attenzione ai valori e ai significati del lavoro (che abbiamo visto anche in altre occasioni non sono più un “nice to have”), di capacità di distinguere nei contenuti di un processo quelli che possono essere pre-registrati e digitalizzati, da quelli che inevitabilmente avranno bisogno dello “human touch” e probabilmente della presenza fisica.
Sono tantissimi i neoassunti che nel periodo della pandemia hanno lamentato la difficoltà di integrarsi ed entrare nella sintonia aziendale solo esclusivamente attraverso il “full remote” e il lavoro a distanza. Ma è altrettanto vero che il remote onboarding può essere mantenuto in parte per permettere ai nuovi arrivati di “studiare” e informarsi su tutti quei contenuti di carattere pratico, sulle policy, sugli organigrammi, sui progetti ma anche sulle storie delle persone e sugli aneddoti aziendali.
Detto questo anche l’onboarding, come le altre pratiche aziendali per provare a direzionarsi verso un futuro trasformativo, non può che essere centrato sul people caring, sul wellbeing e sulla work-life integration, perché per cogliere le nuove sfide con i nuovi arrivati, ogni azienda deve mettersi (e metterli) nelle condizioni di poter dialogare in modo inclusivo.
Non a caso, tra le best practice di onboarding che solitamente vengono segnalate c’è quella di Facebook (Meta), che con un vero e proprio Bootcamp di 6 settimane ha l’obiettivo di portare la cultura aziendale ai nuovi assunti e dove, durante il processo, i dipendenti hanno la possibilità di connettersi alla missione dell’azienda e coltivarne i principi per iniziare a essere da subito produttivi e armonizzati con il contesto di riferimento.
C’è un passaggio fondamentale che andrebbe sottolineato in questo frangente. La cultura è complessa perché può essere invisibile: se un nuovo dipendente deve essere ben inserito in una cultura organizzativa, è necessario che l’organizzazione se ne curi attivamente e si sforzi di renderla visibile, chiara e senza fraintendimenti di linguaggio e azioni.
Senza scomodare troppo i modelli di Edgar Schein sugli “strati” della cultura organizzativa, è palese che l’onboarding non può riguardare solo gli “Artefatti” culturali visibili e (dove si riesce a rappresentarli efficacemente) i Valori aziendali.
Sono proprio gli “Assunti” sotto la superficie culturale della piramide ribaltata di Schein su cui oggi si gioca la partita della retention, ma anche dell’attraction di nuove leve: poiché l’unicità di certe dinamiche culturali può davvero caratterizzare in maniera distintiva un’azienda al posto di un’altra, e può essere il motivo per comunicare autenticamente alle nuove generazioni in maniera vincente, oltre che ad assottigliare le possibilità di disillusione e di gap che abbiamo descritto in principio.
Forse serve davvero l’antropologo o l’etnografo cultura in azienda, poiché la cultura è complessa e perché può essere inconscia. È l’ironia delle norme di cui spesso siamo inconsapevoli finché gli altri non le seguono: improvvisamente diventano visibili a tutti e si formano proprio a partire da quei comportamenti che spesso non sono osservati ed esplicitati.
Spesso, queste distonie tra regole e comportamenti formali e informali, emergono con forza proprio al momento dell’onboarding e dell’avvicendamento di culture “esterne” che subentrano nell’organismo organizzativo. E sia le “norme” che abbiamo come organizzazione, sia le “norme” che il nostro nuovo assunto porta con sé, hanno a che fare con l’inclusione culturale e… generazionale.
Intergenerazionalità e storytelling nelle nuove strategie di onboarding
Pensateci per un secondo. Ogni volta che si parla di “ricambio generazionale” in azienda o di importanza di trasmettere la cultura organizzativa dei “senatori” aziendali c’è alla base il momento cruciale dell’onboarding.
Fino a qualche tempo fa era consueto anche sentir parlare di “aziendalizzazione” dei nuovi assunti, un termine infelice ma che rappresentava significativamente che per fare un percorso evoluto di carriera in un contesto organizzativo di una certa rilevanza in termini numerici, era necessario acquisire un mindset allineato ad una determinata cultura organizzativa, poiché il mondo aziendale sa essere,se vuole, un mondo a sé stante e anche piuttosto scollato dalle altre realtà del lavoro.
Come abbiamo visto il paradigma ha però bisogno di cambiare per evitare una fuga prematura dei nuovi assunti, in un contesto di mercato così fluido ma anche fragile. Abbiamo visto quanto sia rilevante indagare gli assunti organizzativi più profondi e le dinamiche etnografiche per raccontarle e trasmetterle con autenticità ed efficacia alle nuove generazioni.
Ma proprio perché di conflitto generazionale si tratta, tra una cultura del lavoro che ha dei valori maturati in decine di anni di azienda, a volte tramandate direttamente dai fondatori o dai padri dei fondatori con quelle nuove, acerbe, ma inevitabilmente più vicine al presente e alla realtà, il lavoro da compiere è proprio quello di mettere in contatto queste anime culturali dell’azienda per poter disegnare un onboarding che tenga conto dei principi e dei valori da tramandare, delle buone pratiche e dei rituali di successo, ma anche dello stile giusto per poter raggiungere al meglio il cuore e la mente di chi inizia un percorso in un nuovo contesto ambientale.
Come nei trasferimenti all’estero è fondamentale la relazione con i nativi e le loro storie, anche nell’onboarding diventa imprescindibile lo storytelling come strumento di inclusione culturale.
Raccontare gli aneddoti, le vicissitudini, le imprese che team di lavoro o intere funzioni sono riuscite ad affrontare dalla viva voce dei protagonisti è una ricchezza immensa. Avere una “mediateca” di queste storie da far fruire ai neofiti, giovani o adulti che siano, può essere una leva strategica non indifferente. Magari attraverso il potere dell’ascolto e del podcasting, oppure attraverso momenti di buddy time dedicati alle narrazioni, o anche solo attraverso la possibilità di sviluppare un networking sociale strutturato all’interno dell’organizzazione.
Ma permettiamo in azienda di far disegnare tutto questo a senior e junior insieme. Giovani che hanno appena vissuto la candidate experience e possono segnalare tutti i touchpoint di miglioramento del processo, del linguaggio e degli stili da rendere meno “cringe”, insieme ad adulti di lungo corso aziendale o opinion leader informali di tutte le generazioni che possano veicolare appieno la ricchezza dell’esperienza lavorativa e del micro-universo di ogni realtà.
Ogni azienda può essere è un vero e proprio romanzo da suggerire a chi la vuole studiare in profondità.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/onboarding-come-si-fa-copertina.jpg617992Giulio Beroniahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulio Beronia2022-07-04 11:05:282022-07-05 09:10:40Come fare onboarding di nuova generazione ed evitare i costi aziendali di un'esperienza negativa
Spotify ha pubblicato la quarta edizione di Culture Next, il report annuale globale sulle tendenze che definiscono la Generazione Z e i Millennial.
Per questa edizione, Spotify ha deciso di occuparsi delle tendenze culturali che si stanno diffondendo all’interno della Gen Z, in Italia e nel mondo, per poter fornire agli inserzionisti uno sguardo ravvicinato su ciò che ispira e motiva i giovani di oggi e sul futuro del mondo dell’audio in generale.
Perché anche quest’anno Spotify ha deciso di studiare la Generazione Z e i Millennial
Solo nel primo trimestre del 2022, gli utenti di età compresa tra i 18 e i 24 anni hanno già ascoltato più di 578 miliardi di minuti di musica su Spotify – più di qualsiasi altra fascia di età – e circa 16 miliardi di minuti in più rispetto ai Millennial nello stesso anno.
A differenza delle altre piattaforme social, che si concentrano su continui confronti, like e interazioni di qualsiasi tipo, l’audio digitale offre agli Z uno spazio per capire meglio se stessi e per immergersi in contenuti audio capaci di trasportarli in altre dimensioni, in altri tempi, magari quelli del passato, percepiti come più semplici e facili.
Dalla ricerca, infatti, emerge che il 73% degli Z ascolta ed utilizza l’audio per connettersi meglio con sé stesso e il 68% ha dichiarato di ascoltare e guardare contenuti legati ai decenni passati, proprio perché rimandano loro a “quando le cose erano meno complicate”.
Nel Culture Next di quest’anno, Spotify va ancora più a fondo nella Gen Z, intesa come trendsetter, fan e soprattutto gruppo di persone e individui che esplora e definisce il proprio mondo tramite l’audio. Il tutto, per permettere a brand e inserzionisti di comprendere meglio le nuove generazioni e trovare il giusto punto di incontro con loro.
Alcuni dei principali risultati di Culture Next in Italia e nel mondo:
1. Confrontando i dati con il report dello scorso anno, la Generazione Z in Italia ha più probabilità della controparte Millennial di descrivere la propria generazione come “stressata” (70% contro il 53%). Infatti, la salute mentale, il genere di podcast preferito a livello mondiale dalla Generazione Z, ha assistito a una notevole crescita in Italia con un incremento del 73% nel numero di ascoltatori nel solo primo trimestre del 2022, rispetto all’anno precedente.
