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Come le Connected TV stanno cambiando il settore della pubblicità televisiva

Così come il cambiamento dei gusti e delle abitudini dei consumatori è da sempre il punto di partenza del marketing, intento a monitorare e anticipare le innovazioni della società, allo stesso modo il terremoto che sta per avvenire nell’ambito della pubblicità televisiva non può certo passare inosservato agli occhi dei marketer.

La diffusione della televisione ha rappresentato uno step importante nella nostra cultura, è entrata a far parte dell’ambiente domestico, e come sottolineato dal sociologo Joshua Meyrowitz, ha svolto il compito di far entrare la società esterna all’interno delle case, diventando un grande potenziale da sfruttare per la pubblicità.

Dal 1941, anno del primo spot televisivo, l’industria pubblicitaria della tv è stata inarrestabile e in continua crescita, fino ad ora, momento nel quale lotta per mantenere il proprio posto privilegiato accanto ai media digitali.

connected tv CTV

La diffusione delle Connected TV

La televisione rimane a tutt’oggi il device più utilizzato, seppur con delle sostanziali differenze di fruizione da parte del pubblico, che mostra necessità e gusti diversi rispetto al passato.

Accanto al termine di tv generalista si sente ora sempre più parlare delle connected tv.

Quali sono le differenze?

  • La tv lineare, la cosiddetta televisione tradizionale, permette allo spettatore di guardare un programma nel momento in cui viene trasmesso, o di registrarlo per visualizzarlo in un secondo momento;
  • la connected tv (CTV), è un dispositivo che consente alla tv di connettersi ad Internet per visualizzare contenuti video in streaming. Il dispositivo può essere interno, come nel caso delle Smart Tv (già predisposte per la distribuzione di contenuti video streaming), o esterno, ad esempio le console di gioco come Xbox, Playstation, o dispositivi come Apple Tv, Roku).
    La CTV non è dunque una sostituzione del precedente media, ma un’evoluzione dello stesso, a sottolineare la continua validità del concetto di “Remediation” coniato da Jay David Bolter e Richard Grusin, nato da una definizione di Marshall McLuhan, il contenuto di un medium è sempre un altro medium.
    I media interagiscono continuamente tra loro, per cui un media non viene soppiantato da una nuova tecnologia ma si adatta a nuovi formati, proprio come accade nel passaggio dai media analogici a digitali;
  • l’over the top (OTT) è invece il meccanismo di distribuzione dei contenuti video tramite i meccanismi di CTV. I contenuti vengono distribuiti online in modalità streaming gratuiti grazie alla pubblicità, come nel caso di Youtube, o in modalità video on demand (VOD), tramite abbonamento, come nel caso delle piattaforme Netflix, Amazon Prime, e così via.

streaming media players

A partire dallo scorso anno, ed in particolare in questi primi mesi del 2021, stiamo assistendo ad un boom dello sviluppo dei dispositivi CTV e dei meccanismi OTT, complice anche la pandemia, che ci ha costretti a restare in casa e ad occupare anche quella parte di tempo libero che generalmente avremmo trascorso all’aperto.

Si tende a privilegiare la scelta del contenuto, rispetto ad una fruizione passiva.

Se la tv tradizionale è vista come un’abitudine, la CTV è definibile come una scelta, effettuata con consapevolezza dal consumatore, che esige per questo un contenuto originale, di qualità, che consenta un’esperienza personalizzata e non più lineare.

Siamo più lontani dalla “Teoria del proiettile magico” degli anni ’40, che considera la comunicazione del media come un processo diretto di stimolo-risposta, in grado di colpire la massa passiva, che reagirà nella stessa maniera. Oggi sappiamo che il pubblico è tutt’altro che inerme, e gli studi di marketing sono concentrati proprio sull’analisi delle differenze del target.

adoption of connected tv devices

Secondo la ricerca di Parks Associates, nel dicembre 2020 il 56% delle famiglie statunitensi possedeva una smart Tv, e il 43% un lettore multimediale, in aumento rispettivamente del 50% e 39% rispetto al terzo trimestre dell’anno precedente.

La pubblicità del futuro sarà sulle CTV

Storicamente, la televisione detiene la quota dominante della spesa pubblicitaria, iniziata nel 1940 con le concessioni di licenze della Federal Communication in Usa alle varie stazioni televisive, dando il via a quello che è poi diventato il colosso dell’industria pubblicitaria.

Con le nuove tecnologie digitali lo scenario va però modificandosi: oggi il pubblico consuma una più ampia alternativa di contenuti, cosa che gli operatori del marketing non possono ignorare. Sulla base dei dati Oracle ID Graph in USA, ogni consumatore utilizza fino a 6 diversi device, anche per una questione lavorativa, accentuata ancora una volta dalla situazione pandemica.

La ricerca pubblicata da SpotX a Luglio 2020 evidenzia che nel Regno Unito e in Italia il 60% degli spettatori guarda tv connessa almeno una volta al mese, e in Spagna il 56% dichiara di guardarla regolarmente.

La stessa ricerca sottolinea inoltre che in Italia 86% degli spettatori ha un’età compresa tra 18-24 anni, ma il trend sembra in crescita anche tra i soggetti di maggiore età, considerando l’accelerazione massiccia dei media digitali causato nell’ultimo anno dal lockdown dovuto al Covid-19, che ci ha reso tutti un po’ più connessi.

Diminuisce dunque il numero di consumatori che fruiscono della pubblicità tradizionale, secondo un sondaggio IAB Europe Attitudes to digital video advertising, le tv connesse sono la chiave per la pubblicità del futuro.

I sistemi CTV e i meccanismi OTT stanno portando ad un minor numero di sottoscrizioni degli abbonamenti via cavo, definito come il fenomeno “cord-cutting”, entro il 2023 si prevede un aumento degli abbonati OTT da 133 milioni del 2019 fino a 159 milioni.

La pubblicità televisiva rimane sempre un ottimo mercato, ma bisogna lavorare per innovarla: utilizzando i dati del pubblico connesso è possibile indirizzare i messaggi pubblicitari solo agli interessati. Il mercato tv della pubblicità tradizionale si restringe per lasciare spazio a quella del digitale, un mercato ancora giovane e da esplorare.

Con le CTV, gli advertiser hanno la possibilità di rivolgersi in modo personale e più coinvolgente nei confronti dei telespettatori, di adattare il messaggio pubblicitario al pubblico e sfruttare quindi la possibilità di ottenere un maggior ritorno sulla spesa pubblicitaria stessa.

Se l’advertisement della tv tradizionale si riferisce alla massa perché non prevede un lavoro a monte di profilazione del target, la pubblicità delle tv connesse parte proprio dalla capacità di analizzare e comprendere il target, grazie ai dati ottenuti dalla rete.

Se partiamo dal presupposto che il pubblico connesso è più attivo rispetto alla massa tradizionale, dobbiamo presupporre che sarà anche più attento ai messaggi pubblicitari: di solito si guardano i contenuti OTT in modo più attento, senza distrazioni, come invece spesso accade con i contenuti della tv generalista, soprattutto nei momenti in cui viene trasmesso l’annuncio pubblicitario.

I brand individuano ora la possibilità di interagire con il pubblico al momento giusto.

La pubblicità sulle CTV viene indicata come il futuro della pubblicità televisiva, la naturale evoluzione di quella tradizionale, in quanto risulta essere mainstream, fruibile da un pubblico più ampio, anche in considerazione del fatto che può migliorare l’aspetto social dell’utente, consentendo la nascita di conversazioni online sulle stesse.

Favorisce il coinvolgimento con il brand ma anche tra gli utenti stessi, e sappiamo bene che il passaparola online positivo è la migliore arma che un’azienda possa avere dalla sua parte.

linear tv

Come cogliere questa opportunità

Ad avvantaggiarsi di questo trend in crescita saranno senza dubbio, oltre i fornitori di intrattenimento (Netflix è diventato un colosso che sta conquistando il panorama tv), anche i produttori di hardware.

Secondo i dati degli analisti di IHS Markit, negli ultimi tre anni l’acquisto di dispositivi connessi e degli adattatori per supporti digitali ha avuto una costante crescita. La chiave del successo, probabilmente, è la collaborazione, anche a livello europeo, tra produttori hardware ed emittenti, al fine di condividere costi, tecnologie, e dati del target, realizzando in tal modo una maggiore trasparenza.

