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Perché un ambiente di lavoro basato sulla fiducia migliora il processo decisionale

  • La fiducia è una necessità e non una “soft skill” secondaria.
  • Il 55% dei CEO ritiene che la mancanza di fiducia sia una minaccia per la crescita della propria organizzazione.

 

Numerose ricerche hanno evidenziato che un solido e proficuo rapporto di fiducia tra direzione e impiegati è fondamentale per creare un ambiente di lavoro performante. Un luogo di lavoro a bassa fiducia può creare un ambiente altamente stressante e poco attrattivo per i lavoratori. Chi si trova in posizioni alte in gerarchia deve, infatti, prediligere comportamenti volti a favorire l’instaurarsi di un clima di fiducia, virtuoso, che si auto-alimenti e si rafforzi con il tempo.

Il tema della fiducia nei luoghi di lavoro è diventato uno degli argomenti più popolari dall’inizio dell’attuale pandemia Covid-19. Secondo il “Trust Barometer” di Edelman, la più importante indagine globale sul tema della fiducia realizzata dall’agenzia di comunicazione Edelman in 28 paesi su di un campione di 34.000 persone, una persona su tre non si fida del suo datore di lavoro. 

In Italia l’indice generale di fiducia è aumentato di 3 punti percentuali rispetto al 2019, l’Italia è seconda in Europa dopo l’Olanda. Il 61% degli italiani, tuttavia, crede che il capitalismo di oggi sia un fattore negativo su scala globale e l’87% teme di perdere il posto di lavoro. La ricerca, ha inoltre evidenziato che la fiducia diminuisce partendo dalle posizioni aziendali più alte a quelle più basse.

In altre parole, i dipendenti si fidano di più dei loro colleghi che degli amministratori delegati e dei dirigenti superiori in grado. Diventa quindi fondamentale costruire la fiducia nelle posizioni apicali e di leadership all’interno dell’azienda.

fiducia a lavoro

Perché oggi è fondamentale creare fiducia sul posto di lavoro

I dipendenti che lavorano in un luogo di lavoro contraddistinto da bassa fiducia non comunicano tra di loro, mantengono comportamenti sleali e si mostrano poco propositivi in relazione alle attività lavorative quotidiane. In un ambiente così ostile è difficile lavorare e ottenere performance ad elevata redditività.

I dipendenti delle organizzazione con bassa fiducia non esprimono al meglio le loro capacità, non mostrano i loro talenti, non danno sfogo alla loro creatività e sono meno propositivi.

L’azienda perde quindi produttività, innovazione e di conseguenza non riesce ad ottenere i corretti vantaggi competitivi che le consentono di contrastare la concorrenza.

fiducia

La fiducia migliora il lavoro di squadra e la collaborazione

La fiducia nei luoghi di lavoro ha un grande impatto sul modo in cui i dipendenti collaborano e lavorano insieme sugli stessi progetti.

In questo periodo di pandemia la maggior parte dei dipendenti continua a lavorare da casa e, non essendo fisicamente presenti in azienda, non sono sottoposti al controllo diretto/fisico del datore di lavoro, non hanno uno scambio “reale” con il loro gruppo di lavoro. Proprio durante questo periodo di “delocalizzazione” i datori di lavoro hanno iniziato a comprendere quanto sia importante creare un ambiente di lavoro basato sulla fiducia.

Il primo passo verso la creazione di luoghi di lavoro affidabili e collaborativi è quello di promuovere una comunicazione aperta e onesta. Una scarsa comunicazione genera inevitabilmente una scarsa collaborazione.

Nella maggior parte dei casi, la scarsa comunicazione dei dipendenti è il motivo primario che comporta una scarsa collaborazione. Secondo una ricerca di Accenture il 55% dei CEO ritiene che la mancanza di fiducia sia una minaccia per la crescita della propria organizzazione.

La fiducia e la condivisione contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi aziendali

Quando i dipendenti si fidano dei loro datori di lavoro, sono molto più propensi a collaborare per raggiungere gli obiettivi aziendali prefissati.

Non arrivare a questo elevato standard organizzativo, soprattutto quando ci si trova in un contesto di delocalizzazione, comporta una perdita di produttività e crea un ambiente di incertezza. Incertezza che è, in questo momento storico, alimentata ulteriormente dalla pandemia attualmente in corso.

Ecco perché le aziende devono fin da subito comunicare ai dipendenti, in modo chiaro, i valori, la missione, la vision aziendali e anche le decisioni prese in momenti di crisi economica.

fiducia sul luogo di lavoro 2

La fiducia migliora l’efficienza, l’impegno e la produttività

Secondo la sopra citata ricerca, il disengagement costa alle società statunitensi circa 450/550 miliardi di dollari l’anno ed è strettamente correlato con il concetto di fiducia sul posto di lavoro.

In effetti, il 96% dei dipendenti engaged si fida della gestione aziendale, mentre solo il 46% dei disengaged ha fiducia nella gestione da parte della proprietà. La ricerca dimostra, inoltre, che i luoghi di lavoro altamente affidabili godono di :

  • Una maggiore produttività dei dipendenti (superiore del 50%);
  • Più energia e determinazione sul lavoro (106% in più);
  • Meno giorni di malattia (13% in meno).

Le aziende con alti livelli di fiducia superano del 186% le aziende con bassi livelli di fiducia.

La fiducia migliora il processo decisionale

Altro punto a favore della creazione di un ambiente di lavoro basato sulla fiducia è il miglioramento del processo decisionale: se i dipendenti si fidano dei loro superiori e i manager si fidano del team si crea una sinergia forte, una maggiore condivisione e quindi un clima di fiducia.

LEGGI ANCHE: Mai come adesso c’è bisogno di persone in grado di cambiare

leadership fiducia

La fiducia riduce lo stress e il burnout sul posto di lavoro

Sempre secondo la ricerca di Edelman un clima di fiducia riduce notevolmente lo stress (meno 74%) e il burnout (meno 40%). Lo stress e il burnout sono due variabili da limitare nelle organizzazioni, poiché  impattano negativamente sulla motivazione e sulla produttività dei dipendenti. Per farlo, le organizzazioni devono creare un clima di lavoro collaborativo, trasparente, basato sulla comunicazione, ossia sulla fiducia.

È importante, quindi, che i dipendenti si sentano liberi di parlare di questioni lavorative, delle loro preoccupazioni e delle loro esigenze, senza che si sentano limitati in questa libertà.

La fiducia aumenta la lealtà e la fidelizzazione dei dipendenti

Un ambiente di lavoro che lascia spazio al burnout dei dipendenti è spesso seguito da un forte turnover degli stessi. I lavoratori che si trovano in queste situazioni hanno una probabilità 2,5 volte maggiore di lasciare il posto di lavoro.

La ricerca ha inoltre evidenziato che il 67% dei lavoratori statunitensi si sente frequentemente colpito da burnout, ciò comporta un aumento della probabilità (63%) che il lavoratore stesso acceda alla malattia, aumentando di fatto l’assenteismo.

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La fiducia supera la resistenza al cambiamento

Durante la pandemia da Covid-19 molti datori di lavoro hanno dovuto cambiare radicalmente e velocemente il modello organizzativo e la gestione delle risorse umane, accelerando il processo di trasformazione digitale. Si tratta di un cambio culturale interno alle aziende, che passa attraverso un cambio tecnologico. Spesso le persone sono resistenti al cambiamento e attuano comportamenti volti a rallentare il processo, piuttosto che accelerarlo.

Mai come in questo momento storico difficile, la fiducia diventa l’ingrediente in più per agevolare questa evoluzione. Il consenso e la comunicazione interna delle aziende attivano un processo di trasparenza, che consente alle persone di adattarsi con velocità e nel modo migliore al cambiamento. Tuttavia, sempre secondo la ricerca, solo il 38% dei dipendenti, coinvolti nel processo di trasformazione digitale sul posto di lavoro, afferma di essere stato correttamente informato dal suo datore di lavoro.

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La fiducia migliora l’innovazione e la creatività

Quando le persone si sentono libere di comunicare, libere di esprimere il proprio pensiero e, soprattutto, quando si fidano dei propri datori di lavoro, sono anche più innovative. La ricerca in questione evidenzia, infatti, che i dipendenti in ambienti dove si è creato un clima fiduciario forte, aumentano del 23% la loro capacità di produrre nuove idee e creare nuove soluzioni. Un vantaggio competitivo elevato per le aziende.

Promuovere una cultura aziendale basata sulla fiducia incoraggia la collaborazione e contribuisce alla creazione di un ambiente di lavoro creativo.

I dipendenti che non percepiscono la fiducia tendono a non essere proattivi, a non prendere iniziative, a non produrre e condividere nuove idee, creando così un ambiente di lavoro che non innova. Se coltivata con cura, mettendo ogni singolo dipendente nella condizione di poter contare su chi gli sta accanto e su chi coordina il team di lavoro, diventa uno dei più importanti e proficui vantaggi competitivi aziendali.