La Gen Z nel mondo è più propensa dei Millennial a descriversi come “stressata” (67% contro 48%).
Il 67% di questa utilizza i contenuti audio (musica, podcast, ecc.) per affrontare stress e ansia, mentre il 57% dei membri della Gen Z ascolta i podcast per trovare conforto, calmarsi o rilassarsi.
Il 61% degli utenti di età compresa tra i 18 e i 24 anni in Italia afferma di ascoltare podcast per trovare le risposte a domande difficili o personali prima di parlarne con la propria famiglia, mentre il 69% dello stesso gruppo afferma di ascoltare contenuti audio per ricavare informazioni di cui discutere con i propri amici.
2. Oltre un terzo dei membri della Gen Z (42%) ritiene di essere nato nel decennio sbagliato. Inoltre, un sorprendente 59% crede che la vita fosse migliore prima dei social media, nonostante la maggior parte di questa non abbia mai sperimentato un mondo non-connesso. Infatti, se le vecchie generazioni ricordano il passato come qualcosa di statico, semplicemente da ricordare, la Gen Z sta reinventando la nostalgia, prendendola e trasformandola in qualcosa di unico e personale.
Il 58% dei più “adulti” tra i ragazzi appartenenti alla Gen Z ha dichiarato di sentirsi stremato dalle continue sollecitazioni della cultura tecnologica e dei social media.
Al 77% della Generazione Z in Italia piace quando i brand ripropongono vecchi stili estetici e il 74% adora quando i brand realizzano contenuti o prodotti retrò.
3. A differenza dei teenager e dei ventenni delle passate generazioni che miravano ad integrarsi ed essere al “passo con i tempi”, la Gen Z aspira a distinguersi ed è alla costante ricerca di nuovi modi per esprimere se stessa.
Lo strumento migliore che permette alla Generazione Z di esplorare e mettere in mostra i propri gusti unici e inimitabili è l’audio. Il 72% degli utenti in Italia afferma che senza l’audio non potrebbe esplorare così a fondo la cultura, come invece sta facendo.
Inoltre, l’83% di questi, afferma che l’audio permette di scoprire diversi aspetti della propria personalità.
4. Infine, la Generazione Z sta rivoluzionando il rapporto tra creator e fan. Da una relazione a senso unico, si sta trasformando in uno scambio bidirezionale. In particolare, attraverso le chat su Discord o TikTok, si stanno formando piccole community online di creator e fan, in cui ci si scambia informazioni, si condividono emozioni, sensazioni, le canzoni del cuore e i propri artisti preferiti.
Il 37% della Generazione Z in Italia afferma di far parte di una community digitale come Subreddit o Discord, dedicata ai fan di un particolare creator.
Cosa significa per Brand e inserzionisti
Mantenersi reali (e conoscere i propri meme).
La Generazione Z non ha paura di criticare i brand che usano impropriamente prodotti culturali come i meme o che si appropriano del lavoro di altri.
Inserirsi nel dibattito culturale in tempo reale.
Un grande vantaggio dell’audio digitale? Rispetto ad altri formati, è piuttosto facile (e veloce) da produrre, il che significa che ogni azienda può partecipare a un dibattito culturale proprio nel momento esatto in cui si sta svolgendo.
Portarli indietro nel futuro. I membri della Gen Z sono nostalgici, ma anche lungimiranti. Utilizzate il targeting contestuale per raggiungerli quando ascoltano playlist nostalgiche, malinconiche, sentimentali e altre playlist umorali, e invitate un artista a parlare di come prende spunti musicali dal passato. Oppure cercate di trovare creator che usano la loro musica e il loro sound per esprimere la loro visione di un mondo futuro.
… o aiutarli a tornare indietro nel tempo. Riportate in vita il suono del vostro marchio con le Branded Playlist dedicate, tornando ai decenni e ai generi che si allineano con la personalità del vostro brand. Oppure riportate la Generazione Z a momenti specifici della vita, come ha fatto Netflix: per The Adam Project ha riportato gli ascoltatori a quando avevano 12 anni.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/culture-next-spotify-copertina.jpg627943Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2022-07-01 10:20:492022-07-01 10:21:20Culture Next di Spotify: cosa ci dice il report che studia Gen Z e Millennial
L’employer branding, con il tempo sta acquisendo sempre maggiore importanza per le aziende perché rappresenta una parte fondamentale del processo di assunzione e fidelizzazione. Sono infatti sempre di più le aziende che ormai colgono il valore, le potenzialità e i benefici nell’implementare una buona strategia di employer branding.
Prova dell’importanza di applicare una buona strategia di employer branding è nel fatto che se questa non è stata ideata, nonostante ciò, il tuo Employer Brand esiste comunque e viene sperimentato ogni giorno da coloro che sono all’interno e all’esterno della tua azienda.
Senza una strategia ben strutturata è quindi possibile che il tuo marchio venga percepito in modo diverso rispetto a come desideri e questo aspetto non è da sottovalutare in un contesto come quello attuale in cui la reputazione di un’impresa è un fattore più che mai importante.
Ma cosa intendiamo quando parliamo di employer branding? E perché è importante?
L’employer branding si traduce nei valori, gli approcci e la personalità della tua organizzazione rappresentando quindi tutto ciò che l’azienda ha da offrire ai suoi collaboratori ed è da ritenere estremamente importante per le aziende perché apporta molteplici benefici, primo fra tutti la possibilità di attirare i talenti migliori e di trattenere quelli già parte dell’azienda.
Ma vediamo insieme i diversi aspetti per cui è importante avere una strategia di employer branding.
Perché è importante avere una strategia di employer branding
Secondo una ricerca di Randstad infatti,l’86% delle personenon farebbe domanda per lavorare o continuare a lavorare per un’azienda che ha una cattiva reputazione, mentre secondo un recentestudio di LinkedInha dimostrato che oltre il 75% delle persone in cerca di lavoro fa ricerche sulla reputazione di un’azienda prima di procedere alla candidatura.
Se questo dato non bastasse a comprendere l’importanza di strutturare una buona strategia di employer branding è bene sapere che attraverso questa è possibile per le imprese ottenere anche diversi benefici.
Tra i fattori più evidenti dei vantaggi acquisibili grazie ad una strategia di employer branding troviamo i seguenti motivi:
serve a costruire una buona reputazione
è utile per attirare i talenti migliori grazie ad una maggiore attrattività del datore di lavoro
è essenziale per la crescita aziendale
crea una maggiore motivazione tra i dipendenti esistenti che si vedono legati ai valori del marchio
offre una forza lavoro sostenitrice e promotrice in maniera attiva del marchio
attira nuovi potenziali clienti grazie alla promozione attiva dei dipendenti
riduce del 28% il tasso di ricambio dei dipendenti
riduce i costi legati all’assunzione di nuovi talenti
velocizza il tempo di assunzione
permette di ottenere il 50% in più di candidati qualificati
offre una visione comune della direzione da seguire chiara e unificata
permette una riduzione del 50% dei costi di assunzione
Come si sviluppa una strategia efficace di employer branding
Seppure è bene sottolineare come sviluppare una strategia di Employer Branding assuma un’importanza ed un valore maggiore nel caso delle grandi aziende che necessitano di procedere ad un alto numero di assunzioni, è comunque sempre consigliabile adoperarla per accertarsi che la propria impresa abbia una buona reputazione.
Come detto in precedenza infatti, sia che la si adotti oppure no, la tua azienda svilupperà comunque sia una reputazione. Meglio dunque che sia costruita nel migliore dei modi ed in modo consapevole.
Come si sviluppa una strategia efficace di employer branding quindi?
Pianificare, sviluppare e implementare una strategia di employer branding non è un compito facile. Per farlo è quindi bene puntare ad alcuni obiettivi, attraverso cui offrire una proiezione della propria impresa esattamente come si desidera che sia.
Gli elementi principali da tenere in considerazione, ovvero gli obiettivi da raggiungere sono definiti da tre passaggi:
creare una distinzione positiva della propria offerta rispetto a quella dei competitor
offrire buone motivazioni per cui si dovrebbe voler lavorare nella propria organizzazione
mostrare i modi in cui il marchio si sta sviluppando e rafforzando nel tempo
Prima di sviluppare la strategia in base agli obiettivi definiti è bene però partire seguendo alcuni step precisi, utili a darci una visione della situazione da cui si sta partendo.
Ecco allora punto per punto 10 step da seguire per sapere cosa fare per sviluppare una strategia di employer branding.
Definisci gli obiettivi
Il primo punto non poteva che essere la definizione degli obiettivi, ovvero cosa si vuole ottenere attraverso la strategia che si mette in atto, perché sarà proprio in base alla definizione di questi che si potrà andare a costruire una strategia che includa i passaggi necessari per ottenere quanto desiderato.
