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10 cose che dovresti sapere prima di lanciare un business online (e come impararle)

10 cose che dovresti sapere prima di lanciare un business online (e come impararle)

Il digitale è stata una grande rivelazione per molte piccole aziende negli ultimi mesi. Imprenditori e proprietari hanno scoperto che restare in contatto con i propri clienti grazie al web può essere non solo un’alternativa al negozio fisico o all’attività face-to-face, ma una parte complementare del business, oggi necessaria più che mai.

Certo, nessuno ha detto che costruire un business online (che si parta de zero, o che si voglia digitalizzare un’impresa esistente) sia un’attività semplice e lineare. Ma partendo preparati e conoscendo tutti gli step e i fattori in campo, questa nuova avventura può trasformarsi nella strada per il successo.

Scopriamo insieme, quindi, le dieci cose che dovresti assolutamente conoscere prima di lanciare un business online.

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1. La scelta dell’hosting

Molte aziende iniziano a costruire la propria presenza online con una semplice pagina Facebook o un negozio su piattaforme come Etsy. Qui, tuttavia, non si avrà il pieno controllo e si avranno dei limiti in termini di possibilità e di attività consentite.

Ecco perché spesso si arriva alla decisione di avere un proprio sito web, magari anche un eCommerce.

Il primo passo per farlo è scegliere l’hosting giusto per le proprie esigenze.

L’host di un sito web (talvolta indicato come fornitore di hosting di siti web) è una società che offre la tecnologia e i servizi necessari per la visualizzazione di un sito web su Internet. Il servizio collega il nome di dominio al provider di hosting in modo che quando gli utenti visitano il tuo indirizzo web, venga mostrato loro il tuo sito.

A seconda del tipo di tecnologia e di supporto scelto i costi di questi servizi possono variare, ma ci sono alcuni aspetti fondamentali da considerare quando si sceglie un hosting.

  • Hosting condiviso vs. server dedicato. Avere un hosting condiviso significa che si sta condividendo un server e le sue risorse con altri clienti. Il limite maggiore in questo caso sono possono essere le prestazioni limitate del sito, o maggiori rischi rispetto alla cybersecurity, ma potrebbe comunque essere una valida scelta se si è ancora agli inizi e si vogliono testare le performance del proprio business online. Avere un piano server dedicato significa, invece, che la macchina server fisica è interamente dedicata al tuo sito; quindi, tutte le risorse sono dedicate. Tuttavia si tratta di una soluzione in genere più costosa che non tutte le piccole imprese sono disposte a pagare. Infine, esiste una via di mezzo tra i due, ossia il VPS o “server privato virtuale”. Si tratta di un piano hosting che offre il meglio delle due soluzioni, poiché un VPS è una macchina partizionata per lavorare come se si trattasse di macchine multiple, con un prezzo simile a quello di un hosting condiviso, ma con una sicurezza e prestazioni simili a quelle di un server dedicato.
  • Supporto e assistenza. Nella scelta di un hosting non si dovrebbe dimenticare di verificare anche la possibilità di ricevere supporto telefonico o via chat, in modo da poter essere aiutati rapidamente in caso di problemi. Anche il supporto via email può essere utile, ma in genere richiede tempi di risposta più lunghi e questo può diventare frustrante quando un problema deve essere risolto rapidamente.
  • L’interfaccia server semplice da usare. Soprattutto per chi è agli inizi e vuole fare tutto da sè senza il supporto di un professionista o di un’agenzia, è molto utile valutare anche la facilità di utilizzo e configurazione del pannello di controllo dell’hosting, in modo da essere certi di poter apportare tutte le modifiche necessarie al proprio progetto.
  • La sicurezza del server. Come dicevamo, un aspetto da non trascurare in un business online, è la cybersecurity. Ad esempio, per un progetto eCommerce è necessario installare i certificati Secure Sockets Layer (SSL). Assicurati, inoltre, che la società di hosting effettui una regolare manutenzione della sicurezza. Idealmente il protocollo di sicurezza dovrebbe essere pubblico, per poter conoscere come vengono gestiti i server.

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2. La scelta del nome dominio

Il dominio è la parte dell’indirizzo web che viene dopo il www. Ad esempio: www.ninjacademy.it

Per un’azienda, un nome a dominio può anche essere legato a un indirizzo e-mail professionale. In questo modo:

support@ninjacademy.it

Diciamo che sto cercando un idraulico a Roma, utilizzando Google digiterò “idraulico a Roma” e otterrò come risposta un elenco di risultati di ricerca che includono siti web rilevanti identificati dai loro nomi di dominio.

Il tuo dominio è l’insegna della tua azienda sul web, quindi fai attenzione a scegliere un nome dominio che rappresenti la tua azienda e che sia facile da ricordare. Puoi seguire questi cinque suggerimenti:

  • Sii breve, per assicurarti di restare impresso.
  • Rendilo facile da digitare. Evitate i trattini e le grafie insolite.
  • Includi le parole chiave. Cerca di usare termini semplici che le persone potrebbero inserire quando cercano il tuo tipo di attività online.
  • Localizza il tuo business. Specie per le piccole imprese può essere utile includere anche il nome della propria città o della propria regione nel dominio, per attirare i clienti locali.
  • Scegli l’estensione giusta. L’uso e l’estensione del nome di dominio (la parte che viene dopo il “punto”) dovrebbe essere specifico per il settore o per la zona geografica. In Italia ad esempio, andrebbe scelto il .it o il .com se si tratta di un eCommerce, ad esempio.
  • Quando stai cercando un dominio, fai una piccola ricerca per assicurarti che il nome che hai in mente non esista già, non sia un marchio registrato, protetto da copyright o in uso da un’altra azienda.

3. La creazione del sito e del suo design

Dopo aver scelto un dominio sarai pronto a iniziare a pensare nel concreto al sito web. Un po’ di pianificazione è fondamentale per garantire che il sito funzioni come immaginavamo e presenti tutti i prodotti o i servizi in modo chiaro.

Parti quindi dagli obiettivi: vuoi che il sito informi, che ispiri o vuoi generare conversioni di vendita?

È sufficiente che il sito web mostri i tuoi prodotti e servizi, o vuoi che i visitatori possano acquistarli direttamente dal sito? Se è così, dovrai progettare un sito eCommerce, prevedendo anche carrello, metodi di pagamento, registrazione del cliente…

Quando avrai ben chiaro cosa vuoi che faccia il tuo sito per il tuo business online, potrai iniziare a costruirlo seguendo gli obiettivi che ti sei prefissato.

Anche se non sei un esperto informatico, potrai utilizzare piattaforme e strumenti facilmente installabili per costruire il tuo website.

Un esempio che avrai già sentito nominare molte volte è quello dei siti web in WordPress. Si tratta di un CMS (content management system) che non richiede la conoscenza di HTML, PHP o altri linguaggi di programmazione, ma che ti consente un ottimo livello di personalizzazione anche se sei non sei esattamente un pro!

Puoi scegliere tra una miriade di temi gratuiti o a pagamento (cioè il design per lo stile generale del tuo sito web). Inoltre hai a disposizione moltissimi plugin per aumentare e diversificare le funzionalità del sito.

In alternativa puoi assumere un professionista o un’agenzia e commissionare la costruzione del tuo sito. In questo caso prevedi con l’esperto che ti seguirà anche le diverse opzioni di assistenza e implementazione: una volta messo online il sito potrai occupartene da solo o avrai bisogno di un’assistenza dedicata costante?

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4. La creazione di contenuti di qualità

Una volta che avrai pensato alla struttura e al design, ossia al contenitore, potrai iniziare anche a capire cosa metterai dentro il tuo sito, cioè ai contenuti.

Per far conoscere e lanciare il tuo business online, puoi raccontare la tua storia, spiegare come hai iniziato, dire qualcosa di te e del tuo lavoro ai potenziali clienti, spiegare quale problema puoi risolvere per loro, la tua mission e la tua passione.

Tra le pagine da includere tra i contenuti del tuo sito ci sarà la Home (pagina iniziale su cui atterreranno digitando il tuo nome dominio), un Chi siamo, la pagina dei Prodotti/Servizi, i Contatti e se possibile una pagina con recensioni e testimonianze di altri clienti. Quest’ultima comunicherà fiducia ai nuovi potenziali clienti.

Oltre ai testi, dovrai prevedere anche immagini (foto, logo, icone…) ed eventualmente uno o più video.

Cerca di mantenere un tono di voce coerente tra tutti i diversi contenuti, e prevedi anche colori e grafiche coordinate, ricordando che potresti anche condividere sui social le tue pagine web.

5. L’uso della SEO

Una volta creati contenuti rilevanti per i tuoi potenziali clienti, è il momento di fare un passo in più per aumentare la visibilità del tuo business online.

