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Sei sicuro di essere in regola con la GDPR e la privacy in azienda?

Settimo appuntamento con i Webinar PRO targati Ninja: tutti gli insight, trucchi, trend, dietro le quinte sui temi caldi del momento, condivisi con voi.

Tema della puntata è il GDPR, General Data Protection Regulation: abbiamo affrontato la violazione della privacy, soprattutto nel settore informatico, dalla figura che si è delineata del DPO, ai cookie di terze parti su Google, e tanto altro. Ospite della puntata è Giovanni Maria Riccio, Docente, Avvocato e Partner E-lex.

Non perderti i punti salienti dell’intervista:

  • Il vasto mondo del GDPR: cos’è?: min 1,55
  • I principali obblighi per le imprese: min 4,40
  • In che modo si utilizzano i data come risorse: min 14,10
  • Come proteggersi dai Data Breach: min 16,28
  • Google elimina i cookie di terze parti: min 19,25
  • L’UE ha vietato l’uso dell’AI: min 20,55
  • I minori sui social network: Instagram Kids: min 28,40
  • La nuova figura del DPO: min 34,15
  • Sanzioni per violazioni: min 38,30

cookieless

L’era cookieless è vicina: regole di base per non farsi prendere dal panico

Il mondo digitale è uno scenario in constante evoluzione e, soprattutto per gli addetti ai lavori, è fondamentale rimanere aggiornati.

È proprio in questo contesto di mercato che vogliamo fare chiarezza su una tematica di cui si sente parlare ormai da mesi, ma ora più attuale che mai: la scomparsa dei cookies di terze parti dal browser Chrome, a partire dal 2022. Sì, proprio quelli che, ogni volta che navighiamo, siamo costretti, più o meno consapevolmente, ad accettare per poter fruire del contenuto in pagina.

Prima di spiegare quali saranno le conseguenze per le persone e per tutto il mercato della pubblicità on line della scomparsa di questo metodo di tracciamento, facciamo uno step back su cosa siano i cookies e quali compiti hanno avuto in questi anni di tracciamento e monitoraggio degli utenti sui siti internet.

Marketing Automation

Cosa sono i cookies

I cookies sono strumenti utilizzati dai siti web per archiviare e recuperare informazioni e rientrano in diverse classificazioni.

Sono chiamati “cookies di prima parte” quelli gestiti direttamente da proprietario del sito che stiamo visitando. Sono invece definiti “cookies di terze parti” quelli che appartengono a domini diversi da quello che l’utente sta visitando (ad esempio, la raccolta di statistiche sui click di un banner pubblicitario).

Vengono classificati dunque in base a un unico parametro, quello della provenienza.

Chiarito questo aspetto, vediamo insieme quali potrebbero essere le conseguenze per utenti, publisher e i marketers che dovranno necessariamente rivedere le logiche di profilazione delle loro target audience quando i cookie di terze parti spariranno dal panorama digital.

Possiamo asserire che la possibilità e la necessità di personalizzare nel minimo dettaglio le campagne di digital advertising, finiranno col perdere questa peculiarità che verrà colmata probabilmente con nuovi tool di monitoraggio e tracking.

La maggior parte dei browser offrivano già la possibilità agli utenti di disabilitare la trasmissione dei cookies di terza parte. A breve, però, tutti i browser bloccheranno completamente questa possibilità.

Teads ha sviluppato una lista di 5 regole per supportare i marketer di tutto il mondo nello sviluppo di strategie pubblicitarie efficaci e garantire vantaggi misurabili senza l’utilizzo dei cookie.

#1. Sii preparato ad affrontare la sfida

Non c’è dubbio, si tratta di una sfida. Il marketing utilizza i cookies come base per le strategie digitali da anni ormai, quindi, per continuare a essere efficace e avere successo è necessario un cambiamento. Un cambio di approccio, un cambio di team, partner e scopo.

Solo con la giusta preparazione, il successo arriverà. Assicurati che i tuoi parametri siano chiaramente definiti; come è strutturato il tuo mercato? Dove sono presenti i tuoi marchi e come misurerai il successo in futuro? Analizza e revisiona le tue attuali necessità di Audience Targeting e dividile in macro categorie, per esempio demografiche, interessi, intent.

#2. Ridisegna la tua strategia di dati di prima parte

Sia in termini di raccolta, sia di utilizzo dei dati, la maggior parte dei dati proprietari dei clienti, che dipende in grande misura dai cookie, si ridurrà. Nonostante questa prevista riduzione di volume, diventa paradossalmente ancora più strategico concentrare il proprio tempo nell’utilizzarli, ma in modo diverso. Ci sono step chiave da seguire:

  1. Utilizzare i dati non solo per il targeting standard.

Devi andare al di là del semplice utilizzo dei tuoi dati per il direct messaging/lookalike. Come priorità, sviluppa una strategia in cui i tuoi dati possono essere utilizzati in due casi d’uso fondamentali:

  • Supportare la pianificazione e il processo decisionale cookieless

I dati che possiedi sui tuoi consumatori dovrebbero diventare il punto di partenza fondamentale della tua trasformazione Cookieless, ad esempio usandoli per analizzare quali sono i contesti in cui intercettare i tuoi clienti più preziosi. Conoscere il tipo di contenuto che i tuoi clienti stanno leggendo in ciascun mercato e per ogni marchio, ti aiuterà a definire la tua strategia di targeting contestuale iniziale.

  • Per supportare le esigenze di misurazione

La misurazione del rendimento e dell’efficacia non deve essere eseguita per il 100% delle campagne, ma solo su una percentuale statisticamente rappresentativa. Assicurati di utilizzare i tuoi dati proprietari per potenziare il più possibile la misurazione dell’efficacia dei media (ad esempio: acquisire segnali online / offline di visite sui tuoi siti proprietari).

  1. Introdurre un sistema sostenibile di gestione di tutti gli aspetti dell’identità online in conformità con le regolamentazioni della privacy

Esamina tutti i tuoi canali di raccolta e utilizzo dei dati per valutare come puoi mappare i tuoi utenti con login / identificatori permanenti. Quando gli editori introdurranno un volume significativo di ID univoci sull’open-web, dovrai già essere in grado di usarli.

Assicurati, inoltre, che la gestione della privacy dei tuoi dati sia ottimale (consenso utente, diritto di attivare/disattivare la condivisione dei propri dati, ecc). Quest’ultimo aspetto dovrebbe essere affrontato non solo da una prospettiva normativa, ma anche per assicurarti di coinvolgere i tuoi consumatori nel modo giusto.

#3. Adatta le tue capacità di audience agli sviluppi futuri

Nonostante le molte iniziative in ambito cookieless, dobbiamo essere realistici: non ci sono soluzioni univoche valide per tutto. Saranno necessari approcci differenti da testare e combinare per mantenere lo stesso livello di efficacia pubblicitaria.

Assicurati di monitorare e testare le iniziative più rilevanti nell’industry:

  1. Privacy Sandbox: tieniti pronto per i primi test che saranno lanciati nell’ H1 2021. Scopri di più qui.
  2. Profilazione real-time: utilizza gli insight e i signal cookieless più rilevanti come proxy di un’audience (es. contesti, modello del device, ecc.)
  3. I dati di prima parte degli editori: Identifica gli editori che hanno i dati più rilevanti per la tua audience principale. Questo approccio ha tante opportunità quanti limiti, quindi assicurati di essere ben consapevole di entrambi prima di prendere qualsiasi direzione
  4. Unique ID: tieni presente che si tratta di utilizzare un unico identificativo e che molti editori stanno progressivamente attivando più soluzioni di accesso ai contenuti. Monitora la scalabilità e comincia a testarne l’utilizzo se possibile (sul medio/lungo termine).

jobs checklist

#4. Scopri il potere del contenuto

Il Contextual Targeting non è un piano B. È un’efficace strategia media che abbiamo validato con diversi brand in tutti i mercati. La sfida del targeting contestuale su larga scala, è che i segreti per far leva sulla sua massima efficacia non sono chiari a molti. Quindi, quali sono i passaggi per assicurarsi di poterlo sfruttare al meglio? Come tutte le buone campagne, si deve iniziare con un buon piano media per garantire un’adeguata fruibilità.

Usa i tuoi dati di prima parte, i nuovi strumenti e le intuizioni per scoprire quali segnali contestuali possono essere utilizzati, quando e come.

I passaggi successivi sono l’utilizzo delle informazioni contestuali per l’adattamento delle creatività: come possono essere personalizzate le tue creatività in base al contenuto della pagina per amplificare il tuo messaggio? Misura i risultati e comparali all’audience targeting, rimarrai piacevolmente sorpreso dai risultati.

Analizza tramite A/B test soluzioni di contextual targeting differenti per scoprire quale funziona meglio per i tuoi marchi e le tue campagne, al momento giusto.

