La piattaforma di pagamenti digitali PayPal ha svelato una nuova strategia del marchio e una rinnovata identità visiva.
Alla base di questo restyling c’è l’intenzione di voler costruire una connessione più forte tra la mission del marchio e la sua comunicazione. L’evoluzione dell’identità visiva vuole riflettere al meglio il lavoro che il brand sta affrontando.
Il brand refresh di Paypal
Dopo un intervallo di otto anni, la società rimodella la sua immagine, perfezionando l’icona della doppia P utilizzata dal 2014 e aggiornando il colore del marchio. Il brand refresh è stato sviluppato dal team interno in collaborazione con lo studio di design Gretel di New York.
Partendo dalla strategia del marchio, il team si è concentrato sul ruolo di PayPal come “potenziatore” e “abilitatore” di opportunità per le persone: “La nuova strategia del marchio mette le storie dei clienti PayPal – milioni di individui e aziende che si fidano, fanno affidamento e utilizzano PayPal ogni giorno – in primo piano, sostenendo i loro bisogni e desideri“, ha dichiarato Emanuele Madeddu, Senior Director Brand Strategy & Branding di PayPal.
PayPal sta anche compiendo ulteriori passi nelle linee guida più ampie del marchio per promuovere l’inclusività. Dalla fotografia che riflette meglio la diversità della community, passando attraverso il linguaggio, il tono e la voce utilizzati per garantire che PayPal includa davvero tutti.
Il pulsante di pagamento PayPal
La nuova visual identity si ispira a uno degli asset più riconoscibili del brand, il pulsante di pagamento, divenuto negli anni emblema di PayPal stesso.
Per molte persone rappresenta la conferma di una transazione in un ambiente di commercio digitale. Questa potente equity collega la funzione all’emozione, connettendo PayPal al successo di una transazione sicura sia dal lato del commerciante che del consumatore.
Storicamente parte dell’esperienza di pagamento PayPal, l’oro è ora incluso nella tavolozza principale del marchio insieme al blu.
Dal confronto tra la vecchia e la nuova identità si può notare che la coda della doppia “P” inclinata si è allungata, ed è anche più evidente la posizione di sovrapposizione delle due lettere.
Il monogramma esistente del marchio, con due P sovrapposte bloccate, ora è utilizzato come dispositivo di inquadratura. Un escamotage capace di trasformare i singoli utenti, i proprietari di piccole imprese o i CFO di grandi aziende nei protagonisti di nuove storie.
Uno degli elementi più interessanti di questo rebranding è la mossa di creare un marchio più inclusivo e accessibile per i propri clienti. Il logo ora soddisfa gli standard ADA (Americans with Disabilities Act) per il design accessibile.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/paypal-brand-refresh-1.jpg418800Giuseppe Tempestinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiuseppe Tempestini2022-07-12 14:35:192022-07-12 16:09:30Il brand refresh inclusivo di PayPal mette al centro le persone
Il mercato dell’eCommerce è cresciuto a un ritmo notevole negli ultimi anni. Prima dell’emergenza Covid-19 l’economia mondiale stava già accompagnando lo sviluppo dello shopping online. La pandemia ha poi definitivamente accelerato questo processo.
Il settore è così in rapida crescita che, secondo uno studio Nasdaq, entro il 2040 il 95% degli acquisti avverrà online.
Una potente espansione che offre una serie di opportunità di business per l’innovazione di brand e aziende. In un contesto come questo, nasce l’esigenza di ripensare l’impresa in chiave digitale, facendo evolvere il proprio modello di business, trasformando i processi aziendali e potenziando le competenze interne.
Nuovo ciclo di Free Webinar
Nell’ultimo decennio gli acquisti online hanno registrato una crescita esponenziale anche in Italia. Oggi, infatti, avere un negozio digitale non rappresenta più solo un’opportunità, ma una vera e propria necessità. Laddove gestire efficacemente un progetto eCommerce rappresenta un fattore critico di successo, a prescindere dal settore merceologico di appartenenza.
Il confronto con gli esperti delle industry rappresenta un’occasione concreta per aggiornarsi continuamente su tool, algoritmi e comportamenti del consumatore.
Per questa ragione, dopo la serie di live event “Così ho capito che il Digital era la mia vocazione”, Ninja Academy presenta un nuovo ciclo di dirette per conoscere da vicino il mondo dell’eCommerce e sfruttarne tutte le potenzialità.
Il primo live event sarà:
Giovedì 14 Luglio ore 13 Your eCommerce Check up Cosa funziona e cosa non funziona nel tuo eCommerce
Lo scopo del Live Event è quello di fornire consigli pratici per migliorare il proprio eCommerce oppure la propria idea di strategia di eCommerce, partendo proprio dal far analizzare i progetti in diretta agli esperti.
Attraverso il form di registrazione, infatti, è possibile linkare il proprio e-shop: i più interessanti saranno analizzati durante la live.
Il ciclo continuerà fino al 22 luglio con altri due appuntamenti:
Martedì 19 Luglio ore 13 Livestream Shopping e nuove frontiere dell’eCommerce Il caso Rinascimento
Venerdì 22 Luglio ore 13 Community per il successo di un eCommerce I casi MSC Crociere e 23BASSI
Le competenze vincenti in ambito eCommerce
Il ciclo di eventi è dedicato a eCommerce Manager, eCommerce Specialist, Brand Manager, Marketing Manager, Imprenditori e a tutti quei commercianti che intendono implementare la loro di strategia digitale.
Le dirette oltre a illustrare strumenti, risorse, modelli e framework per avere successo nelle vendite online, offrono l’occasione di riflettere su un mercato sempre più digitale grazie a illuminanti case study.
Ridisegnare la gestione delle vendite in chiave digitale richiede competenze diverse. Ma esiste un modo per farle convergere tutte. Le live saranno anche un occasione per approfondire un percorso completo, pratico e professionalizzante per comporre il proprio modello vincente di eCommerce: l’eCommerce Factory, in collaborazione con i top brand Shopify, Doreca, Venchi e Mercedes.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/ecommerce-manager-corso-sopertina.jpg623949Giuseppe Tempestinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiuseppe Tempestini2022-07-12 11:48:182022-07-14 14:46:093 Free Webinar per orientarti nel mondo eCommerce
Il Garante per la privacy italiano ha stabilito l’illegittimità del trasferimento di dati da parte di Google Analytics al di fuori dall’Unione europea. Il motivo, ormai sotto gli occhi di tutti, è la violazione del GDPR. Proviamo a fare ordine ripercorrendo i fatti salienti che hanno portato al caso italiano.
Google Analytics e GDPR: l’udienza è tolta. Neanche Big G può sottrarsi alla scure del Garante per la Privacy. Google, come altri, è stata più volte richiamata e sanzionata per la disinvoltura dimostrata nella gestione dei dati dei propri utenti. La sentenza del Garante per la Privacy italiano arriva a fronte di altre sentenze analoghe emanate nei paesi limitrofi di Francia e Austria. Cosa ha spinto l’autorità italiana a emettere il suo verdetto? Scopriamolo insieme.
Google Analytics e GDPR: Stop alla circolazione dei dati personali tra UE e USA
Stavolta è toccato al nostro Garante della Privacy bacchettare Google Analytics. Era inevitabile. L’Autorità ritiene il trasferimento dei dati in USA come illegittimo. Decisione che arriva a fronte di un’istruttoria complessa che ha visto avvicendarsi numerosi reclami e che si è svolta in coordinamento con le altre autorità europee.
L’indagine del Garante
Tutto, infatti, parte dall’indagine che ha fatto emergere un dato inequivocabile. I gestori dei portali web che utilizzano Google Analytics raccolgono, tramite cookie, molteplici informazioni che riguardano i fruitori dei siti in esame. Bene: tra i dati raccolti vi sono l’indirizzo IP dei dispositivi, informazioni circa il browser e il sistema operativo utilizzati dagli utenti, risoluzione dello schermo, lingua selezionata, data e ora della visita.
Insomma: Google Analytics scandaglia gli utenti con attenzione certosina. Questa stessa attenzione, però, non viene adottata nella gestione dei dati stessi. Le informazioni raccolte, infatti, vengono trasferite negli Stati Uniti dove gli utenti non hanno diritto alle tutele previste dal GDPR (Regolamento Ue 2016/679). Trasferimento esplicitamente vietato, dal regolamento di emanazione europea, verso quei paesi che non garantiscono livelli di protezione dei dati pari o superiori a quelle previsti in Europa. Viene così abbattuto il Privacy Shield previsto nell’export dei dati da UE a USA.