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Come scrivere un Listicle e creare una lista perfetta secondo tecniche SEO

Quanti tutorial e quanti consigli su come – fare –  cosa. Sono semplici, intuitivi e facili da creare. Sì, ma come si ottimizzano le liste in ottica SEO?  Come si crea un Listicle? E soprattutto come si fa a non annoiare il pubblico con questo tipo di contenuti?

Ogni anno vengono pubblicate migliaia di liste, la maggior parte delle quali non sono esattamente di alta qualità.

Le persone ormai vedono le liste e pensano subito al “clickbait”. In realtà si tratta di un formato molto flessibile e semplice da scrivere. Partendo da una scaletta chiara basterà creare cinque sottotitoli e una foto, un video o una GIF per ogni voce.

D’altra parte, i Listicle possono anche essere usati come un quadro di riferimento per rendere più facile la comprensione di un argomento complicato.

E infine, è possibile creare un Listicle su qualsiasi argomento, magari anche più articoli sullo stesso tema guardato da angolazioni diverse.

listicle seo

I pregi di un Listicle

Le liste (e i listicle) sono ottimi da leggere perché:

  • Il titolo ti dice cosa aspettarti
  • Sono facili da scorrere per ottenere informazioni importanti
  • Si sa sempre quanto resta ancora da leggere
  • Si può sempre interrompere la lettura e ricordarsi facilmente da dove ripartire
  • Possono scomporre argomenti complessi in più pezzi digeribili facilmente

Infine nei Listicle c’è anche un aspetto psicologico da non dimenticare: avere una lista di controllo o una lista di compiti da considerare porta con sè un senso intrinseco di progresso e di realizzazione, che incoraggia a terminare la lettura.

Dal punto di vista della scrittura, poi, i Listicle

  • Sono facili da pianificare e scrivere
  • Le liste sono ottime per individuare parole chiave fondamentali
  • Si possono creare Listicle più lunghi e più brevi per comprendere tutta la long tail di keyword in ottica SEO
  • Gli aggiornamenti di questi articoli sono più facili da fare
  • I testi sono più facili da pianificare e scrivere rispetto agli articoli tradizionali perché non devono preoccuparsi dell’ordine dei loro punti

Per completare i consigli, ecco due indicazioni pratiche e infallibili che riguardano l’ottimizzazione per i motori di ricerca.

LEGGI ANCHE: Come fare SEO su Amazon (e ottimizzare le schede prodotto)

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1. Titoli in H1

Qualsiasi post o articolo sul “come fare” ha sempre un titolo che riassume e semplifica il contenuto del paragrafo successivo. Un po’ come abbiamo fatto qui: saprai perfettamente quello di cui stiamo parlando. I titoli rappresentano una sorta di elenco e questo semplifica molto la lettura.

Quando si è di fronte a un elenco però non sempre è facile ottimizzare alla grande. Ecco perché è importante utilizzare un tag H1 per il titolo del post e tag H2 per ogni passaggio: l’industria SEO discute su quale sia la scelta migliore,  in realtà. Alcuni ne sottolineano l’importanza, altri la negano.

Una cosa è certa: importantissimo è usare sempre un approccio gerarchico. Aiuta sia i lettori che i motori di ricerca a scansionare il contenuto, il che è particolarmente utile specialmente per gli articoli long form.

Così, il contenuto ad elenco pubblicato su Google sarà pertinente e avrà una buona visibilità. Per esempio:

2. Elenco HTML

Per aiutare gli utenti a cercare e favorire la SEO, è importante aiutare il crawler di Google a identificare le aree principali dell’elenco. Per esempio, qualche consiglio a caso:

  • Usa sempre un’intestazione H1 per il titolo del post
  • Utilizza un’intestazione H2 per il titolo dell’elenco
  • Includi parole chiave correlate al titolo del tuo post.
  • Aggiungi alcune righe per descrivere l’elenco sotto il titolo H2
  • Includi le voci dell’elenco utilizzando l’elemento elenco HTML ( UL ).
  • Formatta le singole voci dell’elenco con un tag H3

Ecco lo snippet di Google per una ricerca di corsi di marketing digitale: il post contiene un elenco di corsi di marketing digitale.

In realtà, sul backend il post viene formattato così:

Come si può notare, il titolo dell’elenco è formattato come tag H2 e gli elementi dell’elenco sono racchiusi in <ul> <li> ; i titoli delle singole voci dell’elenco invece sono tag H3. Con questo metodo il crawler riesce a identificare gli elementi dell’elenco sebbene vi siano altri titoli nei tuoi contenuti. Riunendo le voci dell’elenco in un elemento <UL>, semplifica la scansione (e la lettura).

Per riassumere, se il tuo articolo include solo passaggi o elenca elementi, è opportuno optare per il primo suggerimento. Ma, se il post di istruzioni ha altre sezioni, è consigliabile invece utilizzare questa seconda opzione.

just eat arancione

Just Eat cambia icona e diventa arancione

Nuovo look per Just Eat, l’app per ordinare online pranzo e cena a domicilio in Italia, a seguito del merge ufficiale con Takeaway.com, che apre una nuova era nel percorso di crescita e di sviluppo dell’azienda in Italia e nel mondo, dando vita al gruppo Just Eat Takeaway.com, leader globale del mercato dell’online food delivery, nonché primo player assoluto al di fuori della Cina.

Con questa operazione, Just Eat evolve e rinnova l’immagine di brand, per raccontare in modo ancora più chiaro e immediato la filosofia e la missione dell’azienda.

Il nuovo look di Just Eat

Una prima fase ha infatti visto la transizione verso il nuovo logo, in cui è stata inserita l’icona distintiva del gruppo, una casetta contenente forchetta e coltello, sul precedente colore predominante, il rosso. Oggi anche i colori cambiano in favore dell’arancione, cambiamento che comprenderà anche il rinnovo dell’icona dell’app.

just eat

“Si tratta di un colore altamente visibile” spiega Daniele Contini, Country Manager di Just Eat in Italia “ed è associato a ricerche che dimostrano come le persone associno l’arancione all’amicizia e all’allegria, il che lo rende perfetto per il nostro brand perché rappresenta la gioia che vogliamo consegnare ogni giorno. Il cibo è una vera e propria emozione, ancor più in Italia, che le persone possono vivere a seconda delle diverse situazioni e mood che si vivono ogni giorno e che si incrociano con la varietà che mettiamo a disposizione, dai ristoranti preferiti alla possibilità di gustare sapori per ogni momento, occasione e food mood”.

Il refresh del logo e dei colori si pone come un passo importante nell’evoluzione del brand e di tutti i partner coinvolti, questo perché consentirà miglior visibilità, riconoscibilità.

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L’evoluzione del gruppo in Italia

In Italia proseguirà lo sviluppo del mercato con l’obiettivo di rendere il servizio disponibile sempre a più persone, non solo nelle grandi città, ma anche nei centri più piccoli e supportando i ristoranti grazie al digitale, all’uso dei dati e alla personalizzazione di offerte e attività, sempre con l’obiettivo di contribuire al loro successo in termini di clienti e volumi.

Una nuova fase, che prenderà avvio a partire da settembre, prevederà poi anche una futura migrazione e aggiornamento dell’app in un’unica piattaforma globale caratterizzata proprio dalla nuova icona arancione, nuovi asset per ristoranti e rider e una nuova campagna che racconterà la nuova brand identity.

Oggi la company ha superato i 15.500 ristoranti partner sull’app e una presenza sul territorio in oltre 1.200 comuni, raggiungendo circa il 66% della popolazione e oltre 2 milioni di clienti.

Blocco dello scrittore: 30 idee per superare la paura del foglio bianco

  • Che cos’è il blocco dello scrittore? Il terrore di non riuscire a essere all’altezza delle proprie aspettative.
  • Una guida in 30 punti per superare il momento d’incertezza e tornare a scrivere con più entusiasmo di prima.

 

La paura del foglio bianco è quella sensazione di smarrimento provata di fronte alla pagina vuota. Non è soltanto una questione d’ispirazione, ma di aspettative che abbiamo verso noi stessi e le nostre parole. Vogliamo scrivere un’introduzione a effetto, che colpisca subito il lettore, ma non riusciamo a carburare. Non ci vengono in mente nuove idee, ci sentiamo frustrati perché non abbiamo nulla da raccontare. Ogni passo è un brancolare nel vuoto, e non riusciamo a vedere la luce. Come si supera il blocco dello scrittore?

Che cos’è il blocco dello scrittore

Scrivere è sperimentare con le parole, dare forma ai pensieri, concretizzare e rendere reale ciò che si muove dentro di noi. Non è solo estro creativo, ma è soprattutto metodo e disciplina.

La scrittura è un processo mentale stimolante che richiede tempo, allenamento e ha a che fare con l’emotività, l’incertezza e anche la vulnerabilità. Gli scrittori lottano con queste emozioni e spesso ne vengono sopraffatti.

blocco dello scrittore

LEGGI ANCHE: 20 routine quotidiane che aiutano a recuperare la produttività

Blocco dello scrittore: le cause

Può essere colpa della paura di mettersi in gioco, di mostrare le proprie idee e per essere giudicati e criticati. La paura di essere respinto impedisce a chi vorrebbe scrivere di farlo, bloccandolo per sempre.