Durante il 2021, sii pronto ad andare anche un passo oltre esplorando nuovi signal contestuali su larga scala: meteo, ora del giorno, modelli di dispositivi, per esempio. Sono tutte dimensioni cookieless chiave, che consentono una maggiore personalizzazione ed efficacia dei media.

#5. Non perdere la bussola

Il percorso di trasformazione cookieless può portarti ad affrontare molteplici sfide che puoi anticipare in modo proattivo. Il miglior approccio è quello di lavorare per trovarti nella miglior posizione per continuare a:

  1. Adottare il giusto mindset: non c’è bisogno di farsi prendere dal panico, ma la questione cookieless deve essere considerata in maniera seria e compresa chiaramente dalla tua azienda di digital marketing.
  2. Focalizzarti sugli obiettivi: definisci in maniera chiara la timeline e lo scopo del progetto. Cosa verrà testato, come e quando? Non testare alla cieca tutte le soluzione dell’ad-tech.
  3. Comunicare, partecipare ai working group e condividere i tuoi risultati: mostra i tuoi migliori lavori all’intera industry e trai beneficio dalle esperienze e punti di vista degli altri brand. Questa è una sfida che dobbiamo affrontare tutti insieme, ma la collaborazione intersettoriale è il modo migliore per fornire risultati di business e al contempo riguadagnare la fiducia dei consumatori

L’epoca cookieless che ci apprestiamo a vivere definirà un nuovo ecosistema digitale per gli utenti, i publisher e gli advertiser, tuttavia non va interpretata come una minaccia, ma come un’interessante opportunità per lavorare in maniera ancora più trasparente e consapevole.

test per valutare la maturità delle imprese

Digitalizzazione imprese: un test per valutare il livello digitale delle aziende

La necessità di migliorare e portare avanti la digitalizzazione delle imprese è un argomento che interessa molte aziende, di ogni tipo e dimensione, e che viene dibattuto da diversi anni.

Nell’ultimo periodo ne abbiamo sentito parlare sempre di più, anche perché la pandemia da COVID-19, oltre a cambiare le nostre abitudini, ha accelerato piccole e grandi trasformazioni che avrebbero impiegato normalmente molto più tempo ad adempiersi.

Cosa intendiamo per digitalizzazione delle imprese?

Perché è importante la digitalizzazione delle imprese

La digitalizzazione è un insieme di processi che prevede l’uso delle tecnologie digitali per cambiare un modello di business e fornire nuove opportunità di guadagno, di produzione e di valore a un’azienda. A dirla tutta però non è solo questione di tecnologie, ma richiede un vero e proprio cambio di mentalità.

Possiamo affermare che la digitalizzazione è un’opportunità, un investimento a lungo termine per le imprese. 

La pandemia ha creato non poche difficoltà a molte aziende, specialmente a quelle medio piccole. Ha aumentato il divario dei servizi offerti ma anche della gestione interna rispetto a quelle imprese meglio organizzate. La trasformazione digitale, mai come ora, si è dimostrata invece la forza e la risposta che permette alle aziende non ancora digitalizzate, o alle prime armi, di progredire.

Una strategia di business digitale trasformerà qualsiasi realtà perché consente di snellire i processi logistici e fare uso di tecnologie per migliorare l’interazione sia con clienti che con i dipendenti.

Le persone sono al primo posto

Digitalizzare le aziende significa soprattutto puntare sulle persone, il vero cuore di ogni azienda.

Per farlo bisogna focalizzarsi su di esse riqualificando tutto il personale, organizzando e formando professionisti con le competenze digitali necessarie. Si tratta di formazione aziendale continua perché innumerevoli e rapide sono le trasformazioni tecnologiche.

La conoscenza assume sempre più un ruolo chiave e fondamentale nell’evoluzione di un’impresa. Questa conoscenza è effettivamente misurabile? Certo che sì, ci sono degli strumenti creati appositamente e messi a disposizione dai Punti Impresa Digitale delle Camere di commercio.


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LEGGI ANCHE: Learning trends e riqualificazione del lavoro: cosa è cambiato durante la pandemia

Come valutare la maturità digitale delle aziende

I Punti Impresa Digitale, conosciuti anche come PID, sono stati avviati nel 2017 grazie alle Camere di commercio per aiutare gli imprenditori e le imprese nel delicato processo di digitalizzazione.

Sostenuti sia dal sistema camerale e dall’ Unioncamere nell’ambito del Piano Nazionale Impresa 4.0, garantiscono gli strumenti validi per conoscere e capire il grado di consapevolezza del digitale delle aziende e dei lavoratori, ma non solo. Muniscono anche aiuti e supporti per poter progredire nella crescita digitale.

E proprio attraverso i PID si è pensato di attivare un nuovo strumento dedicato in particolare a studenti e lavoratori. Un test di autovalutazione per misurare il loro livello di consapevolezza delle potenzialità del digitale, favorendo la definizione delle strategie di miglioramento. Stiamo parlando di Digital Skill Voyager.

Gli strumenti creati però sono diverse e adatti a ogni esigenza.

Le offerte per comprendere i gradi di digitalizzazione delle imprese

Per migliorare la digitalizzazione di ogni azienda bisogna capire da che punto parte, ecco perché è importante misurarne il livello. Anche gli studenti e i lavoratori, però, dovrebbero conoscere la propria maturità digitale al fine di accrescerla e migliorarla.

I PID hanno in tal caso preparato diverse offerte pensate per destinatari differenti, dagli imprenditori ai lavoratori e a chi sta iniziando a formarsi. Conoscere il nostro livello di digitalizzazione ci permette di capire quanto lavoro dobbiamo ancora fare per diminuire il divario e raggiungere il nostro obiettivo: un’azienda 4.0.

Le offerte proposte fanno parte del programma strategico nazionale “Repubblica Digitale” promosso dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Troveremo tre tipologie di offerte:

  • SELF i4.0
  • ZOOM4.0 
  • Digital Skill Voyager

Vediamole nel dettaglio per capire quale sia la più adatta alla nostra realtà.

SELF i4.0: un test di autovalutazione online per le imprese

SELF i4.0 è un test di autovalutazione online, facile da compilare e indirizzato alle imprese.

È un questionario di 40 domande utili a capire il grado di digitalizzazione della propria azienda e ne riguarda principalmente i processi. Dopo aver risposto a tutte le domande verrà generato un report, inviato via mail, con la posizione della nostra azienda. Verrà quantificato sia il punteggio della maturità digitale globale che quello del singolo processo analizzato. 

I gradi di classificazione in cui l’azienda verrà inserita sono 5:

  • esordiente digitale. L’impresa in questione è incentrata principalmente su una gestione tradizionale ed è poco incline ai processi digitali;
  • apprendista digitale. Il livello di utilizzo degli strumenti digitali è appena agli inizi;
  • specialista digitale. L’azienda si trova già a buon punto con i processi di digitalizzazione;
  • esperto digitale. L’impresa è avviata con successo a un tipo d’Industria 4.0;
  • campione digitale. Il livello di digitalizzazione di un’impresa è avanzato e utilizza, senza intoppi, tecnologie e strategie all’avanguardia.

ZOOM4.0: interviste da svolgere in azienda

ZOOM4.0 è uno strumento da utilizzare direttamente in azienda con l’ausilio di un Digital Promoter appartenente alla propria Camera di commercio.

In cosa consiste questa seconda proposta? Più completo del precedente, prevede delle interviste al personale e alla direzione, ottenendo in questo modo un report esaustivo e dettagliato.

avvocato

Digital Skill Voyager: il test per misurare le skill digitali di lavoratori e studenti

Digital Skill Voyager è riservato a studenti e lavoratori e consente di conoscere e analizzare le proprie skill digitali. Strutturato secondo le regole della gamification, è molto dinamico. Il test è online, gratuito, ed è accessibile dal portale Dskill.eu

Come è strutturato?

Chi vuole mettersi alla prova e misurarsi, dovrà affrontare un viaggio nel tempo seguendo sei macro aree di conoscenza digitale:

  • digitalizzazione di base, era preistorica; 
  • comunicazione e condivisione, era antica; 
  • pensiero computazionale e coding, era medioevale; 
  • tecnologie digitali e le loro applicazioni, era moderna; 
  • innovazione sostenibile, era futura.

Alla fine di questo avventuroso viaggio conosceremo, attraverso una valutazione, il nostro livello di conoscenza digitale.

Dopo aver scelto lo strumento più adatto alle nostre esigenze, come possiamo migliorare il livello della nostra azienda e avviarci a una completa digitalizzazione dei processi e degli strumenti aziendali?

LEGGI ANCHE: Soft skill: 7 strategie per costruire un team più resiliente

Come migliorare il livello di digitalizzazione

I PID affiancano diversi servizi e iniziative di mentoring e orientamento.

Nel primo caso le aziende verranno sostenute dai mentor, persone qualificate nell’ambito della digitalizzazione. Per quanto riguarda invece l’orientamento, le imprese verranno indirizzate verso servizi specialistici e strutture che possiamo trovare nel portale Atlante I4.0

Inoltre i PIM, attraverso i bandi pubblicati dalle Camere di commercio, erogano alle imprese contributi a fondo perduto sotto
forma di
voucher digitali, per usufruire di servizi di consulenza, formazione e tecnologie.