Garante per la privacy ammonisce Caffeina Media
L’indagine mossa dal Garante ha come oggetto il reclamo mosso da un utente nell’agosto del 2020 nei confronti di Caffeina Media S.r.l. Il Garante ha, dunque accertato il trasferimento di dati personali negli Stati Uniti, luogo in cui la protezione dei dati non è adeguata ai livelli di allerta previsti dal GDPR. Da qui è stata rilevata la violazione. In particolare, il Garante per la Privacy, ha indicato nell’ammonimento, che “I trasferimenti effettuati da Caffeina Media S.r.l. verso Google LLC (con sede negli Stati Uniti), per il tramite dello strumento di Google Analytics, sono stati posti in essere in violazione degli artt. 44 e 46 del Regolamento; si rileva, altresì, che sono emerse le violazioni dell’art. 5, par. 1, lett. a) e par. 2, dell’art. 13, par. 1, lett. f), e dell’art. 24, del Regolamento”.
L’anonimato dell’IP non garantisce sicurezza
Il Garante ha rilevato che Caffeina Media ha utilizzato la versione gratuita di Analytics, per fini statistici – cioè capire le attività degli utenti sul sito. Sebbene la società ammonita abbia dichiarato di non aver attivato la funzione di IP anonymization, che consente di oscurare parzialmente l’indirizzo IP dell’utente verso Google, il Garante ha sottolineato come anche l’anonimato parziale dell’IP non garantisca protezione. Questo perché, come afferma il Garante, Google potrebbe arricchirlo con altre informazioni.
Il cartellino giallo vale non solo per Caffeina Media Srl ma per tutti i gestori italiani di siti web. Nessuna sanzione ma l’obbligo entro 90 giorni di verificare la conformità delle modalità di utilizzo di cookie e altri strumenti di tracciamento utilizzati sui propri siti. Pena sanzioni severe.
Google Analytics e trasferimento illegittimo dei dati in USA: le posizioni di Austria e Francia
Il provvedimento del Garante, ribadisce le interpretazioni già elaborate dai garanti dell’Austria e della Francia dopo il crollo del Privacy Shield in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia UE del 2020. Tutto, infatti, ha inizio con la Sentenza Schrems II, frutto di poderose rimostranze mosse da Max Schrems, noto attivista austriaco da cui prende il nome la sentenza citata. Con provvedimento datato 22 dicembre 2021, reso pubblico il 14 gennaio 2022, l’Autorità Garante austriaca (“Datenschutzbehörde” or “DSB”) ha sanzionato il titolare di un sito web (più specificatamente un portale dedicato alla divulgazione su temi sanitari) per l’utilizzo di Google Analytics, che avrebbe violato le norme del regolamento GDPR.
Google Analytics bocciato in Austria
Il ricorrente proponeva ricorso in data 18 agosto 2020. Riferendosi alla sentenza della Corte europea di giustizia del 16 luglio 2020, caso C-311/18 (“Schrems II”), secondo il ricorrente i convenuti, ossia il titolare del sito web e Google, non avrebbero più potuto basarsi sulla decisione di adeguatezza “Privacy Shield” per giustificare un trasferimento di dati verso gli USA. Il titolare ricorreva a Google Analytics e, in particolare, alla versione gratuita per generare valutazioni statistiche sul comportamento dei visitatori del sito web. Lo stesso, inoltre, aveva approvato i relativi termini e condizioni d’utilizzo, oltre ad aver concluso con Google le clausole contrattuali standard relative al trattamento dei dati personali ed il relativo contratto di nomina a responsabile del trattamento, in conformità all’art. 28 del GDPR (“processor agreement”).
L’anonimizzazione degli IP non garantisce sicurezza
Il trattamento, ricostruito nel dettaglio dalla DSB, avrebbe avuto luogo prevalentemente in data center situati in Europa, ma anche su server al di fuori dello Spazio Economico Europeo (SEE). Il titolare avrebbe istruito il responsabile ad anonimizzare gli indirizzi IP degli utenti, prima di procedere alla relativa conservazione ed eventuale trasmissione.
Tuttavia l’anonimizzazione degli indirizzi IP inizialmente non sarebbe stata configurata correttamente proprio dal titolare stesso. Inoltre, come ricostruito dal garante austriaco, i convenuti avrebbero anche adottato ulteriori misure contrattuali, organizzative e tecniche per la protezione dei dati personali (inclusa la crittografia), al fine di ridurre il rischio di esposizione degli stessi alle agenzie di intelligence statunitensi.
Nonostante questo si è resa necessaria la decisione adottata dal Garante e, quindi, l’intimazione all’adeguamento al GDPR.
Il J’Accuse della Francia a Google Analytics
A distanza di poco più di due settimane dalla decisione austriaca anche il CNIL Autorità Garante per la protezione dei dati personali francese, il 10 febbraio 2022, adotta lo stesso provvedimento intimando un sito francese – a fronte di 101 reclami – di conformarsi al regolamento UE.
La decisione francese, tra l’altro, segue di pochi giorni la polemica innescata proprio sul tema privacy da Meta. La holding di Facebook ha paventato uno scenario ipotetico di chiusura delle sue attività in Europa in assenza di regole chiare sulla gestione dei flussi di dati.
L’istruttoria francese
La CNIL, dopo un’approfondita istruttoria, ha concluso che i trasferimenti oltre oceano dei dati non garantiscono adeguata sicurezza esponendo, di fatto, i cittadini francesi a rischi potenziali. Pertanto il Garante francese ha dichiarato che il trasferimento dei dati può avvenire in Paesi extra UE solo se sono previste garanzie adeguate.
La CNIL ha rilevato che i dati degli utenti di Internet vengono trasferiti negli USA violando, di fatto, gli articoli 44 e seguenti del GDPR. Il Garante francese ha intimato a Google Analytics di conformarsi entro un mese a quanto stabilito dal GDPR. Per quanto riguarda i servizi di misurazione e analisi dell’audience dei siti web, la CNIL ha raccomandato che questi strumenti siano utilizzati solo per produrre dati statistici anonimi, consentendo così un’esenzione dal consenso dell’interessato soltanto se il motore di ricerca garantisca che non vi siano trasferimenti illeciti.
Nuovi scenari per Google Analytics? Un dibattito destinato a rimanere acceso
È facile prevedere come la pronuncia della DSB riaccenderà un dibattito – già caldo – sull’irrisolto tema del trasferimento internazionale dei dati personali verso Paesi terzi che non possano offrire tutele analoghe a quelle accordate in UE.
Quali saranno i nuovi scenari? Si è parlato a partire da marzo 2022 di Google Analytics 4 che farebbe a meno dell’identificazione degli IP dell’utente. Nella disamina affrontata anche dal concorrente Matomo pare non vi sia soluzione di sorta nella trasmissione di dati verso gli USA. Le criticità rimangono, sebbene non vi sia trasmissione di IP i dati possono essere inviati anche tramite gli script e l’uso di identificatori vari. Il problema, quindi, rimane e gli scenari possibili per una conciliazione tra Google Analytics e GDPR sono ancora distanti e difficili da intravedere.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/pexels-lukas-669617.jpg530800Luca Arlottohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Arlotto2022-07-11 10:30:552022-07-21 13:59:06Google Analytics e GDPR: il Garante per la Privacy boccia Big G. Cosa sta succedendo in Europa
Guardare alle vecchie pratiche del marketing ci consente di osservare quanta strada abbiamo fatto e quanta strada dobbiamo ancora percorrere per raggiungere l’obiettivo primario di qualsivoglia team marketing: instaurare una relazione pertinente, unica e duratura con ciascun cliente.
Sembra molto lontano il tempo in cui il mass marketing era la pratica più utilizzata, caratterizzata dai marchi che si rivolgevano ai consumatori in maniera indifferenziata e con un’offerta concepita per generare un desiderio. Alcune tracce di questo approccio sono presenti ancora oggi, nonostante prevalga l’approccio customer centrico.
Il marketing personalizzato, o il cosiddetto marketing segmentato, che ad oggi va per la maggiore, spesso riunisce gli individui in gruppi di persone che condividono alcune caratteristiche comuni, con il risultato di inviare numerosi messaggi non sempre pertinenti.
È diventato quindi necessario ripensare a un approccio marketing che parta realmente dal singolo individuo e che si basi sulle sue esigenze specifiche. Grazie alle innovazioni e tecnologie presenti sul mercato, oggi è finalmente possibile rivolgersi in modo individualizzato verso ciascuno delle centinaia di migliaia, o addirittura milioni di clienti e potenziali presenti nel database. Questo è realizzabile grazie all’Individuation® Marketing. Un nuovo approccio, sviluppato da Splio, che consente alle aziende di rivolgersi realmente a ogni singolo individuo in tutta la sua singolarità, in modo pertinente e rispettoso grazie all’intelligenza artificiale.
