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A Milano nasce Phyd Hub, un nuovo spazio tecnologico che guarda al futuro del lavoro

Entro il 2022 in Italia ci sarà bisogno di 2,5 milioni di nuovi occupati e il 75% delle aziende reagirà alla crisi prodotta dal Covid-19 con attività di re-skilling.

Da questi dati nasce l’idea del nuovo spazio di Phyd, digital venture di The Adecco Group, nel cuore di Milano, dedicato a orientamento e percorsi di up-skilling e re-skilling per studenti, professionisti e imprese attraverso esperienze Phy-gital.

La location è stata ideata e costruita con un investimento di oltre 6 milioni di euro, compresa la realizzazione della piattaforma, e ha l’obiettivo di formare e valorizzare il capitale umano con le nuove skill richieste dalla costante trasformazione che il mercato del lavoro sta conoscendo.

Il futuro del lavoro (e delle competenze)

Secondo il World Economic Forum, nei prossimi 3 anni, a livello globale, l’evoluzione del mondo del lavoro – accelerata dalla tecnologia, dal digitale e dell’automazione – determinerà la nascita di 133 milioni di nuove opportunità occupazionali, a fronte di 75 milioni di posti di lavoro destinati a scomparire. Unioncamere stima che solo in Italia, ci sarà bisogno di 2,5 milioni di occupati in più.

L’impatto della crisi economica legata alla pandemia rischia di avere un impatto al ribasso su queste stime, ma il tema delle competenze diventerà ancor più cruciale. Secondo il dossier 2020 Unioncamere-ANPAL, il 75% delle aziende italiane dichiara che, per fare fronte alla crisi, nei prossimi sei mesi metterà in campo azioni di reskilling del personale già presente in azienda. Questo produrrà un’ulteriore accelerazione del processo di riconversione e rafforzamento delle competenze del capitale umano, anche per favorire l’allineamento alle nuove forme organizzative del lavoro.

Secondo Andrea Malacrida, Fondatore di Phyd e Country Manager di The Adecco Group in Italia: “Il tema dell’aggiornamento professionale continuo rappresenta uno dei punti centrali per il mondo del lavoro del futuro. Nei prossimi anni, anche a seguito dell’emergenza sanitaria appena vissuta, il mondo del business subirà cambiamenti ancor più repentini di quelli che abbiamo vissuto fino ad ora e solo chi riuscirà a coltivare le proprie competenze professionali, aggiornandole e sviluppandone di nuove, avrà l’opportunità di rimanere appetibile sul mercato del lavoro”.

Fondamentale, dunque, l’acquisizione di nuova conoscenza, sia tecnica che trasversale, tanto per gli studenti quanto per i professionisti. Le soft skill, in particolare, sono destinate ad avere un impatto determinante sulle retribuzioni, fino a incrementare uno stipendio di oltre il 40%.

Inoltre, resta attuale la criticità rappresentata dalla distanza che separa le competenze richieste dal mercato con quelle proposte dai programmi scolastici e universitari: lo skill mismatch impatta negativamente sia sui lavoratori che sulle aziende, frenando la crescita dell’intero sistema-Paese. Nel settore ICT, per esempio, il gap tra domanda e offerta di competenze è attualmente del 18%.

Come spiegato da Silvia Candiani, Amministratore Delegato di Microsoft Italia: “Lo skills mismatch è un fenomeno che in Italia sta diventando davvero rilevante e urgente. […] Non si tratta solo di implementazione di nuove tecnologie come il Cloud Computing o l’Intelligenza Artificiale, ma di avere le giuste competenze per cogliere tutte le opportunità di sviluppo che il digitale offre. Un recente studio Microsoft ha rilevato per esempio che le organizzazioni che traggono maggior valore dall’adozione dell’AI sono quelle che non puntano solamente sull’automazione e sull’efficienza operativa ma anche sulla formazione”.

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Lo spazio di Phyd Hub

Phyd Hub nasce con l’idea di permettere a studenti e lavoratori di vivere un’esperienza phy-gital e rappresenta la naturale evoluzione della piattaforma digitale Phyd, che, attraverso le soluzioni di Intelligenza Artificiale di Microsoft, misura l’attitudine e l’occupabilità di una persona rispetto ad una professione, ricavandone il grado di adeguatezza e rilevanza (employability index).

Proprio come la piattaforma, anche la location di Phyd Hub, aperta a tutti, offre contenuti poliedrici, inserendoli nella cornice di un luogo progettato in modo inedito. Lo spazio, organizzato su più livelli, ospiterà incontri, eventi, opportunità di networking e percorsi di up-skilling e re-skilling caratterizzati da un denominatore comune: interpretare nel modo più ampio il futuro del lavoro attraverso attività di career gym, preparazione ai colloqui e di controllo del curriculum vitae.

Situata nel centro di Milano, in via Tortona, la nuova location si caratterizza per un palinsesto di contenuti cross-generazionali che si svilupperà ogni anno nell’arco di 44 settimane e sarà incentrato sui temi del future of work, del life long learning e delle skill emergenti. Tra i partner di contenuti formativi anche Ninja Academy.

Phyd Hub è organizzata su più livelli per dare spazio a una dimensione immersiva che segna il passaggio dal mondo fisico esterno a quello phygital della nuova piattaforma e un’area training pensata per la formazione individuale; infine il luogo dedicato all’apprendimento verticale per piccoli gruppi e quello più esteso che ospiterà corsi, workshop, talk ed eventi.

Manlio Ciralli, Chief Executive Officer di Phyd, ha dichiarato: “Phyd nasce con l’obiettivo di nutrire la conoscenza attraverso un percorso di esperienze e fruizione che coniuga fisico e digitale. L’obiettivo primario è quello di dare alle persone la possibilità di porsi in uno stato di aggiornamento continuo. […] L’ambizione di amplificare – attraverso l’intelligenza artificiale – le opportunità di conoscenza e l’accesso ai contenuti senza distinzioni territoriali e, attraverso il luogo fisico, di mantenere la prossimità tra le persone laddove il networking e lo scambio di esperienze rappresenta di per sé uno strumento di miglioramento, contaminazione e conoscenza”.

Conversion e contenuti: troppe opzioni possono trasformarsi in un boomerang

  • Diversi studi hanno dimostrato come una scelta più varia attiri le persone, ma una selezione più limitata di prodotti faciliti la conversione.
  • I clienti di oggi richiedono meno informazioni ma più chiare, dirette e focalizzate su un’unica caratteristica.

 

Over comunicare può rivelarsi un boomerang per un business e per la conversion? I consumatori desiderano davvero essere “travolti” da innumerevoli contenuti?

Nel mondo di oggi dove tutto cambia in modo molto rapido, in cui siamo costantemente connessi e desideriamo ricevere risposte con velocità e chiarezza, la regola è solo una: “less is more”.

Che si parli di una landing page, del lancio di una nuova linea di prodotti, o ancora di un sito web di servizi, tutto deve essere costruito con uno ed unico obiettivo.

È stato dimostrato come troppe opzioni, o troppi messaggi, portino le persone ad avere una scelta così vasta da non essere in grado di prendere una decisione, causando dunque un mancato acquisto e una mancata conversione.

In merito a questo tema esiste uno studio psicologico molto interessante “Jam Study” condotto da Sheena Iyengar, S.T. Lee Professore di Economia presso il Dipartimento di Gestione della Columbia Business School: la ricerca è stata condotta in un supermercato in un sabato pomeriggio esponendo un primo gruppo di persone a 24 gusti di marmellata, e secondo gruppo a sole 6 opzioni della stessa marmellata.

LEGGI ANCHE: La content strategy del less is more

Alla fine dell’esperimento solo il 3% delle persone appartenenti al primo gruppo aveva acquistato un barattolo di marmellata, mentre il 30% dei consumatori appartenenti al secondo era riuscito a concludere un acquisto.

Ciò dimostra che di sicuro una scelta più varia attira l’attenzione delle persone, ma che una selezione più limitata facilita la vendita, e dunque la conversion.

Capiamo ora insieme come migliorare un’esperienza d’acquisto per renderla più immediata e più efficace.

Sì ai dettagli, no all’eccesso

La quantità non è tutto.

Una pagina prodotto per essere efficace deve contenere le informazioni necessarie in modo chiaro e conciso. Potrebbe sembrare un’affermazione banale, ma guardando e analizzando diversi brand e prodotti online non sembra essere così scontato.