È ora che è tutto pronto per la rivoluzione 4.0.

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La nuova campagna di Indesit ci chiede una maggiore collaborazione domestica

La parità di genere non è un tema astratto che riguarda la società in generale, ma qualcosa che tocca ogni casa: è proprio qui infatti che ancora oggi le donne si fanno carico del peso maggiore delle incombenze quotidiane.

Da sempre vicina alle famiglie, Indesit ha da tempo preso posizione su questo tema con la pluripremiata campagna #DoItTogether vincitrice negli ultimi quattro anni di diversi awards, tra cui il premio Equal di ADCI – continuando a sostenere la necessità di una maggiore collaborazione in casa, senza distinzione di sesso.

In questo quarto anno di campagna, Indesit ha scelto di affrontare la tematica della gender equality attraverso gli occhi dei bambini. Nel nuovo video “I bambini ci imitano, sono proprio i più piccoli infatti a essere protagonisti: imitando le principali occupazioni dei genitori in casa, svelano come in realtà il maggior carico delle faccende domestiche pesi sulle mamme. 

LEGGI ANCHE: Come trasformare un evento digitale in un successo reale

Creato da WPP EMEA (Agenzia: Wunderman Thompson EMEA, Casa di Produzione: The Box), diretto da Maria Guidone e pianificato dal centro media The & Partnership, il nuovo episodio consolida i messaggi della campagna #DoItTogether, posizionando il brand Indesit come l’alleato affidabile per le famiglie, socialmente impegnato sui temi della parità di genere. 

Novella Sardos Albertini, Head of Brands & Digital Communication di Whirlpool Italia, dichiara:

Lo stare insieme in famiglia è al centro dei valori di Indesit, che conosce le sfide che ognuno deve affrontare quotidianamente. Durante la pandemia, che ha reso la casa anche un luogo per il lavoro e la scuola, la pressione sui genitori è cresciuta ulteriormente. Per questo Indesit si impegna a semplificare la vita a casa: i nostri prodotti e la tecnologia Push&Go sono talmente facili da usare che qualsiasi persona può fare la sua parte, favorendo un’equa distribuzione dei compiti domestici e, di conseguenza, un ambiente familiare più felice.

Le innovative tecnologie Push&Go e Turn&Go, infatti, offrono un accesso rapido e semplice alle funzioni più utilizzate ogni giorno, attraverso un unico tasto. 

#DoItTogether: una campagna integrata a 360°

Il video “I bambini ci imitano”, che sarà promosso sui canali social di Indesit – Instagram, Facebook e Youtube – è parte fondamentale della campagna integrata online che coprirà parte del 2021. La campagna prevede anche il programmatic display standard e il programmatic social display, oltre a una landing page sul sito di Indesit dedicato alla campagna.

Per sostenere lo storytelling, Indesit lavorerà con family influencer, tra cui la madrina Alessia Mancini, a partire dalla seconda metà maggio. Con l’attività “Children certified” al centro del racconto saranno nuovamente i bambini che, intervistati su ciò che vedono accadere in casa, con le loro parole mostreranno un quadro autentico della propria famiglia.

La quotidianità che viviamo io e la mia famiglia è scandita da tante attività, professionali, scolastiche e di gestione della casa e tutti cerchiamo di fare la nostra parte in pieno stile #DoItTogether. Per questo prendo parte con piacere alla campagna di Indesit perché, come mamma, credo che dare il giusto esempio valga più di mille parole.

Afferma Alessia Mancini, conduttrice e mamma di due bimbi, Madrina della Campagna #DoItTogether.

Indesit realizzerà inoltre a fine maggio una ricerca internazionale sui consumatori dedicata al tema della gender equality, con un focus particolare sull’impatto delle restrizioni anti-Covid nella gestione della vita familiare.

Parallelamente Indesit darà spazio sui suoi canali social anche ad alcuni contenuti dedicati ai più piccoli, come le Fairy Tales: fiabe classiche riviste in chiave #DoItTogether, ovvero con un finale che supera gli stereotipi.

In occasione della Festa del 1 maggio, la campagna #DoItTogether è stata anticipata sui social dal video intitolato “Unmute”, con cui il brand ha voluto dare voce a chi, lavorando in casa in smartworking, conduce in realtà due lavori, occupandosi contemporaneamente anche dei figli.

team da ufficio e da remoto

Team da remoto e in ufficio: come migliorare la collaborazione a distanza

L’accelerazione digitale degli ultimi due decenni ha completamente cambiato tantissimi aspetti del posto di lavoro, tra cui anche la collaborazione tra i colleghi del team.

Non è passato molto tempo da quando le riunioni e i brainstorming si svolgevano sempre in sale apposite, o almeno prevedevano che tutti si riunissero attorno a un unico tavolo. Oggi, gran parte della nostra comunicazione è asincrona e le riunioni, quando le abbiamo, sono spesso virtuali.

Questo processo, inoltre, ha subito ulteriori stravolgimenti anche a causa della pandemia da COVID-19. Ma non dobbiamo sottovalutare che lo stesso spazio di lavoro digitale saturo ci ha costretti a diventare più intenzionali nei modi in cui comunichiamo, pensando non solo a quando dobbiamo collaborare, ma a come dovremmo farlo.

Il nostro team è sempre più diviso, una parte lavora in ufficio, un’altra da remoto.

Come possiamo tenere unite le due parti anche se sono lontane? La base di tutto è, come sempre, una buona comunicazione e la fiducia reciproca

Il pubblico giusto

Team da remoto e team da ufficio vanno d’accordo?

I team da remoto sono formati da gruppi di persone che non lavorano fisicamente nello stesso ufficio ma possono essere dislocati in qualsiasi parte del mondo. Senza interazione fisica, i team da remoto possono collaborare insieme ai team da ufficio utilizzando la tecnologia digitale, condividono idee, file di lavoro e comunicando in tempo reale.

Lavorare in ufficio è sicuramente stimolante, ma a volte lo è anche troppo. Porta a uno stato d’interruzione costante, tra richieste di colleghi, qualche chiacchiera tra vicini (ma non troppo) di scrivania, in cui dobbiamo abbandonare ciò che stiamo facendo interrompendo il nostro flusso di lavoro.

Con il lavoro da remoto, siamo completamente responsabili di come e quando lavoriamo, attraverso diverse forme di comunicazione come le videoconferenze, nonché la posta elettronica o le apposite chat.  

LEGGI ANCHE: Come Google o come Dropbox? Il lavoro da remoto non funziona per tutti

Inoltre, il rapporto a distanza tra un team da remoto e un team da ufficio aiuta anche a migliorare il contenuto della comunicazione. Quando stiamo facendo una riunione dal vivo, c’è spesso una pressione inespressa per rispondere immediatamente se viene posta una domanda. Ma le risposte istintive, su cui non abbiamo troppo ragionato, sono raramente prese in considerazione e possono portare a decisioni sbagliate.

Al contrario, quando comunichiamo a distanza, abbiamo più spazio per riflettere su una domanda, pensando attentamente sia a ciò che vogliamo dire sia al modo più efficace per dirlo. Di conseguenza, la collaborazione diventa più misurata, ragionata e ponderata.

Insomma, in un’azienda avere un team che lavora dall’ufficio e un altro che opera da casa, sembra un ottimo compromesso per lavorare nel migliore dei modi. Ma il rapporto tra i due gruppi è davvero così idilliaco come sembra?

Migliorare la collaborazione tra team da remoto e team in ufficio

Partiamo dal presupposto fondamentale che una collaborazione di successo richiede fiducia e un’ottima comunicazione. Questa è la prima regola da ricordare indipendentemente dal nostro luogo di lavoro, che sia in ufficio, da casa o su Marte.

Le aziende e i brand sono alla ricerca di diverse strategie per migliorare la comunicazione tra i dipendenti remoti e quelli in ufficio per una collaborazione produttiva ed efficace.

Ci sono persone che hanno più difficoltà a interagire, durante una riunione, con chi è lontano, ma preferiscono che la conversazione avvenga dal vivo e che sia faccia a faccia.

Ovviamente ciò diventa limitante quando si lavora con chi non può recarsi in ufficio per diversi motivi, ma è importante superare questi limiti fisici.

Una collaborazione efficace tra i dipendenti è fondamentale per la crescita della propria azienda. E allora come fare?
Ecco 15 strategie per ottenere un’intesa perfetta tra team da remoto e team da ufficio.

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manager

1. L’importanza dell’ascolto

Quando il nostro interlocutore sta parlando, lo ascoltiamo davvero? A volte succede che siamo più intenti a pensare cosa rispondere invece che ascoltare ciò che ci sta dicendo.

È importante ascoltare e non solo parlare, soprattutto durante una riunione quando le persone sono tante e non sono tutte nella stessa stanza.