In questo articolo vi presentiamo una guida inedita a cura di Splio sull’evoluzione del customer marketing. Un white paper che ci offre un viaggio nel tempo per ripercorrere l’evoluzione del marketing e le sue tappe principali: dal mass marketing, al marketing segmentato, fino al marketing individualizzato per instaurare finalmente una relazione one-to-one con la clientela grazie all’IA.
1990 – 2010 – Il marketing di massa: alle origini del customer marketing
Alle origini del marketing verso il cliente troviamo il marketing di massa – “one-to-many”: il marchio si rivolge indistintamente ai clienti, tramite un messaggio destinato a raggiungere il maggior numero di persone possibile.
L’offerta di prodotti e servizi è pensata unicamente per creare un desiderio, più che rispondere a una necessità. La comunicazione è di conseguenza incentrata principalmente sul prodotto ed è basata su una logica puramente quantitativa: sensibilizzare un numero elevato della popolazione per incentivare l’acquisto, poiché più saranno gli invii, maggiori saranno i ritorni! In questa fase la comunicazione è rappresentata per lo più dal cartaceo, in seguito i canali si estenderanno all’e-mail marketing e agli SMS.
I limiti di questo approccio non tardano ad arrivare; i consumatori cominciano a provare insofferenza verso ogni tipo di pubblicità e a non fidarsi più dei marchi. Le aziende ottengono perciò il risultato opposto e sentono l’esigenza di un cambiamento, dettato anche dall’evolversi delle piattaforme a disposizione sul mercato per la gestione dei dati.
2010 – 2020 – Il marketing segmentato: la prima trasformazione offerta dal digital
Con il marketing segmentato, il “one-to-few”, il marchio si concentra su gruppi di persone con preferenze e gusti simili, per promuovere la combinazione (promozione, contenuto, canale) che avrà più opportunità di raggiungere il migliore risultato.
Il marketing personalizzato riesce a emergere grazie all’ascesa del digitale: i marketer ora hanno a disposizione maggiori strumenti per tracciare il customer journey e comprendono l’importanza crescente dei dati a disposizione sui loro clienti. Grazie a una conoscenza approfondita sul cliente, possono quindi creare dei segmenti di pubblico ai quali inviare delle comunicazioni ad hoc.
Il marketing personalizzato rimane tuttavia legato a una logica di prodotto e un invio collettivo. Seppur l’impressione sia di ultra-personalizzare l’offerta e la comunicazione per il singolo, in realtà le campagne sono implementate dai dipartimenti marketing con la combinazione che funzionerà meglio per il segmento, a partire dal prodotto che desiderano lanciare in quel momento e dalla stagionalità. E non necessariamente la combinazione giusta per l’intero segmento, con l’effetto di rinunciare a parte della clientela, inviando loro messaggi non pertinenti.
2020 – oggi – Il marketing individualizzato: un nuovo approccio per un’activation one-to-one
Con l’avvento dell’Intelligenza artificiale, nasce il marketing individualizzato: ogni cliente diventa un segmento a sé stante grazie all’IA.
La conoscenza del cliente, potenziata quotidianamente dagli algoritmi di apprendimento, rende finalmente possibile una relazione one-to-one con la clientela. Le nuove tecnologie disponibili consentono ai marketer di ogni settore di instaurare una relazione pertinente e rispettosa con ciascuno. La piattaforma di Individuation® Marketing sviluppata da Splio, tramite degli algoritmi di machine learning, raccoglie le numerose tracce ed interazioni dai diversi touch point dei clienti, e successivamente seleziona la giusta opportunità di comunicazione, il canale preferito, la persona giusta e il momento giusto. Inviare il contenuto più rilevante a ogni individuo, questa è a promessa del marketing individualizzato!
I team del marketing, in questa nuova fase del customer marketing, possono finalmente tornare al loro ruolo strategico e concentrarsi sulla tipologia contenuti che desiderano incoraggiare, stabilendo le regole di ogni campagna, e lasciando all’Intelligenza artificiale i compiti più ripetitivi, ovvero la scelta del canale e del messaggio idoneo per ciascun cliente.
Customer Marketing: è tempo di un cambio di paradigma
Dal 2010 a oggi, abbiamo assistito a cambiamenti radicali nell’approccio al customer marketing. Le esigenze del cliente, insieme alle nuove tecnologie, hanno guidato l’evoluzione e ci introducono oggi in una nuova fase: l’Individuation® Marketing. Grazie all’IA e agli algoritmi di apprendimento, ogni cliente diventa un segmento a sé stante e dispone di un piano marketing dedicato.
È giunto quindi il momento per i marchi di ripensare completamente alla loro strategia di marketing, per potersi finalmente a relazionare individualmente con ogni persona, in modo personalizzato e pertinente. Come? Grazie ad un nuovo approccio di marketing che parte davvero dal singolo individuo e che ti consente di generare entrate incrementali da ciascuno delle centinaia di migliaia, o addirittura milioni di prospect e clienti presenti nel database.
L’8 luglio Palazzo Innovazione ospita l’associazione Digital South e Ninja Academy per un evento di divulgazione e formazione per comprendere il potenziale economico e sociale della blockchain e di Bitcoin.
Bitcoin, tutti ne parlano, ma chi davvero ne ha compreso il potenziale?
Sistema di pagamento, riserva di valore, ma anche strumento sociale che può aiutare comunità e persone a mantenere la libertà finanziaria e a trasferire valore senza intermediazione e censure.
Sarà la moneta universale del futuro? Che opportunità crea la blockchain per le aziende?
Ne discuteranno insieme a professionisti e imprenditori nel corso di un evento pubblico e gratuito che si terrà in presenza a Palazzo Innovazione, l’8 luglio dalle ore 17,30:
Riccardo Giorgio Frega, attivista, co-autore e voce insieme a Luca Berto di Bitcoin Italia Podcast, che terrà una masterclass dal titolo: “Bitcoin come strumento per disinnescare il mondo: fare impresa nel futuro che ci attende”
Laura Nori, community manager di Bitcoin People spiegherà l’utilizzo di Bitcoin come sistema di pagamento.
Mirko Pallera, fondatore di Ninja, giornalista e imprenditore, modererà il dibattito finale.
L’evento è organizzato da Digital South, associazione che riunisce imprese e professionisti del digitale e da Ninja Academy, la digital business school di Ninja Marketing, focalizzata sul potenziamento delle competenze digitali avanzate.
Riccardo Giorgio Frega, classe 1979, è un autore, divulgatore e attivista libertario italiano. Impegnato dal 2013 nella lotta antiproibizionista e da sempre appassionato di nuove tecnologie, è esperto delle possibili applicazioni della blockchain e in particolare di Bitcoin, che considera presidio importante di tutela dei diritti civili e delle libertà individuali. Dal 2018 è autore e voce del Bitcoin Italia Podcast, il primo e il più seguito podcast a tema in lingua italiana.
Laura Nori, communication designer e community manager di Bitcoin People, vede Bitcoin come il network di pagamento che rivoluzionerà la società a partire dal mondo del lavoro. Esperta di comunicazione nei social network, la sua missione è portare questa tecnologia nelle case e nelle attività di tutti.
L’evento si terrà in presenza nel Complesso Monumentale di Santa Sofia a Salerno, l’8 luglio, dalle ore 17:30. Per partecipare è necessario iscriversi all’evento a questo indirizzo.
Puoi anche seguire la diretta da questo articolo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/bitcoin-come-strumento-per-disinnescare-il-mondo-copertina.jpg626942Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2022-07-07 10:30:062022-07-08 17:39:25Bitcoin, tutti ne parlano, ma chi davvero ne ha compreso il potenziale?
Il 7 giugno 2022 la CNIL (Commission nationale de l’informatique et des libertés) ha inviato una diffida formale a diverse organizzazioni a conformarsi all’uso di Google Analytics, a causa del trasferimento dei dati negli Stati Uniti senza sufficienti garanzie per i diritti degli utenti europei. Quali sono le conseguenze per le organizzazioni?
Questa FAQ riguarda solo le decisioni di avviso formale della CNIL sull’uso di Google Analytics in seguito all’invalidazione del Privacy Shield.
La dichiarazione congiunta della Commissione europea e degli Stati Uniti del marzo 2022 su una futura decisione di regolamentare adeguatamente i flussi di dati verso gli Stati Uniti è al momento solo un annuncio politico.