Per farlo devi utilizzare la SEO, vale a dire l’ottimizzazione per i motori di ricerca.

L’ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) è il processo di perfezionamento di un sito web per ottenere un posizionamento più alto nei risultati sui motori di ricerca e portare visitatori organici al tuo sito, senza pagare per annunci in evidenza.

A differenza degli annunci a pagamento – annunci pubblicitari che vengono visualizzati in aree sponsorizzate – i risultati di ricerca organici sono “gratuiti” e basati, tra le altre cose, sul contenuto del sito e su quanto si avvicina alle parole chiave ricercate. Si tratta quindi di risultati molto rilevanti per gi utenti.

Anche se ogni motore di ricerca ha il proprio set di criteri di posizionamento, tutti guardano agli stessi elementi di base:

  • Contenuto della pagina rilevante.
  • Parole chiave.
  • Meta tag. 
  • Sitemap.
  • Link building.
  • Ottimizzazione delle immagini.

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6. L’uso dei canali social

Stabilire una presenza commerciale sui social media, cioè lì dove si trovano i tuoi clienti e potenziali clienti, è un po’ come allestire uno stand alla più grande fiera virtuale del mondo.

Certamente anche i tuoi competitor saranno lì, in fila per attirare l’attenzione dei potenziali clienti, con foto, video e offerte. Per questo, il segreto per usare al meglio i social media per comunicare con il tuo pubblico è creare contenuti di valore che ti permettano di costruire una relazione duratura.

Sviluppando un seguito sui social, potrai entrare in contatto con i tuoi clienti e potenziali clienti e condividere contenuti con un gran numero di persone. Il social inoltre rende facile indirizzare le domande o i problemi specifici dei clienti, rendendo le stesse informazioni disponibili anche per tutti gli altri.

Qui avrai anche la possibilità di costruire la tua brand awareness, ossia di condividere informazioni sulla tua attività e di mostrare la tua personalità. Oltre alla possibilità di guidare il traffico verso il sito web includendo link al sito nei post social e nelle varie bio.

Oltre a vendere, potrai renderti credibile. Condividendo contenuti rilevanti ti mostrerai come un leader di settore e creerai una presenza online solida per il tuo business.

Per utilizzare al meglio i social media, dovrai innanzitutto capire qual è il tuo target e scoprire su quali piattaforme spende il suo tempo. Non è detto che tu debba essere presente su qualsiasi social, potresti scegliere anche solo i più rilevanti e concentrarti su quelli.

7. L’advertising online

Proprio come la pubblicità sui giornali o sui manifesti per strada, anche l’advertising online gioca un ruolo importante per farti conoscere sul web. Ovviamente si tratta di un canale a pagamento, per il quale dovrai prevedere un certo investimento, per poter vedere risultati tangibili.

Gli annunci online, i post “sponsorizzati” sui social e tutte le altre opzioni a pagamento sono progettate per mettere le tue informazioni commerciali in primo piano e per guidare il traffico verso il tuo sito web.

Tra i vantaggi della pubblicità online puoi valutare questi di seguito:

  • è veloce e più economica di quella offline. Gli annunci online costano una frazione degli annunci tradizionali sulla stampa, ed è possibile eseguirli rapidamente.
  • Pubblico in target. Gli annunci saranno presentati solo a consumatori mirati sui social, sui media online o tra i risultati di ricerca.
  • È facile da misurare. Avrai a disposizione molte metriche per misurare il successo delle tue campagne pubblicitarie online, per capire cosa funziona e cosa no.

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8. La lead generation

Guidare il traffico verso il tuo sito web è fondamentale, ma convertire i visitatori in lead è il modo per far crescere il business online. Questo significa capire chi sta visitando il sito e contattarlo direttamente, in modo da poterlo convertire in cliente.

Includi il numero di telefono o l’indirizzo email della tua azienda in ogni pagina del tuo sito web.

Chiedi ai visitatori di lasciare il loro nome e indirizzo email, per restare in contatto. Questo è tutto ciò di cui hai bisogno per iniziare la conversione, e la maggior parte delle persone sono abituate a dare queste informazioni online.

Per raccogliere informazioni di contatto (sempre nel rispetto delle le linee guida del GDPR), puoi utilizzare i moduli di contatto, ossia form presenti sul sito che vengono compilati ogni qualvolta l’utente vuole porti una domanda, ha bisogno di informazioni e vuole essere ricontattato.

Puoi anche aggiungere un modulo di iscrizione alla newsletter per ricevere informazioni su prodotti e servizi, aggiornamenti, sconti, ecc. o fare un’offerta speciale per l’iscrizione alla mailing list.

Una volta ottenuti i loro indirizzi, l’email marketing ti offrirà un approccio mirato al contatto con i clienti attuali e potenziali.

9. La misurazione dei risultati

Ora che hai un sito web e dei profili sociali, oltre al know-how per guidare il traffico verso il tuo sito, coinvolgere i follwer con i contenuti e generare lead, sei in una posizione ideale per far crescere il tuo business online.

Ma come fai a valutare se sta andando tutto bene? Misurando i risultati ovviamente.

Come dicevamo, nel digital misurare i risultati è molto più semplice e ti permette di capire se hai bisogno di modificare il tuo sito, la strategia social, implementare la strategia di content marketing o la SEO.

Per sapere come sta andando poniti queste domande:

  • Quali tipi di contenuti ottengono la risposta più positiva?
  • Quando i tassi di coinvolgimento sono i più alti?
  • È il momento di provare l’adv a pagamento?
  • Quali sono i social network che sembrano funzionare meglio per la tua azienda?

In questa fase i tuoi alleati migliori saranno Google Analytics, gli insight delle piattaforme social e Google Search Console.

10. L’implementazione e la manutenzione

Un sito web non dovrebbe essere creato e poi abbandonato a se stesso. Per avere un sito web di successo e far crescere il tuo business online, dovresti sempre manutenerlo e implementarlo.

Per farlo:

  • controlla i dati della Search Console almeno una volta al mese;
  • utilizza i dati sul traffico per saperne di più sul tuo pubblico e sui contenuti più ricercati e apprezzati;
  • utilizza i dati sulle prestazioni per ottimizzare e correggere gli avvisi e gli errori;
  • assicurati che tutti i software siano sempre aggiornati;
  • esegui scansioni di sicurezza in modo da sapere se il sito è pulito da malware e non è stato violato;
  • utilizza gli A/B test per vedere se le prestazioni di un prodotto o di una pagina cambiano con piccole variazioni sulla pagina (copy diversi, tasti di colori differenti…);
  • continua a monitorare anche la concorrenza;
  • fai costanti backup del sito in modo da avere sempre una versione aggiornata conservata;
  • permetti agli utenti di fornirti feedback sul sito e sui prodotti.

10 cose che dovresti sapere prima di lanciare un business online (e come impararle)

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esperienze e contenuti

Le esperienze sono fatte di persone e il “fattore Umano” è il vero collante dei contenuti

  • Si è andati talmente oltre con l’escursione dell’esperienza interattiva, da immedesimarsi nella stessa, tralasciando spesso il contesto, le persone, l’aspettativa.
  • Il binge-watching è il fenomeno secondo cui un individuo prende visione di più episodi di programmi o serie tv per un periodo di tempo superiore al consueto, senza sosta. Una sorta di maratona che può durare anche 24 ore.
  • Un momento come quello che si sta vivendo regalerà un punto di vista nuovo: è molto probabile che lo stare insieme avrà un significato completamente diverso fra qualche tempo.

 

Da quando il Covid-19 è piombato nelle vite di tutti i cittadini del mondo, si è modificata la quotidianità di ognuno, in misura differente a seconda del campo di applicazione. È cambiata la percezione del “fattore umano”, dello stare insieme.

Vedere una partita di calcio con i propri amici, riunirsi per una serie tv o bere un drink al bar di fiducia: azioni comuni, ma con la caratteristica di essere uniche e senza possibilità di “stop & play”, ora hanno un significato e un peso specifico rinnovati rispetto a qualche mese fa.

Il “live” di tutti i giorni

Forse proprio queste situazioni, non speciali e alla portata di tutti, hanno fatto sentire di più la propria mancanza nel periodo di isolamento domestico conseguente all’emergenza da Covid-19 e ai due periodi immediatamente successivi.

Probabilmente ci si è resi conto della bellezza insita nella semplicità del messaggio via WhatsApp che recita “ore 21,00 a casa mia, porta qualcosa da bere” da parte di un amico.

Bene signore e signori, questa “cosa” descritta in pochissime parole non ha un nome, ma è una proprietà che conferisce in egual modo autorevolezza e passione, anche ad una situazione comune o di tutti i giorni. Va comunque sottolineato che tale proprietà che dona “ritualità” agli eventi sia quasi sparita molto prima dell’arrivo del Covid-19.

