TikTok ormai non ha più bisogno di presentazioni e se lavori in un’azienda o hai un’attività imprenditoriale autonoma, hai decisamente bisogno di comprendere come sia possibile sfruttare le potenzialità di questo canale per il business.
Come dimostrano i risultati delle campagne su TikTok di alcuni importanti brand e l’attenzione sempre maggiore da parte dei marketer verso questo canale, che si sta gradualmente ricavando uno spazio nelle strategie di Social Media Marketing delle aziende, rimanere estranei al fenomeno del momento può significare perdere ghiotte opportunità di raggiungere il pubblico, specie se il target di riferimento è fra i giovanissimi.
Perché i brand usano TikTok
Il settore agricolo potrebbe non essere il primo che viene in mente quando si contemplano le statistiche di utilizzo di TikTok, ma una rapida ricerca su Google rivela che ben 1,8 miliardi di persone hanno guardato video con l’hashtag “farm”.
Durante la pandemia, l’app è stata molto utilizzata per permettere agli agricoltori di rimanere in contatto con i consumatori, e questo dice molto sulle potenzialità dello strumento anche in settori meno mainstream che spesso sottovalutiamo.
TikTok è stata una rivelazione per gli agricoltori cinesi, offrendo loro, per la prima volta, una linea diretta con i consumatori finali. È proprio il modello Direct to Consumer a svelare il potenziale della piattaforma.
Tuttavia, aprire un profilo aziendale e iniziare a pubblicare contenuti su TikTok (così come su qualunque altro social) senza una precisa strategia di web marketing potrebbe risultare inefficace e far perdere risorse e tempo prezioso.
L’importanza di avere una strategia
Prima di iniziare qualunque attività sarà quindi necessario impiegare una adeguata quantità di tempo alla preparazione di un piano di marketing che tenga conto dei tuoi obiettivi e definire la strategia per raggiungerli.
In maniera schematica, le fasi da seguire per lo sviluppo di un piano di web marketing sono quelle mostrate nella figura qui sotto.
Analisi
In questa fase dovrai analizzare le informazioni disponibili e che sono necessarie per elaborare la strategia, quali sono i tuoi elementi distintivi (cioè quelli che rendono il tuo brand unico e specifico), le risorse a tua disposizione, le caratteristiche del mercato, la tipologia degli utenti, gli obiettivi e i risultati attesi.
Strategia
Sulla base delle informazioni raccolte nella prima fase, potrai preparare un piano di marketing che definisca quale strategia utilizzare (organica, a pagamento o un mix delle due) e le relative tempistiche di realizzazione.
Piano operativo
In questa fase dovrai dettagliare gli aspetti pratici e operativi della tua attività su TikTok, come:
Risorse (eventuale coinvolgimento di creator, influencer, video-maker);
Contenuti e frequenza di pubblicazione, che costituiranno il tuo piano editoriale;
Strumenti di marketing da utilizzare (es: integrazione con altri social network, creazione di landing page su un sito web, inserzioni pubblicitarie);
Obiettivi e criteri di misurazione (qualitativi e/o quantitativi).
Misurazione
Si tratta di un aspetto fondamentale per valutare se l’impegno profuso è in grado di guidare la tua azienda verso il raggiungimento dell’obiettivo. Durante tutta la durata del progetto, dovrai infatti tenere sotto controllo i dati statistici del tuo profilo aziendale per valutare l’efficacia delle tue attività e la bontà dei contenuti pubblicati.
A tale scopo, potrai avvalerti dell’apposita funzionalità di TikTok o di altri numerosi servizi online disponibili sul mercato.
Aggiornamento
La misurazione delle performance può evidenziare i punti di forza della strategia ma anche alcune criticità. In questo caso, bisogna essere pronti a cambiare rotta e rimettersi sulla giusta strada.
A questo proposito, è consigliabile prevedere, all’interno del piano operativo, alcuni momenti di verifica in cui analizzare i dati statistici ottenuti e apportare eventuali modifiche al piano delle attività (es. modificare il tipo di contenuti, partecipare ad hashtag challenge, pubblicizzare il profilo TikTok su altri social network, etc).
Sotto questo punto di vista, infatti, occorre considerare il processo indicato nello schema precedente come un flusso continuo di attività da ripetersi nel tempo.