Il 6 aprile il GEPD (Garante europeo della protezione dei dati) ha rilasciato una dichiarazione in cui chiarisce che tale dichiarazione non costituisce un quadro giuridico su cui le organizzazioni possono fare affidamento per trasferire i dati negli Stati Uniti.
Abbiamo programmato un webinar con un vero esperto in materia per comprendere meglio risvolti e potenziali alternative al GA Ban: Giovanni Maria Riccio, partner dello Studio Legale E-Lex.
Il sito web che utilizza il servizio Google Analytics (GA), senza le garanzie previste dal Regolamento Ue, viola la normativa sulla protezione dei dati perché trasferisce negli Stati Uniti, Paese privo di un adeguato livello di protezione, i dati degli utenti.
Lo ha affermato il Garante per la privacy a conclusione di una complessa istruttoria avviata sulla base di una serie di reclami e in coordinamento con altre autorità privacy europee. Dall’indagine del Garante è emerso che i gestori dei siti web che utilizzano GA raccolgono, mediante cookie, informazioni sulle interazioni degli utenti con i predetti siti, le singole pagine visitate e i servizi proposti.
Tra i molteplici dati raccolti, indirizzo IP del dispositivo dell’utente e informazioni relative al browser, al sistema operativo, alla risoluzione dello schermo, alla lingua selezionata, nonché data e ora della visita al sito web. Tali informazioni sono risultate oggetto di trasferimento verso gli Stati Uniti.
Nel dichiarare l’illiceità del trattamento è stato ribadito che l’indirizzo IP costituisce un dato personale e anche nel caso fosse troncato non diverrebbe un dato anonimo, considerata la capacità di Google di arricchirlo con altri dati di cui è in possesso.
All’esito di tali accertamenti il Garante ha adottato il primo di una serie di provvedimenti con cui ha ammonito Caffeina Media S.r.l. che gestisce un sito web, ingiungendo alla stessa di conformarsi al Regolamento europeo entro novanta giorni. Il tempo indicato è stato ritenuto congruo per consentire al gestore di adottare misure adeguate per il trasferimento, pena la sospensione dei flussi di dati effettuati, per il tramite di GA, verso gli Stati Uniti.
Il Garante ha evidenziato, in particolare, la possibilità, per le Autorità governative e le agenzie di intelligence statunitensi, di accedere ai dati personali trasferiti senza le dovute garanzie, rilevando al riguardo che, alla luce delle indicazioni fornite dall’EDPB (Raccomandazione n. 1/2020 del 18 giugno 2021), le misure che integrano gli strumenti di trasferimento adottate da Google non garantiscono, allo stato, un livello adeguato di protezione dei dati personali degli utenti.
Con l’occasione l’Autorità richiama all’attenzione di tutti i gestori italiani di siti web, pubblici e privati, l’illiceità dei trasferimenti effettuati verso gli Stati Uniti attraverso GA, anche in considerazione delle numerose segnalazioni e quesiti che stanno pervenendo all’Ufficio. E invita tutti i titolari del trattamento a verificare la conformità delle modalità di utilizzo di cookie e altri strumenti di tracciamento utilizzati sui propri siti web, con particolare attenzione a Google Analytics e ad altri servizi analoghi, con la normativa in materia di protezione dei dati personali.
Allo scadere del termine di 90 giorni assegnato alla società destinataria del provvedimento, il Garante procederà, anche sulla base di specifiche attività ispettive, a verificare la conformità al Regolamento Ue dei trasferimenti di dati effettuati dai titolari.
Cosa dobbiamo imparare dalle comunicazioni formali emesse dalla CNIL
Il contesto
Il 16 luglio 2020, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha emesso un’importante sentenza: il Privacy Shield, che regolava i trasferimenti di dati tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, è stato invalidato perché non offriva garanzie adeguate contro il rischio di accesso illecito da parte delle autorità americane ai dati personali dei residenti europei.
Solo se le organizzazioni adottano ulteriori garanzie tecniche, legali e organizzative per impedire tale accesso, tali trasferimenti potrebbero essere effettuati nella pratica.
Nell’agosto 2020, NOYB ha presentato 101 reclami a varie autorità europee per la protezione dei dati su siti web che utilizzano, tra gli altri, il diffusissimo strumento di analisi web Google Analytics, la cui società madre ha sede negli Stati Uniti.
La decisione
Nella comunicazione formale emessa il 10 febbraio 2022 in merito a una di queste organizzazioni, la CNIL ha ritenuto che :
le misure messe in atto da Google non sono sufficienti a escludere la possibilità di accesso ai dati dei residenti europei; i dati degli utenti
europei di Internet vengono quindi trasferiti illegalmente attraverso questo strumento.
Perché l’avviso pubblicato online è stato reso anonimo?
Una delle comunicazioni formali relative all’uso di Google Analytics è stata pubblicata in forma anonima sul sito web della CNIL il 16 febbraio 2022.
La decisione è stata resa anonima perché non è sembrato utile nominare un particolare editore di siti web, dato che lo strumento è ampiamente utilizzato.
L’obiettivo è che tutti i responsabili del trattamento dei dati che utilizzano questo strumento siano conformi.
Le organizzazioni hanno una scadenza per la conformità?
Le organizzazioni notificate hanno un mese di tempo per conformarsi e giustificare tale conformità alla CNIL. Questo periodo di un mese può essere rinnovato su richiesta delle organizzazioni interessate.
Tutti i responsabili del trattamento dei dati che utilizzano Google Analytics in modo simile a queste organizzazioni devono ora considerare questo uso come illegale ai sensi del GDPR.
Dovrebbero quindi rivolgersi a un fornitore che offra sufficienti garanzie di conformità
Questa interpretazione delle conseguenze della sentenza “Schrems II” della CNIL è condivisa a livello europeo?
Al fine di armonizzare le decisioni e fornire certezza giuridica alle parti interessate, le autorità europee che hanno ricevuto reclami dall’associazione NOYB (none of your business) sul tema dei trasferimenti di Google Analytics si sono organizzate in un gruppo di lavoro per esaminare insieme le questioni legali sollevate in questi casi e coordinare le loro posizioni e decisioni.
La decisione della CNIL non è la prima a livello europeo: un mese prima della CNIL, l’autorità austriaca per la protezione dei dati ha emesso a gennaio una prima decisione che va nella stessa direzione di quella dell’autorità francese.
Perché i reclami presentati dall’associazione NOYB non sono stati trattati contemporaneamente?
Tutti i reclami presentati dall’associazione NOYB e deferiti alla CNIL sono stati esaminati in modo coordinato: tuttavia, le situazioni sono state esaminate caso per caso e in base alle risposte fornite dalle organizzazioni.
Tutte le organizzazioni francesi il cui utilizzo di Google Analytics è stato oggetto di reclami da parte della NOYB hanno ricevuto una notifica formale.
Esistono clausole contrattuali standard e garanzie aggiuntive per consentire l’utilizzo di Google Analytics?
Gli intervistati avevano stabilito con Google clausole contrattuali standard, che Google offre di default agli utenti di questa soluzione. Queste clausole contrattuali standard non possono da sole fornire un livello di protezione sufficiente in caso di richiesta di accesso da parte di autorità straniere, in particolare se tale
accesso è previsto dalle leggi locali.
Nella sua risposta alle richieste della CNIL, Google ha indicato di aver messo in atto misure legali, organizzative e tecniche aggiuntive, che tuttavia sono state ritenute insufficienti a garantire
l’effettiva protezione dei dati personali trasferiti, in particolare contro le richieste di accesso ai dati da parte dei servizi segreti statunitensi.
È possibile impostare lo strumento Google Analytics in modo che i dati personali non vengano trasferiti al di fuori dell’Unione Europea?
No. In risposta al questionario inviato dalla CNIL, Google ha indicato che tutti i dati raccolti tramite Google Analytics sono ospitati negli Stati Uniti.
Anche in assenza di trasferimento, l’utilizzo di soluzioni offerte da aziende soggette a giurisdizioni extra-UE può comportare difficoltà in termini di accesso ai dati. In effetti, le organizzazioni
possono essere obbligate dalle autorità di paesi terzi a divulgare i dati personali ospitati su server situati nell’UE.
L’articolo 48 del GDPR limita tale divulgazione ai casi in cui il Paese terzo richiedente e l’UE o lo Stato membro interessato siano parti di un accordo internazionale che preveda tale divulgazione.