Può trattarsi di perfezionismo, voler fare del proprio meglio e non accontentarsi mai del risultato perché si vuole avere tutto perfetto già alla prima stesura. Molte persone usano il perfezionismo come meccanismo di protezione, per tutelarsi da aspre critiche o fallimenti.

Spesso il problema è invece l’eccessiva autocritica che abbiamo nei nostri confronti. Siamo i nostri peggiori critici. Molti scrittori confrontano il proprio lavoro con quello di altri di maggior successo o addirittura con il proprio lavoro precedente, provocando una vera e propria paralisi d’idee.

L’importante è capire le emozioni che ci attraversano per andare avanti e riprendere a scrivere di nuovo, che sia sul nostro blog, un articolo o un libro. Come si supera il blocco dello scrittore? Possiamo provare con questi 30 consigli.

Come superare il blocco dello scrittore

1. Scrivere ogni giorno

La scrittura è disciplina, bisogna scrivere tutti i giorni, esercitarsi. Questo è un consiglio suggerito dalla maggior parte degli scrittori che si impongono una routine quotidiana e ferrea di scrittura. Quando la scrittura diventa un lavoro sarà più difficile bloccarsi.

2. Fare esercizio fisico

E a proposito di allenamento, uno dei modi migliori per superare il blocco dello scrittore è dedicarsi all’esercizio fisico. È stato dimostrato che riduce lo stress, aumenta la produttività e migliora la memoria.

Un regolare esercizio fisico può incrementare la creatività e la risoluzione di problemi, aiutando ad affrontare meglio il processo di scrittura.

3. Fissare un obiettivo

Gli obiettivi sono fondamentali per pianificare una strategia. Un concetto valido non solo in ambito lavorativo, ma nella vita in generale. Se vogliamo superare il blocco dello scrittore dobbiamo porci un traguardo da raggiungere a fine giornata. Scrivere di un certo argomento, o un numero preciso di pagine, o scrivere per un’ora, o due. Stephen King, per esempio, scrive ininterrottamente quattro ore ogni mattina, tutti i giorni. Il primo passo per superare un ostacolo e allenarsi, prendere la rincorsa e saltare.

4. Creare un piano editoriale

Se il lavoro da fare è tanto e solo a pensare a tutto quello che dovete scrivere vi paralizzate, agite d’astuzia, create un piano editoriale dei vostri articoli, o dei capitoli da fare. In questo modo avrete davanti il lavoro che vi aspetta e potrete organizzare il tutto in anticipo.

5. Usare formati diversi

Siete soliti creare interviste per i vostri contenuti? Cambiate formato, provate a raccontare attraverso una storia. Vi piace scrivere solo in prima persona? Provate a spostare il narratore in terza persona. Cambiare formato potrebbe segnare una svolta alla lotta tormentata con il blocco dello scrittore. Fate un tentativo.

6. Partire da un solo argomento centrale

Siamo completamente a corto di idee? Cominciamo dal principio, focalizziamoci su una singola parola, un solo argomento, facciamo ricerca e creiamo associazioni di concetti. Tutto ci apparirà più chiaro e i contenuti si scriveranno da soli.

LEGGI ANCHE: Come usare le mappe mentali per avviare nuovi progetti

7. Ricercare le keyword

Partendo da un’analisi delle parole chiave del nostro ambito, riusciremo a capire cosa e come vogliamo scrivere. Una semplice keyword può aprire tutte le porte del nostro mondo narrativo.

8. Creare un documento con argomenti interessanti

Quando siamo bloccati, non c’è niente di meglio che consultare delle liste di argomenti stimolanti. Cerchiamo di creare un documento con contenuti che ci piacciono e di cui vorremmo parlare e aggiorniamolo di volta in volta. Appena il blocco dello scrittore perviene, attingiamo alla nostra fonte creativa.

9. Affidati a Google Alerts

Google Alerts è un servizio gratuito che, attraverso una mail, ci notifica tutto ciò che riguarda gli argomenti da noi prescelti. Se vogliamo ricevere più notizie possibili su un determinato ambito, basta attivare un avviso su una o più parole, e ne riceveremo le notizie più importanti.

10. Cambiare orari

Se siamo soliti scrivere al mattino ma abbiamo un blocco da parecchio tempo? Allora cambiamo orario. Ascoltiamo il nostro corpo, magari ci sentiamo più tranquilli la sera, proviamo a scrivere dopo cena. Di solito scriviamo nel pomeriggio? Magari di prima mattina, mentre tutti dormono, potremmo provare a scrivere quell’articolo che non riusciamo a preparare da giorni. Sperimentiamo.

11. Sconvolgere la propria routine

Seguire una routine quotidiana è molto utile, ci permette di essere organizzati e produttivi. Ma se c’è qualcosa che blocca il flusso delle nostre idee, vuol dire che dobbiamo, in primis, capire cosa ci frena, e provare a cambiare la nostra routine. A volte si ha bisogno di una piccola rivoluzione.

12. Cambiare location

Scriviamo sul nostro blog in cucina ma qualunque cosa sembra infastidirci? Dal fruscio del ventilatore, al colore giallo paglierino delle pareti, la cucina sembra essere diventata un luogo di tortura. Cambiamo location, proviamo a ricavare uno posticino per uno studio, o usciamo e scriviamo all’aperto, o magari in uno spazio coworking.

13. Trovare un posto tranquillo

Se invece quello che ci inquieta è il continuo brusio dei colleghi o i rumori in casa, creiamo il nostro angolo personale, lontano da decibel indiscreti.

14. Svolgere esercizi di free writing

Un modo per liberare la mente e non sentirsi schiacciati dal proprio revisore interiore, è quello di fare esercizi di free writing, ossia scrittura libera. Si comincia a scrivere in modo fluido, senza dar troppo peso alla sintassi e alle regole grammaticali, ma bisogna lasciar vagare il pensiero.

L’idea è di lasciare libera l’immaginazione. Impostare un timer per 5 minuti e scrivere senza sosta, senza sollevare la penna dalla carta o le dita dalla tastiera. In questo modo non verremo oppressi dall’ansia che tutto sia perfetto.

15. Creare elenchi

Un altro esercizio di libera espressione è quello di fare elenchi, non liste inerenti il lavoro, ma di ogni genere. La lista della spesa, un elenco dei libri letti fino ad ora, la wishlist per il proprio compleanno, insomma qualunque cosa. Fare un elenco è un ottimo modo per mantenere il cervello impegnato mentre ci si prende del tempo lontano dall’attività da svolgere.

16. Non lasciarsi abbattere dal critico interiore

Il giudizio più temuto da chi scrive è quello di sé stesso. Come una lama affilata può recidere dalla radice qualsiasi sogno e desiderio, lasciandoci con l’amaro in bocca e il cuore infranto. Non lasciamogli prendere il sopravvento. Cerchiamo di essere critici e obiettivi, ma mai distruttivi.

17. Scrivere con carta e penna

Se siamo abituati a scrivere con i nostri laptop e tablet, è il momento di metterli da parte e rispolverare penna e fogli. Scrivere a mano è un ottimo modo per scaricare lo stress. Fateci caso, quando siamo al telefono e abbiamo un foglietto e una penna davanti, facciamo piccoli disegni e scriviamo qualche frase, o semplici parole. Inoltre rafforza la memoria, stimolando il cervello e il linguaggio.

18. Mindfulness, ovvero meditare

La meditazione è un ottimo modo per scaricare le energie negative e, se fatta ogni giorno, aiuta a riappacificarsi con sé stessi. Ogni mattina, prima di iniziare a scrivere, concediamoci 10 minuti di meditazione, magari all’aria aperta, e affrontiamo il foglio bianco senza paura.

19. Fare una passeggiata

Camminare tutti i giorni, per qualche chilometro, rilascia endorfine, i famosi ormoni della felicità, che stimolano il pensiero positivo. Se il blocco dello scrittore ci attanaglia, la soluzione è una passeggiata per rimettere in circolo le idee.

20. Svolgere attività diverse dalla scrittura

Quando il blocco dello scrittore insiste e persiste, è meglio fermarsi, respirare e fare qualcos’altro di creativo per ossigenare il cervello. Potremmo preparare un dolce, o fare giardinaggio. Non poniamo limiti al nostro pensiero creativo.

21. Disegnare e colorare

Tra le attività creative da svolgere, non possiamo tralasciare l’arte. Disegnare e colorare, stimola la creatività, riduce l’ansia, allevia lo stress e aumenta la concentrazione. Dopo aver dedicato mezz’ora al disegno, saremo più stimolati e pronti a superare qualsiasi ostacolo.

22. Ascoltare musica classica

Un altro metodo molto utilizzato da chi ha un blocco creativo è quello di ascoltare musica classica. Perché? La musica classica migliora l’umore, riduce lo stress e incrementa il pensiero positivo. Non c’è niente di meglio di un brano di Mozart per rinfrescarsi le idee.