Tra i possibili obiettivi che con una strategia di employer branding è possibile ottenere troviamo:
attirare maggiori candidati e più in linea con la ricerca
migliorare il coinvolgimento online
aumentare il livello di consapevolezza del brand
trasmettere fiducia ai candidati
ampliare la visibilità degli annunci di lavoro inseriti sul sito
attrarre candidati dai canali social
aumentare la percentuale di candidati che accettano la posizione offerta
ridurre i costi relativi alle spese dei dipendenti che lasciano la posizione
ridurre i costi e i tempi necessari a provvedere alle nuove assunzioni
Verifica la percezione del marchio
Per verificare la percezione che le persone hanno del tuo marchio è necessario un controllo approfondito che può essere fatto in diversi modi e attraverso diversi canali.
Tra i posti da esaminare ci sono:
i siti di recensioni in cui le persone lasciano i loro giudizi sull’azienda e sulle sue politiche
i social media attraverso cui tenere traccia delle menzioni ricevute dalle persone che parlano dell’azienda
i feedback dei dipendenti ottenibili attraverso sondaggi o riunioni aperte per identificare i problemi da risolvere per riuscire ad attrarre e trattenere nuovi talenti
alert di Google che è possibile impostare con il nome del marchio per essere avvisati con una mail ogni qualvolta il nome del marchio viene fatto sul web
Definisci il tuo candidato ideale
Conoscere chi è il candidato ideale è uno step fondamentale per sapere con chi si sta comunicando e per farlo è bene sapere alcune informazioni rilevanti quali:
la personalità che hanno
le cause che hanno a cuore
le motivazioni che spingono le loro scelte
le loro fonti di informazioni
i ruoli desiderati
da chi sono influenzate le loro decisioni
attraverso quali canali cercano lavoro (social media, siti di annunci di lavoro…)
cosa li spinge a cambiare lavoro
come cercano lavoro (attivamente o passivamente)
Questi dati sono una fonte di informazioni molto utile da impiegare nella costruzione di una strategia di employer branding sviluppata per attirare in questo modo candidati più profilati, ottenendo così talenti in linea con la ricerca fatta e una diminuzione del tempo dedicato alle assunzioni.
Stabilisci gli elementi distintivi della tua azienda
Gli elementi che contraddistinguono la tua azienda sono un elemento fondamentale da individuare e da mostrare per la creazione di una storia relativa al tuo marchio che raccolga i valori aziendali, le responsabilità sociali e la cultura della stessa.
Un’analisi della concorrenza è in questo senso essenziale per avere un quadro degli elementi da cui è possibile differenziarsi rispetto ai competitor e attraverso cui costruire una propria ed unica strategia.
Scegli i canali attraverso cui promuovere il tuo Employer Branding
I canali scelti per raggiungere e comunicare con i potenziali candidati sono un altro elemento importante da valutare nella costruzione di una strategia e per fare una scelta adeguata è necessario conoscere quali sono i canali a cui questi si collegano così da ottimizzare la propria strategia che potrebbe prevedere ad esempio una comunicazione attraverso:
sito Web
campagne adv sui media
social media
i dipendenti attuali dell’azienda
inbound recruiting
Crea la tua proposta di valore
La proposta di valore si traduce nella promessa che l’azienda fa ai dipendenti attuali e a quelli futuri e rappresenta il valore aggiunto che si va a costruire nonché la possibile motivazione che si offre ai talenti e per cui dovrebbero voler lavorare nella tua azienda rispetto a quella della concorrenza.
Affinché la proposta di valore sia motivante per i candidati dovrà quindi includere i maggiori interessi manifestati degli stessi e tra questi elementi troviamo:
opportunità di crescita
Indennità ferie
cultura aziendale
Benefici sanitari
flessibilità degli orari di lavoro
flessibilità delle modalità di lavoro (smart working, ibrido)
Bonus
ambiente confortevole
inclusività
momenti di team building
beneficenza e responsabilità d’impresa
Per costruire una proposta di valore valida inoltre bisognerà partire dal porsi le giuste domande:
perché i tuoi collaboratori hanno scelto te?
perché decidono di restare nella tua azienda?
quali sono gli elementi da loro più apprezzati?
Partendo dal porsi queste domande e includendo le motivazioni principali che spingono un candidato a scegliere un’azienda rispetto ad un’altra, definire un’offerta di valore risulterà molto più semplice.
Investi nella formazione del tuo team
Sostituire i dipendenti costa molto alle aziende, nello specifico secondo uno studio di Employee Benefits News sulla fidelizzazione dei dipendenti, il costo medio della perdita di un dipendente corrisponde al 33% del loro stipendio annuale.
Questo aspetto può però essere controllato offrendo le giuste opportunità di crescita al team attraverso piani di formazione. I dipendenti che si vedono crescere durante la loro permanenza in un’azienda sono infatti più portati a rimanerci. Corrisponde infatti al 20% in più la possibilità che i dipendenti rimangano nelle loro aziende tra un anno se ottengono da queste una formazione.
Ottieni feedback dai dipendenti creando advocacy internamente
Avere un feedback da parte dei dipendenti è fondamentale per migliorarsi e per far sì che i dipendenti sentendosi ascoltati rimangano in azienda. Secondo TINYpulse infatti, i dipendenti che non si sentono a proprio agio nel poter fornire un feedback hanno il 16% di probabilità in meno di rimanere nelle loro aziende.
Per dar voce ai dipendenti e avere da loro un feedback è possibile fare riunioni regolari o focus group con persone selezionate. Così si avrà modo di conoscere gli aspetti importanti per i dipendenti e regolare la propria strategia per andare incontro a questi.
I tuoi dipendenti inoltre non solo devono potersi esprimere senza timore ma devono essere i primi a credere nella strategia aziendale, affinché questa possa essere reputata credibile dai tuoi possibili candidati.
La promozione attiva dell’azienda fatta dagli stessi dipendenti ha infatti un valore maggiore rispetto a quella autoreferenziale dell’azienda e risulta sempre uno strumento molto potente da utilizzare per la promozione del marchio e per attirare nuovi talenti. Secondo una statistica di Linkedin infatti, i candidati si fidano dei dipendenti tre volte di più rispetto ai datori di lavoro. Appare dunque chiaro come i dipendenti dell’azienda abbiano un ruolo cruciale in ogni strategia e come sia importante imparare a sfruttarne le potenzialità nel migliore dei modi.
Prevedi il formato video nella tua strategia
Per comunicare trasmettendo le emozioni e l’esperienza di lavorare in un determinato post, i video rappresentano il mezzo migliore, perché a differenza dei testi che un candidato può leggere sui siti, questi riescono meglio delle parole scritte a coinvolgere lo spettatore e a trasmettere il messaggio che l’azienda vuole che venga comunicato, dando anche un volto all’azienda, che specialmente nei casi delle aziende più grandi difficilmente si riesce a dare.
Perciò il suggerimento è quello di integrare sempre i video all’interno della propria strategia di employer branding.
Valuta il successo della tua strategia
Valutare la propria strategia esaminando il successo delle iniziative di employer branding in atto rispetto ai KPI predefiniti, è un passo magari scontato ma a cui bisogna riservare la giusta importanza, infatti è l’unico modo per valutarne i benefici e per decidere se implementarne alcuni aspetti al fine di migliorarne le performance.
Per fare una corretta valutazione è bene prendere in esame tre fattori:
Consapevolezza, ovvero capire quante persone conoscono il tuo marchio e quale opinione hanno in merito a questo
Attrazione, visibile dall’attrazione che il tuo marchio esercita sui candidati, il cui metro di misura corrisponde al numero dei candidati che si è riusciti ad attrarre e dalle qualifiche di questi
Esperienza, cioè l’esperienza che i dipendenti hanno del marchio, va monitorata per essere migliorata, poiché con l’aumento della consapevolezza del marchio, a crescere ci saranno anche le aspettative a cui l’azienda andrà incontro
Un esempio per lo sviluppo di una strategia di employer branding al fine di vedere i passaggi seguiti e i benefici ottenuti sono le tante e diverse imprese che in tutto il mondo continuano a massimizzare in modo costante il loro potenziale al fine di attrarre, riuscire a reclutare e trattenere i talenti migliori disponibili, ma anche i dipendenti già assunti.
Per farlo usano i loro messaggi, che vedremo nel dettaglio, per trarre ispirazione dal loro operato. Ecco 5 esempi di employer branding di successo.
Vodafone
Vodafone ha compreso la propria mancanza relativamente ad alcune aree, perciò per meglio comprendere le possibilità di miglioramento, ha deciso di indagare sul sentiment che le persone avevano sviluppato nei confronti dell’azienda.
Per farlo ha utilizzato un approfondito sondaggio svolto su ben 40.000 persone ed attraverso questo strumento ha avuto modo di ottenere utili dati da utilizzare per una proposta di valore nuova e più efficace allo scopo di attrarre talenti nuovi ed esistenti.