Questa tesi occorre per definire gli ultimi tempi come quelli in cui si è andati talmente oltre con l’escursione dell’esperienza interattiva, da immedesimarsi nella stessa (nel tempo e nello spazio), tralasciando spesso il contesto, le persone, l’aspettativa: elementi molto importanti in un passato non troppo remoto.

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Il fenomeno del Binge-watching

Due domande: in quanti hanno visto negli ultimi 2/3 anni un’intera serie tv in compagnia di uno stesso gruppo, nello stesso giorno della settimana e allo stesso orario? E in quanti, invece, hanno “binge-watchato” negli ultimi mesi (tralasciando quelli in cui si è passato molto tempo fra le mura domestiche)?

Per chi non fosse ancora a conoscenza di questo inglesismo, il binge-watch è il fenomeno secondo cui un individuo prende visione di più episodi di programmi o serie tv per un periodo di tempo superiore al consueto, senza sosta. Una sorta di maratona che può durare anche 24 ore.

Ritornando alle domande. La prima sembrerà una pratica fuori tempo, soprattutto per chi si è affacciato non da molto al mondo delle serie tv. In tanti invece avranno risposto “io” alla seconda.

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Il poter vedere un contenuto, quando e dove si vuole, è indiscutibilmente un’importantissima evoluzione dell’esperienza interattiva. Allo stesso tempo, il poterlo vedere, quando e dove si vuole e senza limiti di orario, potrebbe non conferire il giusto valore a quel determinato contenuto. D’altra parte l’attesa aumenta il desiderio. 

Le esperienze sono fatte di persone, contenuti e confronti

Le esperienze sono fatte di persone, contenuti e confronti: l’entusiasmo di viverle è un collante che può tenere insieme tutti questi elementi.
Un momento come quello che si sta vivendo in Italia, come nel resto del mondo, regalerà un punto di vista nuovo: è probabile che, quando tutto tornerà alla normalità, si proverà a recuperare tutto ciò che non è stato possibile fare in compagnia delle proprie persone preferite.

Quando questo avverrà, forse si restituirà un rito anche alle situazioni più comuni. Concedere tempo e rispetto alle conversazioni con la persona che si ha di fronte, magari non interrompendo l’atmosfera con uno sguardo al display dello smartphone.

Non subito: ma ci sarà tempo per delle nuove e stupende avventure “live”.

Timing and Pressure: le tempistiche di invio di Newsletter e DEM e l’impatto sul destinatario

In che mese dell’anno, in che giorno della settimana e a che ora l’invio di una email ha maggior impatto sul destinatario? Quali strumenti sono più efficaci tra newsletter e DEM? Quanto incide la tipologia del destinatario e il settore in cui opera sul tasso di apertura?

Tutte domande importanti per compiere azioni di Email Marketing efficaci e raggiungere il proprio target con il giusto timing. Molte risposte le fornisce il primo numero di MailUp Data, Timing and Pressure, che si pone come focus la ricezione e l’apertura delle email da parte dei destinatari.

L’obiettivo dell’indagine è un’analisi quantitativa e qualitativa sulle tempistiche con cui clienti e prospect ricevono e aprono i messaggi delle aziende nell’arco della giornata, della settimana e dell’anno, registrando inoltre lo scarto temporale tra il momento della ricezione e il momento dell’apertura.

Oltre al timing, lo studio si è concentrato sulla cosiddetta pressure – ossia il numero di messaggi che un utente riceve in un determinato periodo – e in che misura questa condiziona tassi di apertura e di disiscrizione. 

Vengono così messi in luce percentuali, numeri e andamenti in grado di offrire una visione globale, da una parte, sulle abitudini nelle tempistiche di invio delle aziende e, dall’altra, sulle abitudini dei destinatari nella fruizione delle email in relazione alle frequenze di invio stabilite dalle aziende. 

L’analisi dei flussi è stata possibile grazie alle indicazioni fornite dai clienti MailUp che, per ogni ambiente di lavoro, hanno selezionato la tipologia di messaggio (DEM, newsletter) e la tipologia di destinatario (B2B, B2C, misto B2B+B2C) su un campione di 20 milioni di destinatari.

Stagionalità: gli invii durante i mesi dell’anno

In generale

Prendendo in considerazione il quadro generale, non differenziato per audience e tipologia di invio, la prima evidenza riguarda i ridotti volumi di email nei primi mesi dell’anno.

L’attività di invio delle aziende risulta invece nettamente più consistente negli ultimi mesi dell’anno: ogni mese compreso tra settembre e dicembre (inclusi) catalizza oltre il 9% del totale di invii, con la leadership del mese di ottobre (10,79%).

A sé il caso di agosto che – segnando un picco in basso tra luglio e settembre con un risicato 6,3% – si mantiene tuttavia su volumi pari o superiori a febbraio e gennaio.

Il tasso di apertura procede invece in maniera inversa a quella degli invii: le aperture presentano un calo negli ultimi mesi dell’anno, in coincidenza dell’aumento dei volumi di invio rilevato precedentemente. Le aperture sono invece maggiori dove i volumi sono più contenuti: a gennaio – dove registravamo il minor numero di email inviate tra tutti i 12 mesi – troviamo il maggior tasso di apertura (31,8%).

Fa eccezione agosto, dove a volumi di invio ridotti corrisponde un tasso di aperture nettamente inferiore alla media (23,7%); il mese estivo per eccellenza si caratterizza dunque per un’inerzia diffusa, per bassi livelli di attività, sia da parte delle aziende sia da parte dei destinatari.

In base alle differenti audience

Prendendo in considerazione le differenti audience (B2B, B2C, Misto), notiamo che i volumi sono distribuiti in maniera simile. L’unica differenza marcata riguarda il mese di agosto, dove si nota una differenziazione interna pronunciata tra le diverse audience: 4,6% di volumi nel B2B, 5,8% nel misto e 7,1% nel B2C.

Risulta dunque evidente come ad agosto, nel caso di invii destinati ai consumatori, i volumi non presentano il tracollo rilevabile invece nelle altre audience. A pesare molto sulle aperture dei primi mesi dell’anno sono i risultati del B2C, che anche nei restanti mesi dell’anno fa registrare performance delle aperture nettamente sotto la media: si va dal 28,5% di gennaio fino al 23,7% di settembre, intervallato dal 20,4% del mese di agosto.

Per quanto riguarda l’andamento di mese in mese, le tre diverse audience presentano un comportamento simile: le performance migliori comprese tra gennaio e febbraio, le peggiori ad agosto; i mesi che precedono agosto mostrano risultati migliori rispetto al periodo settembre-dicembre.

Giorno della settimana e orario

In generale

Lo studio ha analizzato anche volumi e aperture delle email nei sette giorni della settimana e nelle 24 ore giornaliere. Considerando gli invii complessivi, senza distinzioni di audience e tipologia, emerge che l’attività sia più intensa nelle ore della mattina, per poi calare fino all’ora di pranzo e rimanere stabile fino alle 19.

Guardando le variazioni nell’arco della settimana, si nota che gli invii si concentrano per lo più nei giorni feriali, mostrando un calo molto marcato nel weekend.

Da notare come il venerdì si discosti da tutti gli altri giorni per un secondo picco di volumi in corrispondenza delle 17. Il comportamento delle aperture in relazione all’ora giornaliera di invio mostra una notevole differenza tra giorni feriali e weekend: nonostante una certa analogia delle due curve nelle ore della notte e nelle prime ore della mattina, notiamo che dalle 9 (35% di aperture per i giorni feriali, 25,7% per il weekend) le due curve iniziano a divergere nettamente.

In base alle differenti audience

Nel B2B, coerentemente con il pubblico di riferimento, si rilevano volumi notevolmente maggiori in corrispondenza della settimana lavorativa, da lunedì a venerdì, a discapito del fine settimana. Il canale con i maggiori volumi di invio nel weekend è il B2C (50% il sabato e 55% la domenica), mentre il misto domina i giorni della settimana, catalizzando circa il 50% dei messaggi inviati.

Comuni a tutte e tre le audience sono le ottime performance nelle ore della mattina, seguite da una discesa nel pomeriggio che si mostra particolarmente accentuata nel B2C.

Il B2B, dal lunedì al venerdì, presenta tempi di apertura molto contenuti mentre le altre audience presentano tempi di apertura più dilatati. Il venerdì il canale B2B amplia in maniera vistosa i tempi di apertura attorno alle 17, mentre nel weekend ottiene tempi di apertura molto ampi. A performare meglio nel weekend è il B2C, che presenta tempi leggermente più bassi delle altre due audience. 