Ognuno dei membri del team, che sia da remoto o in ufficio, vuole dare il proprio contributo. Tener presente i diversi punti di vista, ascoltando attentamente ogni opinione è fondamentale.

Una comunicazione efficace, quindi, è la chiave per migliorare la collaborazione con il proprio team da remoto. Prima di entrare nel vivo del discorso, bisogna accertarsi che tutti dispongano degli strumenti adeguati e che siano gli stessi per tutti per trovarsi sempre allineati.

2. Ascoltare davvero significa fidarsi

È già abbastanza difficile stabilire un legame di fiducia quando si lavora a stretto contatto e nella stessa stanza. Questa sfida diventa esponenzialmente più difficile quando si collabora con un team distribuito in diverse location.

Una collaborazione di successo richiede fiducia e volontà di lavorare bene insieme.

3. Stabilire con chiarezza gli obiettivi del team

Gli obiettivi devono essere definiti fin da subito e in modo chiaro. Chi lavora da remoto deve conoscere nei minimi dettagli cosa vuole l’azienda per migliorare e aumentare la produttività di tutto il team. Pertanto è importante condurre regolarmente riunioni e call aggiornandosi a vicenda sullo stato di avanzamento e sulle attività per eseguire i processi senza intoppi.

4. Analizzare le idee del nostro team

Non possiamo limitarci solo ad ascoltare le idee dei nostri colleghi, ma dobbiamo immaginare come potrebbero beneficiare all’azienda le proposte fatte. Dobbiamo abbandonare per un attimo il nostro punto di vista e adottare quello degli altri per capire appieno le soluzioni suggerite analizzandone i pro e i contro.

5. Essere curiosi e autentici

L’esperta comportamentale, la dottoressa Diane Hamilton, ritiene che la curiosità sia la chiave per sbloccare tutto il nostro potenziale umano. “Se sei autenticamente interessato al punto di vista di un’altra persona“, dice la dottoressa Hamilton, “le persone lo sentiranno e saranno più propense ad accettare le tue idee quando sarà il momento di collaborare con loro“.

6. Praticare gentilezza

Nessuno sogna di lavorare con persone scostanti e antipatiche. Ci fa sentire a disagio e preferiamo allontanarci da personalità tossiche e prepotenti.

Se i nostri collaboratori non riescono ad avere un confronto aperto con noi o con qualcun altro del team, il problema potrebbe essere negli atteggiamenti. Questo andrebbe a minare la comunicazione, la fiducia e di conseguenza la collaborazione tra le diverse parti del team. Bisogna parlarne per avere dei feedback a riguardo e cercare di superare questi ostacoli.

7. Sostenersi a vicenda

Questo potrebbe essere uno dei punti più importanti quando si tratta di collaborazione efficace tra team remoti e team in ufficio.

Sostenersi a vicenda è un valore fondamentale per un’azienda e deve fluire dai leader dell’azienda stessa.

Per il team che lavora in ufficio è più semplice ricevere sostegno rispetto a chi lavora da remoto. Per esempio, un gruppo potrebbe abbattersi perché si sente isolato rispetto a una parte dei colleghi. O la mancanza di apprezzamento potrebbe anche influenzare il morale dei membri della squadra.

Ecco perché è importante raggiungere e mantenere un flusso di comunicazione aperto per comprendere i sentimenti di tutti. Inoltre, non tutti riescono ad approcciarsi subito e in modo efficace alla cultura del lavoro a distanza. Alcuni potrebbero aver bisogno di più tempo per abituarsi.

Sostenersi a vicenda è la chiave per promuovere un team sostenibile, produttivo e collaborativo.

LEGGI ANCHE: Lavorare da casa è meglio? No se non hai la personalità e le skills giuste

8. Essere diplomatici ma sempre franchi e trasparenti

Per una collaborazione efficace, le persone devono poter esprimere senza indugi le proprie idee. Essere diretti, chiari, ma sempre con un pizzico di diplomazia, perché chi ci ascolta non deve mai sentirsi sopraffatto.

È importante essere trasparenti soprattutto con chi non è presente fisicamente ma sta lavorando in un altro posto. La mancanza di trasparenza è uno dei motivi principali di disagio, della mancanza di fiducia e dell’entusiasmo da parte dei dipendenti.

Nessuna azienda può raggiungere il suo apice se non condivide le informazioni interne ed esterne con il proprio gruppo di lavoro. Bisogna costruire una cultura di fiducia e solidarietà. Ma come mantenere la trasparenza quando si lavora da casa? Per eventuali aggiornamenti importanti bisogna sentirsi spesso con chi non è fisicamente presente in ufficio, divulgando le info necessarie per condurre nel migliore dei modi ogni compito.

9. Gestire il lavoro in tempo reale senza sparire

Il ghosting sta diventando popolare anche tra i colleghi. Con così tanti modi per comunicare, è importante tenersi aggiornati su tutti gli strumenti utilizzati dalla propria azienda.

Rispondere in un ragionevole lasso di tempo è una dimostrazione di rispetto per i propri colleghi e può aiutare a promuovere una migliore collaborazione tra i diversi team.

In chat bisognerebbe rispondere entro poche ore e alle email entro un giorno. La comunicazione in tempo reale e la condivisione d’idee sono fondamentali per guidare il lavoro quotidiano.

10. Utilizzare strumenti di collaborazione

Approfittiamo degli strumenti di collaborazione che la nostra azienda sta già utilizzando.

Sono lì per facilitare una collaborazione efficace e possono fungere da guida per creare buone abitudini. Per esempio, possiamo ricorrere alla condivisione di video e schermo invece di una semplice telefonata quando bisogna collegarsi con i dipendenti dislocati in diversi luoghi. Ciò può favorire comunicazioni più mirate e migliori relazioni a lungo termine.

La videoconferenza è la soluzione migliore per la collaborazione incrociata. Spesso è più produttivo avere una breve videochiamata o una telefonata con un collega piuttosto che scorrere una chat per 10 minuti.

11. L’importanza dei sistemi d’archiviazione

Un altro strumento fondamentale da avere nella propria suite è un valido e semplice sistema di archiviazione che possa essere utilizzato da tutti i dipendenti. Una sorta di archivio digitale in cui trovare vecchi documenti e potrete caricarne nuovi. Ma attenzione alla deprecazione dei file. Ci sono poche cose più frustranti e dispendiose che cercare un documento specifico e lavorarci sopra per ore, solo per scoprire che quel foglio è obsoleto e la versione corrente si trova in una cartella completamente diversa.

12. Essere sempre coerenti

La coerenza è un aspetto molto importante non solo nella vita privata, ma anche sul lavoro.

Essere coerenti, portare a termine i propri compiti, schierarsi e appoggiare le proprie cause fino alla fine sono tutti atteggiamenti positivi ben visti da chi lavora in un’azienda. Oltre all’apprezzamento dei nostri dipendenti, vedere che i manager sono i primi a impegnarsi nel lavoro, migliora l’umore e invoglia la collaborazione tra team diversi, sia che lavorino in ufficio che da remoto. Le persone tendono a sentirsi più a loro agio se chi sta a capo dell’azienda rispetta gli impegni che ha preso.

13. Trascorrere il tempo libero insieme con il team

Un’altra idea per migliorare la collaborazione tra team che lavorano in ufficio e team da remoto è quella di conoscersi davvero. Bisogna andare oltre l’ambiente di lavoro e viversi in un contesto più libero e informale. Imparar a conoscere gli interessi personali dei colleghi può incoraggiare una connessione più stretta, che può portare a un migliore lavoro di squadra.

14. Coinvolgere tutti i membri dei diversi team

Portare tutti sullo schermo e coinvolgerli in riunioni virtuali è un modo semplice per migliorare la collaborazione tra i reparti. Se i colleghi che lavorano da casa non partecipano tanto alle call di gruppo, potrebbero sentirsi esclusi, o forse la riunione coincide con la fine della loro giornata lavorativa.

Se gli incontri si svolgono alla stessa ora ogni settimana bisogna assicurarsi che avvengano in un orario ragionevole per tutti. Inoltre, ogni dipendente deve avere la possibilità non solo di potersi collegare, ma anche d’intervenire e apparire in video.

15. Umanizzare l’azienda

Chiedere a entrambi i team di organizzare presentazioni regolari in cui possono discutere di ciò che fanno e del lavoro che svolgono in azienda.

Chiedere a un dipendete a turno di scrivere una biografia personale su come sia arrivato ​​a lavorare per la nostra impresa, mostrarci i suoi punti di forza, le abilità che vorrebbe migliorare e magari raccontare qualcosa della sua vita privata e degli hobby, potrebbe avvicinare i diversi team.

Questo potrebbe anche essere un trampolino di lancio per pubblicare le biografie dei dipendenti sul blog dell’azienda e a umanizzarla agli occhi dei clienti. Un ottimo modo potrebbe essere quello di utilizzare i social media focalizzando l’attenzione su chi fa parte dell’azienda, invece che sul brand stesso.