L’Oreal
L’Oreal ha sfruttato la grande visibilità ottenuta da tutto il mondo grazie ai 300.000 follower su LinkedIn per mostrare le storie e le capacità dei membri del suo team.
Attraverso questa tattica l’Oreal ha potuto far vedere ai potenziali candidati le opportunità lavorative disponibili nell’azienda e ha utilizzato le stesse voci dei suoi dipendenti per farlo, che come ormai assodato hanno un valore percepito maggiore rispetto a quella aziendale, perché riescono a creare maggiore fiducia nel marchio.
Google
Google rappresenta un ottimo esempio di employer branding e la prova sono i circa 3 milioni di curriculum che ogni anno Google riceve dai candidati. Questo ottimo feedback ricevuto dai candidati è il frutto di diversi aspetti che caratterizzano la strategia di Google, tra cui:
l’ottimo approccio ai dipendenti
la bravura nel costruire una proposta di valore forte
i diversi vantaggi come lo spazio di lavoro in stile campus
Un modo per mostrare tutti questi aspetti ai candidati potrebbe essere quello di organizzare un open day pubblicizzandolo sui diversi canali presidiati, nel quale studenti e potenziali candidati possono avere l’occasione di vedere come potrebbe essere la loro vita lavorativa all’interno dell’azienda visitandola e parlando con i dipendenti.
Hubspot
Elementi che contraddistinguono Hubspot e su cui basa la sua strategia di employer branding sono:
una cultura aziendale divertente
flessibilità degli orari di lavoro
rimborso delle tasse scolastiche
Unitamente a questo, Hubspot si differenzia dalle altre aziende per il suo modo di approcciarsi ai propri follower sui canali social, in quanto tende a incoraggiare chi li segue a lasciare commenti utili da usare come punto di partenza per ispirare i futuri contenuti.
Heineken
La strategia di employer branding attuata da Heineken riserva molta importanza all’aspetto visivo, infatti nel 2019 Heineken ha creato la campagna “Going Places“, incentrata sull’acquisizione di nuovi talenti, che ha incentrato sulla celebrazione delle storie e dello sviluppo di 33 dei suoi dipendenti in tutto il mondo.
La sua strategia si basa sull’uso delle storie dei dipendenti per:
creare un orgoglio da parte dei dipendenti nel lavorare per l’azienda
aumentare la consapevolezza e il coinvolgimento tra i potenziali candidati
migliorare la qualità dei talenti attratti
Prima di ciò però, Heineken ha condotto ricerche in tutto il mondo in 15 dei suoi mercati con l’obiettivo di capire su cosa il marchio avrebbe dovuto concentrarsi.
Per prendere esempio dalla strategia usata da Heineken si può quindi mettere in conto di dar vita a storie e valori aziendali attraverso un video che con immagini e parole coinvolga e racconti l’azienda.
Perchè l’employer branding non è una moda
Secondo un sondaggio realizzato daStatistatra le società di ricerca esecutiva pubblicato nel 2022, l’employer branding si trova, con una percentuale del 23%, al terzo posto tra le priorità per il 2021, superato solo dall’automazione e digital transformation e dall’acquisizione di candidati, ai primi due posti nei risultati.
Questi dati, unitamente a molti altri, dimostrano chiaramente come l’employer branding stia acquisendo da parte delle aziende sempre più importanza e rilevanza, tanto da essere ormai ai vertici delle classifiche inerenti alle priorità di cui le imprese devono tenere conto nell’ottica di una strategia di crescita del business e non è una tendenza momentanea.
Una motivazione ulteriore che spiega bene perché un’impresa dovrebbe prestare la giusta attenzione alla percezione che si ha della propria azienda e a sviluppare una strategia di employer branding utile a gestirla consapevolmente è data inoltre dal notevole risparmio a cui l’azienda va incontro rispetto ai costi e ai tempi di ricerca e di selezione del personale.
Motivazione che rende molto chiaro il perché l’employer branding non è una moda, bensì è una necessità per le aziende.
Conclusioni
L’importanza dell’employer branding non può in nessun caso essere sottovalutata dalle aziende in quanto è fondamentale per aumentare la consapevolezza della tua organizzazione e attirare i migliori talenti, oltre che a mantenere quelli esistenti.
Essendo la reputazione, come abbiamo visto dai dati raccolti a seguito di diverse ricerche, l’elemento alla base preso in considerazione dai candidati alla ricerca di lavoro nel momento della scelta di inviare o meno la propria candidatura ad un’azienda, questa è quindi alla base del successo o meno di un’impresa.
Per questo motivo darle il giusto valore ed impegnarsi nella costruzione di una strategia di employer branding adeguata risulta essere oggi più che mai essenziale per qualsiasi azienda che punti ad una crescita costante grazie ad una forza lavoro di qualità, unita e attiva nella sponsorizzazione della propria azienda.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/06/Employer-branding-guida-aggiornata-al-2022-copertina.jpg629945Manuela Di Vietrihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngManuela Di Vietri2022-06-30 14:30:512022-07-04 20:24:02Employer branding: guida aggiornata al 2022
Dal 9 all’11 giugno il prestigioso hotel Domaine de Biar di Montpellier ha ospitato i massimi esponenti internazionali del software B2B per il B2B Rocks, la conferenza globale incentrata sulla crescita del SaaS internazionale.
Un evento prestigioso di respiro internazionale con speaker, tavole rotonde e keynote sui temi della tecnologia e del Saas. Il team e la redazione di Ninja non potevano mancare ad un appuntamento del genere: abbiamo seugito passo passo le due giornate dell’evento, mentre venerdì 10 giugno alle 9.30, il CEO e Founder di Ninja Marketing e Ninja Academy, Mirko Pallera ha avuto un ruolo da protagonista moderando una tavola rotonda dal titolo “How to hire & build marketing teams at different growth stages?”
In questa occasione, abbiamo potuto conversare con Renaud Visage, co-founder di Eventbrite, la piattaforma globale per la gestione di esperienze dal vivo che consente a chiunque di creare, condividere, trovare e partecipare a eventi e presente con un panel dal titolo “Climate Tech: what is it and how will it transform the B2B space?”
La Climate Tech è un trend o è destinata a diventare un’economia reale, con numeri significativi?
«Ogni grande invenzione è destinata a diventare una grande industria. Ogni settore deve cambiare per ridurre le proprie emissioni di C02. E questo richiede tecnologie diverse, nuove tecnologie, hardware e software, ma anche cambiamenti normativi.
Sono fermamente convinto che la rivoluzione climatica sarà grande tanto quanto la rivoluzione di Internet. Perché tutto deve cambiare e questo richiede soluzioni tecnologiche diverse, gli strumenti di cui le persone hanno bisogno per realizzare il cambiamento. È una corsa contro il tempo e dobbiamo muoverci in fretta. Ecco perché penso che sia una grande opportunità».
Le persone scelgono brand con finalità ben chiare e con un reale interesse per il clima. Accade lo stesso anche nel B2B?
«Sì, certo. Mia moglie lavora per un’azienda molto grande e sempre più clienti chiedono dichiarazioni, vogliono sapere esattamente cosa sta facendo la sua azienda su tutti i fronti – ambientale, ma anche sociale. Fare business nel mondo B2B oggi è molto diverso rispetto a prima.
C’è molta pressione a livello normativo da parte degli investitori e dei finanziatori pubblici. Ogni società deve dichiarare cosa sta facendo per ridurre le proprie emissioni di C02. E questo sarà un requisito indispensabile per le collaborazioni. È necessario dimostrare che si sta prendendo sul serio il cambiamento climatico e non solo quello, ma anche la diversità, l’inclusione, il trattamento equo delle persone e altri temi importanti.
Questa prassi diventerà parte integrante di tutti i rapporti B2B. È già così per moltissime realtà. Bisogna compilare lunghi questionari che descrivono al Buyer cosa fa esattamente l’azienda in tutti questi ambiti. Penso che sia solo l’inizio, ma diverrà la norma per tutte le aziende».
Quindi le imprese che forniscono beni e servizi dovranno essere sempre più attente alle tematiche ambientali
«Assolutamente sì. Non si tratta solo del clima, è un raggio d’azione più ampio, ci sono nuovi standard. Per esempio ora si devono compilare questionari sulla sicurezza per assicurarsi di gestire i dati nel modo corretto. Bisogna compilare anche altri tipi di questionari per assicurarsi di gestire correttamente il cambiamento climatico, i propri dipendenti, e così via».
Gli eventi live sono finalmente tornati. Cos’è cambiato rispetto a prima dell’emergenza sanitaria?
«Sono molto felice che gli eventi siano tornati. Tutti noi vogliamo incontrarci, divertirci e stare in compagnia degli altri, nella vita reale. Perché abbiamo messo in pausa questo aspetto e credo che tutti ne abbiamo sentito la mancanza. La nuova era non credo sia molto diversa rispetto a prima della pandemia, vedo le stesse tendenze di prima. Le persone hanno meno paura del contatto con gli altri.