Anche se sei un imprenditore o un libero professionista è particolarmente utile adottare questo approccio, che non è una procedura esclusivamente adatta solo a organizzazioni strutturate e di grandi dimensioni: la stesura di un piano di marketing aiuterà a evidenziare criticità e aspetti che potrebbero essere stati tralasciati, qualunque siano le dimensioni del business e il budget allocato.
Non in tutti i casi, infatti, sarà necessaria un’analisi lunga e dettagliata. Per partire, può essere sufficiente stilare un sintetico documento dove riportare obiettivi, elementi distintivi, mercato target, tipologia dei contenuti e altre informazioni di base.
Da dove iniziare
Il primo passo per l’elaborazione di questo documento è trovare risposta ad alcune domande fondamentali:
Il tuo cliente target o il pubblico che vuoi raggiungere appartiene alla Generazione Z?
I tuoi prodotti sono visivamente accattivanti?
La tua azienda lavoro opera nel settore dell’intrattenimento, del lifestyle o della moda?
Hai le risorse per postare regolarmente su TikTok?
Per la tua attività puoi utilizzare un “tono di voce” che sia simpatico, disinvolto e trendy?
Quale tipo di contenuti ti sarà più naturale creare e quale risulterà maggiormente in linea con il tone di voce del tuo brand?
Naturalmente, la lista appena stilata non è assolutamente esaustiva ma può aiutare a comprendere se il tuo business della tua azienda è compatibile con il pubblico di riferimento che frequenta TikTok e può contare già al suo interno su collaboratori dotati delle skill necessarie per approcciarsi con successo e interagire su questa piattaforma.
In ogni caso, uno dei consigli più utili da osservare prima di mettersi all’opera, è quello di osservare con molta attenzione come si comportano altri brand o creators, in particolar modo le strategie e il tone of voice dei competitor, e di sperimentare di persona prima di prendere una decisione definitiva e passare alle fasi successive del piano di marketing.
Completata la fase di analisi avrai certamente le idee più chiare su quello che vorrai fare e di quali risorse avrai bisogno.
Ciò ti consentirà di scegliere la strategia di crescita da adottare, che può essere classificata essenzialmente in due tipologie: la strategia di crescita organica e quella di crescita a pagamento (v. Fig. 2).
Nella strategia di crescita organica rientrano tutte quelle tecniche che hanno a che fare con una crescita naturale del proprio profilo: oltre alla creazione dei contenuti, entrano in gioco la scelta degli hashtag, la ricerca dei suoni e l’utilizzo di strumenti quali duetti o stitch.
La strategia di crescita a pagamento, invece, come dice il nome stesso, comprende le tecniche che richiedono un investimento monetario, come lancio di hashtag challenge, coinvolgimento di influencer, e utilizzo di TikTok Ads.
Comunque, questi due tipi di strategie possono anche essere usate insieme, come fanno molte aziende, ed essere integrate nel piano generale di marketing che si deciderà di adottare e che potrà prevedere l’integrazione anche con altri social network o canali di marketing.
Le principali tecniche di crescita organica e quelle a pagamento, meritano di essere approfondite in un contesto separato.
Rimane decisamente necessario puntualizzare che, a queste tecniche, come accade su altri social network, è necessario abbinare una presenza continua sulla piattaforma e un engagement con gli altri utenti attraverso like, commenti e messaggi per creare relazioni personali, genuine e spontanee.
Qualche numero su TikTok
689 milioni di utenti di TikTok a livello internazionale (mensile)
600 milioni di utenti Douyin in Cina (ogni giorno)
100 milioni di utenti TikTok negli Stati Uniti (mensile)
100 milioni di utenti TikTok in Europa, con 17 milioni nel Regno Unito, 11 milioni in Francia e 11 milioni in Germania
I download di TikTok 2020 sono stimati tra 850 milioni e 987 milioni, esclusi i download di terze parti cinesi (Apptopia/Sensor Tower)
La penetrazione globale di TikTok è stimata al 18% degli utenti internet globali tra i 16 e i 64 anni (GlobalWebIndex)
TikTok 2020: entrate stimate a 1 miliardo di dollari (Reuters)
TikTok è valutato a 50 miliardi di dollari (Reuters)
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/07/azienda-su-tiktok.jpg9241642Roberto Grossihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRoberto Grossi2021-07-02 16:26:352021-09-22 17:16:54Manuale strategico per portare la tua azienda su TikTok
Continuano le storie del Ninja Van Tour che tanto ci hanno appassionato. Questa volta ci fermiamo a Milano, Mirko Pallera incontra una persona unica nel suo genere, un amico d’infanzia, illustratore, artista e filologo: Matteo Demonte.