23. Leggere ogni giorno

Se vogliamo scrivere dobbiamo prima di tutto leggere, e tanto. La lettura ha un potente effetto rigenerante e creativo su chiunque, basta solo trovare un posticino rilassante, scegliere un libro e immergersi in mondi sconosciuti. Provare per credere.

24. Restare umani

La vita di chi vuole scrivere non può essere relegata in casa, ma bisogna uscire, partecipare agli eventi, andare al cinema, a vedere mostre, cercare stimoli per accendere le idee. Il blocco dello scrittore si abbatte vivendo la propria umanità.

25. Creare libere associazioni di parole

Ci avete mai fatto caso che spesso ci esprimiamo usando le stesse e solite associazioni di parole? Possiamo creare delle combinazioni di parole nuove, andando oltre i soliti schemi e uscire fuori dal pensiero lineare giocando con idee e connessioni diverse a cui non avevamo mai pensato.

Un modo divertente per farlo e usare i LEGO. Ad ogni costruzione affibbiamo una parola che poi assoceremo ad un’altra, senza seguire un rigore logico. Il risultato potrebbe sorprenderci, stimolando la fantasia.

26. Lasciarsi ispirare da persone creative

Se la vostra autostima desidera solamente sotterrarsi, non lasciateglielo fare, ma leggete e fate ricerca sulle persone che sono per voi fonte d’ispirazione. Scoprirete che tutti loro hanno avuto momenti di difficoltà anche più complessi dei vostri, ma alla fine non hanno mollato e, passo dopo passo, sono riusciti ad ottenere ciò che volevano (o quasi). Perseverate.

27. Cambiare punto di vista

Quando siamo troppo concentrati su di noi, i nostri desideri e le nostre paure, perdiamo di vista tutto ciò che si anima intorno a noi. Cambiare punto di vista, guardare le cose da fuori, ci permetterà di cogliere sfumature a cui non avevamo mai fatto caso, stimolando il libero pensiero.

28. Lavare i piatti

Lo sapevate che lavare i piatti riduce lo stress? A sostenerlo è un gruppo di ricercatori dell’Università della Florida, e aggiungono che aiuta anche la meditazione. Se il blocco dello scrittore continua a tormentarvi, fate una pausa, magari troverete la risposta tra una lucidata e l’altra.

29. Fare una doccia rigenerante

Vi siete mai chiesti perché le idee più brillanti arrivano proprio sotto la doccia? Una doccia al mattino aiuta a rilassarsi, a rigenerare e rinnovare i processi cognitivi e ad affrontare meglio la giornata lavorativa e i blocchi creativi.

30. Evitare le full immersion

Ultimo consiglio, non lavorate troppo. Buttarsi a capofitto in un progetto ed essere ossessionati solo da quello non vi farà vedere il quadro completo della situazione e di conseguenza resterete impantanati in un limbo di incertezza infinito. Dividete il lavoro, aiutatevi con mappe mentali, occupatevi dell’introduzione e poi dei restanti capitoli ma senza angosciarvi se si presentano zone grigie. Capita a tutti. Una piccola pausa, un bel respiro e si ricomincia.

talkwalker

Talkwalker acquisisce Nielsen Social per offrire nuove funzionalità alle aziende

Talkwalker, società di social listening e analisi, oggi ha annunciato l’acquisizione di Nielsen Social, fornitore leader di misurazione social e software di approfondimento del pubblico.

La soluzione innovativa di Nielsen Social per la valutazione dei contenuti social permetterà di fornire ulteriori approfondimenti per l’intelligence conversazionale, abilitata dall’intelligenza artificiale della piattaforma di Talkwalker.

Negli ultimi anni Talkwalker ha visto la social analytics evolversi enormemente, sfruttando più fonti di dati per fornire informazioni fruibili in intere aziende. E ora sta guidando questo cambiamento, creando una potente soluzione aziendale per la conversational intelligence.

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Cosa accadrà dopo l’acquisizione

Questa acquisizione fa parte di quel cambiamento, andando a rafforzare la leadership dell’azienda in termini di innovazione attraverso il software all’avanguardia di valutazioni dello stato dell’arte e analytics adverstising di Nielsen Social.

“La decisione di unire le forze con Nielsen Social sottolinea l’impegno di Talkwalker a fornire ai clienti aziendali le migliori soluzioni in tutta l’ampia gamma di casi d’uso”, ha affermato Robert Glaesener, CEO di Talkwalker. “Con l’aggiunta di Nielsen Social Content Ratings alla nostra piattaforma AI, siamo in grado di espandere la nostra offerta di approfondimenti su consumatori, categorie e pubblico e accelerare la nostra crescita globale”.

Questa acquisizione rappresenta un altro punto di successo per Talkwalker quest’anno. Con una nuova brand identity, una piattaforma recentemente aggiornata, l’introduzione di una nuova visualizzazione di dati innovativi.

“Siamo entusiasti di aver trovato un partner affiatato in Talkwalker, che condivide la nostra missione di fornire le migliori soluzioni di misurazione e analisi ai clienti a livello globale”, ha affermato Sean Casey, presidente di Nielsen Social. “La combinazione rafforzerà in modo significativo la nostra offerta e non vediamo l’ora di unirci alla piattaforma in rapida crescita di Talkwalker per promuovere insieme la nostra posizione il mercato globale”.

Nei prossimi mesi Nielsen Social sarà integrato nella piattaforma Talkwalker, aggiungendo ancora più funzionalità.

email marketing ecommerce covid

L’impatto del Covid-19 su email Marketing & eCommerce

La metamorfosi dell’eCommerce in seguito all’emergenza, da canale secondario a elemento indispensabile per la riprogettazione delle strategie di vendita e di interazione con i consumatori, genera degli effetti immediati sulla crescita del mercato.

Il valore degli acquisti online di prodotto dovrebbe nel 2020 sfiorare i 22,7 miliardi di euro in crescita del +26% rispetto al 2019.

L’incremento in valore assoluto è il più alto di sempre: oltre 4,6 miliardi in un solo anno. Questo risultato è frutto di dinamiche differenti nei comparti merceologici.

I settori più maturi crescono con un tasso sostenuto ma sotto alla media di mercato: nel 2020 Informatica ed elettronica di consumo vale 6 miliardi di euro (+18%), Abbigliamento 3,9 miliardi (+21%) ed Editoria 1,2 miliardi (+16%). I comparti emergenti registrano ottimi risultati con ritmi di crescita esponenziali: in particolare Food & Grocery genera 2,5 miliardi di euro (+56% rispetto al 2019), Arredamento e home living 2,3 miliardi (+30%) e Beauty 770 milioni di euro (+37%).

Rispetto al passato è maturata una definitiva consapevolezza sulla necessità di sviluppare un canale eCommerce completamente integrato con l’esperienza fisica.

Un cambiamento epocale, invocato dai consumatori, che chiama profonde revisioni di processo e di organizzazione, investimenti, capacità di ascolto (dei clienti) e molta creatività.

L’eCommerce sarà sempre più motore di crescita e di innovazione del Retail.

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L’email Marketing e l’eCommerce: i trend del 2020

MailUp e l’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano hanno condotto due ricerche in parallelo, con l’obiettivo di fotografare l’impatto che l’emergenza sanitaria, il lockdown e gli effetti conseguenti hanno avuto sul settore eCommerce.

Lo studio di MailUp ha cercato di individuare eventuali mutamenti nei trend delle campagne di email Marketing attribuibili all’emergenza sanitaria che ha colpito l’Italia tra febbraio e marzo. Per farlo ha esaminato le campagne di 1.092 aziende eCommerce inviate tra l’1 gennaio e il 7 giugno 2020 e le ha confrontate con le campagne inviate nello stesso periodo dell’anno precedente, in modo da riscontrare le possibili variazioni. I parametri presi in considerazione per questo confronto sono i volumi di invio delle email, il tasso di apertura e il tasso di clic.

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1. Volumi di invio

Le prime settimane del 2020 mostrano un netto incremento dei volumi di invio rispetto a quelli dell’anno precedente (+23,63%). Questo trend inverte la rotta a partire dalla prima settimana di lockdown nazionale (9 marzo), passando da 73 milioni a quasi 39 milioni di invii (-89,40%).

Dalla settimana successiva, tuttavia, assistiamo a un recupero sia in termini di quantità che di stabilità degli invii, che pareggiano i risultati ottenuti nell’anno precedente.

Il calo registrato è certamente attribuibile alla chiusura di molte delle aziende parte del campione esaminato e alle difficoltà iniziali nel riorganizzare le proprie attività in una fase di emergenza inedita.

Allo stesso modo, il riassestamento è certamente attribuibile alla preparazione della cosiddetta fase 2 e al ripristino delle attività lavorative. Se prendiamo in considerazione i volumi di invio, notiamo invece comportamenti discordanti tra newsletter e DEM.

Per queste ultime infatti, il calo nelle settimane di lockdown risulta meno accentuato (-1,38%); inoltre, nella fase 2 le DEM registrano volumi di invio addirittura superiori a quelli del 2019 (+6,37 di media).

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2. Aperture

Se le campagne email hanno risentito dell’emergenza sanitaria in termini di volumi di invio, è interessante notare come, al contrario, i tassi di apertura ne abbiano beneficiato.