C’è stato un periodo tra la metà del 2021 e l’inizio del 2022 in cui le persone avevano ancora paura di trovarsi in luoghi affollati. Ma con la fine dell’emergenza, siamo tornati alla normalità, penso che si preferiscano ambienti all’aperto perché sono “meno spaventosi”, dove si può “prendere fiato” e avere più spazio.
Forse questo sarà un criterio di selezione, saranno i partecipanti a decidere le location, ma credo che gli eventi siano un bisogno fondamentale degli esseri umani e che tutti noi cerchiamo la connessione fisica con le persone.
Forse parteciperemo a meno eventi rispetto a prima: una volta andavo a eventi più o meno ogni settimana. Ora non credo che lo farò, andrò agli eventi che si adattano maggiormente alle mie esigenze, credo. È il rinnovamento degli eventi dal vivo».
Quindi abbiamo davvero bisogno di un contatto fisico con le persone?
«È una connessione completamente diversa. Online si ha un contatto istantaneo, direi, che richiede poco tempo, ma non ci si può vedere dal vivo e condividere con l’altra persona uno spazio fisico. È vero che si possono avere molti più incontri online, ma credo che questo uccida la costruzione del tuo network di conoscenze e anche l’engagement con gli altri. Non ci si impegna nello stesso modo».
E che dire dell’attenzione per il cambiamento climatico? Gli eventi virtuali sono più rispettosi dell’ambiente?
«Penso che le persone andranno a un numero minore di eventi e sceglieranno eventi più affini ai propri interessi. Si faranno meno viaggi. Ho preso il treno da Parigi per venire qui, un mezzo di trasporto che comporta poche emissioni di C02. Se ci fosse lo stesso evento, ad esempio in Turchia o negli Stati Uniti, probabilmente non ci andrei. Probabilmente così lontano andrò solo una volta all’anno. Bisogna essere consapevoli della propria Carbon Footprint.
Che ci piaccia o no, sappiamo quanto stiamo contribuendo al problema e, una volta che si è preso coscienza del proprio impatto, credo sia più facile prendere questo tipo di decisioni: se andare a una gara, a quali eventi dal vivo, quante volte prendere un aereo, quanto andare lontano. Queste sono cose di cui le persone dovrebbero essere consapevoli. Delle conseguenze che comportano le proprie scelte».
È possibile che gli eventi nel metaverso rimpiazzino gli eventi in presenza in futuro?
«Forse. Penso che la vicinanza fisica e la “casualità” di questi eventi fisici siano insostituibili, perché non ci si “immerge nell’evento” allo stesso modo. Nessuno prova su Google la stessa sensazione che si prova camminando e vedendo prati con uccellini, alberi, come qui al Domaine de Biar. Ogni posto è speciale e unico, ma non è riproducibile. Si vivono esperienze diverse, proprio come quando si gioca e quando ci si incontra nel metaverso, con amici che non si possono vedere perché non sono davvero nei paraggi.
Fa parte del proprio modo di divertirsi, credo».
Diversi tipi di connessione…
Sì, credo che la varietà sia il pepe della vita. Si possono fare esperienze interessanti in modi diversi, virtuali o reali».
C’è qualcosa che vuoi dire ai lettori italiani di Ninja Marketing?
«Sono entusiasta del fatto che il cambiamento climatico stia iniziando a emergere e a divenire importante tra le persone. Credo che noi, come azienda, abbiamo un ruolo da svolgere, dobbiamo stabilire nuovi standard e avere aspettative più grandi per le nostre organizzazioni.
Le nuove generazioni sono consapevoli del rischio che il cambiamento climatico comporta per la loro vita. Lavoreranno per aziende che condividono questi valori. Ecco perché vorrei che tutti prendessero sul serio questo aspetto e lo rendessero parte del proprio modo di lavorare come azienda, soprattutto se si tratta di una nuova startup, in modo da poter rimanere competitivi sul fronte dell’acquisizione di talenti.
Perché credo che i dipendenti opteranno sempre più per aziende che non si limitino a fare greenwashing, ma che credono veramente nella sostenibilità e trasformano la loro attività nel rispetto dell’ambiente»
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/06/reanud-visage-cofounder-eventbrite-intervista-al-b2b-rocks.jpg8591251Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2022-06-30 09:30:532022-07-05 09:10:55"La rivoluzione climatica sarà grande quanto la rivoluzione di Internet", intervista al co-founder di Eventbrite
Salesforce ha umanizzato il MiCo Centro Congressi di Milano, tornando dal vivo con il suo evento annuale che ha riunito il vasto ecosistema di agenzie e aziende che ruotano intorno alla piattaforma di CRM numero uno al mondo, seguendo una linea data driven, così da mettere realmente al centro delle strategie gli esatti stakeholder.
51 sessioni verticali per un totale di oltre 30 clienti on stage: Salesforce Live Milano si è ripreso la scena della locomotiva del Paese, dove parlare di CRM è anche riduttivo, visto che Salesforce è un set di strumenti digitali attraverso il quale è possibile personalizzare e scalare l’intera company tenendo traccia dell’evoluzione in termini di sales, brand awareness e reputation lungo il funnel da un’unica vista.
Sales, comunicazione e dati per eccellere
Salesforce Live 2022, Milano
L’evento ha richiamato leader di settore, innovatori, aziende e partner per parlare degli ultimi trend in fatto di business tecnology, digitale e innovazione, ma soprattutto è stata l’occasione per concretizzare quella comunicazione Human To Human e face to face che fa da ponte alle relazioni di valore.
Il keynote di apertura di questa edizione si è contraddistinto per la presenza di nomi prestigiosi che si sono alternati sulla scena per uno scambio di idee e opinioni ad alto valore. A fare gli onori di casa Mauro Solimene, Country Leader di Salesforce Italia, che ha presentato accolto sul palco alcuni clienti di successo che hanno indossato le vesti di “Trailblazer”, innovatori che aprono nuove vie per il business.
Ne ha dato dimostrazione Iren Luce e Gas che, grazie a una demo dedicata al proprio percorso di trasformazione digitale, ha mostrato come ha instaurato una nuova relazione tra azienda e clienti.
Miroglio ha poi portato sul palco un vero e proprio negozio del futuro rendendo in modo efficace come l’omnicanalità e il nuovo ruolo dello store assistant siano un binomio essenziale per personalizzare l’esperienza di shopping dei clienti di oggi.
Roboze, azienda pugliese che sviluppa, produce e vende soluzioni innovative di stampa 3D, ha portato un esempio virtuoso di come la scalabilità del cloud consente ad aziende di tutte le dimensioni di diventare grandi e competitive a livello globale.
Non sono mancati temi da sempre cari a Salesforce Italia: formazione e competenze digitali.
L’esempio di Generation Italy, fondazione no-profit di McKinsey & Company, ha così permesso di ricordare i tanti progetti in essere delle Digital Talent Factory, un luogo virtuale dove informarsi, ispirarsi e scoprire tutte le realtà, da quelle universitarie a quelle delle aziende partner, che offrono percorsi di formazione ideati appositamente per contribuire a colmare il gap di competenze digitali e alla creazione di nuovi posti di lavoro all’interno dell’ecosistema Salesforce.
Secondo la ricerca IDC Salesforce Economy infatti, entro il 2026 l’ecosistema Salesforce in Italia avrà un impatto stimato in 33,9 miliardi di dollari di nuovi ricavi e 21.360 nuovi posti di lavoro diretti e 93.300 posti di lavoro indiretti. Un volano importante a vantaggio di tutto il sistema economico italiano.
Mauro Solimene, Country Leader di Salesforce Italia: “Oltre lo stop il progresso”
Mauro Solimene, (Salesforce), ha spostato il focus sulla comprensione dei bisogni di ciascuna persona.
“Il successo di questa edizione di Salesforce Live Milano è sorprendente – ha commentato Mauro Solimene, Country Leader di Salesforce Italia. – La fame di digitalizzazione delle aziende italiane si riflette bene nelle presenze qui in sala oggi. Sebbene questo evento sia fisicamente mancato per due anni, in questi due anni è come se ne avessimo vissuti dieci per progressi raggiunti e passi in avanti compiuti insieme ai nostri clienti e al nostro prezioso ecosistema per dare una svolta ai processi di accelerazione digitale del nostro Paese”.
L’evento è stato la vetrina inoltre per palesare due importanti novità: il nuovo accordo di partnership per l’Italia siglato tra Salesforce e TIM, con la propria cloud company Noovle, che mira a supportare i processi di trasformazione digitale di aziende e pubbliche amministrazioni per renderle più efficienti e competitive, e i dati italiani della quinta edizione del report “State of the Connected Customer”, l’indagine che mira a comprendere il livello di engagement dei consumatori nel nuovo mondo digital first, dalla quale è emerso che: per l’89% dei consumatori italiani l’esperienza è importante tanto quanto il prodotto, infatti fiducia dei consumatori è misurata dalla qualità delle interazioni con il brand di riferimento.