L’errore che spesso viene commesso è questo di voler dire tutto per non omettere nessuna delle selling propositions.

In realtà decidere un solo obiettivo e un solo punto di forza, spiegato in modo conciso e dettagliato, potrebbe davvero fare la differenza e convincere il nostro consumatore a concludere un acquisto.

Un’altra soluzione per incrementare le conversioni, è rappresentata dall’utilizzo dei video, in pagina prodotto o sulle pagine di contenuto principali, per spiegare più caratteristiche e punti di forza.

Affinché un video sia efficace, deve essere pensato in modo da:

1. contenere le informazioni chiave all’inizio;
2. spiegare i benefici che potrà ottenere l’utente;
3. prevedere e rispondere a domande che potrebbero sorgere.

Una risorsa a sorpresa: le recensioni dei propri clienti

LEGGI ANCHE: Social customer care: perché i clienti scontenti lasciano recensioni negative?

Mai pensato che potesse essere una soluzione? In realtà, nonostante la digitalizzazione, il passaparola è ancora un elemento importante da non sottovalutare. Un cliente soddisfatto del prodotto è più propenso a lasciare un feedback positivo e può indirettamente contribuire ad un aumento delle vendite.

Bisogna prestare attenzione ai seguenti punti per ottenere benefici e aumentare la conversion attraverso le recensioni:

1. recensioni brevi: lasciare troppo spazio al giudizio e ai suggerimenti può generare confusione e perdita di focus. La soluzione migliore è quella di pensare ad uno spazio con un numero di caratteri limitati, sufficienti per esprimere un’opinione diretta, chiara, semplice.

2. Spazio alla recensioni negative; sembrerebbe un controsenso ma per dare l’impressione che le recensioni siano vere e non frutto di un piano di comunicazione studiato ad hoc, è importante lasciare spazio ai feedback negativi anche per un obiettivo di miglioramento costante.

Social sharing?

Ultimi, ma non meno importanti le call to action di condivisione; sono sempre di più i brand che scelgono di fornire questa opzioni ai propri clienti, ma bisogna sempre essere molto attenti a non abusarne.

Nel momento in cui non si è certi di quale sia il social network più adatto, è controproducente inserire tutti i social per paura di sbagliare. Ci sono diversi dati interessanti che possono essere d’aiuto per la nostra conversion. Uno ad esempio riguarda la demografica, che ci permette di capire quale o quali sono i social media più utilizzati dai nostri consumatori.

È fondamentale, non usare opzioni già fornite all’interno dei plug-in, ma scegliere call to action allo sharing personalizzate e create pensando in primis ai propri consumatori e alle loro abitudini di interazione sui social e di condivisione.

Credits: Depositphotos #47831101

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Identikit del consumatore post-lockdown: da dove partire per conquistarlo

  • Oggi il carrello medio da PC supera i 75%, mentre il carrello medio da mobile è inferiore ai 75€. Le abitudini del consumatore post-lockdown si sono profondamente trasformate.
  • La crisi sanitaria ha inevitabilmente accelerato la trasformazione digitale dei brand ed ecco quello a cui bisognerebbe pensare.

 

Il lockdown ha messo in discussione le abitudini di consumo degli italiani. I consumatori hanno colto l’occasione per cimentarsi in nuove modalità di acquisto, spingendo i brand a digitalizzare i punti vendita, a diventare omnicanale e a promuovere un’esperienze integrata.

Ma quali cambiamenti hanno vissuto i consumatori durante il contenimento e quale lezione possono trarne i marketer? Ce lo spiega un’infografica di Splio.

Prima del lockdown

Device

Smartphone. L’mCommerce è un trend in crescita: gli acquisti online tramite mobile per il settore dell’abbigliamento nel 2019.

Nel 2019 gli acquisti tramite smartphone hanno rappresentato il 40% delle vendite online totali generano 12,5 miliardi. In alcuni casi il mobile arriva a rappresentare il principale device di acquisto: 50% nell’abbigliamento, 48% nel beauty e 49% nell’arredamento.

consumatore post lockdown

In-store

Interazioni fisiche. Vetrine e shopping sono attività legate soprattutto al tempo libero: gli italiani che preferiscono effettuare il primo acquisto nel negozio fisico.

I punti vendita fisici rimangono fondamentali come hub di scoperta ed esperienza dei prodotti. Toccare e sentire la merce, e ottenere subito i prodotti desiderati e sconti. Il primo acquisto infatti avviene in-store per la maggior parte degli italiani.

Canale

Drive-to-store. Le vendite offline trainano il settore retail.

L’eCmmerce B2C ha pesato il 7,3% delle vendite totali del settore retail, mentre il 92,7% delle vendite continua ad avvenire nel negozio fisico, confermandone l’importanza chiave.

Fedeltà

Carte fisiche. L’utilizzo della carta fedeltà è molto ampio.

Il 74% della popolazione italiana è iscritto almeno a un programma fedeltà presso un rivenditore. Il 44% è iscritto a un numero di programmi compreso tra 2 e 5. Tuttavia, il tasso medio di attività dei membri dei programmi fedeltà in Itala è solo del 40%.

Pagamento

Contanti. Le transazioni contactless sono ancora inferiori alla media mondiale.

Nonostante l’entusiasmo per i pagamenti contactless, che hanno generato nel mondo oltre 3,5 miliardi nel 2019, l’Italia rimane tra i primi paesi europei per pagamento in contanti, confermandosi la modalità più utilizzata.

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Dopo il lockdown

Device

Computer. Il carrello medio da PC supera i 75%, mentre il carrello medio da mobile è inferiore ai 75€.

Seppur gli acquisti online da smartphone siano in costante crescita (50% durante il lockdown), il carrello medio è superiore per gli acquisti avvenuti da computer, specialmente durante la settimana. Durante il contenimento si è registrata una flessione dei carrelli per entrambi i dispositivi, evidenziando però che i consumatori acquistano con lo smartphone anche da casa, ma spendono di meno.

In-store

Distanziamento sociale. La sicurezza fa il suo ingresso nella customer experience.

Gli italiani propensi a visitare i soli punti vendita provvisti delle migliori condizioni di igiene e sicurezza. Indossare una mascherina, limitare i contatti fisici e rispettare il distanziamento. I consumatori oggi vivono un’esperienza di successo in-store grazie alle misure sanitarie preventive e grazie alla digitalizzazione del punto vendita. Il 51% degli italiani, infatti, desidera trovare in negozio un maggiore utilizzo delle tecnologie digitali.

Canale

Omnicanale. Abitudini di acquisto in piena trasformazione: i nuovi consumatori italiani che hanno acquistato online nei primi 4 mesi del 2020.

Il lockdown ha avuto il merito di modificare le abitudini di acquisto degli italiani, ora più propensi agli acquisti online per proteggersi dai rischi sanitari. Si stima che l’eCommerce in Italia raggiungerà i 22,7 miliardi di fatturato nel 2020 (+26% rispetto al 2019), con un crescente utilizzo del Click & Collect (+349% registrato in maggio in Italia) e del proximity commerce.

Fedeltà

Carte dematerializzate. La digitalizzazione come esperienza di fidelizzazione. Percentuale di carte fedeltà installate nel Mobile Wallet che vengono conservate e raramente disinstallate. I clienti post-lockdown desiderano smaterializzare il più possibile le carte fedeltà per minimizzare il concetto fisico. Nel 2019 il 63% di possessori di smartphone ha digitalizzato nel Mobile Wallet almeno un contenuto: primo da tutti la carta fedeltà, gli strumenti di pagamento, infine i buoni sconto.

Pagamento

Contactless. Pagamento senza contatto. Gli italiani che hanno utilizzato il pagamento contactless con facilità a causa dell’emergenza sanitaria. Il lockdown ha avuto il merito di aver incrementato l’utilizzo del pagamento contactless. Si stima che a causa della pandemia, quasi la metà (45%) della popolazione abbia ridotto l’utilizzo del contante e il 17% abbia sperimentato il pagamento contactless per la prima volta. È giunto il momento del mobile wallet, che oltre a consentire di effettuare il pagamento, permette ai consumatori di beneficiare immediatamente dei vantaggi fedeltà.

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Come cambia il comportamento del consumatore post-lockdown e quali azioni devono intraprendere i marketer

A causa dell’emergenza sanitaria assistiamo a una profonda trasformazione dei modelli di consumo. La crisi sanitaria ha inevitabilmente accelerato la trasformazione digitale dei brand, con un’anticipazione media di 5/6 anni, ponendoli davanti a nuove sfide necessarie per rispondere alle esigenze mutate del consumatore post-lockdown.