Migliorare la collaborazione tra uffici è tutta una questione di sperimentazione. Bisogna provare cose nuove e la maggior parte dei cambiamenti avrà almeno un effetto positivo sui nostri team. Non dobbiamo aver paura di provare una nuova strategia. In fondo non esiste un unico modo per migliorare la collaborazione tra i diversi team: tutto si riconduce alla fiducia reciproca.

 

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Treccani Futura porta i giovani nel futuro con la Summer School Digitale Future Camp

Quali sono le tecnologie esponenziali che stanno cambiando il lavoro, la società e le nostre relazioni? Quali i nuovi strumenti e modalità digitali che stanno impattando su settori come arte, cinema, sport? Come si trasforma un’idea in una startup? Quali le sfide della nuova età dell’oro dell’esplorazione spaziale? Quali comportamenti virtuosi e sostenibili possiamo attuare per affrontare l’emergenza climatica?

Dal 28 giugno arriva Future Camp di Treccani Futura, un’esclusiva Summer School che proietta nel futuro i ragazzi dai 14 ai 24 anni: un format digitale innovativo con momenti di interazione, gioco, socialità e confronto, con il contributo di imprenditori, docenti universitari, scienziati e professionisti per un percorso formativo inedito rispetto ai tradizionali programmi di studio. Obiettivo, offrire strumenti essenziali alle ragazze e ai ragazzi per renderli dei future maker, capaci di leggere e scrivere il futuro con spirito critico, in grado di capire un’epoca di grandi e repentini cambiamenti e di affrontare con consapevolezza il proprio percorso di vita professionale e personale. 

Future Camp

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I format previsti sono immersivi e interattivi, attraverso un innovativo mix tra lezione online live, lavori in gruppo tramite piattaforme e strumenti dedicati, test e momenti ludici e di condivisione. Ogni studente può scegliere un percorso personalizzato tra i seguenti moduli:

Le tecnologie emergenti come Intelligenza Artificiale, Stampa 3D e Blockchain; elementi di imprenditorialità e tecniche di marketing 5.0 per creare da zero una startup; proposte e riflessioni di sostenibilità per la costruzione di un mondo green; uno Space Camp focalizzato sulle nuove opportunità dell’esplorazione spaziale; le nuove professioni legate al web e ai social network; tecniche di foresight per costruire il futuro; il cinema 2.1, capace di sfruttare nuovi canali di fruizione e linguaggi; il nuovo concetto di arte e l’incontro con mondi tecnologici e digitali; gli eSports e le nuove modalità di socializzazione in ambienti virtuali.

Treccani Futura, neonato polo di tecnologia educativa, non poteva che partire da una prima proposta formativa rivolta alle nuove generazioni. I Future Camp sono nati proprio con l’intento di fornire ai giovani approcci e strumenti nuovi per renderli persone più consapevoli e quindi capaci di leggere il presente complesso che stiamo vivendo e di scrivere e costruire oggi la migliore società di domani, in un’ottica a medio-lungo termine, oggi più che mai necessaria.

Dichiara Andrea Dusi, ideatore dei Future Camp e CEO di Treccani Futura.

Accanto ad Andrea Dusi e a Cristina Pozzi, direttrice scientifica dei Future Camp e COO – Responsabile Contenuti di Treccani Futura, questi i docenti e i contributors già previsti: Piero Poccianti, Presidente dell’Associazione Italiana di Intelligenza artificiale; Massimo Chiriatti, Italia University Programs Leader e CTO Blockchain & Digital Currencies di IBM Italia; Enrico Pandian, fondatore di startup di successo come Supermercato24 e FrescoFrigo; Alice Casiraghi, Co-Founder & Design Strategist di Future Urban Living; Alessandro Vitale, imprenditore ed esperto di intelligenza artificiale e fondatore di Conversate; Emanuela Girardi, fondatrice dell’associazione POP Ai e membro della task force di esperti del MISE sull’IA; Francesco Inguscio, found e CEO di Nuvolab; Fulvio Fortezza, professore di marketing presso l’Università di Ferrara.

Al termine delle lezioni, è prevista l’assegnazione di un diploma che attesterà le conoscenze e le competenze acquisite nel corso di Future Camp. Ognuno dei corsi, distribuiti nell’arco di 3 settimane (28 giugno – 2 luglio, 5-9 luglio, 12-16 luglio), prevede un percorso di 20 ore, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13; sono inoltre previsti percorsi diversi a seconda della fascia di età. Le iscrizioni sono già aperte. 

fake news

News Literacy: come l’alfabetizzazione digitale può salvarci dalle fake news

Da quando l’informazione è passata dalla sua forma analogica più celebre, la stampa, alla forma digitale, il web, la diffusione di notizie false o fraintendibili ha sicuramente registrato un’impennata.

Il fruitore, non sempre sufficientemente preparato, si è dovuto confrontare con due grandi, o forse tre, temi: la disinformazione, la “misinformazione” e le fake news.

Chiaro è che, per limitare questi fenomeni, è necessario che l’utente medio abbia un’alfabetizzazione digitale, o più propriamente una news literacy, in grado di fargli scoprire fin da subito quali notizie siano attendibili e quali no, ma anche che i diversi organismi di controllo a livello europeo e mondiale siano pronti a prendere provvedimenti contro chi diffonde notizie false, al fianco dei grandi player del web come Google o Facebook.

Il percorso è sicuramente lungo, ma da qualche parte si dovrà pure iniziare.

La News Literacy spiegata e un piccolo glossario

Partiamo riprendendo i tre vocaboli disinformazione, misinformazione e fake news della nostra intro e facciamo un po’ di chiarezza.

La disinformazione è la condivisione di notizie false e maliziose condivise deliberatamente per fare danni; la misinformazione è la condivisione di notizie false o inesatte senza intento malizioso; per fake news, invece, intendiamo le notizia false in sé.

Da uno studio dello scorso anno, un terzo della popolazione mondiale si imbatte ogni giorno in notizie false, perché infondate o perché riportano immagini o contenuti modificati. Numero incrementato fortemente in seguito alla situazione pandemica, quando ognuno si è sentito libero di condividere e dire la propria, anche da non esperto.

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Le notizie false possono essere condivise sia in maniera dolosa che inconsapevole, ma anche premeditatamente, creando profili fake o sistemi di AI che la divulghino.

Più una notizia tratta di temi nazional popolari e caldi, più otterrà buoni livelli di condivisione e sarà in grado, anche se incorretta, da manipolare intere fette di popolazione.

Ecco allora che il primo superpotere che ogni individuo ha a disposizione è l’alfabetizzazione digitale o News Literacy.

La News Literacy è definita come l’intelligenza critica che un individuo è in grado di acquisire e che gli permette di discernere le notizie vere da quelle false, andando a indagare e approfondire le fonti da cui questa informazione arriva, chi l’ha condivisa e attraverso quali canali.

Credo sia importante partire dal chiamare in causa quei soggetti che sono responsabili in modo prioritario della creazione delle news: i giornalisti.

Un giornalista dovrebbe scrivere di fatti reali, comprovabili da fonti autorevoli e in maniera indipendente ed imparziale. Il suo ruolo è, infatti, quello di dare informazione a chi legge.

Chiaro è che, essendo umano anche lui, ha la libertà e facoltà di dare delle opinioni, ma dovrebbe lasciar libero il lettore di distinguere i fatti dalle considerazioni di carattere personale.

Intorno ai giornalisti più autorevoli, molte volte, si creano delle vere e proprie community in cui i partecipanti condividono valori simili e sono coinvolti emotivamente, annotazioni che il giornalista deve essere in grado di cogliere dando forma al suo ruolo più importante: essere la voce di tutti.

Fatta questa premessa sul primo attore della News Literacy, ora è importante passare al focus sul vero protagonista: il lettore.

Lo scenario non ci permette di affermare che chiunque legga sul web sia abbastanza alfabetizzato da poter distinguere in modo facile e corretto notizie false da quelle vere, ma gli sforzi, soprattutto sulle nuove generazioni, stanno diventando sempre più importanti.

L’alfabetizzazione digitale passa per l’insegnare ai fruitori ad avere una mente critica in materia di analisi della notizia: verificare le fonti da dove questa proviene, individuare il grado di imparzialità ed affidabilità, oltre che mettere attenzione al contesto nella quale questa viene condivisa.

Una notizia vera vi dimostra perché lo è, non vi chiede di fidarvi.

Quindi, quando siamo davanti ad un contenuto digitale e non sappiamo se fidarci o meno, utilizziamo questa lista:

  1. Prenditi del tempo per chiederti se questa notizia ha un tono provocatorio o emotivo, o se invece è del tutto imparziale
  2. Ricorda: i meme non sono notizie
  3. Likes e condivisioni non sempre sono sinonimo di credibilità
  4. Non dimenticarti delle fonti, da dove viene la news? È una fonte autorevole?
  5. Chi sta scrivendo l’articolo o il post, è un esperto o solo un utente del web che vuol dire la sua?
  6. Attento ai troll, passa e non ti curar di loro
  7. Evita il più possibile di farti coinvolgere nelle teorie cospiratorie, crea una tua coscienza critica

Ecco anche un piccolo glossario.