Come performano Newsletter, DEM, misto

Nella distribuzione per tipologia, notiamo che globalmente le preferenze di invio delle aziende ricadono sui giorni feriali, anche se in misura minore per il comparto DEM, che tuttavia si mantiene su buoni livelli anche nel weekend.

L’invio di Newsletter è più intenso la mattina per poi decrescere e risalire nel tardo pomeriggio; le DEM presentano un solo picco, nelle ore del mattino all’interno della settimana lavorativa mentre nel weekend i loro volumi decrescono più velocemente. Il misto presenta un andamento piuttosto simile a quello delle DEM.

Newsletter e DEM presentano tempi di apertura abbastanza simili, senza particolari differenze tra i giorni della settimana. Il weekend presenta tempi globalmente più lunghi.

La pressione a cui sono sottoposti i destinatari

Ma come rispondono i destinatari alla pressione delle newsletter, ovvero al numero di messaggi che un destinatario riceve in un determinato periodo? Ripartendo gli invii per tipologia di email non notiamo differenze evidenti in termini di pressure: in media si nota una distanza tra un invio e l’altro di 9 giorni per le Newsletter e di 10 giorni per le DEM. 

Se si considera invece la tipologia di audience, si rilevano alcune differenze sensibili: nel B2C si ha una pressione minore mentre è più elevata – ed equiparabile – la pressione tra misto e B2B

La relazione tra pressione e tasso di apertura

Considerando unicamente i destinatari che hanno aperto le email, un incremento della pressure impatta positivamente sul tasso di aperture totali, se invece consideriamo tutti i destinatari – anche coloro che non hanno aperto le email – scopriamo che una maggiore pressione impatta negativamente sul tasso di apertura.

Se ne deduce quindi che una maggiore pressione esercitata sul destinatario da parte dell’azienda produce un maggior numero di interazioni complessive con l’email e, al tempo stesso, un decremento del numero di lettori della singola email.

La relazione tra pressione e disiscrizioni

Molto interessante è la valutazione del grado di incidenza della pressure sul tasso di disiscrizioni volontarie. I dati rivelano che i destinatari su cui si esercita una maggiore pressione (settimanale) sono più propensi a disiscriversi.

Una dinamica che però non deve allarmare, dal momento che un certo tasso di disiscrizione è fisiologico in ogni database aziendale; al contrario una pressure debole – mensile o oltre il mese – mette sì al riparo da un consistente tasso di disiscrizione, ma avvicina il rischio di un mancato coinvolgimento dell’audience nella comunicazione.

Educazione futura

Educazione e formazione: è il momento di costruire il futuro

 

  • L’anno in corso potrebbe segnare l’inizio di una rivoluzione per il mondo della formazione 
  • Verso un modello ibrido di educazione: non per forza a distanza ma sicuramente connesso
  • Potrebbe nascere una nuova economia dell’educazione, flessibile e dinamica

a cura di Thomas Ducato

“Per costruire la scuola del futuro non bastano nuovi strumenti, serve una visione”. Titolava così un articolo a firma di Impactscool pubblicato qui, sulle pagine online di Ninja Marketing, in tempi non sospetti, nel novembre del 2019,  prima dell’emergenza Covid-19 e di lunghi mesi di lockdown, distanziamento sociale e DAD, acronimo di didattica a distanza.

Una rivoluzione, quella della scuola digitale, che sembrava lenta e lontana dal concretizzarsi e che invece, nel giro di qualche settimana, si è trasformata in una realtà inevitabile per milioni di studenti e per tutti i loro insegnanti.
Dalle lavagne alle video lezioni, dai libri ai materiali in pdf, dai compiti in classe alle interrogazioni attraverso uno schermo: i docenti di ogni ordine e grado si sono trovati, per via della pressante necessità, a dover trasformare la propria attività non sempre con una conoscenza integrata e completa sulla didattica digitale, così come senza sufficienti competenze per usare e scegliere strumenti efficaci e affidabili.
Un esperimento la cui riuscita è difficile da giudicare, troppo soggetta alle molteplici differenze che un sistema così complesso e articolato come quello scolastico ed educativo può presentare.

Ma cosa resterà di questo enorme esperimento a settembre quando, così sembra, la scuola tornerà ad essere anche un luogo in cui recarsi e non “solo” un’attività fatta di relazioni e connessioni vissute fisicamente distanti?

Se sapremo cogliere le opportunità e imparare dalla nostra esperienza degli ultimi mesi, l’anno scolastico 2019-2020 potrebbe segnare l’inizio di una rivoluzione per tutto il mondo della formazione, non solo quella dei giovani. Da un lato non dobbiamo perdere l’occasione, dall’altro però è importante che nessuno resti indietro.

 

Rivedere l’insegnamento: verso un modello ibrido

L’incontro tra tecnologia ed educazione viene spesso definito con il termine Education Technology, o EdTech.

Questo approccio non prevede solo l’insegnamento di materie tecnologiche ma anche l’introduzione di strumenti che favoriscano l’apprendimento. Non necessariamente una didattica a distanza, dunque, ma la possibilità di sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia per migliorare l’insegnamento e offrire un servizio migliore agli studenti.

L’esperienza degli ultimi mesi, in questo frangente, potrebbe essere preziosa, perché ha costretto migliaia di docenti ad esplorare un nuovo modo di fare scuola anche attraverso questi sistemi digitali, che offrono nuove opportunità di collaborazione, co-creazione e progettazione.
Un tema, questo, molto caro anche a Cristina Pozzi, Ceo e Co-founder di Impactscool. “La scuola del futuro – ha dichiarato in una recente intervista – è liberamente partecipativa, aperta e situata a livello locale nel proprio contesto, ma anche in quello planetario. In un termine che va di moda possiamo dire che è “glocal”, una globalizzazione più matura, consapevole delle particolarità degli elementi che la costituiscono e in grado di creare rapporti virtuosi tra di esse”.

Una scuola che, indipendentemente dal fatto che sia a distanza o in presenza, dovrà adattarsi al suo contesto di riferimento ed essere (inter)connessa. “Qualunque sia la distanza fisica staremo insieme – spiega Pozzi – Gli strumenti digitali amplificano e massimizzano la capacità di collaborare. Credo nel mix tra le due cose: off line e on line. Possiamo usare gli strumenti digitali anche seduti uno a fianco all’altro e ottenerne grandi vantaggi se li utilizziamo al meglio.  L’allenamento fatto con la didattica a distanza potrebbe spingerci a velocizzare l’introduzione di giochi e metodi collaborativi che migliorano l’apprendimento (anche in presenza), nonché l’attenzione dei ragazzi, la motivazione e l’interesse”.

 

Imparare è un gioco da ragazzi (e non solo)

Il cuore della rivoluzione risiede proprio nelle metodologie didattiche, che devono adattarsi alle nuove esigenze di un pubblico, quello degli studenti, sempre più condizionato da una grande varietà di stimoli. Il mondo dell’intrattenimento, dai giochi al cinema e serie TV, rappresenta un settore importante da esplorare e sfruttare per avvicinare le nuove generazioni a cultura e apprendimento.

Ne abbiamo parlato con Massimiliano Tarantino, direttore della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e responsabile della comunicazione istituzionale del gruppo Feltrinelli.
“La cultura – ci ha detto – deve reinventarsi per continuare ad aggiornare la sua utilità”. Non tutti, però, sono dello stesso avviso. “Nel mondo culturale – ha proseguito – c’è chi tende a derubricare il mondo delle serie TV, dei canali a pagamento, del mondo dei videogiochi o del gaming in generale come veicolo di cultura e di contenuto. Io credo siano strumenti straordinari e grandi opportunità di lavoro per tutti i soggetti coinvolti. Farsi una cultura, ottenere una laurea, avere un percorso serio, organico e solido nei campi delle science o delle humanities e poi trasformali in prodotti dell’entertainment, traducendo e trasformando i linguaggi con i quali entriamo in contatto con i pubblici, è il vero futuro dell’editoria. Significa conoscere e scegliere contenuto e avere il know how per padroneggiare le tecniche che ci consentano di trasformare questo contenuto in un prodotto in grado di garantire ingaggio di pubblico”.

Strumenti e metodi, questi, che possono essere particolarmente efficaci anche nei contesti aziendali o, in generale, per un pubblico adulto e che ben si sposano con la necessità di formazione continua che si sta delineando nel mondo del lavoro.

 

Reskilling e formazione continua: come impareranno i “grandi”?

Secondo le stime dell’OCSE, più di 1 miliardo di posti di lavoro, quasi un terzo del totale globale, saranno trasformati dalla tecnologia nel prossimo decennio. Il World Economic Forum stima che entro il 2022 saranno creati 133 milioni di nuovi posti di lavoro nelle principali economie per soddisfare le esigenze della quarta rivoluzione industriale. Due dati che esprimono in modo chiaro la necessità da parte dei lavoratori di aggiornare le proprie conoscenze e competenze, in quello che in inglese viene definito Reskilling e che si concretizza attraverso una formazione continua da parte dell’individuo nel corso della sua vita.