Se confrontiamo infatti i valori medi dei periodi pre e post quarantena, osserviamo una crescita relativa di +19,60%.

Si passa infatti da un 9% di inizio anno (pari a un calo medio di -34,10% sul 2019), a un picco massimo di 12,50% durante il lockdown. Il periodo successivo, corrispondente più o meno all’inizio della fase 2, registra un assestamento intorno all’11,75%.

Differentemente da quanto visto per le newsletter, l’andamento delle DEM è caratterizzato da un decremento finale delle performance, dal 12,20% al 9,90%. Se ne potrebbe dedurre un calo di interesse del pubblico per le comunicazioni di natura commerciale determinato, come già detto a livello complessivo, dalla riapertura delle attività commerciali offline.

In generale, se fotografiamo il 2020 e mettiamo a confronto le due tipologie di email vediamo a colpo d’occhio una chiara prevalenza delle DEM sulle newsletter.

3. Clic

Il secondo indicatore di performance considerato è il tasso di clic sulle aperture ovvero il tasso di reattività dei destinatari nei confronti del contenuto del messaggio.

Nel 2020 si assiste a un calo complessivo evidente, dal 14,90% al 9,80% (-34,23%). Nelle settimane di quarantena assistiamo a un aumento del tasso di clic (superiore anche ai valori del 2019); segno di un maggiore interesse da parte dei destinatari per i contenuti – informativi e commerciali – proposti dai brand e-commerce.

L’inizio della fase 2 porta a un nuovo calo delle performance, che scendono definitivamente sotto la soglia dell’11%: questo sensibile decremento può essere attribuito alla riapertura dei negozi fisici che ha comportato una riduzione degli acquisti online.

Se fotografiamo il 2020 e mettiamo a confronto le due tipologie di email vediamo a colpo d’occhio una chiara prevalenza delle DEM sulle newsletter. Sebbene entrambe le curve siano discendenti e il divario tra loro si assottigli con il passare delle settimane, in termini di valori medi registriamo uno scarto di 2,31 punti percentuale tra il 12,60% delle DEM e il 10,29% delle newsletter.

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Conclusioni

Dai dati è dunque chiaro l’impatto che il Covid ha avuto sull’email Marketing: non sorprende riscontrare un rallentamento dell’attività, che si deduce dal calo dei volumi di invio, causato dalle restrizioni sociali e dall’imposizione forzata di una nuova routine in termini di fruizione delle comunicazioni, di consumi e di comportamenti d’acquisto.

Tuttavia, a questo rallentamento dei volumi non corrisponde un calo di interesse da parte dei destinatari. Al contrario, sia in termini di aperture che di clic, i destinatari delle campagne dimostrano un livello di reattività che evidenzia un buono stato di salute del canale email per il settore e-commerce.

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L’impatto del Covid-19 sull’eCommerce in Italia

L’Osservatorio eCommerce B2C della School of Management del Politecnico di Milano ha condotto un ulteriore studio che si basa su un’osservazione diretta dei principali operatori di prodotto dell’eCommerce B2C. L’obiettivo era analizzare l’evoluzione dell’e-commerce rispetto agli anni passati e misurare eventuali alterazioni dei trend attribuibili agli effetti che l’emergenza sanitaria ha
esercitato sulle abitudini dei consumatori e sull’adozione del digitale da parte delle aziende B2C.

1. Acquisti eCommerce di prodotto in termini assoluti

La ricerca parte dall’osservazione della crescita del settore rispetto agli anni precedenti in termini di valore degli acquisti di prodotto: il valore totale che si dovrebbe raggiungere a fine 2020 è pari a 22,7 miliardi di euro, con un incremento relativo sull’anno precedente del +26%.

Un tasso di crescita percentuale più alto rispetto agli anni precedenti: nel 2018 l’e-commerce di prodotto aveva registrato un +23% e nel 2019 un +21%.

2. Acquisti eCommerce per comparto di prodotto

Il primo elemento da evidenziare nel 2020 è l’andamento positivo di tutti i comparti.

Entrando nel dettaglio vediamo che i comparti Abbigliamento e Accessori, Editoria, Informatica ed Elettronica sono accomunati da tassi di crescita simili che si attestano tra il 16 e il 21%; mentre il comparto Arredamento e Home living riesce a staccare i precedenti di circa 10 punti, migliorando il proprio risultato del 2019 del 30%.

Menzione a parte per il comparto Food & Grocery, che passa da 1,6 miliardi di euro dell’anno scorso a 2,5 miliardi di quest’anno (+56%). Un salto certamente determinato dalle restrizioni imposte tra marzo e aprile (fase di lockdown), che hanno spinto, da un lato, molti consumatori ad acquistare online i beni di prima necessità e, dall’altro, molte catene di supermercati ad adeguare in corsa i propri processi di vendita e distribuzione.

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3. Distribuzione per comparto degli acquisti 2019 e 2020

Rispetto al 2019, Abbigliamento e Accessori perde il 4%, Editoria scende del 7% e Informatica ed Elettronica riduce il suo peso del 6%, ma continua a costituire più di un quarto del totale.

Sale lievemente Arredamento e Home living, con un +2%, ma ad aumentare in modo rilevante è di nuovo il comparto Food & Grocery che, questa volta con un +24%, passa dall’8,88% all’11%.

4.  Incidenza smartphone

I dati mostrano l’incidenza dell’utilizzo del mobile per gli acquisti sui volumi di acquisto totali: da un’incidenza del 50% del 2019 si è passati al 56%.

Se consideriamo invece il valore degli acquisti, l’eCommerce da smartphone è passato da circa 9 miliardi di euro del 2019 ai circa 12,8 miliardi del 2020 (+42%).

Se ne potrebbe desumere che sempre più persone prediligono per gli acquisti online l’utilizzo del proprio smartphone anche quando si trovano all’interno delle mura domestiche.

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Conclusioni

L’emergenza sanitaria ha avuto sul settore eCommerce un doppio effetto. Da un lato ha certamente reso più difficili alcune operatività; dall’altro ne ha favorito l’espansione spingendo all’utilizzo dell’eCommerce anche segmenti di mercato fino a qualche mese fa abituati a effettuare i propri acquisti esclusivamente offline (un esempio su tutti: la crescita del comparto Food & Grocery).

Ciò che accadrà nei prossimi mesi – online e offline – e quale direzione prenderà il mondo eCommerce è ancora da vedere. È però ragionevole pensare che gli avvenimenti degli ultimi mesi abbiano innescato un’accelerazione dei processi di digitalizzazione del settore retail già in atto da diversi anni, sensibilizzando aziende tradizionali e intere fasce di mercato sulle opportunità offerte dagli store virtuali e dalla comunicazione via email.

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Stock Photography: com’è cambiata l’estetica negli ultimi dieci anni

La stock photography (ossia le foto di repertorio) influenza le nostre decisioni quotidiane nel modo più sottile possibile. La vediamo ovunque in modo inconsapevole, ben camuffata su cartelloni pubblicitari, nelle campagne online e persino nella nostre caselle di posta in arrivo.

Se dieci anni fa potevi guardare un’immagine ed etichettarla immediatamente come stock, oggi questa linea di confine è decisamente più sfocata. La fotografia di stock ha subito una metamorfosi estetica nell’ultimo decennio, seguendo una evoluzione nella comunicazione visiva guidata anche dai social media.

Depositphotos ha realizzato un progetto proprio su questo aspetto, analizzando l’evoluzione dell’estetica della fotografia stock nell’ultimo decennio, dai tempi delle persone in abiti da lavoro che sorridono alla macchina fotografica fino alle autentiche e naturali foto stock di oggi, con lo scopo di delineare i canoni di oggi e prefigurare la direzione dell’industry.

Questo progetto è particolarmente utile per i fotografi che si sentono bloccati su scelte specifiche quando pianificano servizi fotografici o che stanno appena iniziando a lavorare con le piattaforme di fotografia stock come freelance. Anche per chiunque abbia preso in considerazione l’idea di usare stock photography è utile cogliere i cambiamenti del settore, così come le richieste del mercato e ciò che lo ha influenzato nell’ultimo decennio.

Dalle tendenze generali come le nuove tecnologie, il mondo dei cellulari e i social media a quelle più specifiche come i cambiamenti nella pubblicità, le nuove categorie di consumatori e le loro nuove aspettative, tutti questi fattori hanno portato a un notevole cambiamento nella tipologia e nella varietà dei contenuti richiesti dalla fotografia in stock.

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Il nuovo bisogno di autenticità

Sentiamo spesso questa parola applicata alla fotografia stock, ma come siamo arrivati a questo punto? La storia dell’evoluzione dell’estetica della fotografia di stock ci porta in un viaggio che va dagli scatti in studio allo smartphone in pochi minuti.

Le influenze chiave nell’estetica della stock photography si sono infiltrate non solo nel modo in cui i fotografi scattano, ma anche nella visione artistica che i clienti scelgono di sostenere. L’offerta e la domanda, insieme, hanno trasformato l’estetica della fotografia stock.