Digitalizzazione del punto vendita, omnicanalità, fidelizzazione, esperienza in-store, contactless. Questi sono solo alcuni dei fattori che brand e marketer dovrebbero riconsiderare oggi, nel cosiddetto “new normal”.

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Verso la Project Economy: come gestire oggi progetti e team in azienda

Mettere al centro dell’economia i Progetti e di conseguenza la Gestione dei Progetti (Project Management) significa stravolgere in molti casi processi, pratiche e abitudini che hanno caratterizzato molte imprese: fare un progetto oggi non è più semplicemente “fare quanto richiesto”, ma “generare valore”.

Se pensiamo alla situazione attuale, la crisi sanitaria ed economica del 2020, la buona gestione dei progetti diventa una questione ancora più importante: commettere degli errori nell’economia del progetto significa ridurre i margini e compromettere l’impresa stessa.

Per fare questo però dobbiamo ripensare il modo in cui viene fatto Project Management.

Vuoi saperne di più su come è cambiato il Project Management? Scopri la Guida Interattiva Ninja.

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Una nuova visione del Project Management

Si tratta di un cambiamento importante perché richiede un cambiamento nei Project Manager, nella considerazione dei Progetti e nei team che si trovano a dover realizzare questi progetti: come spesso accade non è un cambiamento di strumenti, ma è un cambiamento radicale nella cultura aziendale.

Se dovessimo identificare il cambiamento principale nella gestione dei progetti in questi decenni troveremmo la risposta in un cambio di prospettiva da parte del Project Manager (PM).

Infatti possiamo distinguere tra:

  • una visione Tradizionale, nella quale al PM viene chiesto di raggiungere i risultati definiti inizialmente rispettando tempi e costi;
  • una visione Moderna, nella quale al PM viene chiesto di generare valore attraverso uno o più progetti rispettando tempi e budget.

E questo piccolo cambiamento ha un impatto enorme sul modo in cui vengono gestiti i progetti.

Vuoi saperne di più sul nuovo ruolo del Project Manager?

Se vuoi approfondire l’argomento e saperne di più su quale è il nuovo ruolo del Project Manager in azienda, puoi scaricare la Guida Interattiva Ninja dedicata ai membri PRO.

Se non sei ancora iscritto, approfitta del free risk trial period, grazie al parere di Piero Tagliapietra, consulente in Digital Strategy e Project Management, potrai:

  • avere una panoramica sulle principali metodologie di Project Management;
  • valutare quale sia l’approccio ottimale per i tuoi progetti;
  • migliorare la gestione dei team da remoto.

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diversità nel mondo del lavoro

Da dove cominciare per portare le diversità (e il talento) nel mondo del lavoro

  • Le diversità sono importanti nella nostra società anche se non tutti le rispettano. Ci permettono d’integrarci con gli altri e di accrescere la forza di un’azienda.
  • Un team dovrebbe essere lo specchio della società in cui viviamo, ossia una comunità multiculturale e variegata.

 

Viviamo in un mondo cosmopolita, dove i confini sono sempre più ridotti e ognuno di noi può comunicare con l’altro attraverso un semplice click. Ci sentiamo tutti più vicini, viaggiamo liberamente per piacere e per lavoro, conosciamo aspetti di culture diverse, assaporiamo gusti d’oltreoceano e impariamo lingue nuove. Ha ancora senso parlare d’integrazione e rispetto per le diversità?

Certo che sì. Oggi più che mai. Parliamo tanto di diritti, di libertà, di positività e amore verso sé stessi, ma non tutti viviamo in pace con le nostre unicità. Spesso veniamo etichettati per qualche attributo che ci differenzia dalla maggior parte della comunità in cui viviamo.

Le differenze risultano evidenti e pericolose agli occhi di coloro che non le accettano, perché non le conoscono, e le scrutano e additano con un’accezione negativa senza nemmeno sforzarsi di vedere la persona che c’è dietro.

Ammettere le diversità e accoglierle è importante non solo per una questione etica e morale, ma bisogna cambiare mentalità anche nei contesti lavorativi. Le diversità nel mondo del lavoro permettono alle aziende di crescere, di distinguersi e mutare anima.

diversità nel mondo del lavoro

LEGGI ANCHE: Gender gap, a che punto siamo nel mondo dell’arte

Cosa si intende per diversità nel mondo del lavoro

Quando parliamo di diversità nel mondo del lavoro ci riferiamo a tutte quelle persone con un background eterogeneo, che possa riguardare l’età, la cultura, le abilità, l’orientamento sessuale, l’identità di genere.

Un team dovrebbe essere lo specchio della società in cui viviamo, ossia una comunità multiculturale e variegata.

L’accettazione e l’inclusione delle diversità nei contesti lavorativi permettono alle aziende di essere più competitive nel mercato, ma solo se le persone che fanno parte del team sono integrate realmente nel gruppo. Abbiamo bisogno di un cambiamento dall’interno. Un’azienda deve decidere come vuole essere davvero, il modo in cui verrà percepita dagli altri e che tipo di persone vuole attrarre, a chi vuole rivolgersi.

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Perché le diversità migliorano le aziende

Le diversità nel mondo del lavoro incrementano il valore di un’azienda, ma perché?

Perché un team variegato permette di vedere le cose da diversi punti di vista, che non siano sempre gli stessi. Avere diversi tipi di personalità in squadra comporta vantaggi a livello di prestazioni, oltre che di produttività, ma soprattutto d’innovazione.

Scambi d’idee, confronto e inclusione sono tutti elementi che migliorano l’umore ma anche la reputazione di una società. Sono sempre più le persone che vorrebbero lavorare in un luogo di lavoro tollerante, diversificato e poliedrico, dove tutti hanno le stesse chance di crescere e diventare qualcuno.

Le diversità nel mondo del lavoro migliorano la vita aziendale e il suo employer branding.

Come integrare le diversità nel mondo del lavoro

Il mondo è bello perché è vario, recitava un antico detto, e lo sono anche le diversità. Nel mondo del lavoro troviamo persone con un’istruzione superiore, chi ha un ceto sociale basso, chi fa parte della comunità LGBTIQA+, chi ha una fede religiosa diversa, tutte caratteristiche che sono innate o acquisite nel tempo (come l’istruzione). 

Integrare la diversità significa che le aziende, durante la fase di reclutamento, non devono avere nessun tipo di pregiudizio contro qualsiasi individuo. Ovviamente nemmeno avere delle preferenze. Purtroppo, chiunque abbia fatto un colloquio di lavoro, ha visto passarsi davanti persone meno qualificate, ma favorite per qualche motivo che non riguarda assolutamente il merito. Dovrebbe essere un discorso scontato quello delle pari opportunità, ma le diversità nel mondo del lavoro sono ancora penalizzate.

Leggiamo di donne lavoratrici pagate meno dei colleghi uomini, di razzismo, di preconcetti su chi appartiene a una cultura diversa o sgomento verso chi ha un orientamento sessuale che non riusciamo a inquadrare. Sentiamo un incessante bisogno di etichettare qualsiasi cosa, dimenticando chi siamo realmente.

LEGGI ANCHE: Il potere della differenza: come brand e agenzie possono assumere e mantenere la diversità nei team

diversità nel mondo del lavoro

Molti talenti si sentono esclusi e non ne capiscono il motivo, anche perché una motivazione reale non c’è. Per far fronte a questo problema molti professionisti in campo creativo hanno deciso di creare e riunirsi in delle piattaforme virtuali.

Assistiamo così alla nascita di microcomunità, divise per etnie, genere e svariati indicatori, in cui le persone si identificano e mostrano il proprio talento.

Dove trovare nuovi talenti

Negli ultimi anni sono nati diversi siti che hanno come obiettivo quello di unire e supportare le persone con diversità e allo stesso tempo rendere più facile, per agenzie e reclutatori, trovarle e lavorare con loro.

Fabricio Teixeira, design director di Work & Co. ha lanciato Brazilians Who Design per puntare i riflettori sui talenti provenienti dal suo paese d’origine. Ispirato da Womenwho.design, lo scopo è quello di mostrare l’esistenza di diverse comunità i cui membri hanno ottime competenze nel proprio lavoro anche se sono poco conosciuti, o per niente.