Come far convivere, però, questa formazione con il lavoro e la vita personale?

La strada da percorrere è quella di un’educazione sempre più flessibile e su misura, in grado di adattarsi alle esigenze di apprendimento e di tempo dei singoli individui.

 

Verso una gig economy della formazione?

Abbiamo conosciuto il termine gig economy con i fattorini della consegna a domicilio o gli autisti di servizi come Uber. Si tratta di una delle nuove forme di lavoro, gestito da piattaforme digitali attraverso l’attività di freelance. Un modello che si è imposto per attività ripetibili, standardizzate, facilmente controllabili e misurabili, mentre fatica a farsi largo, nonostante i costi molto più bassi, in altri ambienti e contesti come il mondo della conoscenza. Ma oggi qualcosa potrebbe cambiare, non grazie a una nuova tecnologia ma per il cambio di paradigma imposto dalla pandemia. Un modello, quella della gig economy del sapere, che sembra difficile possa applicarsi in modo trasversale al mondo accademico o della formazione tradizionale, ma la cui flessibilità ben si sposa con le necessità di formazione extracurricolare degli studenti (come per le ripetizioni), lo studio delle lingue, l’aggiornamento professionale o di competenze dei dipendenti.

 

Educazione e formazione del futuro devono iniziare da oggi

Siamo di fronte a un passaggio epocale: ci sarà un “prima” e un “dopo” Covid-19 ed è il momento perfetto per iniziare a costruire il futuro. Questi mesi ci lasciano un’eredità, che è importante custodire e utilizzare per porre solide basi alla realtà che vogliamo creare. Il mondo dell’educazione non fa eccezione in questo senso.

Dobbiamo capire cosa ha funzionato della didattica a distanza, ma soprattutto gli errori commessi e da non ripetere: le scelte che prendiamo da oggi devono essere funzionali alla costruzione del sistema educativo che verrà. “La scuola del futuro non sarà già attiva a settembre, ma con una visione chiara nel lungo termine, ogni azione e cambiamento che faremo sarà un passo verso la sua realizzazione”, ha concluso Cristina Pozzi.

Alcune sfide, come abbiamo visto, sono sul fronte didattico e metodologico, altre, invece, sul piano tecnico e di infrastruttura: l’obiettivo imprescindibile è quello di garantire l’accesso alla formazione, da un lato supportando le famiglie per la dotazione di pc e tablet, dall’altra costruendo un’infrastruttura di banda ultralarga che porti la rete veloce su tutto il territorio nazionale, offrendo così a tutti gli studenti quella connettività base che rischia altrimenti di diventare discriminatoria.

La formazione del futuro inizia oggi.

promozione organica

Promozione organica e annunci: una nuova frontiera budget-free

  • Il rapporto fornitore-compratore può avere radici più salde utilizzando strategie e annunci meno aggressivi.
  • Il remarketing anche se non è spam, in alcuni casi, ottiene l’effetto opposto a quello desiderato.

 

Ci ritroviamo a chiedercelo sempre più spesso: è davvero finito il tempo degli annunci? Anche le ads sponsorizzate possono apparire superate, e forse stanno perdendo colpi. Perché? Il motivo è semplice: spesso, i famosi “post/annunci sponsorizzati” risultano più utili nella fase iniziale delle varie offerte, prodotti o progetti. Così il collante tra il pre-lancio e il post-lancio potrebbe non essere più costituito dalle ads, anche se profumatamente pagate. O più semplicemente gli annunci vengono a volte costruiti in modo troppo artefatto rispetto a quanto faremmo nell’organico.

Infatti, in alcuni casi la retention di un cliente può essere più preziosa della sua acquisizione o del continuo remarketing su cold e warm leads.

Non possiamo formulare ipotesi certe, tuttavia, per approfondire i dati dell’andamento complessivo del mercato pubblicitario, è possibile approfondire consultando anche il report Nielsen.

promozione organica

Anche le ads possono fallire

Non sempre le ads (e relative strategie correttive) portano dove vuole l’inserzionista. La prova sta nel fatto che oggi, spesso, quando il cliente commissiona una sponsorizzata, pur affidandosi a un professionista di fiducia, tenderà quasi sempre a chiedersi: “Piacerà davvero? Funzionerà, o avrò solo bruciato i miei soldi?”.

Spesso si ragiona sulla necessità di attivare o meno ads per determinate categorie merceologiche. Potremmo anche arrischiarci in una considerazione che, nei prossimi anni, potrebbe non apparire così irrealistica. Infatti la promozione di offerte, iniziative e servizi diffusa in modo “naturale”, ad esempio attraverso i canali di comunicazione più semplici stories, stati di WhatsApp, social post  può rendere il marketing meno invasivo e forse anche più piacevole, quasi come un passaparola.

La relazione tra due persone che si conoscono e comunicano costantemente ha radici più salde di un semplice rapporto fornitore-compratore. Ad esempio, se oggi scegliamo un servizio in cloud e acquistiamo uno spazio, ma poi questo servizio si rivela inefficace, il contratto con il fornitore viene rapidamente sostituito con quello di un altro che, magari, propone lo stesso servizio con un quid che risponde di più alle nostre esigenze.

E questo potrebbe portare risultati a lungo termine molto più saldi, a patto ovviamente di non spammare e di non esagerare con la necessità di comunicare troppo, con tante informazioni diverse o martellanti, neppure quando si avverte la forte tentazione di farlo. Un po’ come quando si riceve l’invito a un appuntamento: “Allora, ci sei? Verrai? Quanti siete?“. Se sostituiamo il concetto di “appuntamento” con “prodotto da vendere”, il risultato non cambia.

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promozione organica

Promozione? Sì, anche senza ads

La promozione libera da sponsorizzate diventa, per così dire, una “promozione organica“.

Facciamo un altro esempio: se sponsorizziamo un contenuto con remarketing annesso, chi ha l’occhio allenato anche un semplice cliente che acquista spesso determinati prodotti potrebbe osservarlo da un punto di vista negativo, a prescindere dall’interesse suscitato: “Ah, è solo una sponsorizzata“. Questo vale, ad esempio, per i consulenti che vendono corsi di vario genere che sembrano tutti poco riconoscibili e tutti uguali, e guarda caso sono usciti sul mercato da poco.

Invece, se diffondiamo una promozione con post e stories semplici, o la condividiamo attraverso strumenti comunemente utilizzati, purché con frequenza non troppo elevata, sarà meno aggressiva per chi già conosce la persona che diffonde le informazioni su un prodotto o servizio, e quasi simpatica a chi vuole approfondire – senza troppe pretese – quel contenuto che richiama la sua attenzione.

Promozione organica

Supporto spontaneo

Un altro risvolto interessante è che i contenuti diffusi da una fonte già nota possono essere citati, taggati, ricondivisi da chi li ha davvero apprezzati. E senza folli esborsi di budget. Se il contenuto vale, la “customer advocacy” viene sostituita da una fioritura spontanea di relazioni da coltivare. Un po’ come avveniva nelle antiche botteghe delle nostre città, dove i mercanti e gli artigiani stabilivano un rapporto diretto con gli acquirenti.

La perfezione stanca, eppure la promozione free-budget prospera anche in tempi bui. E appare meno artefatta, forse più interessante a chi viene “bombardato” ogni giorno dai competitor di una stessa nicchia di mercato che si contendono la sua attenzione stalkerando, di fatto, i suoi interessi.

Potrà esistere un nuovo metodo di “promozione organica”? E se sì, con quali limiti, condizioni e vantaggi? Per il momento non possiamo saperlo con certezza, anche se è innegabile come, finora, e forse anche in ragione della pandemia, le ads abbiano rivestito una considerevole importanza per le imprese.

Spotify e la crescita dei Podcast

Con 12,1 milioni di ascoltatori, il podcast è il nuovo strumento preferito dai brand

  • Gli ascoltatori di podcast sono cresciuti del 16% e di quasi 2 milioni  rispetto al 2018.
  • In particolare, quando parliamo di branded podcast, l’81% degli ascoltatori  al termine dell’audio compie un’azione verso il brand.

 

Il mercato dei podcast rappresenta anche in Italia un settore in forte crescita: nel 2019 gli ascoltatori di podcast sono stati 12,1 milioni con un incremento del 16% e di quasi 2 milioni di persone rispetto al 2018 (10,3 milioni). Una spinta alla fruizione di questo nuovo mezzo di comunicazione è data anche dalla diffusione degli smart speaker che rendono l’ambiente domestico il luogo privilegiato in cui ascoltare podcast (71%).