Come realizzare una campagna pubblicitaria vincente sulle CTV

Per alcuni aspetti le tv connesse appaiono simili alle televisioni tradizionali, per tale motivo la costruzione di una campagna può rispettare, almeno in partenza, alcuni punti salienti, ai quali si aggiungono elementi particolari, tenendo presente che la CTV advertising è pensata essenzialmente per lo schermo televisivo:

  • Determinare l’obiettivo di marketing è il primo fondamentale passo. Per farlo è opportuno seguire dei criteri che ci aiutino a visualizzarlo con chiarezza: ogni obiettivo deve indicare espressamente ciò che ci si aspetta di ottenere; deve essere misurabile per permettere di valutare la campagna stessa; deve essere rilevante, cioè correlato direttamente alla funzione principale dell’azienda; e deve rispettare un limite di tempo per il suo raggiungimento.
  • Determinare il target di riferimento è elemento prioritario di ogni attività di marketing, individuare il giusto segmento di mercato permette di incrementare le vendite in modo sostanzioso. Nello specifico, la connessione Internet permette di raggiungere un audience curated di massa, estremamente dettagliato. Altrettanto fondamentale è mantenere un attento monitoraggio del comportamento online/offline del pubblico di riferimento.
  • Raccontare una storia avvincente, trovare la propria voce e continuare con lo stesso tono lungo l’intero periodo della campagna, perché la coerenza è la caratteristica necessaria per costruire la fiducia nel cliente. Il posizionamento del brand va mantenuto nel tempo, possono innovarsi le tattiche a breve termine ma non le strategie di lungo termine, come spiegano Al Ries e Jack Trout, coniatori dell’idea stessa del positioning.
  • Scoprire come coinvolgere il pubblico, in quanto molti stanno abbandonando la tv lineare proprio perché alla ricerca di un maggiore coinvolgimento. A tal fine è necessario creare video di alta qualità, espressi in una varietà linguistica tale da permettere una visione globale.
  • Misurare come il pubblico reagisce e interagisce con gli elementi della campagna, tramite le metriche. Se non si conosce l’esatto rendimento della campagna non si è in grado di apportare miglioramenti e sviluppi per il futuro. Potrebbe risultare utile, ad esempio, ottimizzare il canale, o la piattaforma, o migliorare la creatività, o ancora modificare il pubblico stesso.
    Tra le principali metriche standard di misurazione troviamo il numero di clic per annuncio e il numero di conversazioni generate; quelle avanzate riguardano l’analisi del traffico non valido (generato da bot), la visibilità (se l’annuncio viene visualizzato e per quanto tempo), e l’analisi del ROI (return of investiment) sulle vendite.

Per creare una buona campagna pubblicitaria occorre farsi due domande puntuali:

  • Quali dispositivo copre la tua misurazione?
  • Riesci ad individuare esattamente il traffico umano e il traffico non valido?
    Non ha senso misurare l’impatto di un annuncio su un bot, è necessario assicurarsi che raggiunga persone reali. Solo a quel punto sarà utile misurare la quantità di persone che ha guardato l’annuncio e il totale del numero di ore della visualizzazione

Il ruolo degli advertiser

Nella vasta giungla di possibilità offerte dalla pubblicità connessa, il marketer dovrà prestare particolare attenzione al termine della sicurezza, relativa al proprio brand e al consumatore.

In primis, sarà necessario monitorare che il proprio brand pubblicizzato non compaia associato ad altri contenuti definiti indesiderati che potrebbero influenzare negativamente gli utenti e di conseguenza ledere l’immagine del marchio stesso.

In secondo luogo, occorrerà prestare particolare premura nella difesa della privacy dei consumatori. Per molti utenti della grande rete, infatti, l’idea che i propri comportamenti online vengano studiati dalle aziende è ancora fonte di reale preoccupazione.

Sebbene un ricerca di Magnite abbia dimostrato che il 77% degli spettatori di CTV advertisement ha poi intrapreso materialmente un’azione tangibile successivamente alla fruizione del messaggio pubblicitario, bisogna tenere presente che l’utilizzo delle tv connesse, anche se in crescita, avviene comunque senza abbandonare definitivamente la tv tradizionale, quindi è opportuno che gli advertiser continuino a prestare attenzione ad entrambi i settori.

A tavola e con gli amici, così gli italiani seguiranno UEFA EURO 2020

All’avvio ufficiale di EURO 2020, Just Eat, app leader per ordinare online cibo a domicilio in tutta Italia e nel mondo, e parte di Just Eat Takeaway.com, leader mondiale nel mercato della consegna di cibo a domicilio, ha condotto un’indagine* svelando una serie di previsioni sul cibo che accompagnerà le partite di quest’anno. Un italiano su due si è detto in trepidante attesa per l’inizio delle competizioni e l’84% ha dichiarato come il cibo sia un elemento fondamentale, con la pizza in testa per seguire il torneo da casa con amici.

Italiani e calcio: la nuova normalità agli UEFA EURO 2020

Il torneo di quattro settimane, che prende il via oggi, vede il 43% degli italiani pronti a guardare tutte le competizioni di EURO 2020, una percentuale che cresce se si guarda alla fascia maschile (53%). Dopo un anno di ritardo, gli EURO 2020 rappresentano un momento emozionante per i fan del calcio in tutto il continente e in Italia. Infatti, oltre il 47% degli italiani ha dichiarato di seguire il calcio in modo frequente e il 39% riferisce che le restrizioni non hanno influenzato le abitudini, ma di aver guardato la stessa quantità di partite. Questo vale soprattutto per i più giovani, con le fasce 18-24 anni (20,5%) e 25-34 (18%) che dichiarano di averne guardate di più. Il 26,5% degli intervistati ha invece ammesso di averne guardate addirittura il doppio.

Ma dove si godranno le partite gli italiani? Quasi il 90% ha dichiarato che le seguirà comodamente da casa, ma non manca chi sta programmando di recarsi a casa di amici e parenti (26%) o al bar (21%) per aumentare lo spirito di squadra e socialità. Inoltre, il 51% prevede di passare le sere dei match con gli amici, percentuale che cresce se si guarda alle fasce più giovani (73%), mentre il 46% ha dichiarato che vedrà le partite con il partner, tendenza che vale soprattutto per le donne (55%). 

Tra gli aspetti più importanti per gli italiani in relazione al calcio e alla visione delle partite spicca l’atmosfera generale (18,5%). Per il 20% degli intervistati, celebrare per le strade insieme a connazionali e altri tifosi rappresenta una delle esperienze che più mancheranno rispetto agli eventi sportivi vissuti gli anni precedenti la pandemia. E se il 34% non organizzerà nulla per compensare questa mancanza, il 19% dichiara che si connetterà online con altre persone per condividere in tempo reale impressioni ed emozioni, percentuale che cresce se si guarda alle donne (22,5%) e alle fasce 18-24 e 25-34 anni (24%). Altri piani per godersi al meglio le partite degli EURO 2020, includono per il 35% invitare degli amici a casa, mentre il 31% guarderà più partite del solito e il 25% ordinerà cibo a domicilio.

Calcio-cibo: connubio perfetto

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L’indagine condotta da Just Eat ha infatti evidenziato come il cibo giochi un ruolo centrale nell’esperienza di visione del torneo. Nonostante i tifosi italiani non abbiano una specifica tradizione per quanto riguarda gli snack (93%), l’84% dichiara che il cibo è un elemento imprescindibile durante la visione di una partita di calcio, da gustare principalmente prima del calcio d’inizio (30%) o durante il primo tempo (29,5%). La scelta ricade principalmente su snack veloci (26%), seguiti da qualcosa di casalingo preparato in anticipo (20%) o di ordinato grazie al food delivery (15%).

Gli appassionati di calcio italiani si affidano al cibo a domicilio soprattutto perché questo permette loro di rilassarsi e focalizzarsi sulla partita (33%), evitando di dover lasciare casa (30%) e quindi perdere momenti salienti della partita (23%). Quando si guarda una partita, il 32% conferma come la cosa più importante sia il gusto del cibo scelto, seguito dalla necessità di goderselo prendendosi il proprio tempo (21%), dalla qualità (19%) e dalla possibilità di condividerlo (17%). 

Mentre l’Italia si prepara ai match con Turchia, Svizzera e Galles, la ricerca di Just Eat ha svelato che gli italiani sono particolarmente patriottici quando si parla di cibo. L’89% dei tifosi italiani non ha nessun dubbio nell’affermare che la propria cucina sia la migliore, con la pizza in cima al podio delle scelte sia in caso di vittoria (40,5%) sia di sconfitta come comfort food (27%). La pizza rappresenta il piatto ideale da ordinare per il 67%, percentuale che sale tra le donne (71%), seguita dalle patatine fritte (32%), amate soprattutto dai più giovani (42,5%), e da un bell’hamburger (24%), che risulta essere il preferito dagli uomini (28%). I cibi contenenti carne sono inoltre i preferiti dal 73% degli intervistati quando si guarda una partita. Riguardo invece le bevande, per il 67% la birra rappresenta il perfetto accompagnamento, seguita dall’acqua (36%), dalle bibite (26%) e da un bicchiere di vino (16%).  

Rivelando i risultati del report, Tiziana Bernabè, Senior Marketing Lead Just Eat Italia, ha dichiarato:

Mentre l’eccitazione continua a crescere per gli EURO 2020 di quest’anno, è bello vedere quante persone siano appassionate come noi quando si tratta di cibo e calcio. Quello che ci hanno riferito i nostri consumatori in tutta Europa è che riunirsi per guardare le squadre competere, gustandosi del cibo delizioso a casa, è davvero un abbinamento perfetto. Siamo orgogliosi di sponsorizzare EURO 2020 e non vediamo l’ora di vedere cosa succederà nelle prossime settimane.

L’Italia aprirà il torneo questo venerdì e si potranno guardare le partite comodamente da casa mentre l’Italia compete in questi match: venerdì 11 Giugno con Turchia vs Italia (ore 21:00, Roma),  mercoledì 16 Giugno con Italia vs Svizzera (ore 21.00, Roma) e domenica 20 Giugno con Italia vs Galles (ore 18:00, Roma).

Il potere di un’immagine: contenuti reali e originali per essere ricordati

Un’immagine vale più di mille parole”. Una frase che abbiamo sentito dire così tante volte che sembra aver perso il suo reale significato. 

Chi lavora nel mondo della creatività sa benissimo cosa significa questa espressione: le immagini sono strumenti d’espressione così evocativi da essere essenziali in ogni forma di comunicazione. Le immagini però bisogna sceglierle con cura, altrimenti il messaggio non avrà l’effetto desiderato.

Ci affidiamo con leggerezza a strumenti che troviamo in rete, come le immagini Stock, senza rifletterci troppo. In fondo sono lì, a disposizione di tutti e per tutti, perché non approfittarne? Proprio perché possono essere utilizzate da tutti non sono contenuti personalizzati ma stereotipati e di conseguenza, messaggio e immagine non saranno coerenti.