È possibile impostare Google Analytics in modo che trasferisca solo dati anonimi negli Stati Uniti?
Nel contesto della comunicazione formale, Google ha indicato che utilizza misure di pseudonimizzazione, ma non di anonimizzazione. Google offre l’anonimizzazione degli indirizzi IP, ma non è applicabile a tutti i trasferimenti. Inoltre, dalle prove fornite da Google non è chiaro se questa anonimizzazione avvenga prima del trasferimento negli Stati Uniti.
Inoltre, il semplice utilizzo di identificatori univoci per differenziare gli individui può rendere i dati identificabili, soprattutto se combinati con altre informazioni come i metadati del browser e del sistema operativo. Questi dati consentono di tracciare con precisione gli utenti, in alcuni casi su più dispositivi.
Se il GEPD ammette nelle sue raccomandazioni del 18 giugno 2021 la possibilità di utilizzare la pseudonimizzazione come misura supplementare, il suo utilizzo è soggetto a un’analisi volta a garantire che tutte le informazioni trasmesse non consentano in alcun modo la reidentificazione della persona, anche tenendo conto dei mezzi sostanziali a disposizione delle autorità che potrebbero voler effettuare tale reidentificazione.
Infine, l’uso congiunto di Google Analytics con altri servizi di Google, in particolare con i servizi di marketing, può aumentare il rischio di tracciamento. In effetti, questi servizi, molto diffusi in Francia, possono consentire un controllo incrociato dell’indirizzo IP e quindi tracciare la cronologia di navigazione della maggior parte degli utenti di Internet su un gran numero di siti.
Differenza tra anonimizzazione e pseudonimizzazione
La pseudonimizzazione è il trattamento dei dati personali in modo tale che non sia più possibile attribuirli a una persona fisica senza ulteriori informazioni. In pratica, la pseudonimizzazione consiste nel sostituire i dati direttamente identificativi (cognome, nome, ecc.) in un set di dati con dati indirettamente identificativi (alias, numero sequenziale, ecc.).
L’anonimizzazione consiste nell’utilizzare un insieme di tecniche in modo tale da rendere impossibile, in pratica, l’identificazione della persona con qualsiasi mezzo e in modo irreversibile. I dati anonimizzati non sono più soggetti al GDPR.
La crittografia potrebbe essere una garanzia aggiuntiva sufficiente?
Sì, ma a determinate condizioni. L’implementazione della crittografia dei dati da parte di Google si è rivelata una misura tecnica insufficiente, in quanto Google LLC stessa cripta i dati ed è obbligata a consentire l’accesso o a fornire i dati importati in suo possesso, comprese le chiavi di crittografia necessarie per rendere i dati intelligibili. Poiché Google LLC mantiene la possibilità di accedere ai dati delle persone in chiaro, tali misure tecniche non possono essere considerate efficaci in questo caso.
La crittografia è quindi una garanzia aggiuntiva insufficiente se l’organizzazione soggetta alle richieste delle autorità statunitensi può accedere ai dati personali in chiaro.
Affinché la crittografia sia considerata una salvaguardia aggiuntiva sufficiente, le chiavi di crittografia dovrebbero, tra l’altro, essere tenute sotto il controllo esclusivo dell’esportatore dei dati o di altri soggetti stabiliti in un territorio che offra un livello di protezione adeguato.
Ci sono sufficienti garanzie aggiuntive per continuare a utilizzare il solo strumento di Google Analytics?
Nessuna delle garanzie aggiuntive presentate alla CNIL nel contesto della messa in mora impedirebbe o renderebbe inefficace l’accesso dei servizi di intelligence statunitensi a i dati personali degli utenti europei quando si utilizza esclusivamente lo strumento Google Analytics.
Tuttavia, può essere possibile una soluzione che preveda il coinvolgimento di un server proxy per evitare il contatto diretto tra il terminale dell’utente Internet e i server dello strumento di misura. Tuttavia, occorre garantire che questo server soddisfi una serie di criteri per poter ritenere che questa misura aggiuntiva sia in linea con quanto previsto dal GEPD nelle sue raccomandazioni del 18 giugno 2021.
È possibile continuare a trasferire i dati con il consenso esplicito delle persone?
Il consenso esplicito degli interessati è una delle possibili deroghe previste per alcuni casi specifici dall’articolo 49 del GDPR. Tuttavia, come indicato nelle linee guida del Comitato europeo per la protezione dei dati su queste deroghe, esse possono essere utilizzate solo per trasferimenti non sistematici e non possono costituire una soluzione permanente e a lungo termine, in quanto il ricorso a una deroga non può diventare la regola generale.
Esistono strumenti alternativi?
La CNIL ha pubblicato un elenco di strumenti di misurazione dell’audience che, se correttamente configurati, possono essere esenti dal consenso.
Questo elenco comprende strumenti che hanno già dimostrato alla CNIL di poter essere configurati in modo da limitarsi a quanto strettamente necessario per la fornitura del servizio, e quindi di non richiedere il consenso dell’utente, ai sensi dell’articolo 82 della legge sulla protezione dei dati.
Tuttavia, questo elenco non prende attualmente in considerazione le questioni sollevate dai trasferimenti internazionali, comprese le conseguenze della sentenza “Schrems II”.
Come garantire che gli strumenti di misurazione dell’audience non trasferiscano i dati a un paese terzo non appropriato?
Nel caso in cui lo strumento previsto trasferisca dati al di fuori dell’Unione Europea o la società che pubblica lo strumento abbia legami patrimoniali o organizzativi con una società madre situata in un paese che prevede la possibilità per i servizi di intelligence di richiedere l’accesso a dati personali situati in un altro territorio, è necessario valutare il quadro giuridico del paese terzo.
Questa valutazione può basarsi su :
decisioni della CGUE o della Corte europea dei diritti dell’uomo, che hanno potuto valutare la conformità di determinate legislazioni agli standard europei di protezione dei dati;
le raccomandazioni della CNIL europea, che hanno, ad esempio, dettagliato le garanzie essenziali che devono essere presenti nel Paese terzo quando si valuta il livello di protezione dei dati.
È inoltre possibile utilizzare il metodo della proxyfication che, se correttamente configurato, consente di inviare a un server al di fuori dell’Unione europea solo dati pseudonimizzati.
I responsabili del trattamento possono adottare un approccio basato sul rischio, tenendo conto della probabilità di richieste di accesso ai dati?
No. I dati personali trasferiti in un Paese al di fuori dell’Unione Europea devono beneficiare di un livello di protezione “sostanzialmente equivalente” a quello garantito nell’UE.
In particolare, la possibilità di un accesso illegale ai dati personali che vada oltre quanto necessario e proporzionato in una società democratica da parte delle autorità pubbliche mina gravemente i diritti e le libertà fondamentali degli interessati.
Nel caso in cui tale accesso sia possibile (e non solo quando l’accesso è probabile) e le garanzie che circondano l’emissione di richieste di accesso ai dati non siano sufficienti ad assicurare un livello di protezione dei dati sostanzialmente equivalente a quello garantito nell’UE (si vedano le raccomandazioni del GEPD sulle garanzie essenziali), sono necessarie misure tecniche aggiuntive per rendere tale accesso impossibile o inefficace.
Queste misure sono previste dalle raccomandazioni sulle misure complementari ai trasferimenti del Comitato europeo per la protezione dei dati.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/Google-Analytics-cosa-dice-il-garante.jpg626937Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2022-07-06 11:19:042022-07-21 14:01:39Ecco cosa dice il Garante: no, non basta utilizzare Google Analytics 4 per essere in regola
L’era del Web 3.0 può definirsi iniziata, anche se per il momento sono per lo più investitori, venture capitalist, ingegneri e tecno-sognatori i veri pionieri di questa nuova frontiera che sarà certamente più aperta e democratica, libero da censure e vincoli, fondato su blockchain e protocolli decentralizzati. Il Web 3.0 promette di essere un luogo più inclusivo e concorrenziale, indipendente dalle Big tech e in grado di consentire a tutti di riappropriarsi dei dati e forse di monetizzare qualunque cosa su Internet. Premessa che può essere rafforzata anche dal cambiamento di operazioni quotidiane che tutti noi svolgiamo, come l’utilizzo di un browser web invece di un altro.
Browser decentralizzati: di cosa si tratta
Proprio nell’ottica sopra descritta sembra quasi un paradosso che in un web “libero” si debbano usare strumenti di navigazione “centralizzati” e il discorso riguarda proprio i nostri browser di navigazione che allo stato attuale non stanno solo sfruttando gli utenti, ma sono anche al limite per quanto riguarda la tutela della privacy.