Queste piattaforme non vogliono puntare sull’apparenza, su come gli individui si presentano, ma sul genio creativo, sull’unicità delle loro opere.

Sapevate che esiste un sito simile tutto made in Italy? Si chiama Italians Who Design e mostra a tutto il mondo i lavori di giovani illustratori italiani. Questo progetto aiuta questi artisti a emergere in rete e a farsi conoscere, creando delle opportunità di lavoro. Sono numerosi i designer italiani che lavorano all’estero progettando prodotti utilizzati da milioni di persone anche se sono poco noti nel panorama internazionale.

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Il caso di Hue

Un’altra realtà giovane e interessante è Hue, creata da Fahad Khawaja. Hue è una piattaforma sviluppata per sostenere il cambiamento, amplificando le voci delle persone di colore che lavorano nel marketing, aumentando la loro visibilità e aprendo la strada alla crescita di tutti gli iscritti. Un’idea per creare equità e prosperità incoraggiando i talenti a partecipare, a fare rete con le aziende e ottenere un lavoro.

Khawaja fa una riflessione che fa pensare, ossia che nonostante ogni anno vengano spesi più di 350 miliardi di dollari in marketing and recruiting, la rappresentanza dei dipendenti con diversità razziale è rara nella maggior parte delle aziende. Inoltre, sottolinea, questo gap è ancora più pronunciato ai livelli di leadership, con una presenza in progressiva diminuzione. Fin quando le aziende attingeranno i candidati sempre dagli stessi posti, non ci sarà mai un effettivo ricambio. Khawaja definisce questo fenomeno con il nome di network gap.

Il caso di We are Rosie

We are Rosie è un’agenzia famosa che si è evoluta per soddisfare le esigenze dei nostri tempi. Pochi mesi fa ha lanciato Rosie Recruits, un’iniziativa che si occupa di ricercare contratti di sei mesi per i dipendenti. Ha promesso che almeno il 40% dei suoi candidati saranno persone di colore. 

La sua fondatrice, Stephanie Nadi Olson, ha affermato che l’intento di We are Rosie è quello di fornire l’accesso al maggior numero possibile di persone appartenenti a comunità emarginate.

La piattaforma ha registrato un aumento del 30% di persone in cerca di lavoro da marzo. Ora ha un pool di 6.000 candidati. Ci sono molte aziende che urlano ai 4 venti di avere a cuore le diversità e le minoranze, ma nel concreto non rispettano ciò che dicono. Con tutte le promesse di cambiamento nel mercato, Olson si auspica che ciò avvenga rapidamente. 

Per un cambiamento reale e una maggiore inclusività, le aziende dovrebbero porsi al servizio dei talenti, e non viceversa.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Digital Marketing: come connettersi con i consumatori “stressati” di oggi

  • La pandemia non sembra cessare il suo corso, anche dopo i “rallentamenti” registrati nel post-lockdown.
  • Riuscire a definire delle prospettive future oggi è decisivo: le abitudini dei consumatori promettono di mutare in maniera definitiva.

 

A distanza di alcuni mesi dal terribile lockdown, il mondo del marketing osserva ancora più scrupolosamente gli atteggiamenti degli utenti. Profondamente mutati.

Il marketing post-lockdown

All’inizio della pandemia, i media erano un’ancora di salvezza per il “mondo esterno”. Già dalla fine di marzo, quasi la metà dei consumatori, se non la maggior parte, ha cercato una maggiore interazione con i media che già utilizzava, rispetto ai tempi pre-pandemici, secondo il recente studio “Meaningful Media in the Time of Covid-19”, condotto da Havas Media.

Emerge che i consumatori, desiderosi di una fuga dalle loro attuali realtà stressanti, hanno investito molto più tempo in attività fisica, cucina, lettura e progetti fai-da-te. Realtà come Buzzfeed e Thrillist, non gli ultimi arrivati insomma, hanno monitorato questa esigenza di evasione attraverso una maggiore interazione dei consumatori con contenuti che vanno dal fai-da-te all’intrattenimento, ai meme.

LEGGI ANCHE: Come potrebbero cambiare le scelte di marketing dopo il COVID-19

I dubbi dei marketer, possono essere riassunti essenzialmente così:

  • come rispondere e reagire alla crisi in atto;
  • se e come cambieranno i comportamenti dei consumatori, ancora una volta.

Quali attività adottare per incontrare le nuove abitudini degli utenti

Chi si occupa di marketing, d’altronde, deve osservare scrupolosamente la realtà ed i relativi comportamenti degli utenti. La complessità sta proprio nell’individuare la corretta strategia di comunicazione che possa essere efficace per quel prodotto/servizio.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

LEGGI ANCHE: Condurre una vita digitale dopo il lockdown

Attività costanti, come l’ascolto del pubblico e l’osservazione attenta delle sue evoluzioni, rispecchiano un’importanza fondamentale, soprattutto in un periodo del genere.

Il Coronavirus e le informazioni che vengono diffuse ogni giorno, hanno già mutato il comportamento della popolazione globale. Innanzitutto a livello psicologico. D’altronde, nei trend delle queries dei maggiori motori di ricerca primeggia, quasi esclusivamente, la parola Coronavirus e tutti i contenuti a lei relativi.

Le aziende dovrebbero tenere in grande considerazione tutti questi aspetti per poter gestire l’emergenza al meglio. E per migliorare la propria presenza, in linea con il sentiment diffuso dei propri utenti.

Gli errori da non fare

Considerare la comunicazione con i clienti un’attività secondaria, è l’errore che viene commesso più comunemente in questo momento. Difatti, molte aziende, anche alcuni dei giganti dell’economia mondiale, stanno cercando di affrontare l’emergenza agendo soltanto dal lato dei dati, dei numeri, degli andamenti di borsa, dimenticandosi che ad alimentare la loro realtà aziendale, è un pubblico composto essenzialmente da persone. Con reali sentimenti.

Ecco qui che si apre un capitolo che, timidamente, vista la sua vastità e complessità, è doveroso quantomeno accennare.

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La salute mentale dei consumatori: attualità e dati su cui riflettere

Durante questi mesi, la gestione della salute mentale è stata sotto i riflettori. Anche da parte del mondo del marketing.

I maggiori editori di media si sono uniti alle “conversazioni” sulla salute mentale dei propri consumatori, condividendo articoli su come ridurre il tempo trascorso a “scrollare” il feed o su come evitare la dipendenza dagli schermi digitali. Alcuni recenti studi, effettuati anche da Brandwatch, fanno emergere che le ricerche online relative alla salute mentale ed al benessere degli utenti, negli ultimi cinque mesi, sono aumentate di quasi il 90%. A conferma di ciò, l’app Calm ha visto un aumento del 29% di nuovi download dall’inizio della pandemia.

Altri interessanti dati emergono da un recente rapporto di un’indagine di Accenture: 4 intervistati su 5 con diagnosi di ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico, ADD o dipendenza, affermano che avrebbero “probabilmente” o “sicuramente” utilizzato risorse sanitarie virtuali per gestire le loro condizioni.

Ovviamente, è doveroso sottolineare come quello di cui necessitano gli individui, in generale, proprio in questo momento di continua incertezza, non sia analizzabile solo tramite un software, ma abbia origine nell’emotività umana.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Adottare nuovi approcci verso “nuovi” consumatori

Nel complesso e preoccupante contesto che stiamo vivendo, è necessario per il momento abbandonare l’approccio economico tradizionale, per iniziare ad offrire non ciò che pensiamo possa piacere al consumatore, ma la soluzione ai suoi problemi. Problemi ben specifici che vive a causa della diffusione della pandemia.

Costa ben cinque volte meno cercare di mantenere un cliente già acquisito rispetto al cercare di attirarne uno nuovo. Ormai lo sappiamo.

Per questo motivo adottare una strategia legata a parametri, quali la customer retention, pare sia la strada più logica da percorrere. Perdere i propri clienti, non è più una probabilità assai lontana. Si sta trasformando gradualmente in un’amara realtà per tutte quelle imprese che stanno ignorando i bisogni dei consumatori, che negano l’evidenza a risultati negativi e poco soddisfacenti in merito alla customer loyalty.

Le necessità del proprio pubblico devono essere cercate in fondo a quel bisogno di sicurezza e promessa di un ritorno alla normalità. Le imprese non possono fare promesse, ma possono dimostrare la propria vicinanza ai clienti, manifestando comprensione e adeguando l’offerta che propongono a seconda delle circostanze.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Essere vicini ai clienti. Ora o mai più!