Immagini autentiche per una comunicazione efficace

Quante volte vi è capitato, curiosando in rete, di non leggere un articolo e di passare oltre perché vi eravate già imbattuti nell’immagine di quel contenuto? A volte ci sembra di leggere sempre le stesse cose perché ricordiamo più le immagini che le parole.

E infatti succede che un’immagine diventa più famosa degli stessi brand e prodotti che pubblicizza.

Chi non ha mai visto in rete pubblicità di aziende e servizi promossi dalla fascinosa ragazza asiatica dai lunghi capelli setosi e il sorriso rassicurante? Ormai è diventata una vera e propria icona del web, e magari anche noi abbiamo utilizzato una delle sue immagini in stock per qualche nostro post senza farci caso.

Un problema che potrebbe penalizzare qualunque agenzia, anche la vostra. Immaginate di dover pianificare una campagna per il lancio di un nuovo prodotto. Oltre a un testo chiaro e conciso, vi serviranno delle foto professionali che andranno ad accompagnare le parole in modo tale da rappresentare a 360° sia il servizio offerto che il vostro brand. 

Volete davvero affidarvi a immagini già viste in giro e che non raccontano nulla della vostra identità?

Un errore che può sembrarci banale e insignificante ma che in realtà non ci consente di veicolare in modo personalizzato ciò che avevamo intenzione di comunicare. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che magari non solo noi, ma anche i nostri competitor potrebbero usufruire della stessa foto in Stock su cui abbiamo fatto affidamento, confondendo ulteriormente chi ci ascolta e legge.

Se le immagini sono davvero così potenti, perché dovremmo accontentarci delle trite e ritrite foto Stock per rappresentare il nostro brand?

C’è bisogno di una comunicazione visiva personalizzata per farsi riconoscere subito. Creare una forte visual identity è fondamentale e le immagini devono essere fatte apposta per noi.

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Immagine personalizzata per contenuti unici

Abbiamo bisogno d’immagini e video su misura, che siano evocative e che accompagnino le parole per essere comprese e ricordate. Non dobbiamo solo stupire i clienti con foto accattivanti, ma dobbiamo essere veri per avvicinare le persone al nostro marchio.

Un brand per non essere dimenticato e distinguersi rispetto agli altri deve avere un’identità riconoscibile. In un mondo pullulante d’immagini, l’uso di foto originali e coerenti è diventato sempre più indispensabile per emergere.

Insomma, come deve essere un’immagine per catturare l’attenzione di chi la guarda?

  • Attraente e bilanciata, l’occhio vuole sempre la sua parte;
  • Coerente nell’insieme per essere capita;
  • Incisiva, così intensa da emozionare ed essere indimenticabile.

Set-Up: il servizio da conoscere per avere immagini originali

Se anche voi siete convinti che le immagini di repertorio non bastino e volete affidarvi a un servizio mirato e ad hoc, allora dovete dare un’occhiata a Set-Up.

Stiamo parlando della prima realtà in Italia di produzione contenuti social, sia foto che video, pensata e dedicata alle esigenze di art director, creativi e professionisti della  comunicazione che sono alla ricerca di una valida alternativa ai materiali Stock. Set-Up mette a disposizione un team di professionisti pronti a realizzare le vostre idee e i vostri progetti grazie a contenuti di qualità realizzati in tempi brevi ma a un prezzo accessibile.

Il bisogno di essere autentici per essere compresi

Un servizio personalizzato può davvero cambiare la nostra strategia di comunicazione. Contenuti con immagini e parole pensate appositamente per il nostro brand aiutano a descrivere e mostrare chi siamo e di cosa ci occupiamo in modo originale ed efficace.

Se la fiducia è alla base di ogni rapporto, lo stesso discorso vale tra aziende e clienti. Ecco perché ricorrere a immagini che ci riguardano e che parlino di noi e per noi, e non pescate da un catalogo sul web, ci aiuta a distinguerci in un mercato sempre più affollato.

Basta impazzire dietro immagini Stock che non possono parlare per noi. Lasciamo spazio a quelle reali. Facciamo largo alla vera essenza del nostro brand!

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Come Orto Barbieri ha rivoluzionato il suo business grazie alla tecnologia

Il viaggio alla scoperta di nuove storie da raccontare e delle realtà Unbreakable continua: tra le aziende che hanno rivoluzionato il loro business, c’è anche “L’orto di Barbieri”, situata nel cuore della provincia di Bologna, tappa dell’Unbreakable Tour di Mirko Pallera con il Ninja Van.

Ad accogliere Mirko ed Esther Intile sono stai Gianni Barbieri, sua moglie Angela e suo figlio Alex, che a Granarolo dell’Emilia hanno rivoluzionato e restituito linfa vitale all’attività di famiglia, in crisi per la pandemia, attraverso la tecnologia e l’eCommerce.

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LEGGI ANCHE: Come si può superare la crisi del settore eventi secondo Alfredo Accatino

L’azienda familiare ha una lunga storia: è stata fondata nel 1956 da Giorgio Barbieri. Nel corso degli anni, è passata alle generazioni successive e proprio i figli di Giorgio sono stati la vera leva del cambiamento.

Alex si è occupato dell’eCommerce e di quello che è stata la tecnologia e digitalizzazione.

Tecnologia: dalla tradizione all’innovazione

Era necessario evolvere l’approccio alla comunicazione e al cliente stesso, racconta Alex:

Abbiamo attivato dei piccoli test per gestire il processo. È stata necessaria la creazione di un profilo instagram a cui abbiamo collegato numero whatsapp, i primi ordini li abbiamo gestiti così: mandavo il listino, prendevo gli ordini, creavo e consegnavo a domicilio, con consegna inizialmente a Milano e Bologna. Mano mano ci siamo fidelizzati, la domanda è aumentata e quindi avevo bisogno di supporto per gestire i flussi di richieste. Ho iniziato con l’eCommerce, le settimane son passate tra consegne e ordini, e grazie al dialogo costante con i clienti abbiamo imparato come superare i limiti che stavamo riscontrando, ci siamo immersi in una nuova realtà.

Durante il primo lockdown hanno separato l’azienda agricola dal punto vendita, garantendo che i prodotti rimanessero il più naturali possibile.

Hanno anche superato il record di lavorazione con più di 20 ore di attività, sostenendo le persone anziane in difficoltà con l’ausilio della protezione civile.

Ci avete salvato!“: queste tra le parole più gratificanti delle persone che accoglievano i prodotti a casa de L’Orto di Barbieri, rivolte alla famiglia Barbieri, spiega Gianni:

Il contatto con le persone è stata una salvezza in quel periodo di chiusura. Ricevevamo sempre una bella accoglienza, avvertivamo l’entusiasmo con il quale ci aspettavano. Grazie ad Alex, ci siamo aperti al mondo digitale, con la piattaforma di eCommerce, senza lui, non saremmo stati in grado di gestire la produzione. Questo progetto ci ha ridato l’identità.

Il nuovo packaging del prodotto

Creata la piattaforma per l’eCommerce, non rimaneva che capire dove posizionare il prodotto in consegna.

L’idea era quella di eliminare l’utilizzo della plastica, prima con cassette di legno e poi con sacchetti di carta.

Nelle consegne su Bologna e zone limitrofe funzionava, ma il prodotto tendeva ad asciugarsi a causa delle ore trascorse nel furgone verso mete più lontane.

Per Milano e dintorni, bisognava trovare una soluzione, individuata grazie ai box di cartone, che riuscivano a conservare l’umidità del prodotto garantendone la qualità.

Abbiamo strutturato nuovi meccanismi che consentono al cliente di trovare il prodotto intatto all’interno. Rispetto alla vendita diretta in azienda dove ci siamo noi che spieghiamo bene le cose, quando la spesa la ricevi a domicilio noi non ci siamo, quindi deve essere tutto perfetto, altrimenti sarà l’azienda poi a pagarne le conseguenze.

Il modello di business è risultato vincente: prodotti biologici a kilometri zero, senza intermediazione, con maggiore guadagno a chi li produce. Tutto possibile anche all’infrastruttura digitale, che ha permesso di raccogliere con facilità richieste e ordini.

Da una trentina di ordini iniziali, l’Orto di Barbieri è passato velocemente a numeri molto più grandi, cosa che gli ha permesso di investire su una logistica ancora più efficiente, puntando sulla tecnologia.

Puntare sulla tecnologia: 3 consigli pronti all’uso

Quale lezione possiamo apprendere da questa bella storia, raccontata direttamente da un’azienda Unbreakable?

Il primo passo è partire da comprendere e saper comunicare chi sei, cosa vuoicosa contraddistingue la tua azienda dalle altre, quali sono i valori dell’azienda.

Il secondo consiglio è iniziare a mettere le mani in pasta, informarsi e studiare la tecnologia delle piattaforme.

Infine, farlo subito, non aspettare di avere la soluzione perfetta: capire subito cosa funziona, e cambiare cosa non funziona.

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proteggere marchio ecommerce

Come fare per proteggere il marchio del tuo eCommerce

Nella serie di articoli di LegalBlink sulle tematiche legali del mondo eCommerce, questa volta parliamo di marchi e della loro tutela.

Internet è uno strumento in grado di fornire molta visibilità a un brand. Tuttavia, tale visibilità espone maggiormente il brand al rischio che questo possa essere utilizzato illegittimamente da terzi.

Il marchio costituisce un patrimonio aziendale. Infatti, è uno strumento comunicativo fortissimo, in grado di permettere alle persone di distinguere prodotti e servizi e di esprimere i valori che contraddistinguono un brand.