Il Web 3.0 si configura come una rete dove i contenuti, i servizi e qualsiasi genere di informazione non verranno più conservati su server e piattaforme che appartengono a multinazionali di grandissime dimensioni, ma “sparpagliati in maniera omogenea” sulla rete tra infiniti nodi.
Proprio grazie alla decentralizzazione, gli utenti potrebbero finalmente monetizzare la condivisione dei dati. Infatti, ogni genere di contenuto, da un MP3, ad una foto delle vacanze resterebbe nelle mani dei legittimi autori, e non finirebbero più tra gli algoritmi delle varie piattaforme, come Tik Tok, Instagram e YouTube.
Nel Web 3.0, i dispositivi non si connetteranno più a server centrali, ma a registri distribuiti in rete sui quali si trovano tutte le informazioni desiderate, senza dover reperire dati sui server di alcuna azienda.
Perché ne parliamo
Lo strumento che trasferisce tutte queste informazioni alle strutture centralizzate e decentralizzate è il caro e amato browser, che ogni giorno utilizziamo per navigare nel web ed eseguire infinite operazioni.
L’importanza legata alla rivoluzione del Web 3.0 sta proprio nel protocollo IPFS che è il tassello che consentirà di rendere i contenuti web molto più a prova di errori e alle censure.
Come dichiarato da Molly Mackinlay, responsabile del progetto IPFS:
“Oggi, gli utenti Web di tutto il mondo non sono in grado di accedere a contenuti con limitazioni, comprese, ad esempio, parti di Wikipedia in Thailandia, oltre 100.000 siti web bloccati in Turchia e l’accesso critico alle informazioni COVID-19 in Cina – Ora chiunque disponga di una connessione Internet può accedere a queste informazioni critiche tramite IPFS sul browser Brave“.
Un velocissimo chiarimento, il web tradizionale si fonda sul protocollo HTTP (o HTTPS) progettato per consentire ai browser di accedere alle informazioni sui server centrali, mentre il protocollo IPFS consente di accedere su una rete di nodi distribuiti.
Perché è importante
Sappiamo che i dati personali presenti all’interno di una blockchain non sono modificabili, ma può succedere (e la legge lo prevede) che un singolo utente possa richiedere la modifica di tali dati o di una parte di essi. In tale caso come possiamo modificare una struttura che per la sua dimensione è immutabile?
Altro aspetto da tenere presente sta nel fatto che i dati personali inseriti in una blockchain sono pubblici e consultabili da tutti i partecipanti, anche questo aspetto sembra in antitesi con il grado di sicurezza che la blockchain dovrebbe garantire.
Ancora, come esercitare il diritto all’oblio con i dati immessi in una blockchain data l’immutabilità della tecnologia blockchain?
Insomma, servirebbe una blockchain che possa essere compliant al G.D.P.R. il che rappresenta allo stato attuale un problema che porta i due argomenti privacy e blockchain a correre su due binari paralleli.
Una soluzione potrebbe essere la creazione di un sistema di crittografia dei dati personali con successiva eliminazione delle chiavi de-crittografiche, in modo tale che possano essere lasciati unicamente i dati indecifrabili oppure l’utilizzo dei cosiddetti modelli di memoria “fuori catena” o ancora l’impiego di “smart contract”.
Insomma il dibattito è aperto e oggetto di evoluzioni all’ordine del giorno.
Browser decentralizzati, cosa c’è da sapere
I nuovi browser che garantiscono la privacy degli utenti nascono con l’intento di consentire la navigazione nel Web 3.0, ma i problemi a cui abbiamo accennato sono tutt’altro che risolti.
Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza.
Molte aziende, proprietarie dei browser più noti come Opera, Google, Microsoft stanno già dando luogo ad upgrade dei loro browser per consentire agli utenti di navigare nel Web 3.0 o per lo più di accedere ai propri portafogli o wallet digitali, fornendo un modo più sicuro per proteggere le proprie informazioni e la propria privacy.
I browser pensati per il Web 3.0 sono fondamentalmente delle applicazioni decentralizzate dette anche dApp, che consentono di utilizzare le tradizionali funzioni dei browser, ma permettono di mantenere il controllo dei propri dati e di trattenere la maggior parte delle relative monetizzazioni attraverso i dati.
Proprio in ottica di protezione dati e privacy nel Web 3.0 va citato il browser Klever, sconosciuto a molti, ma più avanti rispetto ai più blasonati competitor, che consente di connettersi a portafogli blockchain di Ethereum e Tron in modo molto sicuro e protetto, esplorare l’ universo dei protocolli finanziari decentralizzati, scoprire siti e social media di nuova generazione, accedere a token, raccogliere NFT e trovare i migliori strumenti di sviluppo blockchain.
Altro browser sviluppato per il Web3.0, primo ad integrare nativamente il protocollo peer-to-peer IPFS (InterPlanetary File System), che stravolgerà radicalmente il funzionamento di Internet, è Brave.
Come possiamo ben vedere, questi browser non risolvono i problemi di cui discusso sopra tra privacy e blockchain, il modo attraverso il quale tutelano la privacy degli utenti è data da sistemi che bloccano annunci e tracker così da evitare che questi possano seguirci da un sito all’altro.
Sono forniti poi da sistemi che in totale autonomia eliminano i cookie non necessari, rendendo in questo modo il proprio browser difficile da riconoscere e, come se non bastasse, bloccano i codici e siti dannosi aggiornando le connessioni sicure sui siti che le supportano.
Ninja Upshot
Browser come Mozilla, Opera Crypt, Brave, Klever integrano wallet o portafogli digitali connessi alle più note blockchain come Ethereum, Solana per effettuare in totale sicurezza qualsiasi operazione legata all’utilizzo delle cripto valute e alla gestione di asset digitali come gli NFT.
Il vero passaggio che determinerà l’evoluzione dei browser di navigazione verso le blockchain con la possibilità di utilizzare quest’ultime per veicolare e modificare i dati sensibili degli utenti, è un discorso ancora lontano, legato comunque alla necessità di risolvere i conflitti tra blockchain, GDPR e privacy.
Il discorso è comunque aperto e si cerca di rendere la normativa sulla privacy e il GDPR sempre più vicino al mondo delle blockchain, man mano che anche queste evolvono tecnologicamente avvicinandosi sempre più a risolvere le esigenze quotidiane di tutti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/06/Browser-decentralizzati.jpg6241122Antonio Romanohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAntonio Romano2022-07-06 10:30:572022-07-21 14:02:26Browser Web: le alternative (decentralizzate) a Chrome
Nel corso degli anni l’Influencer Marketing si è evoluto. Da novità che genera curiosità a tattica di marketing ormai radicata nelle aziende e nelle organizzazioni che puntano alla visibilità online.
Questa trasformazione ha fatto sì che anche il modo in cui le campagne di Influencer Marketing vengano gestite con più consapevolezza.
Dieci anni fa i brand hanno iniziato a collaborare con gli influencer per raggiungere il proprio target sui social media e creare programmi di marketing più autentici come alternativa al tradizionale Paid Advertising. Spesso senza troppa cognizione di causa, senza dare troppa importanza alle capacità comunicative dei creator e sottovalutando ciò che poi si è rivelato essere molto più di un trend.
Oggi vediamo aziende, imprese, professionisti e organizzazioni espandere il loro potenziale di visibilità riducendo la loro dipendenza da alcune piattaforme per sperimentare altri canali emergenti.
Luoghi digitali che permettono una rapida crescita organica nel momento in cui il brand riesce a gestire community diverse che rispondono a una specifica organizzazione, diversa dal tradizionale presidio dei classici social.
Ad esempio ciò significa creare prodotti, offrire esperienze e raccontare storie create insieme alla community del brand.
Ogni volta che si invia un messaggio, questo deve offrire valore al destinatario per poter riscuotere successo. Comunicare in maniera genuina e sinceramente attenta alle persone è il modo più diretto per entrare in contatto con il proprio pubblico.
Dato che i brand cercano di approfondire le relazioni con i clienti, una community rappresenta il canale più potente per questo scopo.
I referral generati all’interno di una community hanno un valore 3 volte superiore rispetto a quelli che derivano da altri canali e azioni di marketing.
Investire in una community – invece di limitarsi solo alla pubblicità a pagamento – favorisce la fidelizzazione dell’utente e sostiene una solida crescita organica a lungo termine.
Dalla transazione allo storytelling
Gli ultimi due anni hanno costretto anche i marketer a fare i conti con restrizioni e distanziamenti.
Un momento storico in cui spingere con energia alla vendita diretta non è esattamente la mossa migliore per un brand.