Trolls: sono strumenti usati con lo scopo di infiammare l’opinione pubblica attraverso l’utilizzo di parole o immagini deliberatamente offensive

Sockpuppets o i cosiddetti profili fake che, attraverso false identità, diffondono fake news.

Bots: risponditori automatici che danno l’impressione all’utente di parlare con una persona reale. Non sempre sono usati per fare disinformazione, ma sono applicati anche dalle grandi aziende per creare un customer care, ad esempio, più efficiente.

Cosa stanno facendo le organizzazioni mondiali e l’Europa per contrastare la misinformazione

Se pare chiaro che la disinformazione e la misinformazione si combattono principalmente con l’alfabetizzazione così da renderli consapevoli nell’individuare quali siano le notizie vere, è necessario, come già sta succedendo, che anche le organizzazioni mondiali siano al passo con la creazione di regole e punizioni specifiche per chi diffonde e si rende protagonista di una cattiva informazione.

In Europa, si parla dal 2015 di Digital Service Act, un provvedimento legislativo volto a regolamentare tutte le informazioni divulgate dai media online in particolar modo dedicato al loro codice di condotta, sempre più richiesto come etico e che non favorisca la diffusione di fake news.

Insomma, un nuovo impegno nel quale l’UE vuol credere per la creazione di un mercato unico con protagonista il web e i loro contenuti.

Le manovre incluse variano dalla demonetizzazione di siti e ADS che promuovono fake news, al rendere obbligatorio per le piattaforme la condivisione di flussi di informazione e comportamento fino al lasciare la possibilità agli utenti di fornire un ranking di apprezzamento o, al contrario, di segnalazione per i siti che consultano.

Nel concreto le proposte avanzate sono:

  • La rimozione di un contenuto considerato illecito, modificando la responsabilità della piattaforma divulgante le informazioni. Questa viene considerata primariamente responsabile delle notizie che mette a disposizione sottointendendo che la stessa dovrebbe conoscere i suoi clienti e fornitori.
  • La creazione di un sistema di segnalazioni a disposizione dell’utente dove lo stesso può segnalare contenuti o fonti.
  • Un’informativa più trasparente in materia di contenuti pubblicitari e raccolta dati di profilazione.
  • La comunicazione precisa del perché un determinato account sia stato segnalato o bloccato dagli altri utenti.
  • La responsabilità ricade sulle piattaforme che devono fornire spiegazioni in merito a come vengono mostrati annunci pubblicitari e contenuti, in merito alla rimozione di alcune news rispetto ad altre e ridare il potere nelle mani dell’utente che deve essere libero di sottostare o meno alla (facoltativa) profilazione.
  • L’utente deve poter consultare regolamenti e policy, anche in materia di privacy e decidere se ricevere ancora promozioni dedicate e basate sulla profilazione o meno.

Fact-cheking program, lo strumento utilizzato da Facebook

Quando si parla di online policy e News Literacy non possiamo non citare uno degli esempi più conosciuti e più chiacchierati: Facebook.

Il social network di Mark Zuckerberg è stato spesso nell’occhio del ciclone. In particolare, una delle ultime decisioni riguarda il tema della satira politica e della sua limitazione nella diffusione online.

In parole povere, se i sistemi di fact-checking di Facebook individueranno dei contenuti in cui si fa della satira, anche politica, non li penalizzerà nel suo algoritmo.

La polemica? Non tutti gli utenti sono in grado di discernere un contenuto satirico dalla realtà andando quindi a percepire vero un contenuto, invece, ironico.

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Approfondiamo: i sistemi fact-checking di Facebook

Il gruppo si affida a strumenti di fact-checking, anche terzi, in grado di controllare i contenuti presenti online, andando a nascondere o limitare contenuti lesivi per il consumatore, con particolare attenzione alla disinformazione che questi possono produrre.

La procedura parte con l’individuazione delle potenziali notizie false in base alla segnalazione degli utenti, di eventuali commenti negativi anche individuati grazie a sistemi di AI e prosegue con l’analizzare i contenuti segnalati con il fact-checking che controlla:

  • se un testo è stato alterato;
  • se le fonti citate sono attendibili;
  • se le immagini non sono false o volutamente modificate.

Se un contenuto è rilevato come falso, allora viene anche etichettato come tale e viene limitato nella visualizzazione per gli utenti. Infine, se si individua un trasgressore recidivo, questo subirà delle conseguenze, come sanzioni o l’impossibilità di pubblicare per diverso tempo.

Quindi, cosa c’entra la satira? Un consumatore informato e alfabetizzato sarà in grado di discernere il vero dall’ironico, ma è corretto che Facebook abbia deciso di escludere a priori di sottoporre i temi dei politici dal suo sistema di fact-checking perché, in ogni caso, degni di nota e di informazione per gli utenti?

L’unica limitazione verrà, al contrario, applicata ai video considerati deepfake, ossia quei contenuti multimediali modificati tramite intelligenza artificiale che fanno dire o fare ai protagonisti cose assolutamente non vere. Video in cui i politici sono i protagonisti più gettonati.

“Fashionscapes: A Living Wage”, il docu-film di North Sails

A otto anni dalla tragedia del Rana Plaza, che costò la vita a oltre mille persone, North Sails prende posizione contro lo sfruttamento dei lavoratori dell’industria tessile nei Paesi in via di sviluppo. Fedele alla filosofia “Go Beyond” del brand, North Sails ha scelto di allearsi con Livia Firth e il regista di The True Cost, Andrew Morgan supportando il docu-film A Living Wage, per denunciare le condizioni intollerabili in cui operano i lavoratori dell’abbigliamento e la necessità inderogabile di riconoscere loro diritti e un salario adeguato.

Docu-film di denuncia

A Living Wage è un viaggio drammatico, raccontato attraverso la voce dei diretti interessati e dei migliori avvocati, che stanno lavorando per sostenere la prima legge UE a favore del Living Wage, ossia il salario minimo che permetta ai lavoratori di condurre una vita dignitosa.

Questo documentario ci ha aperto gli occhi. Noi di North Sails Apparel l’abbiamo visto e credo che anche tutti gli attori nel settore dell’abbigliamento dovrebbero guardarlo. Alcuni dati sono davvero scioccanti … 6 $ al mese per 400 ore di lavoro ?!

ha commentato Marisa Selfa, CEO di North Sails Apparel.

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I marchi di fast fashion per anni hanno mentito sulla situazione dei salari dei lavoratori dell’industria tessile nei Paesi in via di sviluppo. Ora sono obbligati a cambiare grazie a un gruppo di donne: da un lato, le lavoratrici della supply chain dell’’abbigliamento, che vivono quotidianamente una situazione di povertà, degrado e ingiustizia; dall’altro, professioniste in ambito legale. Il risultato sono un report e una strategia basati sul rispetto e sull’impegno reciproci. I marchi e i rivenditori che hanno sempre sostenuto che un salario dignitoso non sia possibile, dovranno renderne conto. Le promesse non mantenute saranno contestate sulla base del diritto e sul rispetto dei diritti umani. Ora vedo un giorno in cui otterremo giustizia per i lavoratori dell’abbigliamento.

ha sottolineato Livia Firth, founder di Eco-Age.

“Fashionscapes: A Living Wage” è supportato da North Sails e The Circle, l’ONG globale impegnata a creare un mondo più equo, aiutando le donne a raggiungere l’emancipazione economica e a porre fine alla violenza di genere, ed è disponibile sulla piattaforma Eco-Age Tv a partire da sabato 24 aprile 2021.

gafa

TikTok, Twitch e le altre piattaforme che possono mettere in crisi il monopolio del GAFA

È indubbio che il mondo del web e del mobile sia al momento dominato dai nomi di Google, Amazon, Facebook e Apple, le 4 multinazionali digitali comunemente identificate con GAFA, l’acronimo che unisce le loro iniziali.

Il 2021 sarà l’anno in cui cominceremo a vedere l’affermazione definitiva di qualche nuovo player o la crisi di uno di questi giganti del web?

Le statistiche relative al fatturato o al numero degli utenti di questi giganti della tecnologia continuano a dipingere per loro uno scenario ancora roseo, a tal punto che il CEO di JPMorgan, in una lettera agli azionisti, ha citato come principali concorrenti, oltre alle altre istituzioni del comparto Fintech, anche aziende come Amazon, Apple, Facebook, Google (e Walmart).

È recente la notizia che il servizio Prime di Amazon ha raggiunto 200 milioni di utenti, con un incremento del 33% rispetto ai numeri di gennaio 2020.