Matteo ci porta a visitare Porta Vittoria, ex scalo commerciale oggi diventato un “non-luogo”. Mentre ne sperimentiamo l’incredibile senso di spaesamento, ci racconta del suo progetto di ricerca dedicato a Mario Tchou, l’ingegnere italiano di origine cinese che ha contribuito all’invenzione del primo computer a transistor della storia.
Mario Tchou era un ingegnere elettronico, ci ha lasciato un sacco di insegnamenti, grazie alle sue invenzioni. Figlio dell’Ambasciatore della Repubblica Cinese in Italia, nasce nel 1924 e si laurea a Roma in ingegneria elettrotecnica. Il percorso di Mario diventa subito interessante: vince da ragazzo una borsa di studio, grazie alle sue doti intuitive, e inizia a lavorare come calcolatore sul progetto delle valvole termoioniche, già a 27 anni insegna all’università della Columbia.
ELEA 9003
Verrà selezionato poi dall’azienda Olivetti per dirigere il laboratorio di ricerca elettronica. Mario è noto per essere l’inventore e direttore della squadra di tecnici e scienziati che costruirono non solo il primo computer italiano ma il primo computer allo stato solido della storia dell’informatica a transistor, con dentro delle piastre di metalli particolari, sostituendo le valvole termoioniche, che scaldavano molto.
Mario Tchou
Quindi Mario progetta e realizza in tempi brevissimi, prima di tutte le case dei calcolatori, il primo computer transistor della storia con Olivetti e verrà presentato poi nel 1959, in occasione della fiera campionaria di Milano, nello stand elettronico, viene inaugurato ELEA 9003 (questo il nome scelto). Mentre invece, dalla parte opposta nello stand IBM, nello stesso momento viene presentato una creatura ibrida, un computermetà valvole e metà transistor.
Pochi anni dopo Mario, purtroppo, muore in un incidente il 9 novembre del 1961. Era un cittadino cinese, realizzato lavorativamente però in Italia, quindi perfettamente un italiano. Olivetti ha prodotto quindi il primo computer a transistor, ELEA 9003, avendo un successo strepitoso. Dopo la morte di Mario, viene progettato il Programma 101, un Desktop Computer.
Dalle parole di Matteo Demonte, riecheggiano ancora tutti gli insegnamenti e l’eredità che ha lasciato Mario Tchou: uno sviluppo senza conoscenza produce degli effetti a lunga distanza devastanti. Negli anni 60 la corsa era cominciata, l’automazione era dietro la trama tecnologica, oggi è diventata una struttura gigantesca.
Affidiamo, attraverso l’intelligenza artificiale, le scelte che prima erano affidate ad esseri umani. Ci fidiamo delle macchine, del calcolo, del linguaggio che è rimasto lo stesso, e questa è la chiave che unisce l’elettronica con l’algebra.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/07/MARIO_TCHOUjpg.jpg10801920Rossella Pisaturohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRossella Pisaturo2021-07-01 16:30:452021-07-22 12:53:18Storia del primo computer a transistor: ad inventarlo fu un italiano
Un passo significativo verso una shopping experiencepiù inclusiva, che permetta maggiore autonomia alle persone cieche e ipovedenti, aiutandole a orientarsi sia nella scelta dei prodotti che nella gestione degli stessi una volta all’interno della “dispensa”: Kellogg Europa annuncia oggi l’avvio di un progetto paneuropeo che renderà, entro la fine del 2022, tutti i pack di cereali dell’azienda più accessibili ai non vedenti e agli ipovedenti, grazie all’integrazione della tecnologia NaviLens, la prima al mondo sviluppata per le persone con disabilità visive.
Il progetto, partito l’ottobre scorso con un test pilota in UK che ha ottenuto una percentuale di gradimento da parte dei soggetti interessati uguale al 97%, è pronto a raggiungere gli scaffali dei supermercati di tutta Europa già a gennaio 2022 con i pacchi di Special K, per diventare parte integrante di tutte le confezioni di cereali Kellogg entro la fine del 2022. Kellogg diventa così la prima azienda food al mondo a integrare una tecnologia per non vedenti e ipovedenti on pack.