Inoltre, non è mancata la presenza dell’ecosistema dei partner, tra i quali: Accenture, Deloitte Digital, PWC, Reply Arlanis, Lutech, KPMG, Capgemini, Balance, Brainpull, Jakala e Lobra, che hanno partecipato attivamente attraverso l’incremento di relazioni e scambi di vedute rapportandosi anche con i media.
Mettere al centro il cliente
Domingo Iudice – Brainpull
Domingo Iudice, CEO di Brainpull, agenzia partner, ha sottolineato come sia stimolante la presenza fisica, dove la competizione è vista come un elemento di evoluzione umana e professionale. “Attraverso Salesforce è possibile massimizzare tutta l’area inerente la brand awareness, concretizzando e cristallizzando contatti, che da lead diventano contattabilii in modo più efficace. Si lavora con grandi aziende, specialmente nel settore eCommerce e si è avuto un incremento del fatturato sfruttando tutte le potenzialità del Direct Marketing”.
Matteo Banfi, Senior Manager presso PwC, ha sottolineato che i feedback della clientela come user experience di Salesforce è eccellente in tutte le industry in particolare modo nel fashion e luxury retail. “Anche lato metaverso viene ampliata la strategia e ci sono già brand come Hogan con la quale è stato già organizzato un evento”.
Marta Piedrafita Baudin Regional VP Enterprise Sales EMEA South – Slack / Salesforce, ha posto l’accento sull’integrazione e su una visione molto ampia del project management attrverso Salesforce, andando a semplificare tutti i processi di gestione. “La clientela è internazionale, e la tecnologia Slack si abbina perfettamente a tutti i settori, armonizzando, la comunicazione nell’HR, amministrazioni, marketing, IT, e engineering”.
Andrea Percio, Partner Deloitte Digital, ha dichiarato che la partnership Salesforce ha sempre dato e stando eccellenti risultati. “Deloitte ha un presenza massiccià in tutti i settori con un ruolo di primaria importanza nell’automotive, con un’incisività nel retail lato eCommerce, nei processi abbiamo una visione strategica integrata al Marketing condividendo gli studi e la la parte di Customer Experience. Oggi si sta andando verso un’esperienza, e i consulenti sono chiamati a dare soluzioni che hanno a cuore la risoluzione di problematiche come tempistiche e innovare i processi”.
Roberto Borghi – Jakala
Roberto Borghi, Principal di JAKALA, ha posto l’accento sull’evento lato relazione, dunque comunicazione come momento tecnologico e scambio di vedute con i competitor. “Sia per quanto riguarda il B2B e il B2C, il mercato sta valorizzando il dato, che è il vero valore aggiunto per il cross selling e tutta la parte di sales, andando a targettizzare il giusto pubblico. Il dato grezzo deve essere pulito strutturato ed organizzato, ed oggi le competenze devono essere sia lato business che innovative, per avere il perfect match nello start e nella fidelizzazione della clientela”.
L’evento dunque, è stata l’occasione per riportare al centro della strategie di Marketing e Comunicazione il fattore umano, rispetto a relazioni di valore come leva di business.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/06/evento-salesforce-2022.jpg5961039Daniele D'Amicohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaniele D'Amico2022-06-29 10:30:552022-06-29 12:54:37Salesforce Live 2022: cosa abbiamo visto all'evento della piattaforma di CRM numero uno al mondo
Quella che stai per leggere è una di quelle interviste che rimangono nel cassetto per un po’ di tempo, in attesa di trovare il momento giusto per essere pubblicate, o di avere il giusto spazio nella frenetica programmazione redazionale. Eppure le parole che Kevin Roberts, storico CEO di Saatchi & Saatchi e ora leader dell’agenzia di consulenza Red Rose Consulting, sono di quelle che andrebbero lette e rilette, quasi come un classico della letteratura, perché dentro è possibile scoprirci sempre qualcosa di nuovo.
Kevin Roberts è colui che ha inventato l’idea di lovemarks, ossia di quei marchi a cui siamo legati da una relazione affettiva, da un rapporto che coinvolge tutti i nostri sensi, e che sono capaci di instaurare un senso di lealtà, in grado di attrarci al di là di ogni forma di razionalità, economica o pratica. Parliamo quindi di puro marketing.
Quando lo abbiamo incontrato, durante l’edizione 2021 del WOBI, le gambe un po’ tremavano, ma come tutti i Grandi ci ha messo subito a nostro agio, con una battuta e i suoi modi gentili. Contestualizzare con questo grado di dettaglio ci serve a sottolineare che questo è uno di quei casi in cui forma e sostanza sono un tutt’uno e in quest’ottica andrebbero lette le parole che seguono, le indicazioni, i concetti e i pensieri che questo guru del marketing ci ha regalato.
Cambiamento e creatività per coinvolgere le persone
Come possiamo creare una cultura delle idee e come possiamo identificare una grande idea tra centinaia di idee non significative?
«Viviamo nell’era delle idee, ma negli ultimi due anni è stato piuttosto difficile per noi andare avanti. Non possiamo tornare a una nuova normalità, come in tanti avevano annunciato dopo la prima fase della pandemia. Siamo tutti cambiati, abbiamo tutti nuove storie e l’unico modo per andare avanti è il cambiamento.
Ci sono tre tipi di cambiamento:
incrementale, cioè un miglioramento continuo come il kaizen giapponese;
trasformazionale;
dirompente.
Dobbiamo sapere quale di questi tipi di cambiamento adottare. La cosa più importante per tutti noi, in ogni caso, è la creatività.
Ma che cos’è la creatività esattamente? È la capacità di guardare qualcosa, la stessa cosa che guardano tutti, ma pensare qualcosa di diverso.
Pensare qualcosa di diverso inizia con una regola: come aziende dobbiamo imparare a fallire velocemente, imparare velocemente e risolvere velocemente, quindi dobbiamo avere il coraggio di fallire e imparare bene.
Solo in questo modo le idee possono fiorire. Si tratta, in fondo, di tornare un po’ bambini, a quando eravamo molto creativi perché ognuno vedeva le cose a modo proprio, in modo diverso. Solo dopo, a scuola, nelle università, nelle aziende, siamo stati addestrati. Quando avevi cinque anni eri molto creativo perché vedevi le cose e le vedevi in modo diverso, ma poi sei stato addestrato a vedere le cose nello stesso modo di tutti gli altri.
Oggi, abbiamo bisogno di creare una cultura in cui vada bene anche fallire. Solo fallendo, si impara e si diventa capaci di aggiustare il tiro, si capisce quando si ha una buona idea, una grande idea o una pessima idea.
Alla fine si tratta di ascoltare l’istinto, ascoltate il cuore. Sì, possiamo avere tonnellate di dati; sì, possiamo fare i test; ma non è questa la fonte magica. Il segreto è avere fiducia nel proprio istinto per sentire il mercato, per sentire il cliente, per sentire il consumatore.
Quindi bisogna essere là fuori e si deve ascoltare. Non parlare, ma ascoltare e guardare bene. Non si può fare tutto sullo schermo, non si può fare tutto a distanza. Bisogna vivere lo stesso mondo dei nostri consumatori e dei nostri clienti».
Quanto è importante la creatività nel business?
«È la singola caratteristica che definisce un business. La creatività ha un potere irragionevole.
Non c’è niente di più importante della magia di arrivare prima al futuro ed eseguirlo con eccellenza. È l’unica cosa che differenzierà l’idea.
Guardiamo, ad esempio, il valore delle idee di Elon Musk. La sua compagnia vale più di Toyota e General Motors messe insieme e questo è il potere di un’idea».
Come si fa a passare dallo storytelling allo storysharing?
«Rolf Jensen ha detto che i leader del 21° secolo sarebbero stati degli “story tellers”, ma si sbagliava. Sono degli “story sharers”. Oggi infatti vogliamo essere coinvolti, nel personaggio e nella storia. Ci buttano così tanta roba addosso che stiamo affogando nelle informazioni e più ne sai di qualcosa, meno interessante questa cosa diventerà.
Pensa al matrimonio, pensa a qualsiasi relazione, tutti noi abbiamo bisogno di mistero, abbiamo bisogno di sensualità, abbiamo bisogno di intimità. Tutti oggi abbiamo una voce, sia su Twitter, che su Instagram, o su qualsiasi altro social. Ma tutti vogliamo essere coinvolti nella storia. Io ho sei figli e nove nipoti, quando parlo con loro mi rendo conto che non posso più semplicemente raccontare loro una storia. Vogliono essere nella storia, vogliono agire, vogliono essere parte di essa.
Dal punto di vista del business questo significa che dobbiamo rinunciare al controllo del marchio e dare quel controllo al consumatore».
Come può il marketing creare un movimento che la gente vuole condividere?