Bisogna saper mostrare e dimostrare la propria vicinanza e comprensione al proprio pubblico. Cari colleghi e marketer: ci sono dei momenti in cui, più di altri, un’azienda deve dimostrare di possedere quelle skill che la differenziano dalla concorrenza, per costruire un legame empatico e sincero con il pubblico: non solo dire di essere la migliore in qualcosa, bensì dimostrare con i fatti che può davvero fare la differenza.

Gli slogan che hanno accompagnato l’immagine del brand devono essere tramutati in realtà, dimostrati con le azioni. Dire di essere vicini non basta, per restare veramente nelle menti dei consumatori in questo momento è necessario agire, fare.

Bisognerà tener conto che tutto ciò implica spendere del budget più o meno esosi ma certamente si tratta di un investimento a lungo termine per il posizionamento del brand che si segue.

Prepararsi al futuro ed essere pronti per quando l’epidemia terminerà il suo percorso. Ecco su cosa attualmente investire. Riuscire a definire delle prospettive è decisivo: le abitudini dei consumatori promettono di mutare in maniera definitiva.

Il mondo è stato messo a dura prova e non è possibile predire con assoluta certezza l’evolversi di questa particolare circostanza. Si può scegliere se abbandonarsi al flusso degli eventi o accettare la sfida che ci è stata posta e scovare all’interno di essa delle opportunità nascoste. La parola chiave è: riadattarsi.

In uno sforzo collettivo che è mosso e stimolato da nuove e positive opportunità di mercato.

Strumenti finanziari per superare con agilità e resilienza il post-lockdown

Molte imprese oggi si trovano in situazione di stress finanziario in quanto i ricavi si sono contratti in misura tale da non disporre più della liquidità in ingresso necessaria per far fronte alle obbligazioni correnti (stipendi, fornitori, ecc.).

Come affrontare quindi l’ansia scatenata dall’incertezza sul proprio futuro finanziario? Daremo una serie di utili risposte a questo interrogativo durante il Ninja Talk organizzato in collaborazione con EMINTAD Italy, che analizzerà le difficoltà che le imprese si trovano a fronteggiare nell’attuale contesto economico e individuerà le strategie e le diverse opportunità di supporto finanziario alle stesse, in particolare alle PMI.

>>> ISCRIVITI AL WEBINAR GRATUITO “Ninja Finance: tutto quello che devi sapere per superare il post lockdown”

I dati del post-lockdown in Italia

Secondo il Rapporto Regionale Cerved – Confindustria 2020, il Covid-19 ha avuto un impatto senza precedenti sui conti delle PMI, con ricadute molto pesanti sugli indici di redditività, superando addirittura gli effetti della recessione del 2009, fin qui la peggiore nel secondo Dopoguerra per l’Italia.

Si prevede che le PMI italiane contrarranno il fatturato del 12,8% nel 2020, con un rimbalzo nel 2021 dell’11,2%, insufficiente per ritornare oltre i livelli del 2019. Nel complesso, questo si tradurrà in una perdita di 227 miliardi di fatturato nel biennio 2020-21 rispetto a uno scenario tendenziale di lenta crescita delle vendite.

Gli impatti saranno fortemente asimmetrici a seconda dell’attività di impresa, con shock maggiori per i settori più penalizzati dalle norme sul distanziamento sociale, o dagli effetti sul commercio internazionale.

Come rispondere alla crisi del Covid-19 e quali strumenti finanziari adottare

La resilienza del business, la capacità di un’azienda di adattarsi ai cambiamenti delle circostanze e di implementare misure che sostengano la salute delle operazioni, delle persone e dei beni, è qualcosa che tutte le organizzazioni stanno implementando durante la sfida della pandemia. Ma in questo contesto la gestione della crisi richiede un approccio olistico, che coinvolga l’intera organizzazione.

Le aziende – e le PMI in particolare – sono state chiamate a rispondere con rapidità alla crisi, ma ora ogni scelta dovrebbe essere ben ponderata e organizzata. Le azioni correttive da mettere in atto per il raggiungimento degli obiettivi di crescita prefissati, infatti, potrebbero anche comportare un ripensamento del proprio modello di business.

Cosa imparerai durante il Webinar

Questo webinar è rivolto a tutti quegli imprenditori e manager che vogliono vederci chiaro sulla situazione economica italiana in questi tempi così incerti e difficili per capire come le imprese potranno uscire da questo stress finanziario.

L’obiettivo è quello di indirizzare le imprese verso azioni concrete da mettere in atto per migliorare la risposta alle esigenze attuali, attraverso i corretti strumenti finanziari per prepararsi al futuro.

Nello specifico il webinar risponderà alle seguenti domande:

  • Qual è lo scenario economico attuale?
  • Quanto tempo ci vorrà per tornare alla normalità?
  • Quali sono gli strumenti finanziari a supporto delle PMI?
  • Quali sono le azioni concrete che le aziende possono compiere lato finanziario per raggiungere gli obiettivi di crescita?

Il webinar è online e gratuito, iscriviti adesso! Ma se proprio non ce la fai a seguirla in diretta, potrai recuperarla on demand, attraverso la tua area utente.

RICAPITOLANDO

Ninja Talk “Ninja Finance: tutto quello che devi sapere per superare il post lockdown”
con Gianluca Cedro, Luciano Di Fazio, Massimo Armanini di EMINTAD Italy. Conduce Federica Bulega di Ninja Academy

martedì 22 settembre 2020 dalle ore 13 alle 14

ISCRIVITI ORA AL WEBINAR GRATUITO

lavoro da remoto

5 miti che sopravvivono ancora sul lavoro da remoto, da sfatare nel 2020

  • Ci sono molti falsi miti sul lavoro agile che inducono le aziende ad essere resistenti verso questa tipologia di lavoro.
  • L’argomento del lavoro agile va affrontato con un orizzonte temporale ampio senza legarlo al contingente momento emergenziale generato dalla pandemia.

 

Il lavoro agile o smart working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. Lo dice il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Smart Working o Lavoro Agile: definizione e sviluppi

L’Osservatorio del Politecnico di Milano lo definisce: “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Quello che abbiamo sperimentato fino ad oggi, nel periodo pandemico, è uno smart working agevolato, un po’ improvvisato, molto più vicino al concetto di telelavoro ma pur sempre una buona base di partenza per iniziare ad avvicinarsi alla corretta adozione.

Durante la pandemia il Governo, attraverso un decreto attuativo approvato con urgenza, ha previsto l’adozione dello smart working senza accordo preventivo con i dipendenti (in deroga alla Legge 81/2017) al fine di contenere e contrastare la diffusione del Covid-19, bloccando, di fatto, l’attività in presenza per milioni di italiani.

DL 111/2020

Lo smart working è stato poi ulteriormente esteso dal DL 111/2020 (contenente alcune misure a sostegno dell’avvio dell’anno scolastico) al genitore lavoratore, per tutto il periodo (o parte di esso) corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente, minore di anni 14, disposta dall’ASL, a seguito di contatto verificatosi a scuola.

La previsione è contenuta nell’art. 5 che stabilisce inoltre che se la prestazione lavorativa non può essere svolta in modalità lavoro agile, alternativamente, uno dei genitori può fruire di un apposito congedo straordinario percependo un’indennità pari al 50% della retribuzione (il calcolo avviene secondo le modalità fissate dall’art. 23 del D.lgs. 151/2001). Secondo il dettato legislativo i periodi in cui si è fruito del congedo sono coperti da contribuzione figurativa.

La possibilità di fruire dello smart working o del congedo, quando il figlio è stato posto in quarantena, non spetta al lavoratore genitore se l’altro già fruisce di una delle predette misure, oppure svolge la prestazione in modalità lavoro agile ad altro titolo. Congedo straordinario o smart working non spettano nemmeno se l’altro genitore è già a casa perché privo di impiego.

Dal 15 Ottobre

Il Governo, con la delibera 7/10/2020, ha prorogato dal 15 ottobre al 31 gennaio 2021 lo stato di emergenza dovuto alla diffusione dell’epidemia da Covid-19.

Fino al 31/01/2021 sarà quindi ancora possibile accedere allo Smart Working senza preventivo accordo individuale con il lavoratore. Permane, quindi, la line agevolativa. Il DL 125/2020 apporta modifiche anche al DL 83/2020 (L. 124/2020) disponendo in particolare la proroga dal 15 ottobre 2020 al 31 dicembre 2020 del diritto di svolgere il lavoro in Smart Working riconosciuto ai lavoratori c.d. fragili, ossia coloro che sono maggiormente esposti al rischio di contagio da Covid-19.