Ecco perché è fondamentale investire le proprie risorse su una tipologia di marketing che aiuta a entrare davvero in contatto con le persone potenzialmente interessate ai prodotti o servizi di un’azienda. Mettere a frutto i proprio sforzi comunicativi di brand attraverso la creazione di una community significa:
chiedere quali contenuti sono più preziosi e utili al proprio target di riferimento;
cosa vogliono vedere le persone in relazione ai prodotti o i servizi di un’azienda;
proporre offerte personalizzate e che rispettano le esigenze e le necessità – soprattutto in seguito a un periodo così difficile e faticoso.
In sostanza, adattare i messaggi del brand affinché riflettano il desiderio e le aspirazioni delle pubblico di riferimento significa lavorare per cementificare le basi della propria community.
Significa che l’Influencer Marketing è morto?
No affatto!
Sia gli influencer che i brand seguono lo stesso funnel di marketing per intercettare e convertire l’utente finale. Presidiano le stesse piattaforme, parlano allo stesso pubblico, lavorano con strutture e dinamiche comunicative spesso molto simili.
La collaborazione temporanea tra brand e influencer ha ancora senso di esistere soprattutto nel momento in cui una campagna one-shot è focalizzata su una nicchia estremamente verticale e ben circoscritta.
Tuttavia, esiste un modo migliore con cui brand e influencer possono collaborare tra loro per ottenere performance di marketing (ovvero engagement) più durature nel tempo: lavorare verso la creazione di community.
Significa integrare due forze comunicative di grande impatto in un’unica strategia di marketing online. Un po’ come quando i supereroi decidono di unire le proprie forze, i propri strumenti e i propri superpoteri per salvare l’umanità da una minaccia insuperabile.
Aziende e influencer, insieme per la costruzione di una brand community!
Marketing autentico oggi e domani
Oggi i consumatori vogliono essere coinvolti nel processo di sviluppo di un brand. Non si tratta solo di umanizzare l’azienda e adottare un approccio customer-centric.
Costruire relazioni autentiche tra brand, creator e il loro pubblico è il punto di partenza.
L’Influencer Marketing ha raggiunto uno scenario standard in cui gran parte del semplice posizionamento di prodotto avviene su Instagram mentre le connessioni più profonde e autentiche si trovano su YouTube o su piattaforme più verticali, come Twitch o TikTok.
Ecco perché le aziende dovrebbero iniziare a ottimizzare gli strumenti con cui cercare e ingaggiare gli influencer delle campagne di marketing per catalizzare le loro potenzialità di visibilità e costruire – proprio a partire da loro – una robusta fanbase.
I migliori risultati derivano dalla creazione di contenuti unici, fatti su misura, personalizzati per un pubblico specifico. Ecco il valore aggiunto che può dare l’Influencer Marketing verso la costruzione di una brand-community.
I brand moderni hanno l’opportunità di offrire esperienze e raccontare storie, co-creandole con creator, ambassador e influencer in grado di cementare le relazioni con i loro clienti.
Influencer Marketing: la vera sfida della creazione di una Community
Il vantaggio di lavorare con gli influencer a lungo termine supera il ritorno generato da una collaborazione una tantum. Ma ci sono alcuni fattori da considerare. In primo luogo, la costruzione di una community implica la sua costante manutenzione e gestione.
Un brand deve essere capace di ascoltare efficacemente la community e guidare gli influencer al suo interno affinché da semplici follower diventino brand ambassador e sostenitori.
Perciò il processo di selezione, verifica, comunicazione e tracciamento non può essere lasciato al caso. Diversamente, non sarebbe possibile quantificare i risultati e poter decidere quale strada intraprendere per una comunicazione davvero incisiva dell’azienda sulle piattaforme social.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2016/12/socialmedia_community.jpg6761013Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2022-07-05 13:00:162022-07-06 10:47:59Perché il futuro dell'Influencer Marketing è la Community
Quando si tratta di interagire online con un pubblico particolarmente ampio, i video sono un format must-have per i brand di tutto il mondo e una strategia di video marketing risulta indispensabile.
Fare leva sulle emozioni e sull’immediatezza del messaggio sembra essere la chiave del successo, soprattutto nel contesto dei canali di comunicazione digitale. Il mondo di oggi è popolato da consumatori sempre più fruitori di contenuti video, e pertanto, gli inserzionisti si trovano di fronte alla difficile sfida di creare contenuti video volti non solo a catturarne l’attenzione , ma anche a conquistarne i cuori e l’immaginazione.
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Digital Content del Politecnico di Milano (School of Management), il mercato dei video italiano ha superato i 1.3 miliardi di Euro nel 2021: 4 utenti online italiani su 5 guardano contenuti video (in aumento di 7 punti percentuali rispetto al 2020). Questi dati suggeriscono che il video marketing occupa un posto importante che non va sottovalutato.
Inoltre, cresce anche la spesa pubblicitaria associata alla distribuzione di video: l’advertising registra aumento del +11% per un valore complessivo di 510 milioni di Euro. Si tratta, pertanto, di un mercato in forte espansione e che non ha ancora terminato il suo percorso evolutivo: anzi, lo scenario continuerà a mutare in virtù di numerose sfide che i protagonisti del settore dovranno affrontare nel prossimo futuro.
Tutto questo diventa ancora più rilevante se il target desiderato sono i più giovani. Nonostante la continua richiesta online per foto d’impatto, sono i video a dominare nel panorama online della Gen Z e dei Millennial. A differenza delle generazioni prima di loro, non hanno mai conosciuto un mondo senza la tecnologia digitale, cosa che li ha resi dei consumatori consapevoli, in grado di capire meglio i retroscena della creazione di contenuti digitali rispetto alle controparti più adulte.
“Abbiamo rilevato nell’ultimo anno un aumento significativo, sia per gli utenti, sia per i brand, della creazione e fruizione di contenuti video: le persone infatti cercano sempre più fonti di ispirazione immersive e coinvolgenti. La popolarità dei format video incentiva le aziende a creare più contenuti video e, di conseguenza, i marketer, i creator e chiunque voglia veicolare un messaggio destinato alla prossima generazione di consumatori deve investire nella creazione di contenuti di questa tipologia. Pinterest è una piattaforma molto più efficace rispetto ad altre nel raggiungere un pubblico mirato. Secondo una ricerca condotta in Italia da Pinterest e Dentsu, i contenuti pubblicitari video su Pinterest hanno una visibilità 9 volte maggiore e un tasso di finalizzazione di 3,5 volte superiore rispetto alle altre piattaforme. Questa efficacia deriva dal fatto che il pubblico di Pinterest è particolarmente ricettivo a contenuti pubblicitari d’ispirazione.” – Christian Cochs, Head of Sales per Italia e Spagna a Pinterest.
Per supportare al meglio gli advertiser, Pinterest fornisce 7 consigli sulla realizzazione di video coinvolgenti, basandosi sui contenuti più efficaci e più seguiti nello scorso anno sulla piattaforma.
Stabilire i propri obiettivi di business: è necessario tenere sempre a mente i propri obiettivi commerciali per capire cosa si vuole ottenere con i propri video: avere un impatto elevato, attirare l’attenzione (con video brevi e incisivi), oppure fornire una versione più estesa ed educativa.
I video esteticamente curati attirano maggiormente l’attenzione: poiché i primi secondi sono cruciali per catturare l’attenzione dell’utente, indipendentemente da tema del video, occorre sempre puntare a scatti di alta qualità estetica. Tuttavia, non va dimenticato che gli utenti non ricercano solo ed esclusivamente questo: avere un ampio range di contenuti, così come di suggerimenti e trucchi del mestiere, permette di attirare tutti i tipi di spettatori da tutto il mondo.
Conoscere i propri clienti: per poter arrivare con i propri contenuti ad un pubblico più targettizzato, è fondamentale conoscerlo al meglio. Dato il superamento dell’idea di un tradizionale profilo del pubblico, è necessario informarsi sulle nuove abitudini dei consumatori e sulle proprie aspettative. Si tratta di un’operazione molto semplice, che può partire banalmente dalla scelta delle palette di colori e parole più attraenti per il pubblico a cui ci si vuole rivolge.
Conoscere i propri numeri: avere un profilo business su Pinterest permette a brand e creator di avere accesso non solo a funzionalità aggiuntive, ma anche a statistiche, uno strumento indispensabile per capire cosa i Pinner vogliono, cercano e apprezzano. Per esempio, si possono analizzare dati raccolti settimanalmente per vedere quali Pin danno migliori risultati e quali funzionalità possono aiutare ad ottimizzare la performance.