Riteniamo che un cambio completo dello scenario sia quindi ancora lontano, ma dobbiamo dare atto che è in corso una diversificazione dell’utilizzo dei canali digitali. Stanno emergendo infatti nuove piattaforme e nuovi modi di utilizzo dei servizi digitali destinati a sottrarre ai 4 giganti frazioni sempre più considerevoli del tempo trascorso dai navigatori online e della raccolta pubblicitaria.

Oltre all’esplosione di Clubhouse e del social audio, che ha caratterizzato i primi mesi del 2021, meritano una particolare attenzione Fortnite, Twitch, Snapchat e TikTok.

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Fortnite

Cominciando ad analizzare questi nuovi fenomeni, prendiamo in esame Fortnite, un’app di gaming che sta radicalmente modificando il concetto dell’intrattenimento e del divertimento online.

I numeri di Epic Games, la casa di video giochi che sviluppa Fortnite, continuano a essere interessanti nonostante la battaglia legale con Apple: 350 milioni di utenti (dati ufficiali di Epic Games aggiornati a maggio 2020), una stima di oltre 400 milioni di fatturato e un utilizzo medio da parte dei suoi utenti da 6 a 10 ore a settimana.

Uno degli aspetti che caratterizza Fortnite è la capacità di fungere da catalizzatore per la costruzione di legami sociali tra i partecipanti al gioco. Un interessante studio di NRG rivela infatti che il suo pubblico attribuisce agli aspetti di connessione sociale una delle principali motivazioni alla scelta di questo gioco.

A differenza di altri giochi analoghi, in questa piattaforma gli aspetti di collaborazione e di creazione di una community sono incentivati e non scoraggiati, in quello che NRG chiama il “community – competition paradox”.

All’interno di Fortnite le caratteristiche di collaborazione, collegamento e appartenenza – tipiche delle community – convivono infatti accanto a quelle di individualità, confronto e ricerca dello status – tipiche delle competizioni.

In Fortnite abbiamo quindi una delle massime espressioni di social gaming, fenomeno che, certamente stimolato dall’impatto dei lockdown e delle restrizioni che hanno favorito le occasioni di interazione online con amici e parenti, è destinato a durare e ad incoraggiare la diffusione di giochi che facilitino le esperienze di condivisione.

Ma Fortnite non è solo social gaming. Alla base del funzionamento della piattaforma c’è Unreal Engine, un software che può anche essere utilizzato per la produzione di serie TV, film musicali, eventi come quello di Travis Scott – che potete vedere nel video seguente – o la promozione di film come Tenet di Cristopher Nolan.

Twitch

Anche Twitch, con le sue funzionalità integrate di chat e livestreaming, è una piattaforma utilizzata dai gamers ma sarebbe riduttivo restringerla unicamente a questo ambito.

Twitch è infatti divenuta un canale di riferimento per il livestreaming di contenuti prodotti dagli utenti e sta gradualmente estendendo le proprie funzionalità per diventare una piattaforma completa di intrattenimento e riempire il gap tra giochi e TV.

Diventata di proprietà di Amazon nel 2014, Twitch può vantare oltre 9 milioni di utenti nel mondo, di cui circa il 12% in Italia, secondo i dati forniti da Blogmeter. Gli utenti sono prevalentemente studenti, Millenials, di sesso maschile, con un marcato interesse verso gli eSports.

Molti dei contenuti sono relativi ai giochi ma si possono trovare anche canali che trattano gli argomenti più disparati: dal fitness ai DJ set, dalle ricette di cucina alle semplici conversazioni.

Si tratta quindi di una piattaforma molto interessante, visto l’audience costituito prevalentemente da Millenials e Generazione Z, per tutte le aziende che vogliono entrare in contatto con le nuove generazioni, categorie di cui molto spesso è difficile individuare gusti e tendenze.

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Snapchat

Un’altra app da tenere in considerazione è Snapchat. In Italia questa piattaforma viene spesso sottovalutata perché ha poco più di 2 milioni di utenti ma in realtà, già dal suo lancio, si è rivelata essere molto innovativa. Non dimentichiamo infatti che le Storie, ormai imitate e adottate da Facebook e da quasi tutti gli altri social, sono un formato inventato appunto da Snapchat.

Uno dei punti di forza di questa app sono le funzionalità di Realtà Aumentata quali filtri, lenti e smart glasses (occhiali dotati di obiettivo fotografico e in grado di registrare brevi segmenti video).

Di recente, Snap ha raggiunto un accordo con il museo della contea di Los Angeles (LACMA) per la creazione di 5 monumenti in Realtà Aumentata.

Il progetto denominato Monumental Perspectives, nasce con l’obiettivo di raccontare aneddoti e storie poco note associate ad alcuni luoghi di Los Angeles, arricchendo le installazioni con opere di digital art visibili attraverso una Snapchat camera.

snapchat instalalzione LACMA

Fig. 1: No Finish Line di Glenn Kaino (Fonte: Glenn Kaino e Snap Inc.)

Il progetto di Snapchat con il museo di Los Angeles è solo il più recente tra quelli che hanno visto l’azienda fondata nel 2011 da Evan Spiegel, Bobby Murphy e Reggie Brown impegnarsi nel settore artistico: le installazioni di Jeff Koons, Damien Hirst e City Painter sono tutte perfettamente in linea con la volontà di posizionare la piattaforma come strumento per creare e promuovere un movimento artistico basato sull’arte digitale.

Grazie a queste funzionalità innovative e alla recente crescita della tecnologia degli NFT, che faciliterà la diffusione della digital art, Snapchat ha certamente tutte le caratteristiche per diventare la piattaforma di riferimento nell’Augmented Reality.

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TikTok

Uno dei social network di cui si è parlato di più negli ultimi mesi è certamente TikTok.

L’app di proprietà della società cinese ByteDance sta avendo un trend di crescita veramente impressionante. Tra tutte le statistiche disponibili, è interessante osservare il grafico pubblicato dal Financial Times (v. Fig. 2) che riporta il tempo impiegato dai vari social network a raggiungere un miliardo di utenti: 3 anni per TikTok contro gli 8 anni di Instagram e Facebook.

Anni TikTok 1 miliardo utenti

Fig. 2: Utenti attivi su base mensile vs. anni dal lancio (Fonte: Financial Times).

Anche in Italia, i 6.3 milioni di utenti (secondo gli ultimi dati Audiweb-Nielsen) ne confermano la notevole diffusione presso un pubblico sufficientemente esteso.

Descrivere il fenomeno TikTok richiederebbe uno spazio più ampio e comunque vi sono numerosi altri articoli, anche su Ninja, che trattano questo argomento. Ci limitiamo qui ad evidenziare che aziende come Amazon, Fendi, Furla, Vodafone, Barilla, Rai Cinema, Yves Rocher, solo per citarne alcune, stanno investendo nella presenza e nella promozione del loro marchio su TikTok.

A conferma del fatto che questo social network si sia già ricavato uno spazio importante nel panorama dei social media, tutte le principali piattaforme concorrenti hanno aggiunto o stanno per rilasciare il supporto degli short video: Instagram Reels, YouTube Shorts, Snapchat Spotlight.

Nuovi modi di utilizzo

Concludiamo rilevando infine che si stanno affermando nuovi modi di utilizzare i canali social.

Accanto al già citati social gaming e community – competition paradox negli esports, stanno assumendo una crescente importanza alcuni fenomeni (e relativi player) che verrà la pena monitorare nei prossimi mesi perchè destinati ad un ruolo sempre più rilevante, come il livestream shopping, la diffusione della collaboration house fondate dagli influencer di TikTok, i tentativi di portare i social media anche sulla televisione di casa, la diffusione di concerti virtuali (Justin Bieber e The Weeknd su TikTok, Travis Scott su Fortnite).

Basterà per mettere in crisi il monopolio delle GAFA?

Si può ridurre il digital divide nelle scuole? La rivoluzione di Open Fiber

Vi siete mai chiesti quanto tempo, in media, trascorriamo su Internet? Passiamo all’incirca 6 ore della nostra giornata a navigare nell’oceano del web. E perché lo facciamo? Principalmente per comunicare con gli altri, essere informati su cosa succede nel mondo, e spesso connessi anche per divertimento.

Internet è un universo di opportunità che ci permette non solo di tenerci in contatto con tutti, ma anche di approfondire le nostre conoscenze, solleticare le nostre curiosità o semplicemente svagarci dopo una lunga giornata, guardando film, serie TV o video divertenti. Quante cose sono cambiate negli ultimi decenni con la cosiddetta rivoluzione digitale? Un termine che abbiamo sentito tante volte, e che nell’ultimo anno ha assunto un nuovo valore.

Accelerazione digitale ai tempi del COVID-19

Più che di rivoluzione, parliamo di una fortissima accelerazione. A causa del COVID-19 le nostre abitudini sono cambiate. Se prima ordinare un panino con un click ci sembrava pura comodità, con la pandemia è diventata un’esigenza. Se acquistare vestiti sul web ci sembrava una buona idea per non incontrare una fila chilometrica alle casse dei negozi, adesso è diventato il modo più veloce e sicuro per fare shopping. Ma questa è solo la punta dell’iceberg.