Un imprenditore digitale non può correre il rischio che questo importante elemento venga utilizzato illegittimamente da terzi, per questo motivo è fondamentale che effettui la Registrazione del marchio. La registrazione garantisce al titolare un uso esclusivo dello stesso, tutelandolo dalle contraffazioni.

Di seguito analizzeremo che caratteristiche deve avere un marchio per poter essere registrato e come effettuare una registrazione.

LEGGI ANCHE: Vendita B2B e B2C, le differenze che devi conoscere per il tuo eCommerce

Cosà può essere definito “Marchio”

Il marchio in un eCommerce è un elemento in grado di contraddistinguere i prodotti o i servizi forniti da un eCommerce rispetto a quelli forniti da un sito concorrente.

shopping online

Può essere registrato come marchio qualsiasi segno in grado di:

  • distinguere i prodotti o i servizi di un eCommerce da quelli di un concorrente;
  • essere rappresentato graficamente.

L’art. 7 del Codice della Proprietà Industriale (c.p.i) effettua un elenco dei segni idonei a essere registrati come marchi, ovvero:

tutti i segni, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche”.

Quindi, i marchi che possono essere registrati come marchi d’impresa sono i seguenti:

  • Marchio denominativo: il marchio costituito esclusivamente da parole, lettere, cifre o altri caratteri tipografici standard. Le parole, che costituiscono un marchio denominativo possono avere un significato o essere di fantasia (si pensi al marchio “Rolex”);
  • Marchio figurativo: il marchio si compone di elementi grafici, un’immagine o un logo (un esempio noto è la mela della “Apple”). L’elemento grafico può essere combinato anche con una parte testuale (es. “Barilla”).
  • Marchio di forma: alcune volte la funzione distintiva è individuabile nella forma del prodotto o nella sua confezione (es. bottiglia della “Fanta”). Tuttavia, per poter essere registrata come marchio tale forma dovrà possedere una mera funzione distintiva e non una connotazione tecnica o artistica.
  • Marchio di colore: il marchio può essere costituito esclusivamente da un colore o una combinazione di colori (un esempio il colore “Blu Tiffany”).
  • Marchio di suono: il marchio costituito da una melodia, da un motivetto musicale o da una sequenza di suoni, come ad esempio il suono caratterizzante l’avvio del sistema operativo “Windows”.
  • Marchio olfattivo: il marchio costituito da una fragranza (es. profumo di erba tagliata per la vendita di palline da tennis).

I marchi che più comunemente sono oggetto di registrazione negli eCommerce sono i marchi denominativi e figurativi.

Requisiti che il marchio deve avere per poter essere registrato

Il marchio per poter essere oggetto d registrazione deve possedere le seguenti caratteristiche:

  • Novità

Il marchio non può essere definito nuovo se esso è identico o simile a altri marchi già registrati in precedenza per contraddistinguere prodotti o servizi identici o affini a quelli che vorresti vendere nel tuo eCommerce.

Inoltre, il marchio notorio (marchio noto al pubblico che gode dello stato di rinomanza), oltre a non poter essere utilizzato da terzi per contraddistinguere prodotti e/o servizi identici o affini, non può esser utilizzato da terzi per contraddistinguere anche prodotti e/o servizi non affini (es. non è possibile utilizzare il marchio Coca-Cola per vendere giocattoli).

Tali principi sono definiti all’interno dell’art. 12 c.p.i.

  • Capacità distintiva

La capacità distintiva è disciplinata nell’art. 13 c.p.i., il quale afferma che questa caratteristica viene a mancare quando i marchi siano costituiti esclusivamente da segni o parole divenuti di uso comune (es. Lusso, Extra) o nel caso siano costituiti esclusivamente da denominazioni descrittive dei prodotti o dei servizi venduti, un esempio un eCommerce che vende scarpe non può utilizzare il marchio “Scarpe”.

Attenzione! Per poter avere un marchio con una forte capacità distintiva e che garantisca una tutela nei confronti di terzi, è importante evitare un segno che abbia collegamenti concettuali tra marchio e prodotti e/o servizi ad esso associati.

La registrazione di un marchio debole, ovvero con una correlazione tra il marchio e prodotto e/o servizio, non può impedire ad un competitor l’utilizzo di quel segno.

Per finalità di marketing, potrebbe verificarsi la necessità di registrare un marchio debole. Con il tempo e con l’utilizzo del marchio, esso potrebbe acquistare capacità distintiva, come è avvenuto per esempio al marchio “EstaTHE” o “Lemon Soda”.

  • Liceità e verità del segno

Ai sensi dell’art. 14 c.p.i., i marchi non possono essere contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume (un esempio non è possibile registrare come marchio il termine “Mafia”).

I marchi, inoltre, non possono essere decettivi, ovvero in grado di trarre in inganno il pubblico in relazione alla provenienza geografica, la natura e la qualità dei prodotti venduti (es. non è possibile registrare il marchio cotonella per contraddistinguere prodotti che non hanno, nella loro composizione, del cotone).

Consulenza di un esperto e ricerca di anteriorità

Se si desidera registrare un marchio è importante rivolgersi a un consulente esperto. Un esperto è infatti in grado di verificare se la registrazione di un marchio può essere effettuata o meno e se sussiste il rischio che la registrazione possa essere oggetto di contestazione da parte di soggetti titolari di un diritto anteriore.

In primo luogo, è infatti estremamente importante verificare se il marchio ha effettivamente tutti i requisiti sopra enunciati. La presenza di tali requisiti è infatti indispensabile per effettuare la registrazione del marchio del tuo eCommerce e perché essa vada a buon fine.

Il requisito che necessita di un esame particolarmente approfondito è quello della novità. Per verificare che non siano stati registrati marchi uguali o simili al marchio al tuo è importante effettuare una ricerca di anteriorità.

Tale ricerca deve essere effettuata consultando varie banche dati. A titolo esemplificativo la banca dati dell’UIBM, del EUIPO e di TMview.

Tale ricerca permette di individuare se sono già stati registrati marchi uguali o affini al marchio che vorresti registrare e se tale marchio è utilizzato per contraddistinguere prodotti e/o servizi identici o affini a quelli che vorresti vendere nel tuo eCommerce.

Questa ricerca, quindi, permette di verificare che il marchio abbia il requisito della novità e se esso può essere oggetto di registrazione.

Come registrare un marchio

L’esclusività del marchio, derivante dalla registrazione, ha una valenza territoriale.

Per questo motivo è importante stabilire il territorio in cui si ha intenzione di operare nell’eCommerce, e nel quale si desidera tutelare il proprio marchio.

La registrazione può essere effettuata presso:

  • UIBM (Uffizio Italiano Brevetti e Marchi), in questo caso il marchio sarà tutelato solo in Italia
  • EUIPO (Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale), il quale consente la registrazione di un marchio dell’Unione Europea con valenza in tutti i paesi dell’UE
  • Ufficio nazionale, effettua la registrazione del marchio in un determinato Stato, la registrazione avrà valenza nello Stato in oggetto (es. se si desidera registrare il marchio in Cina è possibile rivolgersi al Cina Trademark Office)
  • WIPO (Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale), ufficio dove è possibile richiedere l’estensione internazionale di un marchio. In questo caso è possibile estendere la tutela di un marchio già registrato ad altri paesi che devono essere specificamente indicati.

Un ulteriore elemento da definire è il settore merceologico in cui s’intende operare. La registrazione di un marchio deve essere realizzata in relazione ad una classe, la quale ricomprende determinati prodotti o servizi.

A livello internazionale si prende come riferimento la Classificazione di Nizza, costituita da innumerevoli classi merceologiche che contraddistinguono prodotti e servizi. L’uso esclusivo è tutelato solo per la vendita dei prodotti o servizi della classe/i oggetto di registrazione. Quindi due marchi simili possono coesistere qualora i prodotti o i servizi ad essi corrispondenti non siano affini.

Attenzione! Una volta effettuata la registrazione del marchio per determinate classi non sarà più possibile estendere quella registrazione per altre classi. Sarà quindi necessario effettuare una nuova registrazione.  Nel caso tu abbia intenzione, nel prossimo futuro, di espandere il tuo eCommerce ad altre classi merceologiche potrebbe essere conveniente effettuare un’unica registrazione ricomprendendo tutte le classi di tuo interesse.

Tutela del dominio

Un ulteriore beneficio che apporta la registrazione del marchio, utile specialmente per chi detiene un eCommerce, è la possibilità di tutelare il proprio nome a dominio.

L’art. 22 del c.p.i. a tal riguardo enuncia quanto segue:

È vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attivita’ economica o altro segno distintivo un segno uguale o simile all’altrui marchio”

Da ciò ne deriva che in titolare di un marchio registrato può tutelare il dominio del suo eCommerce tramite l’applicazione delle norme sui segni distintivi.

Il nome a dominio viene quindi considerato un vero e proprio segno distintivo meritevole di tutela. L’utilizzo di un nome a dominio, da parte di un terzo, uguale o simile al marchio registrato può trarre in confusione il pubblico sull’effettiva provenienza di quei prodotti o servizi da un eCommerce piuttosto che da un altro.

Mediante la registrazione del marchio anche il dominio riceve tutela. Infatti, qualora un terzo decidesse di registrare un nome a dominio uguale o simile al tuo, preventivamente registrato, potrai pretendere la cessazione del suo utilizzo o la sua riassegnazione.

Conclusioni

In marchio costituisce un importante asset per ogni eCommerce.