La nascita della stock photography

Se pensiamo che la prima agenzia di fotografia stock è stata fondata negli anni ’20, possiamo con tranquillità dire che la fotografia stock è un’attività vecchia di 100 anni. A quei tempi, i clienti avevano a disposizione un processo più faticoso e più scrupoloso, dovendo conservare tutto in archivi fisici, passando manualmente in rassegna le immagini in stampe o diapositive per trovare quelle giuste.

stock photography

Negli anni ’90, la digitalizzazione di questo processo e Internet hanno aperto la strada a piattaforme di stock che hanno sostituito le agenzie.

Gli anni 2000

Verso gli anni 2000, poi, questo modello si è definitivamente affermato grazie alla sua accessibilità, economicità e convenienza non solo per gli editori e i giornali, ma anche per gli art director, i web designer, le agenzie pubblicitarie e i privati, espandendo la clientela oltre quella prevista.

stock photography

Negli anni 2000, poi, le piattaforme di stock hanno subito cambiamenti ancora più significativi grazie a tecnologie più avanzate e a una domanda crescente da parte di nuovi segmenti di consumatori e verso il 2009, infine, si è reso evidente che i la stock photography si stava muovendo in una nuova direzione: quella creativa.

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L’impulso dei social media

Instagram è stato lanciato nel 2010, modificando la vita quotidiana di milioni di persone e influenzando inevitabilmente le loro azioni. L’era dei social media ha aperto opportunità non solo ai fotografi professionisti, ma anche a quelli amatoriali. Così la fotografia è diventata parte integrante della vita di chiunque fosse lontanamente interessato alla fotografia.

Ciò ha significato per la fotografia stock che la domanda di UGC (user generated content) da tutto il web ha fatto spazio a scatti meno perfetti nella composizione. Lo stile preferito era quello di scatti in prima persone che rivelavano la bellezza della vita quotidiana.

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I social media hanno incoraggiato ogni persona a prendere in mano una macchina fotografica (o un telefono) e a fotografare. Catturare i momenti della vita quotidiana ha ispirato la creatività e ha permesso a tutti di cimentarsi con la fotografia. Anche la macchina fotografica professionale non era più un requisito indispensabile, soprattutto per la fotografia di stock.

Così le foto autentiche e naturali sono oggi più apprezzate dei ritratti stock tecnicamente perfetti ma più elaborati degli anni Novanta.

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2020: una nuova era per la stock photography

Quello che ci rimane oggi è un netto contrasto con le immagini generiche e inscenate che hanno dominato la fotografia di stock per decenni. Questa è una nuova era – un tempo per pensatori indipendenti, espressione di sé, riflessione e illustrazione di ideali per i mercati locali e internazionali.

I movimenti, le idee e i valori nuovi o ritrovati mostrano la direzione per rendere la fotografia stock ancora rilevante, concentrandosi su immagini che non lasciano indifferenti.

stock photography

Mentre il mondo cambia, è evidente che anche la visione dei fotografi deve cambiare. È necessaria una connessione più personale – per i clienti, i fotografi, e gli utenti di tutti i giorni.

Non c’è posto per immagini che non abbiano un impatto culturale o visivo. La stock photography, ricorda Depositphotos con il suo progetto “Stock Photography Then and Now”, è influenzata dalla cultura attuale e, a sua volta, diventa un’influenza sulla cultura.

Se l’estetica della fotografia stock ha fatto molta strada negli ultimi dieci anni, per essere sostituita da modelli più autentici e creativi, è anche diventata una delle principali forze trainanti della cultura visiva contemporanea.

Credits: Depositphotos #239587294 – #242587404 – #229796616 – #253648394 – #68708953 – #7122650

Le “colpe” di Chiara Ferragni agli Uffizi (e quelle della cultura nel digital)

Nel ultimi giorni si è acceso un dibattito online su Chiara Ferragni e la sua visita agli Uffizi di Firenze, un dibattito che è diventato da subito polarizzato agli estremi tra accaniti detrattori e sostenitori.

Cosa è accaduto

Chiara Ferragni si trovava agli Uffizi per realizzare uno shooting per Vogue Hong Kong. Non è la prima volta che moda e musica girano all’interno dei musei, come nel caso del video di Beyoncé e Jay Z al Louvre e di quello recentissimo di Mahmood al museo egizio di Torino. Finito lo shooting, dove Vogue Hong Kong paga secondo le tariffe del museo, non danneggia alcune opera e non impedisce la normale fruizione del museo da parte dei visitatori, Ferragni decide di godersi gli Uffizi accompagnata dal direttore Eike Schmidt.

Colpita in particolare dalla Venere di Botticelli, si fa una foto e la posta su Instagram con la caption “one of the most beautiful museums in the world, so come and visit it!” rivolgendosi ai suoi 20 milioni di follower solo su Instagram. Anche gli Uffizi postano la foto dell’imprenditrice, accostandola al canone estetico della Venere e definendola “divinità contemporanea nell’era dei social”.

Da lì è iniziata una violenta shitstorm sotto la foto degli Uffizi e si sono sprecati post sui vari social attaccando la Ferragni, quello che secondo i commentatori rappresenta e come svaluti l’opera d’arte. Il tutto condito dalla comune minaccia di un defollow immediato all’account del museo.

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La comunicazione culturale

La polemica appare subito tematizzata su Chiara Ferragni e infatti i commenti si focalizzano su di lei e non tanto sugli Uffizi: viene deprecata la sua attività, la sua bellezza, viene sminuita lavorativamente, viene indicata come non rappresentativa della bellezza italiana e l’intera operazione – ammesso che si possa davvero parlare di operazione – indicata come controproducente.

Secondo il report annuale del MiBACT, il Ministero dei Beni Artistici e Culturali, il numero dei visitatori del sistema museale pubblico è intorno ai 55 milioni, calando rispetto ai dati 2018. Nel dato sono inclusi i visitatori internazionali, e fa riflettere se accostato a un altro dato, fonte Istat 2016, Istituto Italiano di Statistica, secondo cui 69,2% degli italiani non sono mai andati al museo. La percentuale cresce al 75% se si tratta di mostre o esposizioni temporanee, e all’80,2% nel caso dei siti archeologici. Leggendo meglio i dati Istat, i più assenti dai musei italiani sono proprio i giovani.

In Italia conserviamo quasi la metà dell’intero patrimonio culturale antico e romano del mondo. Eppure questo non si traduce automaticamente in competitività o in una comunicazione culturale innovativa e competente. I percorsi audioguida italiani risultano in generale poco inclusivi e si pensa che l’immersivitá sia un QR code su una vetrina.

Spesso i nostri musei hanno al massimo un sito web dove, se siamo fortunati troviamo tutte le informazioni necessarie, molti allestiti con un gusto estetico discutibile. E i canali social si limitano a veicolare comunicati stampa e sparute informazioni “importanti”, fatta eccezione per l’esempio fulgido dell’account Instagram “Musei Italiani”.

Thanks to Cristina Gottardi

A confermarlo è anche lo studio del 2016 dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali secondo cui solo il 19% dei musei offre il wi-fi gratuito e  il 52% dei musei possiede un profilo social ma solo il 13% è presente su uno dei tre social network più diffusi: ad esempio il 15% uno su Instagram. L’Istat conferma: il tasso di adozione di servizi digitali (e si intende di tutto, dal catalogo online alle prenotazioni dei biglietti) è inferiore al 20%. 

Si tratta forse di una fotografia parziale, ma piuttosto forte.

Sembra emergere innanzitutto che il problema del settore culturale non abbia a che fare con l’influencer marketing. Semmai si consiglierebbe di riflettere sulla didascalia scritta dal Museo degli Uffizi, che invece è un po’ superficiale e sterotipata, quando invece avrebbe potuto offrire uno stimolo maggiore utilizzando l’immagine dell’influencer. O anche costruirle intorno una vera e propria occasione di comunicazione creando contenuti editoriali di approfondimento, pur rimanendo pop.

La leggerezza delle strategie digitali non ha a che fare con la superficialità dei contenuti.

LEGGI ANCHE: Coronavirus: il crowdfunding lanciato da Chiara Ferragni e Fedez supera i 3 milioni di euro

 

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Ieri ed oggi … I canoni estetici cambiano nel corso dei secoli. L’ideale femminile della donna con i capelli biondi e la pelle diafana è un tipico ideale in voga nel Rinascimento. Magistralmente espresso alla fine del ‘400 da #SandroBotticelli nella Nascita di #Venere attraverso il volto probabilmente identificato con quello della bellissima Simonetta Vespucci, sua contemporanea. Una nobildonna di origine genovese, amata da Giuliano de’Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico e idolatrata da Sandro Botticelli, tanto da diventarne sua Musa ispiratrice. Ai giorni nostri l’italiana Chiara Ferragni, nata a Cremona, incarna un mito per milioni di followers -una sorta di divinità contemporanea nell’era dei social – Il mito di Chiara Ferragni, diviso fra feroci detrattori e impavidi sostenitori, è un fenomeno sociologico che raccoglie milioni di seguaci in tutto il mondo, fotografando un’istantanea del nostro tempo. ?ENG: Beauty standards change in the course of time. The female ideal of a blonde- haired woman with diaphanous skin is a very common beauty model in the Renaissance. Masterfully expressed by the Florentine Sandro Botticelli in The birth of Venus maybe portraying the face of one of his contemporary, Simonetta Vespucci. A beautiful noble woman, of Genoese origin, beloved by Giuliano de’ Medici, the younger brother of Lorenzo the Magnificent ; she was so worshiped by Sandro Botticelli that she became his muse. Nowadays, Chiara Ferragni, born in Cremona, embodies a role model for millions of followers – a sort of contemporary divinity in the era of social media – The myth and the story of Chiara Ferragni, argued by harsh critics and supported by faithful fans, is a real sociological phenomenon that involves millions of supporter worldwide and it can undoubtedly be considered a snap-shot of our time.