LEGGI ANCHE: Dal Remote Working allo Smart Working: come evolve il lavoro nelle organizzazioni

5 miti sul lavoro da remoto da sfatare nel 2020

Ci sono molti falsi miti sul lavoro agile che inducono le aziende ad essere resistenti verso questa tipologia di lavoro. Qui di seguito indichiamo i 5 principali falsi miti sul lavoro da remoto che dovranno essere superati nel futuro.

1. I dipendenti che lavorano da remoto sono poco produttivi e lavorano molto meno

Uno dei primi miti da sfatare è proprio l’assenza di produttività.

Spesso si pensa che il lavoratore non presente in ufficio, quindi non a stretto contatto con il capo o collega, sia meno produttivo di quello impiegato in azienda.

Questa convinzione, in realtà, è stata smentita; molti lavoratori hanno affermato di aver lavorato più ore da remoto rispetto al lavoro in presenza.

LEGGI ANCHE: Come aumenta la produttività aziendale con lo smart working

smart-working-lavoro-remoto

2. I dipendenti che lavorano da remoto non fanno squadra e tendono ad isolarsi

Anche questo “mito” è frutto di una cultura non matura rispetto all’argomento.

Il lavoro agile non è sinonimo di isolamento, un programma di remote working può infatti alternare periodi in presenza con periodi a distanza. Durante i periodi in presenza si può continuare a coltivare le relazioni face to face, a seguire corsi di formazione e continuare a fare team building.

La comunicazione tra colleghi può avvenire in modo snello e completo anche se non si è vicini di scrivania, esistono infatti moltissimi software per la gestione delle comunicazioni a distanza e che consentono di tenere traccia di ogni conversazione.

Si possono organizzare video call con il proprio team che vadano al di là dei semplici meeting di lavoro ma che si tramutino, per esempio, in pause caffè per socializzare in modo informale con i membri del team.

Questi alcuni strumenti utili per il lavoro a distanza:

smart working e video call

3. Il lavoro da remoto permette di dedicarsi alle faccende domestiche

Nell’immaginario comune lo smartworker viene spesso rappresentato intento a lavorare e a svolgere, nel contempo, anche attività domestiche quali: prendersi cura dei figli, pulire la casa, cucinare ecc.

Il vero lavoratore remotizzato, in realtà, organizza molto bene la sua giornata al fine di evitare distrazioni e interruzioni legate alla sfera domestica/privata.

L’importante è definire una routine quotidiana e stabilire regole precise per interagire con eventuali altre persone della famiglia.

Anche il mercato immobiliare si sta muovendo nella direzione del lavoro agile. Aumentano, infatti, le richieste di immobili più ampi dove poter ricavare lo studio per collocare la propria postazione di lavoro, senza dover condividere spazi comuni quali salotto, cucina ecc…

Più che l’esposizione della camera da letto o la luminosità della cucina nella scelta dell’immobile si valutano il livello di comfort e il corretto isolamento dal resto della casa della stanza adibita a studio professionale. La priorità è poter lavorare in un ambiente tranquillo, che favorisca la concentrazione. Si tende a traslocare più di rado, ma anche a preferire l’affitto all’acquisto, in modo da poter cambiare domicilio più facilmente non appena ci si imbatte in un’offerta migliore. La parola d’ordine è flessibilità, concetto che si applica non solo agli orari di lavoro ma anche al modo di concepire la casa.

Va inoltre sottolineato che il lavoro agile non è necessariamente coincidente con l’home working, è possibile infatti lavorare a distanza da spazi neutri al di fuori delle mure domestiche, come ad esempio in apposite strutture di coworking (oggi meno utilizzati a causa della pandemia).

skill smart working

4. Il lavoratore da remoto non sarà mai un buon capo

Se i datori di lavoro sono scettici in relazione all’assunzione di dipendenti che lavorino da remoto, lo sono ancora di più quando sono i manager stessi a non essere fisicamente in ufficio a controllare e coordinare le risorse.

Anche questo è un falso mito, come sostiene HubSpot, dove la forza lavoro remotizzata è di oltre 300 persone e la maggior parte sono manager di medio e alto livello.

In Italia le aziende che hanno siglato accordi di smartworking sono:

  • Tim Spa;
  • Eni;
  • Enel;
  • Fincantieri;
  • Fastweb;
  • Leonardo.

il-mondo-dopo-il-covid

5. Il lavoratore da remoto ha tutto il tempo per prendersi cura di se stesso

Quante volte abbiamo sentito dire: “Ora che lavoro in smart working avrò sicuramente il tempo di andare in palestra” oppure “Ora finalmente potrò coltivare il mio hobby”.

Anche questo (purtroppo) è un falso mito.

Lo stile di vita remoto è in realtà molto più frenetico e la giornata lavorativa è molto più occupata.

Spesso chi lavora da remoto perde il contatto con la realtà: salta la pausa pranzo, non intervalla la routine lavorativa con delle pause, tende a non scollegarsi mai.

Molte volte questo burnout avviene perché si sente la pressione psicologica di dover dimostrare al proprio datore di lavoro che, anche da distanza, si mantengono alti i nostri standard produttivi, aumentando di fatto la prestazione lavorativa a discapito della sfera personale. Oppure perché non si è in grado, come indicato sopra, di porre dei limiti e di organizzare in modo corretto la giornata.

LEGGI ANCHE: Come far evolvere l’organizzazione dal Remote Working allo Smart Working: scopri la Guida Interattiva Ninja

smart working

Il futuro del lavoro da remoto

Il ricorso allo smart working è aumentato esponenzialmente durante il periodo pandemico e post-pandemico, ed è spesso stato confuso con il telelavoro o peggio ancora con l’home working.

In realtà occorre affrontare l’argomento del lavoro agile con un orizzonte temporale ampio, senza legarlo al contingente momento emergenziale generato dalla pandemia.

Le organizzazioni che hanno introdotto il lavoro da remoto durante il periodo pandemico devono interrogarsi su quanto questa forma di lavoro possa diventare un modello organizzativo stabile nel tempo, analizzando gli aspetti positivi e negativi di questa metodologia di lavoro.

Dal lato dell’organizzazione aziendale è un modo per essere in grado non solo di rispondere alle esigenze delle persone, ma di creare spazi di lavoro ottimizzati che consentono risparmi sugli affitti e facilities, con tecnologie che agevolano i processi lavorativi dell’impresa.

Il risvolto negativo che si otterrà, dalla scelta di adottare o meno il lavoro agile, sarà sui settori produttivi il cui indotto è strettamente correlato al lavoro in presenza negli uffici: ristorazione, pulizie e facility management i settori duramente colpiti.

“Per questi comparti la crisi generata dal lockdown è stata solo l’inizio: l’estrema prudenza con cui continueranno a essere gestiti i rientri nei luoghi di lavoro per evitare i contagi sarà, di fatto, una minaccia per la continuità dei conti di queste aziende, tranne per chi non ha saputo radicalmente rinnovare il proprio business”.

LEGGI ANCHE: Dal Remote Working allo Smart Working: come evolve il lavoro nelle organizzazioni

Il lavoro da remoto sarà la forma di lavoro vincente solo se sussistono una serie di condizioni, tra cui:

  • una migliore standardizzazione e organizzazione dell’attività produttiva richiesta ad ogni lavoratore, attraverso una precisa definizione dei tempi di svolgimento della prestazione;
  • evitare che il distanziamento sociale e di spazio appesantisca le procedure all’interno dell’organizzazione;
  • una corretta modalità di controllo e vigilanza del lavoro, tema delicato poiché nelle organizzazioni non esistono funzioni aziendali dedicate a questa attività.

UPDATE: In una precedente versione di questo articolo si riportava quanto segue: “A partire dal 15 Ottobre, invece, per poter continuare ad applicare lo Smart Working le aziende dovranno stipulare accordi individuali e inviare la comunicazione al Ministero del Lavoro attraverso l’apposita piattaforma e accedendo con le credenziali SPID. Il 15 ottobre è la data spartiacque per il futuro dello smart working per l’Italia.

Non esistendo una norma di raccordo tra il lavoro agile prima del 15 e dopo il 15 ottobre, sarà interessante valutare come le aziende si comporteranno: si inserirà strutturalmente lo smart working come tipologia di lavoro stabile oppure ci sarà un totale ritorno al lavoro in presenza?