Proprio per questo motivo gli investimenti e l’interesse da parte delle aziende su questo medium è in forte crescita in Italia e il 2019 ha visto la nascita di startup innovative come VOIS (Ex Fortune Podcast) dedicate alla creazione di contenuti podcast esclusivamente per brand.

A raccontare questo nuovo universo è proprio Francesco Tassi, CEO di VOIS.

branded podcast francesco tassi vois

L’ascolto che attiva

Un po’ come la radio, è diventata consuetudine ascoltare i podcast mentre si svolgono altre attività, dallo sport alla guida fino alle faccende domestiche: una predisposizione al multitasking che ben si sposa con una delle caratteristiche peculiari della società contemporanea.

Ma se l’essere multitasking potrebbe presupporre un ascolto distratto o, ancora peggio, passivo, i dati, in realtà provano il contrario. È dimostrato infatti che l’81% degli ascoltatori di podcast al termine dell’audio compie un’azione verso il brand, che può essere cercare un prodotto online, connettersi con il brand sui social media oppure parlare del podcast e, quindi, del brand ad altre persone.

In un report dal titolo “Audio: Activated”, realizzato da BBC Global News e basato su alcune interviste realizzate a 2448 persone in 10 differenti mercati mondiali, emerge il fatto che, dal momento che la maggior parte degli ascoltatori consumano i podcast mentre sono impegnati in altre attività, invece di essere distratti da questa modalità di ascolto tendono ad avere dei punteggi più alti sia per quanto riguarda l’engagement (+18%), l’intensità emotiva (+40%) e la memoria a lungo termine del podcast (+22%).

Molto spesso poi gli ascoltatori, poi condividono ciò che hanno appena ascoltato sui propri social media, tra cui Facebook, Instagram e LinkedIn.

Compiere un’azione, quell’obiettivo tanto cercato nelle strategie di marketing dei brand, sembra finalmente trovare nel podcast il giusto supporto e nei suoi ascoltatori i destinatari privilegiati delle attività di comunicazione e di marketing.

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branded podcast

Ascolto, quindi ricordo con il branded podcast

Gli ascoltatori di branded podcast tendono inoltre a creare delle associazioni subconscie con il brand, in base alle parole che ascoltano nel podcast. In un test effettuato, per esempio, la parola “innovativo” ricorreva ben 12 volte durante l’episodio di un podcast. Questa ricorrenza induceva, conseguentemente, l’ascoltatore ad associare la parola “innovativo” al brand del podcast, trasferendo il messaggio del contenuto audio ai valori del brand stesso.

Quello dei podcast è quindi un pubblico giovane (in media 35 anni), responsabile e consapevole nelle proprie scelte d’acquisto, ma anche “onnivoro” e propenso a consumare differenti tipologie di contenuti digitali, permettendo quindi ai brand di attuare delle strategie su larga scala e su più canali media.

branded podcast

Il 64% degli utenti afferma inoltre di aver ascoltato messaggi pubblicitari durante il podcast e di ricordarseli anche a distanza di tempo. Per quale motivo?

È soprattutto il clima di intimità e autenticità del branded podcast, che non viene percepito come pubblicità invasiva o, ancor peggio, interruttiva da parte degli ascoltatori, quello che più piace e più cattura l’attenzione degli ascoltatori e sui cui le aziende devono lavorare per affermarsi nell’immaginario collettivo delle persone.

Oggi, infatti, le persone hanno la necessità di conoscere i valori del brand attraverso messaggi che abbiano uno stile più narrativo e meno orientato alla vendita diretta.

Per farlo, l’arma più efficace che i brand hanno a disposizione è lo storytelling, attraverso il quale è possibile creare una connessione profonda con l’ascoltatore ed evocare situazioni che fanno parte anche della sua vita: questo è uno strumento potentissimo in grado di innescare un meccanismo emotivo che avvicina tantissimo il brand al suo pubblico.

Farlo poi attraverso l’audio significa innescare quel processo creativo che stimola ancora di più il suo immaginario, rendendolo parte attiva della storia e rafforzando ancora di più il legame.

Il podcast rappresenta dunque un grande nuovo mercato per le aziende e le piattaforme di distribuzione, come Spotify e Apple iTunes, ormai fungono da vetrine verso utenti stimati in milioni di persone nel mondo. Siamo solo agli inizi di questa nuova era, ma gli sviluppi sono molto promettenti.

apple wwdc 2020 privacy

La guerra di Apple sulla privacy dal WWDC 2020

  • Alla WWDC 2020 Apple ha fatto vari annunci interessanti, tra cui spiccano quelli in tema di privacy.
  • I principali combattimenti di questa “guerra” si svolgeranno su estensioni, cookies e app.
  • Insieme ad altri recenti avvenimenti, le scelte di Apple in fatto di privacy sembrano preludere a un possibile cambio di rotta obbligato nel settore.

 

Si sa, Apple ogni anno delizia i suoi appassionati con qualche novità durante il WWDC. Dalle più grandi innovazioni della Mela Morsicata ai più piccoli aggiornamenti dei suoi iconici prodotti e servizi, questo è l’evento durante il quale tutto viene svelato. E anche quest’anno non è stato da meno.

L’evento aveva già iniziato a far parlare di sé per due principali motivi: perché sarebbe stato per la prima volta interamente online e della durata di una settimana; e per il vociferato divorzio da Intel in favore di processori ARM personalizzati.

Ma tra piccoli miglioramenti e lievi novità, c’è un’altra piccola bomba che l’azienda di Cupertino ha sganciato e che è passata un po’ più in sordina.

LEGGI ANCHE: Ecco cosa ha annunciato ieri Apple durante la WWDC

wwdc privacy apple

Apple e la Privacy: una lunga storia d’amore

Sì perché Apple sta iniziando a tirare fuori gli artigli per quanto riguarda un argomento dove praticamente non ha rivali, ovvero la Privacy.

Al contrario della maggior parte delle altre Big del tech, ha fatto del suo cavallo di battaglia la scelta di non fare business con i dati degli utenti.

Aziende come Google ci hanno abituato ad avere tutto “gratis”, ma questa assenza di scambio di denaro si trasforma semplicemente in una diversa modalità per monetizzare, ovvero attraverso i nostri dati, che vengono ceduti sotto forma di informazioni aggregate agli inserzionisti per fare un marketing maggiormente personalizzato.

La scelta di Apple è sempre stata invece quella di vendere solo hardware e software, spesso e volentieri anche a caro prezzo, ma garantendo che, a detta loro, la nostra privacy è tutelata.

Già da tempo Apple ci aveva abituati a questa direzione, ad esempio per il TouchID e il FaceID adotta un chip dedicato per l’autenticazione dell’utente che Apple garantisce essere totalmente protetto.

Addirittura ci dice che a tali informazioni non può accedere neanche il sistema operativo, né tantomeno app esterne; inoltre tali dati non vengono mai caricati sul Cloud.

Apple ha persino reso sicuro l’utilizzo di applicazioni in Cloud come Siri: infatti ogni volta che facciamo una richiesta all’assistente virtuale, la richiesta arriva al server con una chiave identificativa generata casualmente, per fare in modo che le nostre richieste non vengano in nessun modo associate con il nostro dispositivo o con la persona che le ha fatte.

Android viceversa, essendo un sistema operativo molto più aperto e modificabile, può in linea teorica presentare maggiori problemi di sicurezza; dal momento che spesso gli forniamo tutte le nostre informazioni più importanti, come le nostre impronte digitali, ecco che si comprende facilmente perché qualcuno come Apple scateni una vera e propria guerra sul tema della privacy.

WWDC apple 2020

Ma cosa ha annunciato Apple alla WWDC 2020 di così interessante per continuare la sua battaglia?

Ebbene, con l’arrivo del nuovo macOS arriverà anche un aggiornamento di Safari con tante novità legate alla privacy, tra le più importanti quelle sulle estensioni e i cookies.

Gli annunci sulla privacy del nuovo MacOS alla Worldwide Developer Conference 2020

Tante le piccole, grandi novità per tutelare i dati degli utenti Apple, che in maniera nemmeno troppo velata “attacca” direttamente i suoi competitor meno sensibili a questo argomento.

La possibilità di condividere dati relativi alla posizione approssimati invece che precisi; notifiche nella barra di stato se un’applicazione dovesse far uso della fotocamera o del microfono; l’elaborazione dei dati quanto più possibile nel dispositivo, invece che nel Cloud o inviandole a terzi.

Ma tra le novità più sostanziali, e che avranno un maggiore impatto sugli stakeholders allargati di Apple, ci sono soprattutto quelle legate a Safari e all’Apple Store.