Pack di cereali
La tecnologia NaviLens si basa sulla scansione, attraverso il proprio smartphone, di uno speciale codice integrato nel design delle confezioni del prodotto: così vengono rese accessibili, in forma audio, le informazioni sugli ingredienti, gli allergeni e le informazioni sul riciclaggio di ciascun prodotto specifico. Informazioni spesso non accessibili alle persone con disabilità visive.
A differenza delle altre tecnologie presenti sul mercato (QR code o barcode), la tecnologia NaviLens è realizzata con colori ad alto contrasto per l’individuazione anche da parte degli ipovedenti e può essere inquadrata a una distanza dodici volte superiore a quella delle alternative (fino a un massimo di tre metri di distanza). Inoltre il consumatore non ha bisogno di sapere esattamente dove si trova il codice sul pacco perchè la tecnologia funziona anche senza un’inquadratura “a fuoco”.
In Italia, secondo una rilevazione INPS del 2019, sono oltre 122 mila le persone parzialmente o totalmente non vedenti. Questa innovazione sul packaging si colloca all’interno dell’impegno di Kellogg in ottica di diversità e inclusione, e vuole essere anche una prima esperienza da condividere con altri brand per rendere gli scaffali dei supermercati più accessibili per le persone con disabilità visive, così che possano fare acquisti in modo più indipendente e accedere alle informazioni su una gamma sempre più ampia di prodotti e confezioni.
L’integrazione della nostra tecnologia nelle confezioni di cereali Kellogg è un passo importante verso la realizzazione di un’esperienza di shopping più inclusiva per le persone con disabilità visive, aiutandoli a diventare più indipendenti e autonomi anche nella scelta dei prodotti.
Commenta Javier Pita, CEO di NaviLens.
In Italia, come nel resto d’Europa, le persone cieche e ipovedenti non sono ancora autonome nel fare la spesa o nell’avere accesso a informazioni fondamentali sui prodotti, come quelle relative alla shelf life o agli allergeni. Per questo, l’iniziativa di Kellogg rappresenta un passo molto importante, poiché per la prima volta contribuisce a migliorare non solo l’esperienza di spesa, ma anche la gestione dei prodotti a casa.Si tratta di un cambiamento che, se adottato su larga scala, potrebbe davvero restituire ai clienti non vedenti la stessa libertà, autonomia e indipendenza che hanno i clienti vedenti. Progettare un packaging in modo che “funzioni per tutti” è un impegno fondamentale se vogliamo costruire una società più inclusiva, e speriamo che altri marchi seguano l’esempio di Kellogg nel rendere le informazioni sulle confezioni più accessibili.
Spiega Mario Barbuto, presidente dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti.
In linea con i valori del nostro fondatore W. K. Kellogg, continua il nostro impegno per contribuire a creare una società guidata da principi di equità, diversità e inclusione. In Europa ci sono oltre 30 milioni di persone che convivono con disabilità visive, la cui shopping experience può essere migliorata da soluzioni come NaviLens. Sono estremamente orgoglioso che Kellogg sia la prima azienda food al mondo ad utilizzare questa tecnologia.
Conclude Giuseppe Riccardi, General Manager di Kellogg Italia.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/07/kellogs.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-07-01 14:32:552021-07-26 12:54:27Kellogg innova i suoi cereali integrando la prima tecnologia al mondo per ciechi e ipovedenti
Nel corso di quasi 15 mesi da quando è stato annunciata la pandemia da COVID-19, la vita è cambiata radicalmente. La maggior parte di noi ha stravolto i propri piani – sia personali che professionali – e ha maturato una comprensione molto più profonda di cosa significhi adattarsi.
Abbiamo osservato enormi cambiamenti nel modo in cui le persone interagiscono con le aziende a livello mondiale. Il comportamento d’acquisto è estremamente cambiato: i clienti hanno iniziato a esplorare, cercare e pianificare la maggior parte dei loro acquisti sul web. La nuova realtà della pandemia ha costretto molti brand a cambiare radicalmente le loro strategie di marketing; altri, invece, hanno accelerato strategie già avviate.
Fra tutte le sfide dell’anno scorso, i brand si sono mostrati ai consumatori come mai prima d’ora, creando un modello di marketing ancora più incentrato sul cliente. Puntando su soluzioni come i dati di prima parte e l’automazione, le aziende ora garantiscono maggiore tutela della privacy, personalizzazione e convenienza alle persone che interagiscono con il brand e lo vivono.