Il marchio è l’elemento che permette di:

  • distinguere i prodotti o servizi forniti da un eCommerce
  • rammentare al cliente determinate caratteristiche e qualità dei prodotti venduti nell’eCommerce
  • trasmettere un messaggio ed esprimere i valori che contraddistinguono l’eCommerce

La tutela del marchio è fondamentale se desideri vendere i tuoi prodotti o servizi in un eCommerce.

La registrazione ti garantisce l’uso esclusivo dello stesso. In questo modo avrai gli strumenti e la tutela per poter contestare l’utilizzo illegittimo del tuo marchio da parte di un competitor.

La mancata registrazione di un marchio potrebbe costituire un rischio e non garantire tutela in caso di contraffazione.

B2B Marketing Conference: nuove sfide e previsioni del marketing B2B

I grandi e repentini cambiamenti dell’ultimo anno e mezzo ci hanno messo davanti a tante sfide, è vero, ma ci hanno dato anche modo di rallentare e di riflettere su diverse cose. Una delle più importanti è che proprio quegli eventi inaspettati possono stravolgere non solo la quotidianità, ma ridisegnare completamente schemi e abitudini che sembravano immutabili. La pandemia ha avuto un impatto così forte sulle nostre vite e sul lavoro da accelerare modi di vivere e processi che avrebbero impiegato anni a diventare quello che sono adesso. In un lasso di tempo molto breve abbiamo assistito alla totale, o quasi, trasformazione digitale del business in molti settori, ma non senza creare tumulto e un senso d’incertezza in altri.

Ci sono state aziende che hanno resistito perché hanno saputo innovarsi abbracciando il cambiamento e la rivoluzione digitale imminente. E altre che purtroppo hanno faticato e non sono riuscite a resistere a un impatto così veloce e irreversibile. Ecco perché nasce l’esigenza di resettare tutto, partire da zero e tornare a focalizzarsi sull’elemento vitale dei propri business: le Communities di riferimento.

LEGGI ANCHE: Digitalizzazione imprese: un test per valutare il livello digitale delle aziende

B2B Marketing Conference: ripartire dalle Communities

Chi lavora nel settore del marketing sa bene che c’è bisogno non solo di stare al passo coi tempi e di formarsi costantemente, ma anche di essere sempre all’erta per intercettare i nuovi bisogni delle communities di riferimento. L’analisi dei nuovi bisogni e delle nuove esigenze degli appartenenti alle varie communities diventa fondamentale per anticipare i cambiamenti nei propri mercati ed essere vincenti nelle nuove sfide di marketing.

Dopo il successo ottenuto nelle prime due edizioni, ANES, l’Associazione Nazionale Editoria di Settore, ripropone l’appuntamento con la B2B Marketing Conference per esaminare le nuove sfide che il Marketing B2B dovrà affrontare per la ripartenza del prossimo futuro. 

B2B MARKETING CONFERENCE: L’EVENTO PIÙ ATTESO DELL’ANNO! >>

B2B Marketing Conference

B2B Marketing Conference: che cos’è e perché è così attesa

Stiamo parlando dell’evento più atteso e importante dedicato al marketing B2B che si terrà a Milano presso l’Auditorium Giò Ponti di Assolombarda e in live streaming alle ore 9.30. Sarà aperto a tutti coloro che vorranno partecipare tramite l’acquisto di un biglietto proprio sul portale della B2B Conference.

“Innovare le communities per accelerare il business. L’evoluzione delle B2B communities al centro delle strategie di marketing”, questo è il titolo dell’evento e l’obiettivo è quello di aiutare le aziende tramite l’analisi delle tecniche più innovative e far conoscere le nuove esigenze della community di riferimento.

Per chi ancora non lo conoscesse, la B2B Marketing Conference è l’unico evento in Italia focalizzato sull’evoluzione e le strategie più innovative del marketing B2B, con l’obiettivo di offrire un’opportunità di aggiornamento e formazione altamente qualificata ai professionisti del mondo del marketing e della comunicazione B2B. 

Gli argomenti della B2B Marketing Conference

Quali saranno i temi trattati e perché è un evento da non perdere?

Tutti i settori, qualunque sia il mercato di riferimento, hanno bisogno di ripartire ma in modo consapevole. Per fare questo grande passo c’è bisogno di conoscere a cosa andiamo incontro perché tutto è cambiato e non si torna indietro, anzi. La rivoluzione digitale è più veloce che mai e non possiamo più farci cogliere impreparati.

In questa nuova edizione il focus dell’evento sarà sviluppato in 4 aree tematiche:

  • New media planning
  • Marketing automation e a.i. 
  • Dalla relazione digitale all’ e-commerce b2 
  • Innovative ideas for marketing

Sono queste le nuove sfide che ogni azienda dovrà affrontare e gli argomenti da conoscere a fondo per fare la differenza ed emergere rispetto ai propri competitors.

New media planning

Come sta cambiando il modo di comunicare alle communities di riferimento? Come deve essere il nuovo marketing mix? Quali sono le nuove tipologie di ADV?

Come vedete la comunicazione è sempre la leva principale per raggiungere e tenere ingaggiati i propri clienti e i propri contatti. 

Marketing automation e a.i.

Quali sono i nuovi processi e le nuove tecnologie che permettono di rendere automatiche specifiche azioni di marketing aumentandone produttività ed efficacia? I dati diventano sempre più importanti per capire come generare nuovi lead e mantenere i contatti nelle proprie strategie di business. 

È fondamentale conoscere quali sono i nuovi processi e le nuove tecnologie che ci consentono di rendere automatiche specifiche attività di marketing, migliorando l’efficienza e la produttività.

Dalla relazione digitale all’ e-commerce b2

Sui social media quali sono le migliori tecniche di vendita per interagire con i propri prospects? Come coltivarli e fidelizzarli? Quali sono le nuove strategie di marketing per sviluppare efficaci E-commerce B2B?

Si prenderanno in esame quali sono i social media e le tecniche di vendita più performanti per interagire con i potenziali clienti e come coltivare questi contatti lavorando alla fidelizzazione attraverso le interazioni su questi canali. Verranno anche approfondite le nuove strategie di marketing per sviluppare efficaci E-commerce B2B.

Innovative ideas for marketing

Esistono attività nuove che, in punta di piedi, stanno entrando nel mondo del business e che condizioneranno le future strategie di marketing. Quali sono le più efficaci? 

Qui si cercherà di approfondirle tutte. Una delle più affascinanti? Quella del Gaming, ma anche la Realtà Virtuale.

Pronti a partire?

Con oltre 1.300 iscritti, 30 speakers di alto livello, più di 4.000 presentazioni scaricate, la B2B Marketing Conference si conferma come l’appuntamento annuale di riferimento per l’intera community del marketing e della comunicazione B2B.

SEGNA L’APPUNTAMENTO IN AGENDA E PREPARATI A CONOSCERE IL PROSSIMO FUTURO! >>

digital divide

Digital divide: perché la scarsa digitalizzazione non è legata all’età

Il dibattito e l’attenzione mediatica sul tema delle “Nuove Generazioni” si sono palesati dall’innesco portato dalla velocissima evoluzione tecnologica degli ultimi anni che ha posto l’attenzione su come il “nativo digitale” si sia trovato ad affrontare l’apprendimento della realtà in maniera totalmente differente, conseguentemente a comportamenti sociali e relazioni fortemente modificati rispetto all’approccio più “analogico” delle generazioni precedenti.

Sembra incredibile come il termine “digitale” (dall’inglese “cifra”, in riferimento a un sistema a base dieci, come le dita delle due mani) abbia la sua radice etimologica nel latino “dito”, quindi qualcosa che dovremmo percepire con tangibilità, a fronte invece di un significato che nel virtuale perde il suo senso di contatto fisico, se non appunto per mezzo delle dita che posiamo sugli schermi dei nostri dispositivi.

Giovani e adulti insieme per un nuovo mindset tecnologico

Parlare oggi di digital divide, significa sottolineare non solo l’accesso alla connessione e ai device tecnologici, ma anche le differenze di valori, modelli cognitivi, stili di relazione e modelli di apprendimento tra “nativi” e “immigrati” digitali, rappresentati dalle generazioni precedenti (in particolare Boomers e X-Gen).

Sebbene queste diversità tra generazioni siano sempre esistite, oggi sono più rilevanti per la velocità esponenziale del progresso tecnologico (la digital transformation) e l’allungamento della vita media.

Quando l’attenzione si pone sugli attori che partecipano attivamente o meno all’evoluzione delle tecnologie e alla loro comprensione, il pensiero non può che andare verso la storica definizione di Apocalittici e Integrati di Umberto Eco: ognuno di noi può riconoscere quale sia il comportamento istintivo che abbiamo nei confronti di una nuova tecnologia che al suo avvento modifica usi, costumi e quotidianità consolidate, soprattutto in questo periodo storico dove la ricerca e l’innovazione ci avvicinano continuamente a nuovi manufatti o esperienze.

Declinando il concetto sul piano generazionale (e fatte le dovute eccezioni – non tutti i giovani sono “early adopters”, e non tutti gli anziani sono “laggards”, riprendendo il modello di diffusione dell’innovazione di Everett Rogers) è abbastanza condiviso nell’immaginario collettivo che nei confronti delle nuove tecnologie si possa attribuire agli adulti/senior un sentimento in prima battuta tendenzialmente più critico di fronte a nuovi strumenti digitali, di contro ad uno più aperto e “naturale” da parte della gioventù.

LEGGI ANCHE: Migrazioni social: la fuga dei giovani in rete generazione dopo generazione

Digital skills ibride tra abilità e maturità digitale

Il tema del digitale ha sommerso letteralmente le agende manageriali e del business da diversi anni (il termine Industry 4.0 è stato coniato nel 2013!) e ancora di più ha reso improcrastinabile la trasformazione digitale di prodotti, processi e persone con l’acceleramento “fotonico” innescato dalla pandemia.