Le estensioni nel nuovo Safari

Nei browser attuali, per esempio Chrome, possiamo accedere ad una vastità di estensioni per “ampliare” e personalizzare la nostra esperienza di navigazione, per la maggior parte gratuite.

Ma quale può essere il problema legato a queste “aggiunte“? Che una volta che un’estensione viene installata, può accedere a tutte le pagine su cui navighiamo in maniera indiscriminata, e questo potrebbe essere un rischio soprattutto se scegliamo estensioni non sicure e poi inseriamo dati sensibili da qualche parte.

Apple ha deciso di tagliare la testa al toro dando all’utente la possibilità di decidere a quali pagine una data estensione può accedere e per quanto tempo.

Ora quindi le estensioni sui dispositivi Apple saranno molto più limitate e starà a noi utenti decidere come e quando utilizzarle.

I Cookie di Safari

Altro grande “nemico” di Apple, la Mela aveva già dichiarato guerra ai cookies: quest’anno aveva introdotto il “Safari Intelligent Tracking Prevention”, ovvero un meccanismo che rende molto più difficile ai cookies tenere traccia di cosa visita l’utente.

In questo modo, quando cerchi una lavatrice da comprare, Apple voleva evitare che ti trovassi circondato di pubblicità di lavatrici per i successivi 10 giorni.

Con l’ultimo aggiornamento Apple ha deciso di mettere ancora di più sotto i riflettori i cookie.

Infatti, ha introdotto un nuovo pulsante che ti permette di vedere quali di essi sono stati bloccati in una data pagina.

E visto che Apple sembra bloccare in maniera indiscriminata la maggior parte dei cookies, compresi quelli di Google Analytics, questo potrebbe rivelarsi un problema crescente per tutte quelle aziende che li utilizzano per la pubblicità tracciando il comportamento dell’utente;

ma anche e soprattutto per Google stesso, che vede ridotta la propria “affidabilità” agli occhi degli inserzionisti.

Apple store e privacy

Apple non ci va leggera neanche con le app, e gli sviluppatori staranno sudando freddo in questi giorni che seguono gli annunci da Cupertino. Infatti adesso tutte le App pubblicate sullo Store dovranno avere una Privacy Policy molto chiara e rispettare regole ferree.

Queste informazioni tra l’altro dovranno essere messe ben in evidenza per gli utenti: per farlo, al momento del download verrà mostrata una sorta di “tabella nutrizionale” che contiene un accurato elenco di ciò a cui l’app avrà accesso una volta installata.

app apple privacy wwdc 2020

Ma non solo, Apple imporrà anche agli sviluppatori ad integrare nelle app il “Sign In With Apple, modalità di registrazione che, a differenza degli altri servizi di Login come Google o Facebook, non permette di catturare gli indirizzi e-mail degli utenti o altri dati.

Insomma, chi sviluppa app si dovrà adeguare alle nuove regole di Apple per la privacy degli utenti.

Marco Mignano di Rough Code Studio commenta: La pubblicazione di app sullo store di Apple è sempre più rigida, gli standard sono alti, non solo l’app deve avere certi standard di qualità e performance, ma ora l’attenzione sulla privacy si fa sempre più pressante; per questo noi sviluppatori dovremo fare molta attenzione alle scelte fatte in fase di progettazione, pena la non pubblicazione sullo store di Apple.

LEGGI ANCHE: Privacy: le future possibilità di Facebook che potrebbero spaventarti

Chi vincerà la guerra per la privacy? E a scapito di chi?

Probabilmente questa è una guerra che Apple ha già vinto in partenza, in quanto l’unica ad aver impostato il suo modello di business non sui dati degli utenti ma sulla sola vendita di hardware e software.

Scelta opposta a quella fatta da concorrenti come Google, che danno tutto gratis, dai motori di ricerca alle mappe, dai documenti online fino addirittura al sistema operativo mobile. A patto però di poter utilizzare i dati che per la pubblicità che poi ci propongono.

Una differenza di forma più che di sostanza? Forse.
Anche se oggi sempre più persone si mostrano sensibili al problema della privacy, come ha dimostrato il caso dell’app Immuni: molte persone hanno addirittura finito per annunciare su Facebook (paradossalmente) la scelta di non utilizzarla a causa di dubbi legati all’uso dei dati.

Ma quello della privacy, oltre ai motivi visti sopra legati alla sicurezza, è un tema caldo perché effettivamente garantisce la supremazia e il “monopolio” dei giganti del web, che in pratica mettono una barriera di prezzo all’ingresso enorme per qualunque altro competitor che voglia provare a fare loro concorrenza.

Ma forse c’è qualcosa di più: con sconcertante tempismo, infatti, il 18 giugno il Parlamento Europeo ha votato a grande maggioranza un provvedimento che vieta la pubblicità personalizzata su internet, ovvero la principale merce di scambio per i dati degli utenti online.

Insieme alle scelte di Apple per il futuro, e alla famosa e dibattuta frase pronunciata da Mark Zuckerberg ormai più di un anno fa, “the future is private, sembra che i paradigmi della tecnologia e del marketing siano pronti a ricevere una bella scossa…sarà forse l’anno del cambiamento, anche su questo fronte?

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Cosa accadrà quando Google inizierà a bloccare gli annunci che consumano la batteria

  • Dopo un secondo semestre in calo per gli annunci di ricerca, Chrome si prepara a introdurre nuovi standard sia per il formato desktop sia per quello mobile.
  • L’obiettivo è limitare quelli che richiedono molta energia della batteria o dati di rete da parte degli utenti e migliorare la loro esperienza di navigazione.

 

Come tutte le crisi, anche per Google l’emergenza degli ultimi tre mesi è stato argomento di riflessione.

Dopo un inizio anno di ottimi risultati sul fronte pubblicitario, nel mese di marzo l’azienda ha perso circa il 7% degli inserzionisti del settore viaggi, ristorazione e intrattenimento. In particolare, sul web.

Come chiarisce eMarketer in un articolo dello scorso aprile:

“La ricerca è un canale pubblicitario lower-funnel, tipicamente orientato a guidare le conversioni – anche all’interno dei negozi – e molte di queste conversioni non possono avvenire in questo momento a causa di quarantene, carenze di inventario e problemi correlati. I budget non sono impegnati in anticipo e possono essere messi in pausa o ritirati in qualsiasi momento”.

Ecco spiegato il perché di questo calo.

Un panorama che ha spinto Google a preparare il terreno per un probabile passo in avanti.

Google blocca la pubblicità su Chrome

L’impatto negativo della pandemia sugli investimenti pubblicitari e l’uso crescente di internet ha messo Google – con il suo motore di ricerca e con il suo browser Chrome – in una posizione forte per supportare i suoi affari e le rinnovate necessità degli utenti.

Dalla ricerca allo shopping, passando per l’apprendimento e il lavoro a distanza: milioni di persone durante il lockdown hanno dimostrato un’elevata dipendenza dai suoi servizi.

Un terreno fertile per Google che ha promesso di bloccare quella pubblicità su Chrome che risulta mal programmata e non è ottimizzata per l’uso della rete.

pubblicita google chrome

LEGGI ANCHE: Google Shopping vs Amazon: il sorpasso?

“Abbiamo recentemente scoperto che una certa percentuale di annunci consuma una quota eccessiva di risorse del dispositivo, come la batteria e i dati di rete, senza che l’utente lo sappia”, ha spiegato l’azienda in un blog post dello scorso maggio.

Questi annunci (come quelli che servono a minare criptovalute, sono mal programmati, o non sono ottimizzati per l’uso della rete) possono prosciugare la durata della batteria, saturare le reti già sovraccariche, e costano soldi ha concluso, preannunciando nuove limitazioni per la pubblicità su Google Chrome.

Il browser, sviluppato per essere veloce e reattivo senza esperienze dannose o fastidiose, limiterà le risorse che un annuncio display può utilizzare prima che l’utente interagisca con esso.

pubblicità su Google Chrome

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Banner, video e altri contenuti promozionali che supereranno i 4 MB di dati rete o 15 secondi, su 30-60 di utilizzo totale della CPU, passeranno a una pagina di errore che segnalerà all’utente l’utilizzo eccessivo delle risorse.

Bloccare la pubblicità su Chrome è un modo per migliorare l’esperienza di navigazione degli utenti.

Ma cosa cambierà?

Il lancio in programma per bloccare la pubblicità su Chrome

Al fine di salvaguardare le batterie e i piani dati degli utenti, la decisione di Google in programma per bloccare la pubblicità su Chrome è oramai certezza.

Al momento, gli annunci che superano la soglia dei 4MB sono solo lo 0,3%, ossia il 27% di quelli che utilizzano i dati di rete e il 28% che impiegano tutta la CPU degli annunci.