Selezionare i giusti ingredienti e lasciarsi ispirare: diversi tipi di pubblico reagiscono diversamente a diversi tipi di video. Dai contenuti generati dagli utenti ai video che rimandano a ad altri contenuti contentiinformazioni aggiuntive, occorre prestare attenzione a tutti gli elementi del video. Pinterest è un ottimo strumento non solo per indirizzare il traffico e ispirare gli utenti, ma anche per ispirare il lavoro di brand e creator. I report di Pinterest, come, per esempio Pinterest Predicts, sono tutte fonti d’informazione significative a livello globale e locale, da poter sfruttare se si è alla ricerca di nuove idee.
Osservareciò che le persone stanno cercando: può essere d’aiuto, nella definizione del taglio dei propri video, osservare ciò che il pubblico in target sta cercando al momento sulla piattaforma. La newsroom di Pinterest è uno spazio utile per inquadrare le tendenze più seguite del momento, come per esempio la stagione dei matrimoni. Le ricerche delle celebrazioni festive aumentano su Pinterest dai 2 ai 3 mesi prima: del resto, la pianificazione in anticipo, come piace ai Pinner, è qualcosa di imprescindibile; a tal fine, i brand possono aggiungere ai propri contenuti descrizioni, hashtag, link alle bacheche e sezioni specifiche.
Essere veloci e facilmente fruibili: i video dovrebbero durare idealmente dai 45 secondi ai 3 minuti, mantenere un equilibrio tra divertimento e informazioni, e preferibilmente, essere registrati in modalità verticale. Nel caso di collaborazioni con creator apprezzati dal pubblico in target oppure di invito ad acquistare un prodotto, è sempre importante realizzare contenuti video che incoraggino un’azione, ma soprattutto coinvolgenti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/video-marketing-copertina.jpg629947Pinteresthttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngPinterest2022-07-05 10:30:472022-07-05 09:27:52Video marketing: perché i video sono un must-have per i brand che vogliono raggiungere un pubblico giovane
Spotify ha pubblicato la quarta edizione di Culture Next, il report annuale globale sulle tendenze che definiscono la Generazione Z e i Millennial.
Per questa edizione, Spotify ha deciso di occuparsi delle tendenze culturali che si stanno diffondendo all’interno della Gen Z, in Italia e nel mondo, per poter fornire agli inserzionisti uno sguardo ravvicinato su ciò che ispira e motiva i giovani di oggi e sul futuro del mondo dell’audio in generale.
Perché anche quest’anno Spotify ha deciso di studiare la Generazione Z e i Millennial
Solo nel primo trimestre del 2022, gli utenti di età compresa tra i 18 e i 24 anni hanno già ascoltato più di 578 miliardi di minuti di musica su Spotify – più di qualsiasi altra fascia di età – e circa 16 miliardi di minuti in più rispetto ai Millennial nello stesso anno.
A differenza delle altre piattaforme social, che si concentrano su continui confronti, like e interazioni di qualsiasi tipo, l’audio digitale offre agli Z uno spazio per capire meglio se stessi e per immergersi in contenuti audio capaci di trasportarli in altre dimensioni, in altri tempi, magari quelli del passato, percepiti come più semplici e facili.
Dalla ricerca, infatti, emerge che il 73% degli Z ascolta ed utilizza l’audio per connettersi meglio con sé stesso e il 68% ha dichiarato di ascoltare e guardare contenuti legati ai decenni passati, proprio perché rimandano loro a “quando le cose erano meno complicate”.
Nel Culture Next di quest’anno, Spotify va ancora più a fondo nella Gen Z, intesa come trendsetter, fan e soprattutto gruppo di persone e individui che esplora e definisce il proprio mondo tramite l’audio. Il tutto, per permettere a brand e inserzionisti di comprendere meglio le nuove generazioni e trovare il giusto punto di incontro con loro.
Alcuni dei principali risultati di Culture Next in Italia e nel mondo:
1. Confrontando i dati con il report dello scorso anno, la Generazione Z in Italia ha più probabilità della controparte Millennial di descrivere la propria generazione come “stressata” (70% contro il 53%). Infatti, la salute mentale, il genere di podcast preferito a livello mondiale dalla Generazione Z, ha assistito a una notevole crescita in Italia con un incremento del 73% nel numero di ascoltatori nel solo primo trimestre del 2022, rispetto all’anno precedente.
La Gen Z nel mondo è più propensa dei Millennial a descriversi come “stressata” (67% contro 48%).
Il 67% di questa utilizza i contenuti audio (musica, podcast, ecc.) per affrontare stress e ansia, mentre il 57% dei membri della Gen Z ascolta i podcast per trovare conforto, calmarsi o rilassarsi.
Il 61% degli utenti di età compresa tra i 18 e i 24 anni in Italia afferma di ascoltare podcast per trovare le risposte a domande difficili o personali prima di parlarne con la propria famiglia, mentre il 69% dello stesso gruppo afferma di ascoltare contenuti audio per ricavare informazioni di cui discutere con i propri amici.
2. Oltre un terzo dei membri della Gen Z (42%) ritiene di essere nato nel decennio sbagliato. Inoltre, un sorprendente 59% crede che la vita fosse migliore prima dei social media, nonostante la maggior parte di questa non abbia mai sperimentato un mondo non-connesso. Infatti, se le vecchie generazioni ricordano il passato come qualcosa di statico, semplicemente da ricordare, la Gen Z sta reinventando la nostalgia, prendendola e trasformandola in qualcosa di unico e personale.
Il 58% dei più “adulti” tra i ragazzi appartenenti alla Gen Z ha dichiarato di sentirsi stremato dalle continue sollecitazioni della cultura tecnologica e dei social media.
Al 77% della Generazione Z in Italia piace quando i brand ripropongono vecchi stili estetici e il 74% adora quando i brand realizzano contenuti o prodotti retrò.
3. A differenza dei teenager e dei ventenni delle passate generazioni che miravano ad integrarsi ed essere al “passo con i tempi”, la Gen Z aspira a distinguersi ed è alla costante ricerca di nuovi modi per esprimere se stessa.
Lo strumento migliore che permette alla Generazione Z di esplorare e mettere in mostra i propri gusti unici e inimitabili è l’audio. Il 72% degli utenti in Italia afferma che senza l’audio non potrebbe esplorare così a fondo la cultura, come invece sta facendo.
Inoltre, l’83% di questi, afferma che l’audio permette di scoprire diversi aspetti della propria personalità.
4. Infine, la Generazione Z sta rivoluzionando il rapporto tra creator e fan. Da una relazione a senso unico, si sta trasformando in uno scambio bidirezionale. In particolare, attraverso le chat su Discord o TikTok, si stanno formando piccole community online di creator e fan, in cui ci si scambia informazioni, si condividono emozioni, sensazioni, le canzoni del cuore e i propri artisti preferiti.
Il 37% della Generazione Z in Italia afferma di far parte di una community digitale come Subreddit o Discord, dedicata ai fan di un particolare creator.
Cosa significa per Brand e inserzionisti
Mantenersi reali (e conoscere i propri meme).
La Generazione Z non ha paura di criticare i brand che usano impropriamente prodotti culturali come i meme o che si appropriano del lavoro di altri.
Inserirsi nel dibattito culturale in tempo reale.
Un grande vantaggio dell’audio digitale? Rispetto ad altri formati, è piuttosto facile (e veloce) da produrre, il che significa che ogni azienda può partecipare a un dibattito culturale proprio nel momento esatto in cui si sta svolgendo.
Portarli indietro nel futuro. I membri della Gen Z sono nostalgici, ma anche lungimiranti. Utilizzate il targeting contestuale per raggiungerli quando ascoltano playlist nostalgiche, malinconiche, sentimentali e altre playlist umorali, e invitate un artista a parlare di come prende spunti musicali dal passato. Oppure cercate di trovare creator che usano la loro musica e il loro sound per esprimere la loro visione di un mondo futuro.
… o aiutarli a tornare indietro nel tempo. Riportate in vita il suono del vostro marchio con le Branded Playlist dedicate, tornando ai decenni e ai generi che si allineano con la personalità del vostro brand. Oppure riportate la Generazione Z a momenti specifici della vita, come ha fatto Netflix: per The Adam Project ha riportato gli ascoltatori a quando avevano 12 anni.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/07/culture-next-spotify-copertina.jpg627943Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2022-07-01 10:20:492022-07-01 10:21:20Culture Next di Spotify: cosa ci dice il report che studia Gen Z e Millennial
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