Un post condiviso da Gallerie degli Uffizi (@uffizigalleries) in data:

La polarizzazione intorno a Chiara Ferragni

Sembra che l’attacco non sia tanto alla comunicazione culturale italiana ma a Chiara Ferragni. È lei la colpevole secondo i commentatori online. Colpevole di essere “frivola”, di non essere “adeguata”, colpevole di non fare abbastanza per promuovere l’Italia.

Partiamo col considerare che l’imprenditrice – non filantropa, non politica, non attivista – si trovava lì per un lavoro e ha deciso spontaneamente di utilizzare quell’occasione per promuovere a un pubblico nazionale e internazionale di più di 20 milioni di follower le bellezze culturali italiane. Si tratta di un’operazione che Ferragni sta portando avanti da qualche tempo dopo il lockdown: pur avendone mezzi e non mancando di offerte, sta scegliendo di lavorare solo sul territorio nazionale e di mostrare le bellezze culturali italiane.

Lo ha fatto con una visita ai Musei Vaticani ed è stata attaccata perché faceva una visita privata – cosa che chiunque può fare pagando e infatti era lì per promuovere questo particolare servizio – senza riflettere sul fatto che in concomitanza con la foto di Ferragni l’account dei Musei Vaticani sono diventati trending topic su Twitter.

Lo ha fatto con gli Uffizi e lo ha fatto con il Museo Archeologico di Taranto accompagnata da Maria Grazia Chiuri, Direttrice artistica di Dior. E per l’importante sfilata Dior Cruise 2021 è stata, per volere della direttrice artistica, la protagonista tra gli ospiti alla sfilata.

È la prima volta che Dior non sfila a Parigi e ha scelto proprio Lecce, terra dove affondano le radici della famiglia di Maria Grazie Chiuri e una delle città italiane su cui si teme di più la ripercussione negativa del Coronavirus e del lockdown da un punto di vista di affluenza del turismo. Il profilo della maison ha dedicato due video emozionali di presentazione dell’evento che mostrano i tesori culturali e paesaggistici della città del Salento.

Le colpe di Chiara Ferragni

Tuttavia sembra che le colpe di Ferragni non siano le sue abilità come imprenditrice o ambasciatrice del suo brand, bensì una colpa atavica: quella di essere giovane e donna. Non a caso negli attacchi si leggono tantissime menzioni dispregiative delle sua caratteristiche fisiche, insulti feroci di tipo personale: attacchi purtroppo legati a un discorso misogino.

Se è una colpa essere donna, giovane e di successo, Chiara Ferragni è colpevole. 

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WhatsApp Business: nuovi strumenti per le aziende

  • Qr code e catalogo prodotti: nuove funzionalità per gli account WhatsApp business.
  • Vendite online e pagamenti via chat: il futuro dell’eCommerce.
  • Facebook Shops: un nuovo strumento per vendere online.

 

Novità in arrivo per tutte le aziende che utilizzano WhatsApp Business.

Approdano all’interno dell’app i tanto attesi Qr code per aiutare i brand a promuoversi meglio e il catalogo prodotti diventa condivisibile.
Il rilascio di queste nuove funzioni non è del tutto casuale, ma nascono dalla volontà di Zuckerberg di agevolare e sostenere con nuovi mezzi la ripresa post-Covid che vede il digitale decisamente protagonista.
La pandemia ha accelerato senza ombra di dubbio la digital transformation, portando diversi brand, in particolar modo i local business a costruire e a rafforzare la propria presenza online per sopravvivere alla situazione.
Durante il lockdown, WhatsApp ha permesso a molte attività locali di vendere via chat anche senza avere un’eCommerce.
È infatti cresciuto il numero degli utilizzatori dell’app Business, che oggi conta 50 milioni di utenti, mentre migliaia di imprese più grandi utilizza le API di WhatsApp Business.

Quali sono le novità per le aziende?

Qr code: la nuova porta d’accesso per chattare con un brand

Fino ad oggi per entrare in contatto con un’azienda su WhatsApp era necessario aggiungere manualmente il numero in rubrica, oppure con un click mediante la funzione click to chat integrabile sui web site.
Ora è possibile iniziare una conversazione semplicemente inquadrando il Qr code relativo all’account business dell’attività. Una volta scansionato il codice QR, si aprirà una chat con un messaggio precompilato e modificabile, impostato precedentemente dall’attività per avviare una conversazione.
La nuova feature è stata rilasciata in tutto il mondo sia per chi utilizza l’app Business che per le API.

Questa nuova opzione spinge i brand verso una strategia omnichannel, dove i touchpoint del negozio fisico aprono le porte alla chat. I Qr code potranno essere esposti in vetrina, stampati sulle shopping bag piuttosto che sulla ricevuta, è evidente quindi un’integrazione tra modo online e offline.

Il QR Code, spiega l’azienda:

Funziona come una porta d’ingresso digitale che agevola l’interazione iniziale con un’azienda. Ad esempio, Ki Mindful Wearing, un marchio brasiliano di abbigliamento sportivo che ci ha aiutato a testare questa funzione, riporta i codici QR sulle confezioni e sulle etichette dei prodotti, in modo che i clienti possano contattarli tramite WhatsApp per ricevere assistenza.

Il catalogo prodotti diventa condivisibile

La funzione catalogo consente alle attività di creare una vera e propria vetrina virtuale per mostrare ai propri clienti prodotti e servizi facilitando cosi le vendite.
Il catalogo, introdotto lo scorso anno, ha sin da subito ottenuto un ottimo riscontro sia da parte delle aziende che dei clienti. La conferma ufficiale arriva dai numeri : ogni mese oltre 40 milioni di persone visualizzano i cataloghi all’interno dell’applicazione di messaggistica.

Per agevolare la promozione dei prodotti e la ricerca da parte dei consumatori, il catalogo diventa condivisibile.
La condivisione può avvenire non solo all’interno delle chat con i clienti ma anche sugli altri canali digitali come social network piuttosto che sito web. Per condividere il catalogo basta copiare il relativo link presente all’interno dell’applicazione business, con due opzioni di scelta: condividere un singolo prodotto oppure l’intero catalogo.

WhatsApp Pay i pagamenti si fanno in chat

Un’altra grande news del colosso di Menlo Park è legata al mondo dei pagamenti. Recentemente WhatsApp sta testando in Brasile, uno dei paesi in cui l’app ha una penetrazione maggiore, WhatsApp Pay.

Il sistema di pagamento consente ai clienti di inviare denaro e acquistare dalle attività commerciali in maniera estremamente semplice, ma soprattutto senza uscire dall’app.
Per gli utenti il servizio sarà gratuito mentre per i business ci sarà una commissione sulle transazioni.

WhatsApp ha dichiarato:

Semplificare i pagamenti significa permettere a un maggior numero di attività commerciali di entrare a far parte dell’economia digitale, creando nuove opportunità di crescita.

Arriverà anche in Italia? Non lo sappiamo, dall’azienda dicono che verrà rilasciata presto anche in altri paesi del mondo, ma non abbiamo conferme ufficiali che l’Italia sarà compresa.

whatsapp pay

L’era del WhatsApp Commerce?

Le ultime novità introdotte relative al catalogo e al mondo dei pagamenti lasciano presagire che in casa WhatsApp si stiano compiendo gli ultimi passi per avvicinarsi totalmente al mondo dell’eCommerce.
Vista la popolarità dell’applicazione e la sua base utenti multi-generazionale, vendere via WhatsApp potrebbe rivelarsi un’arma vincente e dalle enormi potenzialità per le aziende.

Anche i numeri giocano a favore del WhatsApp commerce, secondo uno studio condotto da Facebook:

Il 65% degli acquirenti a livello mondiale sembra essere più propenso a fare acquisti da un brand con cui può comunicare via chat,

Il 40% dei consumatori intervistati ha dichiarato di aver iniziato a fare shopping online grazie al conversational commerce. 

Questa prospettiva potrebbe dar vita ad un nuovo ecosistema basato sul commercio via chat.
Si andrebbe così a delineare un nuovo modello di business in cui le aziende di vari settori andrebbero a interagire con i clienti utilizzando WhatsApp come canale principale.
Ciò cambierebbe sicuramente il nostro modo di fare shopping.

Con WhatsApp non parliamo esclusivamente di vendita, ma parliamo di conversational commerce.