La disciplina normativa del lavoro agile, Legge 81/2017, definisce in modo chiaro e preciso le modalità per introdurre e gestire questa forma di lavoro in azienda, nell’immaginario comune e nel web spesso lo SW viene visto in modo distorto“.

Marketing per il B2B: strumenti e strategie per vincere la trasformazione digitale

Ti sei già reso conto di come sono cambiate le abitudini dei consumatori negli ultimi mesi? O hai difficoltà a raggiungerli? Forse non stai ancora usando le strategie corrette di Digital Marketing, o non conosci tutti gli strumenti per rispondere alla grande sfida della digitalizzazione nel B2B.

Negli ultimi anni, infatti, le abitudini e la demografia dell’acquirente B2B sono cambiate e utilizzano regolarmente i canali di interazione digitali durante tutto il processo decisionale.

Per fare crescere un’azienda bisogna saper padroneggiare le novità del digital marketing: da qui l’idea della MasterClass AvantGrade, quest’anno con focus sul marketing digitale per il B2B, che si terrà il prossimo 23 settembre sulle sponde del lago di Como.

sicurezza marketing B2B

A cosa serve il marketing digitale nel B2B

Praticamente tutte le aziende utilizzano quotidianamente Internet, ma ne conoscono davvero le potenzialità e i vantaggi? Anche se come imprenditore sei già abituato a cercare informazioni online, a inviare e ricevere comunicazioni via email o attraverso messaggistica istantanea, a richiedere la fatturazione elettronica e ad archiviare i documenti nel cloud, potresti ancora non sfruttare al massimo le risorse offerte dalla rete in termini di marketing.

Si tratta di un fenomeno relativamente comune tra le aziende B2B e, se è anche il tuo caso, devi sapere che potresti restare indietro e perdere importanti opportunità di business. Il principale vantaggio del marketing digitale B2B, infatti, è quello di aiutarti ad aumentare le vendite della tua azienda. Questo perché il 98% delle aziende cerca i propri fornitori online.

Una buona strategia di marketing digitale è progettata per accompagnare il cliente durante tutto il processo di acquisto, che inizia da quando scopre di avere un bisogno (consapevolezza) e culmina quando acquista un prodotto o un servizio.

Ma non solo, il digital marketing aiuta le aziende anche nel processo di branding, nel posizionamento e nella crescita dell’awareness.

I vantaggi del marketing digitale per il business to business

I benefici e il ritorno che una corretta strategia digitale può portare al B2B sono davvero numerosi. Abbiamo provato a riassumerne alcuni qui di seguito.

1. Aumentare le vendite

I tuoi potenziali clienti sono già online alla ricerca delle opzioni che esistono sul mercato, confrontarne le caratteristiche, i fornitori e i prezzi.

La  ricerca online è semplice e veloce e viste le diverse opzioni, il cliente poi passa alla fase decisionale per scegliere tra un’azienda o l’altra, a seconda delle proprie esigenze, per poi agire ed effettuare l’acquisto. Se durante la ricerca di informazioni la tua azienda non appare tra i suoi risultati di ricerca, avrai perso un cliente.

2. Portfolio clienti

Una delle strategie più utilizzate nel marketing digitale B2B è l’email marketing, che permette di contattare i potenziali clienti, contribuendo a far crescere la base clienti e a fidelizzarli.

Ma la loyalty si ottiene principalmente attraverso un processo di accompagnamento e comunicazione che l’azienda realizza durante tutti il ciclo di acquisto, e che avviene attraverso sito web, social network, blog, video.

Se la tua presenza online sarà con un sito web attraente, informazioni complete, un supporto online efficiente, contenuti di qualità e inviando email al momento giusto, sarai in grado di offrire un’esperienza positiva ai clienti che, soddisfatti, instaureranno relazioni più durature.

3. Branding

Il branding è il processo di costruzione del marchio, e il marketing digitale è un modo pratico per realizzarlo. Si riferisce agli attributi, ai benefici, alla qualità e alla categoria del brand, e ha la funzione di influenzare i clienti e i potenziali clienti prima di iniziare il processo di acquisto, cioè prima che abbia luogo la fase di awareness.

Quando si dispone di un marchio consolidato, è possibile raggiungere i futuri clienti prima del processo di acquisto. Questo significa che il brand ha più opportunità di essere scelto rispetto alla concorrenza, poiché il cliente non avrà troppi dubbi al momento di decidere, con un notevole risparmio di tempo e denaro.

Cosa troverai con la B2B Search Marketing Revolution MasterClass

7 manager internazionali condivideranno la loro grande esperienza nel digital marketing B2B fornendoti spunti strategici e soluzioni tecniche.

Si parlerà di personal branding su LinkedIn del Manager B2B con Ale Agostini – CEO di AvantGrade; ascolteremo la guida per il management per avere una strategia definita, un team competente e sinergie su tutta la catena del valore di Luisella Giani – EMEA Industry Strategy Director di Oracle; scopriremo come usare le parole giuste per ingaggiare, sedurre e convincere i tre cervelli insieme a Paolo Borzacchiello – Co-creator & University Director di HCE.

E ci sarà anche tanto altro da apprendere, con focus sulla sostenibilità, o su come “difendersi da Amazon”, il tutto accompagnato da un importante momento di networking.

La formazione si svolgerà presso il prestigioso Grand Hotel Imperiale, nell’ampia e ariosa veranda della Sala Manzoni con vista mozzafiato sul lago di Como.

Se sei alla ricerca di formazione pratica e business networking di alto livello, questa è la tua MasterClass. Partecipa con lo sconto dedicato ai lettori di Ninja Marketing, inserendo il codice “FRIENDS OF NINJA” al momento dell’acquisto.

>>> Partecipa alla B2B Search Marketing Revolution MasterClass!

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Fenomeno Pet influencer: ecco chi sono gli animali più seguiti di Instagram

  • Lo avresti mai detto che sui social ci sono animali che hanno più follower degli umani?
  • I pet influencer più seguiti guadagnano grazie a collaborazioni con brand come Google, Mercedes Benz e Purina che sborsano cifre esorbitanti per i loro scatti.
  • Ecco chi sono i più seguiti. No, non c’è solo il cane della Ferragni!

 

Instagram si sa, è il social che mette in mostra l’ego di ognuno, diventato ormai il regno degli influencer. Facile farlo studiando pose e provando il profilo migliore. Meno facile, ma di sicuro più soddisfacente, è mettere in posa il proprio amico peloso. Lo avreste mai detto che sui social ci sono animali che hanno più follower degli umani?

I pet influencer più seguiti addirittura guadagnano grazie ai loro musetti, ai loro teneri difetti e anche grazie al loro temperamento davanti alla macchina fotografica. Infatti non poche sono le collaborazioni con brand come Google, Mercedes Benz e Purina che sborsano cifre esorbitanti per i loro scatti. Sembra un’assurdità eppure c’è una motivazione: quella della stretta relazione tra marketing ed emotività.

Una bella immagine soprattutto se tenera, richiama infatti sentimenti buoni, caldi e di felicità. Una semplice o per quanto banale foto di un cucciolo scatena nella maggior parte delle persone un senso di serenità e questo i brand lo hanno capito molto bene, cogliendo subito l’occasione per tentare e persuadere lo spettatore attraverso nuovi canali emotivi e psicologici.

Ecco chi sono gli animali più seguiti, i più simpatici e i più teneri.

Jiff Pom, il pet influencer più seguito – 10 milioni di follower

Jiff sembra un orsacchiotto ma è un cucciolo di Pomerania ed è tra i primissimi pet influencer più famosi al mondo. Il cagnolino, oltre che comparire in un video della cantante Kate Perry, vanta molte partnership con famosissimi brand, tra cui TikTok, Target e Banana Repubblic. Per ogni suo post sui social Jiff guadagna circa 45 mila dollari. Tutti spesi in ossetti da sgranocchiare.

 

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Nala Cat: – 4,3 milioni di follower

Nala è un gatto meticcio dai curiosi occhioni azzurri. È proprio il suo piccolo difetto di strabismo a renderla famosa. Pluripremiata, è diventata testimonial di una linea di mangime che prende addirittura il suo nome.

Nala, per ogni suo post guadagna circa 19,8 mila dollari.