Anche tante realtà aziendali e scolastiche si sono dovute adeguare a gestire compiti e mansioni da remoto. La quotidianità di tutti è stata stravolta da avvenimenti così grandi che hanno costretto le persone a ritirarsi a vita privata, in un grande stato di standby. L’unico modo per continuare ad andare avanti? Restare online.

Ovviamente non è stato facile per tutti. Spesso diamo per scontato che accedere a Internet sia immediato per chiunque e in tutte le città italiane, quando molto spesso,  soprattutto in molti borghi e piccoli Comuni, non si dispone di una rete performante. Avete mai sentito parlare di digital divide?

digital divide

Digital divide: come abbatterlo?

Il digital divide è il divario che sussiste tra coloro che possono utilizzare senza troppe difficoltà le nuove tecnologie, accedendo a Internet, e quelli che non possono farlo. I motivi sono svariati, possono infatti essere tecnici, economici o sociali. 

Quando parliamo di problematiche economiche e sociali ci stiamo riferendo a quella fascia della popolazione più svantaggiata che non può permettersi gli strumenti necessari. Con l’accelerazione digitale dell’ultimo anno, queste persone sono rimaste purtroppo indietro, avendo ripercussioni sul piano scolastico, culturale e lavorativo. 

Se invece ci riferiamo agli aspetti puramente tecnici di assenza dell’infrastruttura, stiamo parlando di quelle zone del nostro Paese in cui l’accesso a Internet, in generale, e alle nuove tecnologie, come quelle in fibra ottica, in particolare, è completamente precluso, o quasi.

Può sembrarci strano, ma sono in molti ad avere difficoltà di questo tipo. Ci sono poi quelle attività che non dovrebbero mai farne a meno, perché Internet è una risorsa fondamentale e inclusiva, che riguarda tutte e tutti. Tra queste realtà purtroppo dobbiamo necessariamente annoverare le scuole.

LEGGI ANCHE: Digital Divide e competenze digitali in Italia: a che punto siamo

Il problema del Digital Divide nelle scuole

Il digital divide è un problema serio che molte scuole hanno vissuto in prima linea. Abituati a trascorrere la mattinata in classe e gran parte del pomeriggio a studiare sui libri, tutti gli alunni si sono ritrovati nella propria stanzetta, i più fortunati, a passare ore davanti al PC dalla mattina alla sera, vivendo una scuola a distanza, lontano dai compagni di classe e dagli insegnanti.

Stessa sorte è toccata ai più piccoli, quelli della materna. Ma come spiegare a bambini e bambine che non possono più giocare o colorare insieme? E gli universitari, finalmente liberi dagli orari scolastici e ora perennemente al PC. Quanti si sono laureati in giacca e pigiama?

Un cambiamento enorme di certo non facilitato da connessioni ballerine, ma non solo per ragazzi e ragazze. Molti sono stati gli insegnanti che si sono ritrovati a confrontarsi con strumenti a cui non erano abituati ma hanno dovuto imparare in fretta. 

Ma come si può superare il digital divide in ambito scolastico?

digital divide

La rivoluzione di Open Fiber parte dalle scuole

Open Fiber è un operatore wholesale only che ha come mission quella di realizzare un’infrastruttura a banda ultra larga (BUL) in Italia. Il suo obiettivo è proprio quello di creare un futuro in cui la nuova tecnologia in fibra ottica potrà cambiare la vita di tutti, a partire dai piccoli borghi fino ad arrivare alle grandi città.

In un periodo delicato come questo, è necessario migliorare lo stile di vita delle persone, delle famiglie e anche delle imprese attraverso il superamento del tanto agognato digital divide.

La rivoluzione di Open Fiber passa anche dalle scuole garantendo più servizi, velocità, accessibilità e affidabilità a molti istituti scolastici.

La svolta dell’Istituto Alighieri Kennedy di Torino

È il caso dell’Istituto Alighieri Kennedy di Torino che era già dotato di una connessione informatica fin dagli anni ’90, ma negli ultimi 5 anni aveva avviato i lavori per la connessione interamente in fibra ottica nella sede principale dell’Istituto. Il cambiamento è stato enorme e immediato.

La connessione ultraveloce in fibra ottica ha permesso di svolgere attività didattiche in molte classi simultaneamente senza avere problemi di disconnessione o lentezze di caricamento. Nel loro caso specifico, i ragazzi erano già abituati a lavorare online e in modo cooperativo anche prima della didattica a distanza, ma le attività erano legate essenzialmente a progetti e laboratori sia in presenza che da casa.

La chiusura delle scuole senza possibilità di frequenza ha trasformato drasticamente il modo di svolgere le attività progetto. Senza una connessione a Internet adeguata l’esperienza in DAD rischiava di essere poco fluida e non fruibile, ma grazie alla connessione interamente in fibra ottica non ci sono stati grossi intoppi. Gli stessi alunni dell’Istituto hanno notato e riconosciuto il cambiamento tra la connessione precedente e la rete FTTH. Ma questo non è di certo l’unico caso.

Come cambia l’Istituto Aleandri

L’Istituto Aleandri è una delle oltre 10.500 scuole raggiunte dalla fibra ottica FTTH di Open Fiber che, allo scoppio della pandemia, si è subito mobilitato per attivare forme di didattica alternative in grado di sopperire alle lezioni in presenza. Ma anche in questo caso l’inizio è stato traumatico. Di certo non è stato un lavoro semplice soprattutto coordinare i docenti più anziani che hanno avuto un’enorme difficoltà a mettersi a pari con i tempi. Ma non è stato facile nemmeno per i ragazzi, spesso spaesati e demotivati. 

La connessione interamente in fibra ottica è stata fondamentale per svolgere in maniera ottimale tutte le lezioni. I problemi antecedenti al suo utilizzo erano soprattutto di sovraccarico della linea con videochiamate lente e difficoltà di caricare compiti in tempo reale. Con il suo utilizzo queste problematiche sono venute meno, ottimizzando i tempi. 

L’Istituto Comprensivo di Palena-Torricella Peligna contro il digital divide

Abbiamo poi l’Istituto Comprensivo di Palena-Torricella Peligna che si compone di 17 plessi dislocati su 9 piccoli Comuni in un’area interna della provincia di Chieti. Anche qui la pandemia ha rappresentato una sfida per la scuola e al disagio dell’isolamento si è aggiunta la difficoltà della didattica a distanza, con i limiti della connessione. Ciò nonostante i docenti hanno messo in campo le proprie competenze e fondamentali sono stati le figure dell’animatore e del team digitale, oltre alla dotazione tecnologica già a disposizione. 

La scuola ha infatti concesso in comodato d’uso agli studenti tutti i notebook disponibili, ma non è finita qui. Il plesso ha avviato dei lavori per una connessione informatica veloce e potente, un accesso alla rete rapido e senza interruzioni. È stata la sindaca di Lettopalena, la dott.ssa Carolina De Vitis, con la sua Amministrazione, a dotare gran parte dell’istituto della tanto attesa fibra ottica FTTH. La connessione interamente in fibra ottica permette di sfruttare le potenzialità della rete condivisa tra più postazioni contemporaneamente e di valorizzare la dotazione tecnologica e le competenze digitali acquisite negli anni. Inoltre i servizi rivolti agli studenti implementati grazie all’utilizzo della fibra ottica hanno permesso:

  • la creazione di reti tra le piccole scuole all’interno dell’Istituto;
  • la gestione delle pluriclassi;
  • il coinvolgimento attivo del territorio e dei genitori;
  • la collaborazione fra realtà scolastiche appartenenti a territori lontani;
  • l’implementazione di un’istruzione di qualità attraverso la realizzazione di laboratori didattici linguistici, informatici e di coding;
  • la comunicazione interna ed esterna.

La rete FTTH favorisce un apprendimento oltre l’aula innovando la scuola. In contesti come questi mettercela tutta per superare il digital divide è importante. Bisogna garantire un’offerta formativa di qualità agli studenti che rappresentano il domani di un territorio a rischio di spopolamento.

Gli istituti connessi nella città di Lecce

Marco Nuzzaci, assessore comunale ai lavori pubblici della città di Lecce ha richiesto l’intervento di Open Fiber per cablare in fibra ottica 12 scuole del territorio comunale e garantire la continuità delle attività scolastiche online. Un’operazione che avrebbe certamente richiesto tempo per l’iter autorizzativo e per gli scavi che però è stata realizzata in soli 5 giorni.

Il Comune ha mostrato la sua capacità di fare sistema snellendo la burocrazia e lavorando costantemente per poter garantire in tempi rapidi il diritto allo studio. Numerosi sono i feedback positivi che sono arrivati da parte degli istituti scolastici e degli studenti.

Il digitale può potenziare e integrare tutto questo e, in una fase difficile come quella che stiamo affrontando, aiutarci a superare l’emergenza senza dover fermare il mondo della scuola.