Per conoscere quali siano gli ambiti su cui giovani e adulti possano allenarsi o scambiare conoscenza, o buone pratiche, per migliorare il livello di padronanza della tecnologia come mezzo di lavoro e di comunicazione interpersonale, è forse utile fare chiarezza sul tema delle competenze digitali.

La difficoltà, in questo caso, è orientarsi nei tanti framework che hanno provato a destreggiarsi sul tema delle skills utili per essere al passo con la trasformazione tecnologica e, soprattutto, con l’informazione e le relazioni esercitate con gli strumenti del mondo virtuale.

E il terreno è non poco tortuoso: dal DigComp oggi nella sua versione 2.1 e ai paradigmi di rilevazione del DESI (Digital Economy and Society Index), della Commissione Europea, alla Web Literacy di Mozilla, alle numerose classificazioni disegnate dalle società di consulenza con i cosiddetti “Digital Maturity Models”, dalle associazioni che fanno educazione digitale con i loro modelli “open source” e così via.

Sicuramente, le vicende di attualità dell’home/remote working hanno portato maggiore consapevolezza sul fatto che la trasformazione digitale non è rappresentata solamente dall’adozione di strumenti o piattaforme più potenti o, banalmente, dalla conoscenza degli aspetti tecnici di un software, o di un nuovo device digitale, bensì dalle capacità di mostrare un mindset aperto e duttile all’arrivo di un nuovo mezzo tecnologico, e contemporaneamente quella di adattarlo al contesto e all’uso che se ne deve fare.

Su questo è estremamente rilevante la distinzione sistematizzata tempo fa da Francesco Derchi e Giulio Xhaet tra maturità digitale e abilità digitale.

Nella prima, si tratta di nutrire la consapevolezza e il cambio di mindset:

  • conoscere e riconoscere i contesti informativi e saperli interpretare;
  • identificare le peculiarità di un contenuto digitale (e di uno reale);
  • capire le implicazioni che hanno i dati nel lavoro e nel business;
  • saper esercitare l’ascolto e la relazione positiva anche online;
  • avere una mentalità collaborativa;
  • conoscere le basi della cybersecurity;
  • interiorizzare gli aspetti del benessere digitale e i rischi dell’esposizione alla iper-connessione.

Nella seconda, si tratta di declinare in forma pratica queste consapevolezze o queste attitudini:

  • organizzare le informazioni e saperle selezionare (fake news e debunking);
  • sviluppare contenuti in forme cross-mediali;
  • leggere i dati con strumenti specifici di analisi;
  • interagire e collaborare efficacemente e con empatia online;
  • navigare e interagire sui social media in sicurezza;
  • praticare in maniera consapevole il digital detox.

Il cambio di mentalità può essere ovviamente differente a livello generazionale, sebbene queste abilità siano valide per tutte le età che si rapportano al mezzo digitale.

Per un giovane, potrebbe significare il raggiungimento di un maggior senso critico sugli strumenti che (in teoria o nell’immaginario collettivo) sa già usare con naturalezza, mentre per un adulto significherà integrare il critical thinking acquisito con l’esperienza di vita con la padronanza pratica delle app, dei tools e degli strumenti correlati (o semplicemente averne coscienza e viverli con meno resistenza a priori, oppure addentrarvisi con pazienza e proattività di apprendimento).

Quante di queste cose potrebbero essere un terreno di scambio reciproco intergenerazionale?

Soprattutto i temi del digital wellbeing e dell’approccio “analogico” e critico all’information overload dei social media potrebbero diventare il nuovo scenario di hybrid digital skill, dove il digitale e il tecnologico potrà essere sempre più inteso come strumento e non come fine, ma soprattutto ben equilibrato con la relazione umana e della vita reale.

Solitamente. in letteratura la relazione che l’individuo ha con la tecnologia si identifica o come “determinismo tecnologico”, dove ogni mutamento sociale sarebbe determinato da un cambiamento nei modi di comunicare connessi alle tecnologie, più che nei contenuti stessi, oppure del “costruzionismo sociale della tecnologia”, nel quale la tecnologia è conseguenza dei processi sociali.

Probabilmente, la lente più opportuna da utilizzare è una formula intermedia e “ibrida” di co-produzione, dove non è la società a plasmare le tecnologie, e non sono le tecnologie a determinare la società: piuttosto società e tecnologie si influenzano e modificano a vicenda, in un processo di coevoluzione.

Così come l’incrocio di codici e saperi e di interdisciplinarietà è il valore aggiunto delle nuove skill del futuro – anche rispetto agli scenari timorosi dell’algocrazia e del dominio delle Intelligenze Artificiali, immaginare la commistione di approcci e mindset culturali intergenerazionali può risultare la soluzione maggiormente strategica oltre che più “sana”.

Gli antidoti generazionali alla Hustle Culture e alla tossicità digitale

Il significato del termine “Analogico”, oggi acquisisce nel parlare comune un’accezione demodé, oppure sembra fare riferimento a qualcosa di lento e malfunzionante: in realtà la sua definizione sta per qualcosa di “non numerico, o non digitale, detto di strumento di misurazione che fornisce misure in maniera non direttamente numerica e anche qualifica di tali misure” (Treccani). Quindi un principio qualitativo opposto ad uno espressamente numerico – magari binario.

Se ci viene facile affibbiare il termine “analogico” alle generazioni più adulte, perpetrando un po’ di ageismo, forse dovremmo fare i conti con lo scenario che ci circonda, dove “veloce” è sinonimo di efficiente, di performante e di positivo.

Viviamo l’era delle distrazioni digitali e della società del “tutto e subito”: secondo il report “Digital 2021: Global Overview Report”, nonostante i cambiamenti significativi nei comportamenti digitali dovuti al COVID-19, le persone dicono che trascorrono circa la stessa quantità di tempo ogni giorno sui social media oggi come hanno fatto in questo periodo l’anno scorso.

Tuttavia, i dati GWI mostrano che la media giornaliera è aumentata di oltre mezz’ora negli ultimi 5 anni. In totale, l’utente medio di Internet ora trascorre quasi 7 ore al giorno utilizzando Internet su tutti i dispositivi, equivalenti a più di 48 ore a settimana online: due giorni interi su una settimana di sette giorni.

Supponendo che una persona media dorma tra le 7 e le 8 ore al giorno, ciò significa che ora trascorriamo mediamente circa il 42% della nostra vita da svegli online e che trascorriamo quasi lo stesso tempo a usare Internet che a dormire.

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Il vero problema del rapporto col digitale di questa epoca non è solo nella quantità di tempo che dedichiamo al “virtuale”, ma soprattutto gli effetti che questo comporta.

Come ricorda continuamente Alessio Carciofi nelle sue indagini sul digital wellbeing, possiamo permetterci il lusso di dimenticare ed esercitare la memoria perché la tecnologia lo fa per noi e viviamo l’era delle distrazioni digitali in piena dipendenza da notifiche. Siamo tutti più o meno consapevoli che la grande risorsa a cui aneliamo costantemente ormai è l’attenzione.

Già diversi anni fa, secondo uno studio di Harvard, le persone trascorrevano il 46,9 per cento delle loro ore di veglia pensando a qualcosa di diverso da quello che stanno facendo, e questo “vagabondaggio mentale” dovuto all’uso tossico degli smartphone e della digitalità (vd. anche il binge watching) ci rende anche piuttosto infelici e distaccati dalla realtà.

LEGGI ANCHE: 5 consigli (e un gioco) per scollegarsi un giorno intero dallo smartphone e ritrovare sé stessi 

La causa non è solo nelle dinamiche di interazione che le notifiche digitali comportano, attivando meccanismi di rinforzo e sprigionamento di dopamina, in perfetto stile “slot machine”.

La progettazione dei prodotti e del business digitale si focalizza sul restituire continuamente il piacere della notifica e il suo rinforzo, contemporaneamente, è consapevole che le persone sono immerse in una realtà complessa e piena di distrazioni, per cui è perennemente in atto una “guerra” per catturare l’attenzione delle persone. E i sistemi elaborati dalle aziende con le strategie di marketing evoluto attuale, pensate per elaborare prodotti che alimentano continuamente la nostra fame di gratificazione istantanea, si abbinano ad una cultura effimera della ricerca del successo e alla valorizzazione narcisistica dell’immagine, che inevitabilmente ci porta perennemente a sentirci a disagio e non “all’altezza” nella nostra vita quotidiana.

La battaglia culturale che porta avanti Raffaele Gaito da qualche anno per innescare consapevolezza sul valore del controllo personale del tempo, sull’importanza dell’innamoramento verso il processo e la sperimentazione, è la chiave di volta.

La sua ultima pubblicazione “L’arte della pazienza. Come essere perseverante in un mondo frenetico” è un saggio dai contenuti ormai irrinunciabili per cambiare prospettiva sulla res digitale, in particolare per quanto riguarda il paradigma della “Hustle Culture”, che letteralmente ci esorta a spingere forsennatamente nel lavoro e nella quotidianità, verso obiettivi spesso irrealizzabili e a stipare continuamente cose da fare in agende dense di appuntamenti.

Raffaele spiega con i dati delle ricerche, con gli aneddoti storici di personaggi famosi e con il suo vissuto da imprenditore digitale, un metodo utile per il mondo del lavoro, del business e della vita personale, ma soprattutto sfata molti miti dietro l’immagine edulcorata del “successo” degli influencer, sul valore del fallimento (anche quello lento, mediterraneo, non necessariamente il “fail fast” di californiana memoria) e sulla pazienza, intesa anche come costanza e capacità di fare analisi critica e qualitativa.