«Sì, penso che questo sia il ruolo del Marketing Manager. Non è più quello di creare un marchio, ma di creare un movimento. Ognuno di noi vuole essere parte di qualcosa di più grande di se stesso. Per questo se scegli Nike contro adidas o adidas contro Nike, non stai scegliendo semplicemente delle sneakers invece di altre sneakers. Stai scegliendo ciò che ti rappresenta, stai scegliendo se vuoi essere come Nike o vuoi essere come un fantastico giocatore del Manchester City o vuoi essere parte di qualcosa di più grande di te.
Per questo dico che il ruolo del Brand Manager è cambiato: non gestisce più il marchio, ne cede il controllo e ispira tutti a vedere cosa c’è dietro il marchio. Si tratta di avere uno scopo.
Quindi devi pensare molto più in grande se sei nel marketing. Questo è il momento migliore nella storia dell’umanità per essere un marketer, perché non si tratta più di gestione del marchio, ma di creare un movimento. Qualcosa di molto eccitante, quindi».
Kevin Roberts e il futuro del business
Quanto è complicato essere creativi in un momento fortemente influenzato dal politacally correct?
«Io sono politicamente scorretto e orgoglioso di questo, perché penso che la politica sia assolutamente terribile. Parlo ovviamente di quella politica che resta solo un’idea, che non si può mettere in pratica.
La politica che il mondo sta seguendo oggi è una politica di estremismo e una politica di tensione. Per questo dico di essere politicamente scorretto. Perché abbiamo bisogno che i creativi abbiano piena fiducia che il loro ruolo è quello di ispirare pace, amore e armonia.
Il ruolo del business non dovrebbe essere quello di creare valore per gli azionisti, né di creare un cliente, ma dovrebbe essere quello di creare un mondo migliore per tutti. Il futuro dovrebbe essere quello del capitalismo inclusivo. Nessun altro -ismo funziona, infatti: oggi abbiamo bisogno di includere, non di continuare ad escludere e il problema con l’attuale “correttezza politica” è che è molto esclusiva e molto giudicante rispetto alla minoranza. Quindi non sono assolutamente a favore di questa idea come persona creativa, perché questo limita la creatività».
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/06/intervista-a-kevin-roberts.jpg8001308Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2022-06-28 08:30:392022-06-29 08:46:56Intervista a Kevin Roberts: per abbracciare il cambiamento devi perdere il controllo
L’edizione dei Cannes Lions 2022 torna dal vivo dopo due anni di assenza. La pandemia e i disagi sociali hanno di certo cambiato la società, portando in superficie argomenti profondi legati all’essere umano. Ai Cannes Lions 2022 le tematiche trattate si sono espresse con una comunicazione piena di valori; dall’ambiente, all’equità di genere, al supporto alle minoranze.
I brand si fanno portavoce, in modo sempre più importante, delle trasformazioni e delle evoluzioni che la società di oggi necessita e che richiede. Sono i protagonisti dell’inclusività, della consapevolezza ambientale, del cambiamento culturale del mondo intero.
E tutto questo lo si è visto nei lavori presentati e nei Grand Prix assegnati durante i cinque giorni del festival dedicati alle eccellenze del mondo pubblicitario.
Grand Prix Film
CHANNEL 4 | Super. Human
Agency 4creative London
Il film è il seguito del racconto fatto nei precedenti spot promo per le Paralimpiadi di Tokio 2020. La narrazione di un mondo così diverso da quello che la maggior parte di noi conosce ma in fondo così simile: sacrificio, costanza, sfide da superare, sono gli elementi comuni che rendono il paralimpico uguale all’olimpico. Difficoltà negli allenamenti come nella vita di tutti i giorni: scontri, incongruenze, dubbi interiori.
E infine la provocazione: “Per essere un paralimpico ci deve essere qualcosa di sbagliato in te”. Anche se per essere super non c’è niente di più vincente che essere semplicemente umano. Super. Human.
Gran Prix Film
APPLE | Escape From The Office
Agency: Apple, Sunnyvale / Smuggler, Central LA
Un secondo Grand Prix Film premiato ai Cannes Lions 2022 va alla creatività di Apple. Il coraggio di abbandonare un lavoro e un ufficio per inseguire i propri sogni imprenditoriali e di sicuro per una propria indipendenza economica. Una rivoluzione che la maggior parte dei professionisti sta in qualche modo vivendo. Facile farlo fantasticando durante la pausa pranzo e facile è la possibilità di organizzare al meglio un gruppo di lavoro, idee e progetti grazie ai sapienti tool e device di Apple.
Gran Prix Outdoor
ADIDAS | Liquid Billboard
Agency: Havas Middle East Dubai
Il 32% delle donne nel mondo prova disagio a nuotare in pubblico. In Medio Oriente, dove la connotazione religiosa è particolarmente discriminante verso le donne, il disagio di mostrare gran parte del corpo è molto più profondo. Così Adidas presenta una nuova collezione di costumi inclusivi, pensati per far sentire a proprio agio ogni donna e per permettere loro di vivere le attività in acqua con più libertà.
Un cartellone liquido, trasparente e acrilico che invita a fare un tuffo “oltre la superficie”, con l’intento di combattere i confini limitanti imposti dalle società e dando diritto a tutte le donne di sentirsi a proprio agio, sempre e ovunque.
Grand Prix Design
PENGUIN BOOKS | Portuguese (Re)Constitution
Agency: FCB Portugal
Trasformare il testo simbolo di una cultura oppressiva in un libro di espressione artistica e di libertà del popolo portoghese. Per il 50esimo anno dalla liberazione fascista, un nuovo testo dunque, in cui parole e illustrazioni, attraverso la tecnica della poesia oscura, veicolano un messaggio di libertà di espressione contro la censura tipica del periodo.
Grand Prix Digital Craft
UNESCO | Backup Ukraine
Agency: Virtue Worldwide, New York
La tecnologia in aiuto della conservazione della cultura di un popolo. Con il progetto Backup Ukraine, ogni cittadino ucraino può trasformare il proprio smartphone in un archivio fotografico. Attraverso il GPS ogni scatto potrà catturare qualsiasi luogo o monumento e salvarli nel cloud per ricordarli per sempre. Per ricostruire la propria cultura, per essere custodi del patrimonio.
Perché nessuna guerra può distruggere la memoria e l’identità di un popolo.
Grand Prix Film Craft
PENNY | The Wish
Agency: Service Plan Munich
Penny, un piccolo supermercato tedesco presenta la sua campagna ai Cannes Lions 2022. Semplice ma di grande effetto, nel film si esplora il disagio emotivo vissuto in ogni parte del mondo negli ultimi due anni. Durante la pandemia, infatti, lo stop a qualsiasi attività e relazione ha impedito soprattutto ai giovani di vivere esperienze, momenti importanti e semplice quotidianità. Il desiderio più grande di un genitore è di poter ridare ai propri figli quel pezzo di vita rubata.
Grand Prix Industry Craft & Grand Prix for Media
MARS-SHEBA | Hope Reef
Agency: AMV BBDO London
La barriera corallina e insieme a tutta la fauna che popola gli oceani hanno subito grandi danni e perdite disastrose. Sheba, il pet food arriva in soccorso insieme a ONU e WWF portando in alto la bandiera della sostenibilità ambientale. Una soluzione per ricreare l’habitat adatto alla ricostruzione e allo sviluppo dei coralli in Indonesia grazie a dei supporti. In due anni i coralli hanno avuto una ricrescita esponenziale attorno ai supporti, lanciando inoltre un grande messaggio: Speranza. La nuova barriera corallina rappresenta anche il primo billboard visibile da Google Earth e con un messaggio positivo, chiaro e corale.
Grand Prix in Glass: The Lion for Change
WECAPITAL | Data Tienda
Agency: DDB Mexico
L’83% delle donne messicane non ha uno storico creditizio, il che impedisce loro la possibilità di ricevere prestiti e di avviare di una impresa. La società di investimento WeCapital attenta all’inclusione delle donne in ambito finanziario ha creato Data Tienda, un centro informativo per la verifica dei loro pagamenti rintracciabili grazie ai prestiti in negozi di quartiere. Così da avere uno storico finanziario e concedere credito alle donne, in tutti i sensi.
Gran Prix Sustainable Development Goals
P&G | The Missing Chapter
Agency: Leo Burnett Mumbai
In India, la mancanza di educazione sanitaria nelle scuole ancora oggi è la causa responsabile della discriminazione sociale e culturale delle ragazze. P&G intende combattere questi tabù, spingendo il governo a cambiare un sistema scolare antiquato e discriminatorio. Il capitolo mancante è proprio quello relativo al ciclo mestruale, alla conoscenza e consapevolezza del proprio corpo. P&G attraverso la voce di Whisper, il brand di assorbenti, riporta nei libri il capitolo fondamentale dell’identità femminile e della sua fisiologica evoluzione.