Vendere via WhatsApp vuol dire dialogare con i clienti, ma soprattutto offrire una user experience unica e personalizzata.
Uno dei punti di forza della chat è proprio quella di conoscere il cliente, guidarlo e consigliarlo nel processo d’acquisto, costruendo quindi relazioni di valore.

Il conversational commerce consente di unire l’esperienza fatta di relazioni che si creano all’interno di uno store fisico con l’istantaneità dello shopping online.

In definitiva alla luce dei recenti aggiornamenti che vedono protagonisti i codici QR, i pagamenti in App e il commercio via chat la teoria che Zuckerberg stia pianificando il futuro di WhatsApp guardando al mondo delle vendite in app e lasciandosi ispirare da WeChat sembra essere sempre più credibile.

C’è chi ha già fatto della messaggistica il suo principale canale di vendita, parliamo del brand tedesco Charles che ha dato vita al primo WhatsApp store in Europa.

Una volta approdati sul sito dell’azienda la call to action che invita l’utente a chattare con Charles su WhatsApp oppure su Messenger è subito ben evidente.

Come funziona il servizio?

Un assistente alle vendita risponde via chat alla richieste e consiglia i clienti passo passo, guidandoli per tutto il processo d’acquisto, dalla scelta del prodotto, alle transazioni,  all’assistenza post vendita.

Il social commerce di Facebook: nuove opportunità per le aziende

Nel piano del social commerce di Zuckerberg si intravede la volontà da parte dell’azienda di integrare le varie piattaforme per dar vita ad un vero e proprio ecosistema a disposizione dei business.

A darne conferma è un’altra delle recenti novità introdotte da Mark in fase di lockdown, parliamo di Facebook shops.

Gli shop di Facebook, vista la loro semplicità, consentono a chiunque, dal piccolo negozio alla grande aziende di vendere e comunicare con i clienti attraverso Facebook, Instagram e WhatsApp.

Creare uno shop su Facebook è gratuito. I clienti possono scoprire i negozi virtuali sulla pagina Facebook o Instagram di un brand, oppure trovarli mediante le storie o l’advertising.

Che ruolo svolgono le applicazioni di messaggistica in questo contesto?

WhatsApp e Messenger diventano i mezzi per interagire con le aziende in maniera diretta cosi come accade in negozio.

È chiaro che Facebook sta cercando un nuovo modo per generare utili insieme all’advertising.

In realtà il padre dei social media lavorava da tempo a questo piano, progetto che ha subito una accelerazione dovuta alla situazione generata dal Coronavirus che ha visto molti negozi chiudere i battenti e aprire le porte al mondo online.

Tutto ciò trasformerà il mondo dell’eCommerce?

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Come la Realtà Aumentata cambierà il Social Media Marketing

Quando parliamo di Realtà Aumentata, la mente balza subito al famosissimo gioco Pokémon-Go!

Nintendo ha permesso alle generazioni cresciute con i Pokémon di utilizzare questa tecnologia e di immedesimarsi, tramite l’utilizzo del proprio smartphone, in un allenatore.

Dal 2016 ad oggi, lo sviluppo di questa tecnologia ha fatto passi da gigante. Oggi filtri ed effetti in AR come quelli di Snapchat e di Instagram sono all’ordine del giorno. E forse non ci rendiamo neanche conto che in quel momento stiamo utilizzando questa tecnologia.

Ma come cambierà il nostro modo di utilizzare i Social Media ed i nostri processi di acquisto?

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Che cos’è e come funziona la realtà aumentata

Semplicissimo, la realtà aumentata è una tecnologia che incorpora elementi digitali nella linea di vista effettiva.

Spesso viene confusa con la Realtà Virtuale, ma l’AR non sostituisce la realtà stessa con uno spazio digitale o virtuale. Consente invece di trasformare l’ambiente attuale per offrire un’esperienza più stimolata e migliorata.

LEGGI ANCHE: Che cosa sono la Realtà Virtuale e la Realtà Aumentata, raccontato con una mini-serie TV.

La realtà aumentata basa il suo funzionamento sull’integrazione di funzionalità digitali come mappe, icone, emoticon, filtri, tag di posizione ecc. nei riquadri dello schermo.

È tramite le fotocamere e i sensori del telefono come il GPS che un’applicazione o una piattaforma di social media visualizzerà diversi componenti digitali direttamente sullo schermo.

Assisteremo a nuovi contenuti interattivi ed unici

Quando si tratta di AR e social media, non possiamo non menzionare Snapchat.

Questa piattaforma di social media è stata una delle prime a offrire funzionalità di filtri in Realtà Aumentata. 

Instagram ha seguito l’esempio e ora offre una gamma di filtri che possono essere aggiunti come storie o immagini.

Le aziende possono utilizzare i filtri con marchio per promuovere facilmente il proprio brand sui social media.

Ad esempio, Taco Bell ha creato un filtro Snapchat con marchio che ha trasformato i volti degli utenti di Snapchat in tacos. Questo strano filtro AR è stato un successo tra gli utenti e ha avuto tonnellate di persone che condividevano versioni di se stesse, tutte con il logo di Taco Bell nell’angolo in basso.

Con la Realtà Aumentata prima lo “Provi” e poi lo acquisti

Anche se ancora ad oggi, molti acquirenti preferiscono provare fisicamente il prodotto prima di procedere all’acquisto, l’AR permette già di “provare” un paio di scarpe o una particolare colorazione di rossetto, senza recarsi nello store.

L’AR offre un ulteriore vantaggio: elimina, infatti, la necessità di avere fisicamente disponibile un ampio inventario per consentire ai clienti di provare o campionare decine o addirittura centinaia di articoli alla ricerca di quello che meglio soddisfa le loro esigenze.

Facebook, in particolare, è un pioniere delle applicazioni AR. La sua offerta di realtà aumentata permette agli utenti di provare digitalmente trucco e accessori: il primo annuncio pubblicitario legato all’AR di Facebook ha permesso ai potenziali clienti di provare occhiali da sole virtuali con l’aiuto della fotocamera del loro dispositivo.

Ma anche l’industria cosmetica è stata entusiasta della realtà aumentata negli ultimi tempi. Marchi come Sephora, L’Oreal e Perfect Corp hanno creato delle partnership per permettere ai loro clienti di vedere come sarebbe il trucco su di loro digitalmente.

La realtà aumentata è particolarmente preziosa per le strategie di vendita online che coinvolgono i cosmetici, poiché i consumatori hanno quasi sempre bisogno di giudicare un determinato articolo di trucco provandolo materialmente addosso.

Un’altra area in cui l’AR ha mostrato il suo enorme potenziale è quella del camerino virtuale. Quando si tratta di acquistare abbigliamento, i camerini sono indispensabili, ma anche il contesto attuale, con l’emergenza Covid, ci sta mostrando tutti i limiti di questo modello. Inoltre, i clienti sono tenuti a portare pile di capi d’abbigliamento nei camerini e poi i dipendenti devono riordinare gli articoli scartati. Oltre a questo, un negozio è limitato dall’inventario a disposizione quando si tratta di offrire ai clienti capi d’abbigliamento da provare.

La realtà aumentata elimina gran parte di questa seccatura, consentendo ai clienti di accedere a una “biblioteca digitale di articoli di abbigliamento” con un semplice tocco delle dita. Marchi come Topshop e Timberland sono stati all’avanguardia nello sviluppo di allestimenti e camerini in AR per dare ai loro clienti un’esperienza virtuale e aiutarli a selezionare gli articoli di abbigliamento.

La realtà aumentata offre alle aziende anche uno strumento per aggiungere un componente digitale ai loro prodotti. I clienti possono scansionare un prodotto o un oggetto per ottenere un’esperienza di AR su misura, sia per ricevere informazioni aggiuntive, sia per fornire una qualche forma di esperienza supplementare legata al marchio.

Starbucks si è rivolta alla realtà aumentata per digitalizzare l’esperienza di visita dei suoi coffee shop. Gli utenti possono scansionare oggetti all’interno del negozio per accedere a un tour virtuale, trasmettendo informazioni aggiuntive per integrare il sito fisico.

In generale possiamo dire che essere in grado di provare virtualmente un prodotto ne offre agli acquirenti un’idea migliore, il che aiuta a rimuovere le esitazioni sull’acquisto.

La combinazione degli annunci sui social media con l’AR potrebbe aumentare le vendite per le attività eCommerce.

In effetti, entro il 2022, secondo Tractica, gli annunci basati su AR attireranno circa 13 miliardi di dollari all’anno.

Conclusione

La realtà aumentata ha il potenziale per cambiare il volto del marketing su diverse piattaforme di social media. Portando l’esperienza del consumatore a un livello completamente diverso.

Ad ogni passo della rivoluzione digitale, la linea di confine tra il mondo virtuale e quello reale diventa meno marcata, e questo rende l’AR parte integrante del social media marketing.

Assicurati di mantenere il tuo gioco sui social media al massimo per sfruttare questa funzionalità e chissà, magari un giorno grazie all’AR, non si dirà più “Guardare ma non toccare”.