Un approccio diremmo “analogico”, nel suo pieno significato di leggere la realtà anche con le lenti qualitative e non solo quantitative sui risultati di breve termine del “pochi, maledetti e subito”; come forse ha trasmesso nella cultura aziendale la disciplina del Finance e del Controlling, spesso univocamente focalizzato sulle chiusure dei quarter e non sulla meta o sulle persone che lavorano a quegli obiettivi.

Con il remote working, inoltre, si lavora di più e ci si affatica di più, e forse solo oggi, in condizioni estreme, stiamo scoprendo quanto la cultura frenetica e workaholic dei ruggenti decenni precedenti abbia reso disequilibrate le nostre vite professionali e personali. Senza distinzione di età.

Il dialogo intergenerazionale per ripensare il digitale

Parlare di digitalità allora, non significa più parlare di giovani come “smanettoni” o “social media dipendenti”, né di boomer come negazionisti tecnologici. L’esperienza del digitale è ormai così immersiva che non serve classificarla come questione per le nuove o le vecchie generazioni.

Si tratta di identificare quali necessità, in campo tecnologico, possano essere scambiate considerando sia per i giovani, sia per gli adulti, la capacità di suscitare per entrambi un mindset dinamico che insegni a guardare le opportunità esistenti nelle sfide che pone l’innovazione tecnologica, ammettendo però le debolezze e le “in-capacità” del tutto umane, migliorando con i feedback continui e la focalizzazione sui processi anziché solo sui risultati.

Ad esempio, le persone adulte hanno la tendenza ad interpretare i social network come fonti informative a cui forniscono una fiducia e una credibilità molto elevata (un po’ come “lo hanno detto in TV” di qualche tempo fa).

Avendo imparato ad utilizzarli successivamente, non riescono a “governarli” nella loro totalità e il loro utilizzo diventa, quasi, un gioco forza tra piattaforma e utente. Le generazioni Y e Z, invece, riescono forse ad avere un quadro più completo del luogo digitale dove si trovano, percependo come fonte non il social network in generale, ma la pagina o l’utente che pubblica il contenuto, sebbene rimanga anche per loro la difficoltà a muoversi tra le numerosissime fonti e stimoli che provengono da un mondo social che si dirige verso la saturazione.

Premettendo che è urgente e più che necessario che la formazione legata alle digital skill sia materia scolastica, se non addirittura una “patente”, che possa essere assegnata a grandi e piccoli per utilizzare consciamente gli strumenti e vivere in maniera consapevole la propria cittadinanza digitale, per generare l’incontro generazionale sul terreno della tecnologia, allora, potrebbe essere utile individuare quali contenuti possano essere scambiati nel reverse mentoring bidirezionale che giovani e adulti possono trasmettersi l’un l’altro:

  • il valore analogico del networking reale, la cybersecurity e il digital detox, ad esempio, potrebbero essere i driver che gli adulti sono in grado di trasmettere alle nuovissime generazioni
  • mentre la social netiquette, la conoscenza di tools e “tricks” digitali, e forse anche il coding, possono essere topic che i giovani possono insegnare ai senior, in azienda e a casa.

Per tutti, senza distinzioni di età, l’esigenza di essere istruiti sul terreno delle fake news e del debunking affinché anche i valori culturali, civici e politici non vengano storpiati dalle dinamiche (ormai potremmo dire immorali), del clickbait e delle “filter bubbles”, che non permettono di certo un dialogo aperto e trasparente tra generazioni.

Fastly down

Internet Down: Amazon, Spotify e centinaia di altri siti sono irraggiungibili

Tantissimi siti e servizi non sono accessibili o stanno registrando rallentamenti, tra cui Reddit, Spotify, Twitch, Stack Overflow, GitHub, gov.uk, Hulu, HBO Max, Quora, PayPal, Vimeo, Shopify, Stripe.

In down anche i portali di news come CNN, The Guardian, The New York Times, BBC e Financial Times.

LEGGI ANCHE: Cokieless: possibili soluzioni per evitare la catastrofe

La causa sarebbe un guasto a Fastly, un popolare provider CDN, secondo un product manager del Financial Times. Fastly ha confermato di avere dei problemi al momento: si tratterebbe di una global CDN disruption che riguarderebbe tutto il mondo.

Stiamo indagando sul potenziale impatto sulle prestazioni dei nostri servizi CDN“, ha dichiarato l’azienda, per poi confermare che il problema è stato indentificato e che sarà presto implementata una soluzione.

down detector

DownDetector, che monitora le prestazioni dei siti web e delle applicazioni web seguendo le segnalazioni di rallentamenti e stop sui social media, ha rivelato l’enorme portata dei problemi. Più di 4.000 persone hanno contemporaneamente segnalato problemi di accesso ad Amazon, secondo i dati del servizio.

Nel frattempo, 3.500 persone hanno affermato di non riuscire a visitare Twitch e quasi 10.000 hanno lamentato problemi di accesso a Reddit, ogni minuto.

Cosa sono le CDN

Le CDN sono una parte fondamentale dell’infrastruttura internet. Queste aziende gestiscono reti globali di server per migliorare le prestazioni e l’accessibilità dei servizi web. Le CDN agiscono come server proxy e mettono in cache alcuni dati a disposizione dell’utente finale.

Per esempio, un contenuto multimediale è spesso memorizzato nella cache di un server CDN locale in modo che non debba essere recuperato sul server originale ogni volta che un utente carica una pagina web.

Nel corso del tempo, i CDN hanno iniziato ad aggiungere altre caratteristiche, come il bilanciamento del carico, la protezione DDoS, i firewall delle applicazioni web e diverse caratteristiche di sicurezza.

I CDN popolari includono Fastly, Cloudflare, CloudFront su Amazon Web Services e Akamai.

Fastly, in particolare, è abbastanza popolare: l’azienda è diventata pubblica nel 2019 e le azioni Fastly sono attualmente scambiate a 48,06 dollari, in calo del 5,21% rispetto al prezzo di chiusura di ieri.

Il problema di oggi non si limita a un data center in particolare: Fastly l’ha definita una “interruzione CDN globale” e sembra che stia colpendo la rete della società a livello mondiale.

 

barbara carfagna a N-Conference

Gli algoritmi ci privano della libertà? Intervista a Barbara Carfagna

Nel viaggio alla scoperta delle aziende e delle persone Unbreakable, che sono state in grado di reinventarsi e superare le difficoltà grazie alla tecnologia, Mirko Pallera, CEO e founder di Ninja, ha incontrato Barbara Carfagna, giornalista, conduttrice e autrice Rai, conosciuta la grande pubblico anche per la trasmissione “Codice, la vita è digitale“.

Durante la chiacchierata, Barbara ha raccontato a Mirko degli inizi della sua carriera e delle prime collaborazioni importanti, ma anche di chi e che cosa l’ha ispirata a diventare giornalista televisiva.

Ha anche svelato la sua personale formula per essere Unbreakable, che non passa per forza attraverso un percorso stabilito da seguire pedissequamente; piuttosto, dalla capacità di cambiare rotta per non infrangersi.

Mi sono fatta un’idea“, ha detto Barbara, “che non bisogna necessariamente avere le idee così chiare e stabilire un percorso immutabile da seguire. Siamo in un’epoca in cui, di fatto, molto è nella capacità di cambiare rotta. Bisogna sapere dove si vuole andare, ma poi il percorso può essere ricostruito a posteriori. Questo è un modo anche per non infrangersi“.

>> Iscriviti al canale Unbreakable Tour per seguire tutte le tappe del viaggio alla scoperta delle aziende indistruttibili <<

In occasione di N-Conference, il Business Visionary Event targato Ninja, trasmesso online il 27 e 28 maggio dagli studi di Fandango Club, abbiamo incontrato ancora Barbara (che ha tenuto il Keynote “Il Codice della vita Digitale”) e le abbiamo fatto qualche domanda sulla sua visione delle tecnologie nel mondo attuale (e per il futuro) e sull’approccio europeo ai nuovi sistemi di controllo dei dati biometrici.

Secondo te, oggi ha ancora senso fare una netta distinzione tra “vita reale” e “vita digitale”?

No, secondo me non ha senso fare questa distinzione netta, perché negli ambienti connessi, quelli che il filosofo Luciano Floridi chiama “infosfera”, in realtà noi viviamo già onlife, cioè eternamente connessi. Con il 5G avremo anche una simultaneità tra ciò che accade nel reale e ciò che accade online e, soprattutto, ogni cosa che accade nel virtuale avrà un effetto immediato sul reale e ciò che accade nel reale avrà effetto sulla vita reale.

Possiamo dire che siamo un po’ esseri “anfibi”, che vivono a metà e costantemente in una dimensione dentro e fuori internet.

Quando arriverà il 6G, che ingloberà internet negli oggetti ed eliminare visori e interfacce, vivremo totalmente immersi nell’onlife.

intervista a barbara carfagna

L’Unione Europea si sta muovendo per regolamentare con accuratezza l’uso dell’intelligenza artificiale e del video controllo. Credi che sia un limite al progresso o è un aspetto positivo?

Penso che, per ora, possa essere considerata una cosa positiva. Basti vedere cosa sta accadendo in Cina con il social credit.

È come se fosse un gioco a punti: si nasce, per esempio, con mille punti e poi, man mano che si commettono degli atti, che possono essere anche solo sporcare per terra, riconosciuti da una webcam, il sistema automaticamente scala questi punti.