L’obiettivo di bloccare la pubblicità su Google Chrome è in programma per la fine di agosto, il tempo giusto per permettere agli addetti ai lavori e ai fornitori di strumenti per preparare e incorporare queste soglie nei loro flussi di lavoro.

Nel complesso? Una scelta pensata per aumentare il valore della navigazione senza incidere negativamente sulle entrate pubblicitarie, ma che potrebbe dare ulteriori indicazioni anche in ottica SEO sul ruolo sempre più fondamentale del mobile e della user experience per il colosso del web.

Fondo Nazionale Innovazione, presentato il Piano Industriale 2020-2022

  • Assegnate risorse per 1 miliardo di euro, con quattro fondi già attivi e ulteriori due in avvio per favorire l’innovazione.
  • Deliberati investimenti per oltre 100 milioni di euro nei quattro mesi dall’avvio della SGR che avranno un impatto su circa 160 startup.

 

Il Consiglio Amministrazione di CDP Venture Capital, presieduto da Francesca
Bria, ha approvato il Piano Industriale 2020-2022 “Dall’Italia per innovare l’Italia” presentato dall’amministratore delegato e direttore generale Enrico Resmini.

Nel prossimo triennio, l’obiettivo è di rendere il Venture Capital un asse portante dello sviluppo economico e dell’innovazione del Paese investendo rapidamente e in modo efficace i capitali assegnati e creando i presupposti per una crescita complessiva e sostenibile dell’intero ecosistema.

francesca brina fondo nazionale innovazione

I fondi per l’innovazione

La dotazione dei fondi della SGR è di circa 1 miliardo di euro (di cui circa 800 milioni di euro già sottoscritti), grazie alle risorse allocate pariteticamente dal Governo – in particolare dal Ministero dello Sviluppo Economico – e dal Gruppo CDP (attraverso la sua controllata CDP Equity).

Ad oggi la sottoscrizione è prossima a raggiungere circa 800 milioni di euro, di cui 260 milioni di euro attraverso il Fondo di co-investimento Mise (dotazione target pari a 310 milioni di euro), che co-investirà sistematicamente con i fondi gestiti da CDP Venture Capital.

Quattro i fondi già attivi, con un equilibrato mix di investimenti diretti e indiretti:

  1. Fondo Italia Venture I: operativo dal 2015, investe in start up e PMI innovative in Italia. Opera principalmente nei settori digitale, biotech, medicale e high tech. Ha una dotazione pari a 80 milioni di euro e attualmente gestisce un portafoglio di 20 aziende in fase growth.
  2. Fondo Italia Venture II – Fondo Imprese Sud: il fondo ha l’obiettivo di accelerare la competitività e lo sviluppo di start up e PMI innovative nel Mezzogiorno. Investe in tutte le fasi del ciclo di vita di un’impresa, dal seed al growth/expansion. Dispone di una dotazione di 150 milioni di euro.
  3. Fondo di Fondi VenturItaly: investe in fondi di Venture Capital, inclusi first time team/first time fund, allo scopo di generare nuovi operatori sul mercato e nuovi team all’interno di gestori già attivi sul mercato, nonché supportare i fondi successivi di gestori esistenti. Ha una dotazione di 300 milioni di euro (sottoscritti da CDP Equity e dal fondo di co-investimento MISE).
  4. Fondo Acceleratori: il fondo, diventato operativo a fine maggio 2020, ha lo scopo di aiutare la creazione e/o lo sviluppo di programmi di accelerazione verticali su settori strategici, investendo nelle start up che partecipano ai programmi supportati dal Fondo. Il fondo interverrà, in modo diretto e indiretto, per dare sostegno finanziario e/o manageriale a favore di acceleratori di impresa e di startup innovative ad alto contenuto tecnologico, operanti in settori ad elevato potenziale di crescita. Il Fondo ha una dotazione iniziale di 125 milioni di euro (sottoscritti da CDP Equity e attraverso le risorse del fondo di co-investimento MISE).

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Nei prossimi mesi CDP Venture Capital lancerà, inoltre, due nuovi fondi:

  • il Fondo Corporate Venture Capital, che coinvolgerà direttamente come Limited Partners alcune tra le principali aziende partecipate dal Gruppo CDP e che investirà direttamente in start up focalizzate su alcuni degli ambiti strategici del Paese. Il Fondo avrà una dotazione iniziale di 150 milioni di euro.
  • Il Fondo Tech Transfer, con l’obiettivo di supportare la filiera del trasferimento tecnologico mediante il co-investimento selettivo nelle start up più promettenti e l’investimento in fondi verticali specializzati. Il Fondo avrà una dotazione iniziale di 150 milioni di euro.
  • Nei primi mesi del 2021, è previsto, infine, il lancio del Fondo Late Stage, con una dotazione iniziale di 100 milioni di euro, con lo scopo di sostenere direttamente le start up già in fase “matura” che necessitino di capitali per ulteriore consolidamento ed espansione sui mercati internazionali, contribuendo così allo sviluppo di aziende ad alto contenuto tecnologico, con potenziale prospettico anche per la grande industria.

Complessivamente la SGR ha oggi in valutazione una pipeline di oltre 200 opportunità e conta di deliberare, complessivamente, investimenti per oltre 250 milioni di euro entro la fine del 2020.

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fondo nazionale innovazione

Cosa è stato già fatto per l’innovazione in Italia

Da febbraio 2020 sono state approvate e sono in corso nuove importanti iniziative che portano ad oltre 100 milioni di euro il totale degli investimenti deliberati – che avranno un impatto sulla vita di circa 160 startup – e che includono alcune azioni di sostegno nate dalla situazione di emergenza Covid-19 e dalla conseguente forte difficoltà nell’ecosistema start up:

  • AccelerORA: intende finanziare, entro settembre 2020, prevalentemente start up in fase seed/pre-seed con interventi fino ad un massimo di 300mila euro, tramite il Fondo Acceleratori per un ammontare complessivo fino a circa 9 milioni di euro.
  • Seed al Sud: mira a finanziare, sempre entro settembre 2020, start up basate al Sud Italia in fase seed/pre-seed con interventi fino ad un massimo di 300mila euro tramite il Fondo Italia Venture II, per un ammontare complessivo fino a 6 milioni di euro.
  • ItaliaXStartup: Web Series settimanali per favorire la condivisione di esperienze di start up che stanno affrontando la fase CoVid-19 e per creare opportunità di business/investimento su specifiche filiere.

Da oggi sono inoltre disponibili il sito web e la pagina LinkedIn di CDP Venture Capital che riporteranno le principali attività e iniziative della SGR.

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Il Brasile sospende WhatsApp Pay (e i sogni di gloria di Facebook)

Il Brasile, il secondo mercato per importanza per WhatsApp, ha sospeso il servizio di pagamento mobile dell’applicazione di messaggistica istantanea nel paese una settimana dopo il suo lancio.

In una dichiarazione, la banca centrale brasiliana ha dichiarato di aver preso la decisione di “preservare un ambiente competitivo adeguato” nello spazio dei pagamenti mobili e di garantire “il funzionamento di un sistema di pagamento che sia intercambiabile, veloce, sicuro, trasparente, aperto ed economico”.

Le banche del Paese hanno chiesto a Mastercard e Visa, che sono tra i partner di pagamento di WhatsApp in Brasile, di sospendere il trasferimento di denaro sull’applicazione. Il mancato rispetto dell’ordine comporterebbe per le società di pagamento l’applicazione di multe e sanzioni amministrative.

Nella sua dichiarazione, la banca centrale brasiliana ha suggerito di non aver avuto la possibilità di analizzare il servizio di pagamento di WhatsApp prima del suo lancio.

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La battuta di arresto per WhatsApp Pay

L’annuncio di martedì è l’ultima battuta d’arresto per Facebook, che ha iniziato a testare WhatsApp Pay in India due anni fa e non ha ancora ricevuto l’approvazione normativa per espandere il servizio di pagamento a livello nazionale.

Oltre all’India, che è il più grande mercato per l’app, WhatsApp sta testando Pay anche in Messico.

L’azienda ha lanciato il suo servizio di pagamento mobile in Brasile la scorsa settimana. È stata la prima volta che WhatsApp è stata in grado di condurre un rollout del proprio servizio di pagamento a livello nazionale.

Il servizio consente agli utenti di scambiare denaro tra loro e di pagare anche le aziende, senza commissioni per gli utenti nell’invio o nella ricezione di denaro, mentre per le aziende è prevista una commissione di elaborazione del 3,99% per ricevere i pagamenti.

Non è chiaro se WhatsApp, Mastercard e Visa abbiano già recepito l’avviso della banca centrale brasiliana. Il richiamo però costituisce un precedente che il social non può ignorare nei suoi progetti di espansione del servizio.