Grand Prix Social & Influencer • Radio & Audio • Brand Experience & Activation
VICE MEDIA | The Unfiltered History Tour
Agency: Dentsu Creative Bengaluru
Un giro virtuale nel British Museum, tra reperti sottratti alle diverse identità culturali e raccontati da esperti nativi. Storie reali, senza filtri in un tour in AR tra cultura e società.
Grand Prix Creative Effectiveness
MICHELOB ULTRA | Contract For Change
Agency: FCB Chicago
Un’iniziativa, un cambiamento consapevole che fa bene agli agricoltori e al pianeta. Passare ad un’agricoltura biologica, sebbene sia una scelta sostenibile, è un processo lungo e costoso. Così il marchio di birra di proprietà AB InBev per facilitare il passaggio al biologico e incoraggiare gli agricoltori a intraprendere questa strada green, si propone loro come acquirente a lungo termine per la produzione della sua Pure Gold.
Nelle previsioni produttive di AB Inbev, l’aumento dell’offerta di colture biologiche consentirà a Pure Gold di crescere del 25% entro il 2023.
Grand Prix Creative Strategy
DECATHLON | The Breakaway: The First Ecycling Team For Prisoners
Agency: BBDO Belgium
Lo sport virtuale per aiutare i detenuti a reintegrarsi in società. Questa è l’idea di Decathlon Belgio, presentata ai Cannes Lions 2022, che rende lo sport accessibile a tutti e come chiave per ogni tipo di libertà. Grazie alla piattaforma di ciclismo virtuale Zwift, la prima squadra di e-cycling formata da detenuti, potrà gareggiare con altrettante squadre del mondo esterno. Per paragonarsi, per avere obiettivi positivi, per migliorarsi.
Gran Prix Creative Commerce
WINGSTOP | ThighStop
Agency: Leo Burnett Chicago
La carenza di ali di pollo nel 2021, ha spinto uno dei famosi fast food americani specializzati in ali di pollo a proporre un’alternativa. Quella della vendita delle cosce di pollo. WingStop con un simpatico rebranding si è trasformato in ThighStop, con tanto etichette e buste appositamente rivisitate, ottenendo una nuova tipologia di acquirente e aumentando le vendite del 10%.
Quando si dice che una debolezza si può trasformare in vantaggio!
Grand Prix Titanium
KIYAN PRINCE FOUNDATION, EA SPORTS, QPR E MATCH ATTAX | Long Live The Prince
Agency: Engine London
Il giovane calciatore Kiyan Prince, ucciso 15 anni fa mentre tentava di difendere un suo amico, viene proiettato virtualmente nella sua vita da 30enne. Giocatore nel videogame Fifa è anche il volto del brand sportivo JD, ma non solo per la gloria. La Fondazione che porta il suo nome ha raccolto fondi per consentire ai giovani del Regno Unito di allontanarsi dalla criminalità e avere la possibilità di raggiungere i propri obiettivi attraverso la formazione e l’insegnamento di valori positivi.
Anche l’Italia si è guadagnata i suoi premi ai Cannes Lion 2022
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/06/cannes-lions-2022-2.jpeg6721386Urania Frattarolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngUrania Frattaroli2022-06-27 10:30:392022-06-29 08:47:21Le campagne pubblicitarie che hanno ruggito più forte ai Cannes Lions 2022
Come figlio di genitori sordi, Tony Lee, un designer del mio team, dice di aver sempre avuto un piede nel mondo degli udenti e uno nel mondo dei non udenti.
Quando la pandemia li ha separati, Tony e i suoi genitori hanno utilizzato l’app Live Transcribe di Google e Google Meet per comunicare da lontano e condividere momenti importanti, come la nascita del figlio di Tony, il primo nipote dalla famiglia.
Questa esperienza, che Tony ha condiviso nel nostro spot “A CODA Story“, ha toccato persone in tutto il mondo. E questo ci dice che quando allarghiamo la portata della nostra creatività, capiamo davvero quanto possa essere potente il marketing inclusivo.
Ogni anno vengono pubblicati circa due milioni di annunci pubblicitari, ma molte persone segnalano un problema di rappresentazione, individuale o della propria comunità. Tutti meritano di provare un senso di appartenenza. In quanto esperti di marketing, è nostro compito assicurarci che le storie che raccontiamo siano davvero inclusive. Ciò significa anche rendere il nostro marketing accessibile in modo che le persone con disabilità, il 15% della popolazione mondiale, possano rapportarsi a pieno con contenuti, prodotti ed esperienze.
Vogliamo fornire ai professionisti del marketing, agli inserzionisti e ai creativi gli strumenti di cui hanno bisogno per realizzare campagne in cui le persone con disabilità si riconoscano perché accuratamente rappresentate.
Ecco perché oggi integriamo il nostro manuale di strumenti di marketing inclusivo All In con nuovi spunti per un marketing accessibile. Questa guida approfondita è stata creata in collaborazione con team esperti nell’inclusione di persone con disabilità, come Disability:IN e LaVant Consulting, ed è stata approvata da organizzazioni di settore rilevanti come l’American Association of Ad Agencies e Ad Council.
E quale posto migliore per presentare questi insight se non a Cannes Lions, il Festival internazionale della creatività, dove quest’anno rappresentare chi è sottorappresentato nel lavoro creativo è un tema portante. In qualità di primo partner ufficiale per l’accessibilità di Cannes Lions, stiamo lavorando con l’organizzazione per assicurarci che il Festival stesso sia fruibile appieno dalle persone con disabilità, per esempio coinvolgendo interpreti di lingua dei segni americana (ASL) e usando Live Transcribe per i sottotitoli in tempo reale.
Ci assicureremo inoltre che la Google Beach, la nostra base a Cannes, sia accessibile in sedia a rotelle e fornisca sottotitoli CART, Live Transcribe sui telefoni Google Pixel per sottotitoli in tempo reale e interpreti di ASL in modo che tutta la programmazione di Google soddisfi le migliori pratiche per l’accessibilità.
Quando abbiamo lanciato All In l’anno scorso, il nostro obiettivo era incoraggiare il settore ad attingere al nostro senso di responsabilità collettivo per realizzare progetti in cui tutte le persone si sentissero incluse. Nel frattempo, abbiamo ampliato le nostre collaborazioni per presentare un’ampia gamma di esperienze, inclusa la pubblicazione della prima ricerca approfondita del settore sull’inclusione delle persone che si identificano come plus-size in collaborazione con la National Association to Advance Fat Acceptance.
Con il supporto costante dei nostri partner, stiamo assistendo a miglioramenti significativi. Ad esempio, il nostro audit annuale sulla creatività marketing di Google ha rilevato che le nostre migliori campagne negli Stati Uniti nel 2021 hanno fornito ruoli più importanti per le donne e hanno superato i nostri obiettivi per aver rappresentato meglio i membri delle comunità asiatiche, nere e latine.
Abbiamo anche fatto progressi nel modo in cui rappresentiamo le persone con disabilità nei nostri annunci pubblicitari, ma abbiamo ancora molta strada da fare. Nel 2021 le persone con disabilità erano rappresentate nel 5,6% dei nostri annunci, un aumento di 5 volte rispetto all’anno precedente.
La sida di rendere il marketing più inclusivo
Abbiamo anche ridotto drasticamente gli stereotipi sulla disabilità nel nostro lavoro evitando di rappresentare le persone con disabilità come dipendenti da qualcun altro o come amiche solo di altre persone con disabilità, e abbiamo evitato le rappresentazioni retoriche nel 96% di quegli annunci. Ma sappiamo che non basta produrre creatività che presentino autenticamente le persone con disabilità e le loro identità intersezionali, dobbiamo assicurarci che tutte queste persone possano effettivamente fruire di quella creatività. Ecco perché ci concentriamo anche sull’applicazione delle ultime best practice di marketing accessibile, ora condivise su All In.
A breve, estenderemo All In a tutto il mondo, pubblicheremo insight sul pubblico di più paesi entro la fine dell’anno. Abbiamo anche in programma di collaborare con marchi in diversi settori per investire in iniziative di marketing inclusivo a livello globale e condividere le nostre conoscenze collettive con l’intero settore creativo.
Più di 20 anni fa, Google ha iniziato a perseguire l’ambizioso obiettivo di organizzare le informazioni del mondo e renderle universalmente accessibili e utili. Potremo portare a termine la nostra missione solo quando tutte le persone potranno sentirsi rappresentate in ciò che facciamo.
Il nostro impegno per porre fine agli stereotipi dannosi, ritrarre comunità sottorappresentate e affrontare la disuguaglianza nella pubblicità non è solo una nostra responsabilità, ma è anche la nostra motivazione e principio guida. È incoraggiante sapere di aver intrapreso questo viaggio di marketing inclusivo insieme a così tante persone e non vediamo l’ora di condividere idee e insegnamenti questa settimana a Cannes e in futuro.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/06/marketing-piu-inclusivo-bambino-che-impara-la-lingua-dei-segni.jpg624944Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2022-06-22 10:21:422022-06-22 10:21:42Come Google si sta impegnando per rendere il marketing più inclusivo
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