Ovviamente si parla di gettare una carta a terra fino ad arrivare al punteggio massimo se si uccide qualcuno, ma nel mezzo si perdono alcuni vantaggi sociali, compresa la possibilità di viaggiare. Diventa molto difficile, non so neanche se sia possibile, recuperare questi punti.

Quando si arriva a esaurire i punti, la pena è la disconnessione, che è vista come l’ergastolo perché, se viviamo nell’infosfera, e siamo eternamente onlife, essere disconnessi significa essere fuori dal mondo e dalla società.

Anche in tanti altri posti del mondo, il riconoscimento facciale può essere utilizzato per obiettivi commerciali molti spinti o anche di indirizzamento dei comportamenti, e questo non è visto dalle nostre democrazie e dalla cultura europea come un qualcosa di democratico, perché sono tutti procedimenti che avvengono in maniera poco consapevole e poco visibile.

Penso quindi che la strada intrapresa dall’Europa sia corretta, per il momento. Bisogna certamente cercare di limitare le tecnologie come il riconoscimento facciale ad alcuni casi in cui è davvero utile, come nella lotta alla criminalità, per esempio nell’individuazione dei ricercati.

Come fare per “tenere il buono e non buttare via tutto”? Questo è un problema che ancora nessuno è riuscito a risolvere.

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Cosa si intende per “datacrazia”? E che impatto ha il fenomeno per l’umanità?

Datacrazia è un termine che ha inventato il sociologo Derrick De Kerckhove, e può essere un fenomeno positivo se riusciamo a immettere concetti democratici nel digitale.

Per esempio, come ha fatto l’Europa, con la creazione del pacchetto di regole che comprende il Digital Markets Act, il Digital Services Act, Gaia X, come bacino di dati dei cittadini europei, seppur estratti da big tech straniere, e la GDPR, che ci hanno già “copiato” in diversi parti del mondo.

In questo senso, possiamo creare un mercato e una libera circolazione dei dati positiva per le industrie e per le aziende, per il valore che viene ridistribuito rispetto alla centralizzazione delle big tech che lo detengono in toto.

Invece, la Datacrazia può essere una dittatura se noi otteniamo dei sistemi che ci tolgono la libertà, un po’ come quello cinese sul social credit e un po’ come quello delle big tech che possiedono tutti i dati e che magari orientano i nostri comportamenti senza la nostra consapevolezza.

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la fine dei cookie di terze parti

Cookieless: possibili soluzioni per evitare la catastrofe

Per anni, il marketing digitale si è sviluppato prepotentemente attorno alla possibilità e all’abilità di tracciare il comportamento degli utenti attraverso le loro azioni online.

Gusti, preferenze ed abitudini di acquisto, sono diventate il pane quotidiano di un mondo fortemente basato sui dati.

E da tutto ciò le aziende hanno tratto importanti vantaggi, presentando offerte e comunicazioni sempre più mirate e cucite sull’utente.

Cosa succederebbe se in futuro tutto questo non fosse più possibile? C’è una buona e una cattiva notizia, ma iniziamo da quest’ultima: quel futuro è già oggi.

La bella notizia? Al contrario di quanto si possa pensare, non tutto è perduto.

Cosa sono i cookie?

Dovremmo già conoscerli approfonditamente, ma un ripasso ci sta.

Come definito da PCMag, un cookie è una leggerissima stringa di testo, dal peso inferiore ai 4kb, che può essere conservata temporaneamente o permanentemente nel pc dell’utente.

La sua utilità? “Riconoscere l’utente” e ricordare le sue abitudini più ricorrenti o le ultime attività durante le sessioni di navigazione o fruizione dei siti.

Per esempio, durante una sessione di acquisto su un eCommerce, nel caso in cui l’utente dovesse switchare verso un altro sito e poi ritornare sul carrello, la piattaforma lo riconoscerebbe mostrandogli i prodotti visualizzati in precedenza.

Esistono due tipi predominanti di cookie installati su un sito web: i cookie di prima parte, creati direttamente dal sito o dalla piattaforma che si sta visitando per migliorare la user experience, e i cookie di terze parti, appartenenti cioè ad altri siti o piattaforme (Facebook e Google, ad esempio), usati per individuare le abitudini e le caratteristiche dell’utente e aiutare il sito web o la piattaforma in attività di analisi e di marketing.

È semplice comprendere come i dati tracciati da quest’ultima tipologia di cookie non rimangano isolati alla semplice fruizione del sito visitato, ma entrino a far parte di un complesso ecosistema in grado di intrecciare sempre più dati per delineare le caratteristiche dell’utente allo scopo di facilitare il suo targeting nelle strategie legate alle sponsorizzazioni online.

L’evoluzione delle tematiche legate al GDPR ha permesso di prendere sempre maggior consapevolezza rispetto ad una variabile importantissima nell’equilibrio di questo ecosistema: la privacy delle persone.

Infatti, soprattutto nell’ultimo periodo, stiamo assistendo ad una serie di novità da parte dei principali attori del mondo digital, sempre più indirizzati a mantenere saldi i principi della privacy.

È il caso di Mozilla e Apple che hanno deciso di bloccare per primi i cookie di terze parti sui propri browser (Firefox e Safari).

Proprio riguardo Apple, la bomba per tutta la categoria di marketer legati al mondo digitale è scoppiata poco più di un mese fa con l’arrivo dell’aggiornamento iOS 14.5.

Un mondo senza cookie

L’uscita del nuovo update per iPhone ha segnato un momento fondamentale nel business dell’advertising e del tracciamento online.

Fra le funzioni di questa release, una delle più importanti è l’App Tracking Transparency che introduce il consenso esplicito da parte degli utenti per permettere alle app di poter effettuare azioni di tracciamento con finalità pubblicitarie.

Cosa significa questo? Che di default un’app non può più tracciare il comportamento e le azioni svolte dall’utente al suo interno per fini pubblicitari, a meno che non sia l’utente stesso ad autorizzarlo.

Tutto ciò diminuisce, quindi, sensibilmente la mole di dati che permette di caratterizzare le abitudini di ogni utente per proporre ads sempre più performanti verso il target di riferimento, rendendo le campagne più instabili.

Ma non è tutto. Google ha annunciato che, a partire dal 2022, anche il suo browser Chrome non supporterà più cookie di terze parti, mettendo al centro una filosofia “Privacy first”.

È lo stesso colosso di Mountain View a stimare la perdita in revenue derivante dal blocco dei cookie di terze parti.

Attraverso un esperimento condotto disabilitando i cookie di terze parti su alcuni utenti, ha riscontrato che la revenue media per i top 500 publisher di Google Ad Manager si abbasserà del 52%, con punte anche del 75% per alcuni di loro.

 

 

Un risultato che desta più di qualche preoccupazione.

Quali sono le soluzioni a questa catastrofe? Ecco la bella notizia

Già nei giorni precedenti l’arrivo di queste novità, sono emerse soluzioni più o meno “eleganti”.

Un esempio è quello del CAID: la soluzione della China Advertising Association, resa nota da AdExchanger, per aggirare l’App Tracking Transparency attraverso lo sfruttamento delle impronte digitali.

Allo stesso modo Google ha annunciato che utilizzerà il metodo FLoC (Federated Learning of Cohorts), spostando l’attenzione dal singolo utente ad un cluster formato da un largo gruppo di persone con simili interessi. Sebbene questa soluzione non sia analitica quanto quello a cui siamo stati abituati fino ad oggi, può segnare una preliminare soluzione al problema.

Ma non è tutto qui. Anche la Marketing Automation, se ben utilizzata, può essere sfruttata in tal senso. Certo, il punto di partenza resta sempre quello di veicolare il messaggio giusto all’utente giusto ma, attraverso l’analisi delle attività degli stessi sul proprio sito internet e portale, è possibile delineare il comportamento di ogni utente, assegnargli un punteggio e comunicare in maniera mirata e con alti risultati.

E qui nasce un’evoluzione dalla semplice piattaforma CRM (Customer Relationship Management) verso i più moderni CDP (Customer Data Platform) in grado di incrociare tutte i dati forniti e di sessione.

In questo caso, in un mondo senza cookie di terze parti, saranno altre due tipologie di dati al centro dell’interesse dei marketers del futuro: i First-party data e i Zero-party data.

I primi altro non sono che i cookie di prima parte attraverso i quali i proprietari dei siti possono tirar fuori tutte le analisi relative alle pagine visitate, quelle di maggiore interesse, i pulsanti premuti, i download ed altri dati di questo tipo.

Il report MarketingCharts ha messo in luce come il 52% delle aziende intervistate sia interessata a far fronte a questi cambiamenti proprio attraverso l’utilizzo di First-party data.

 

 

I Zero-party data, invece, sono i dati esplicitamente forniti dagli utenti per usufruire dei servizi messi a disposizione dall’azienda. Sono i classici dati forniti attraverso un form di iscrizione oppure richiesti al momento della sottoscrizione di una fidelity card o di un acquisto.

Perché quindi la Marketing Automation può rivelarsi un valido aiuto?

Come riportato dall’indagine di SalesManago, utilizzando una tecnologia basata sui dati come la Customer Data Platform, i professionisti del marketing possono sfruttare i dati di parte zero per estrarre informazioni che possono aiutarli a fornire una personalizzazione 1 a 1 (con l’aiuto dei dati di prima parte) e quindi ad arricchire l’esperienza del cliente.

I dati vengono raccolti da numerose fonti, puliti e combinati per creare un unico profilo utente. Questi dati strutturati vengono poi condivisi con altri sistemi di marketing oltre a poter generare azioni automatiche verso gli utenti.

In generale, però, l’epilogo sulla coesistenza di tecnologia e trattamento dei dati è ben lontano da un punto finale.