 

Doug the Pug – 4 milioni di follower

Si definisce il “re della cultura pop”, Doug è il carlino più simpatico al mondo. Tra un’apparizione come testimonial di Mercedes Benz, Feebreze e Claire’s e un’altra come imprenditore del suo merchandising, la pet celebrity riesce anche a posare per il suo profilo Instagram.

I suoi scatti – che valgono ognuno 17,7 mila dollari – sono buffi, le sue espressioni ironiche e goffe. Indossa parrucche, tutine divertenti e gioca con i suoi amici follower. È facile riconoscerlo anche come guest star ai Country Music Awards come testimonial ufficiale di Dentastix.

 

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“Me after getting my third coffee of the day” -Doug

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Juniper the Fox – 2,9 milioni di follower

La dolce volpe rossa nordamericana è stata salvata e introdotta in ambiente umano, un po’ particolare rispetto a quello selvatico. Juniper si mostra sempre sorridente e non teme di passare in secondo piano.

Nel suo profilo, infatti, ospita altri simpatici pet influencer tra cui suo fratello Fig, con cui convive e con cui condivide cibo, morbidi cuscini e forse anche il guadagno di 13,54 mila dollari per ogni loro post.

LEGGI ANCHE: Top model avatar e virtual influencer saranno il futuro della pubblicità?

 

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Baby Juniper, the forest spirit

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Tecuaniventura – 2,2 milioni di follower

I bulldog inglesi sono buffi e divertenti di natura. Sono famosi per le loro espressioni imbronciate a causa delle pieghe del muso e per essere goffi anche se pieni di energia.

Questo dog blogger si trova in Russia e si presenta indossando buffe tutine, sicuro verso l’obbiettivo come un vero poser. Ha un muso molto espressivo e proprio come un fashion addicted sembra divertirsi con le diverse mise. Per ogni prova vestito, proprio come i veri influencer, guadagna circa  9,94 mila dollari ed ovviamente è testimonial di diversi brand.

 

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Когда живёшь в большой и шумной собачьей семье, постоянно происходят разные неожиданности. Кто-то пил и разлил воду, кто-то, шутя, погрыз бабушкино кресло. А сегодня, один мохнатый зверь с рыжим носом, совершенно случайно перевернул любимую Карамелькину герань. Но делать что-то надо, пока не вернулась с работы мама. Нужно быстро все убрать и привести дом в порядок. В этом Карамельке помогает Mr. Proper для домов с питомцами. Это – новое средство для мытья полов, которое убирает до 100% грязи от домашних животных и обладает технологией удаления запахов (не маскируя их). А ещё он совершенно безвреден для домов с четвероногими??! И к тому же, средство не оставляет разводов и не требует смывания. Запомните, друзья, про Mr. Proper для домов с питомцам. Карамелька плохого не посоветует! #MrProper #ХозяинНичегоНеУзнает #спонсорPG #dog #englishbulldog #собака #russia #москва #россия #vladivostok #владивосток #vdk #бульдог #английскийбульдог #питер #хабаровск #новосибирск #краснодар #моясобака #собакару #собакадругчеловека #собакаулыбака #собакадруг

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Tuna – 2,1 milioni di follower

Tonno, questo è l’insolito nome per il cagnolino dal sorriso più famoso. Il suo muso visto di profilo ricorda quello di un piccolo squalo a causa della sporgenza dei suoi denti.

Il suo simpatico ghigno lo ha reso così celebre tanto da comparire in svariati meme che hanno fatto il giro del mondo. In più, Tuna collabora con associazioni benefiche per il salvataggio di animali e ha anche un merchandising con una linea di oggetti che porta il suo nome. La sua stramba dentatura gli fa guadagnare circa 9,8 mila dollari a post.

Mr Pokee – 1,8 milioni di follower

Il riccio diventato una leggenda. Un influencer un pò spinoso certo, ma teneramente e sempre di buon umore ci ha mostrato bellissimi paesaggi in compagnia dei suoi a-mici.

Purtroppo Mr Pokee non è più tra noi ma le sue avventure continuano grazie al suo compagno Herbee che porta alto il nome e la fama del suo caro amico.

 

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On a scale of 1-10 how excited are you for fall? ? Herbee is a solid 10 ? I’d say Audree is about a 6.5 ??

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Pumpkin the Raccon – 1,3 milioni di follower

Pumpink è un procione paffutello, salvato e addomesticato in casa dove vive con i suoi fratelli cani, oltre che con gli umani, ovviamente. Pestifero e divertente, il procione è molto goloso e gli scatti lo ritraggono spesso con le mani nel sacchetto… di patatine, di popcorn e di mirtilli.

Questo simpatico pet influencer non ha contratti di marketing, se non quello con l’associazione benefica Baark, che si occupa di salvataggio animali. Ha però lavorato molto per il suo personal branding tanto da avere ottenuto un libro in suo onore  “Pumpkin: The Raccoon Who Thought She Was a Dog” ed esser apparso in speciali tv americani, dedicati agli animali.

 

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One day 2020 will be just a memory. Until then #wearadamnmask and wash your hands ❤️

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Diddy Kong e Yeti Kong the Marmosets – 907 mila follower

Diddy e Yeti, che di cognome fanno Kong, sono due minuscole scimmiette di origine sudafricana diventate famose anche grazie al video di LADbible nel 2016.

Sul loro profilo compaiono sempre allegre, le immaginiamo anche un po’ dispettose e che si divertono a compiere azioni vagamente umane. Hanno stretto collaborazioni con Two Hats Beer Company e Klique.

 

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“I turned 5 today! Having a relaxing birthday bath and then a big birthday treat!! ? ?” – Diddy Kong

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Hamlet the Piggy – 368 mila follower

Hamlet è un tenero porcellino ben predisposto a posare come una star. Vanitoso, sfoggia diversi look, parrucche colorate ed eccentrici occhiali da sole. Vive in casa e si comporta come un cagnolino, segno che ogni animaletto ama stare in nostra compagnia e che, anche se non è propriamente opportuno, riesce ad adattarsi in spazi diversi dal proprio habitat naturale.

Hamlet è stato adottato come animale da terapia, aiutando la sua proprietaria nei critici momenti della sua epilessia. Pet influencer insolito, su Instagram vanta sponsorizzazioni per gli snack Tostito, la linea di cuffie NFL di Bose e l’obiettivo iPhone Ollo Clip.

 

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Happy Wednesday! You’re halfway there!

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Buckley the highland cow – 74,2 mila follower

Scendiamo molto nella classifica ma anche questa bufaletta merita una menzione, a dimostrazione che tutti possono diventare influencer. Buckley è rimasta orfana appena nata e accudita nella fattoria della sua famiglia umana vive insieme a sua sorella, la capretta Ralphy. Un esempio di grande amore, non solo quello umano ma anche quello tra specie diverse.

Questa bella storia d’amicizia è raccontata anche nel libro A true story about kindness, friendship and being yourself. La natura mostra amore e non fa distinzioni di razza o identità. Bisognerebbe prenderlo come esempio.

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Matilda – 386 mila follower

Menzione particolare per un pet influencer tutto italiano. Il bulldog francese di Chiara Ferragni, non poteva non seguire le orme della sua famosa proprietaria. Il profilo di Matilda non spicca però per le sue qualità fashion o per pose particolari. Gli scatti sono semplici e raccontano in modo non spettacolare la sua quotidianità. Insieme a Chiara e al resto della famiglia, ovviamente, che gli fa guadagnare popolarità e like.

Insomma, ci vuole fortuna anche a nascere cane.

 

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Si torna a casa ✈️

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I maggiori pet influencer italiani

In Italia, altri animali da compagnia che vantano più follower di alcuni influencer umani, sono i cani dei vip che godono della luce riflessa dei loro proprietari più ammirati. Troviamo Audrey, il cane di Donatella Versace con 30 mila follower. Seriosa e dall’atteggiamento composto, come una modella. Con 20 mila ci sono Lilly e Leone, barboncini che non spiccano di particolare bellezza come invece la loro mamma umana Michelle Hunziker.

Mia, Piero e Megan con l’account I Pieri creato dalla loro proprietaria Elisabetta Canalis, hanno raggiunto più di 15 mila follower. Di sicuro il pet influencer più simpatico, e già lo dice il nome, è Gatto Morto. Anche se non è figlio d’arte vanta 11 mila seguaci. Il suo profilo è composto di  frasi sarcastiche e soprattutto da pose da cui trae il suo nome. A pancia e zampe in su. E immobile.

 

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Non svegliate il Gatto che è Morto.

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