Mentre gli Stati Uniti iniziano a immaginare il ritorno a una parvenza di normalità, abbiamo parlato con cinque leader del marketing in diversi settori che hanno messo in atto dei cambiamenti customer-centric per preparare le loro aziende al futuro.
Di seguito spiegano come hanno utilizzato i dati di prima parte e l’automazione, dando consigli chiave agli altri marketer, indipendentemente dal settore di appartenenza.
Promuovere le connessioni per creare una community
Nel mondo dei servizi finanziari, è facile concentrarsi sull’utilità dei prodotti che offriamo. Ma alla fine della giornata, il denaro e la gestione di un’azienda riguardano soprattutto le persone. I proprietari delle piccole imprese dipendono dalle relazioni con gli altri, e i video ci aiutano a raccontare queste “storie di persone”. Su YouTube possiamo raggiungere venditori in cerca di ispirazione e idee su come sopravvivere e prosperare.
– Lauren Weinberg, Chief Marketing Officer di Square
La missione di Square – permettere a tutti di accedere agli strumenti per avere successo, in base alle proprie caratteristiche – è stata ideata l’anno scorso. Il COVID-19 è arrivato proprio mentre l’azienda stava preparando la sua prima grande campagna di brand, facendo slittare il lancio. Square ha immediatamente riallocato il suo budget di marketing per offrire software gratuiti e rimborsi ai proprietari delle piccole imprese profondamente colpite dalla crisi.
Nel corso della pandemia, Square ha deciso che non poteva continuare a basarsi sul performance marketing, come faceva da tempo; i proprietari delle aziende stavano cercando consigli su come adattare le loro attività, e Square aveva le soluzioni e gli strumenti per aiutarli.
L’azienda ha trasformato la sua strategia iniziale di messaggistica mettendo in evidenza le soluzioni indispensabili agli imprenditori per affrontare le nuove modalità di fare business, come i pagamenti contactless, gli shop online, il ritiro e la consegna sul marciapiede, e i Prestiti Paycheck Protection (PPP).
Poi, per sostenere ulteriormente la comunità delle piccole imprese, Square ha invitato i clienti a condividere le loro storie di lotta e resilienza chiamando un numero verde. I messaggi ricevuti hanno dato il via alla serie di video Seller Stories di Square, che unisce storie d’ispirazione di piccole imprese, come quella del più antico rivenditore di abbigliamento maschile di Detroit che ha creato un e-commerce per rimanere aperto, con dei consigli su come prosperare in tempi difficili.
Sviluppando questo duplice approccio, Square ha ottenuto un aumento dell’82% del traffico web di prospect rispetto all’anno precedente e ha aumentato il tempo trascorso sulla landing page della campagna di oltre 3 volte.
Abbiamo cercato con tutte le forze di ridurre la distanza tra l’ispirazione e l’acquisto per i nostri clienti. Quando qualcuno è ispirato da un prodotto, vogliamo essere lì per aiutare a concludere l’acquisto, quindi abbiamo fatto una serie di progressi in ambito social commerce. La centralità del cliente è sempre stata un obiettivo della nostra azienda, e stiamo continuando a migliorare in questo senso.
– William White, SVP e Chief Marketing Officer di Walmart U.S.
Come più grande rivenditore al mondo, Walmart serve circa 220 milioni di clienti e membri nel mondo ogni settimana. Quindi, quando i consumatori di tutto il mondo hanno dovuto affrontare le difficoltà economiche legate alla pandemia, la missione dell’azienda – aiutare le persone a risparmiare per poter vivere meglio – è diventata più importante che mai.
Per soddisfare le mutevoli esigenze dei clienti, Walmart ha accelerato e ampliato i servizi esistenti di ritiro sul marciapiede, ritiro in negozio, consegna in giornata e consegna a domicilio. E per semplificare ulteriormente l’esperienza d’acquisto online dei clienti, l’azienda ha unito le sue app, un tempo separate, per i prodotti alimentari e gli acquisti.
Walmart sapeva anche di dover rafforzare l’amore per il brand per avere clienti fidelizzati in un mercato ipercompetitivo. La soluzione è stata Walmart+, un nuovo tipo di abbonamento che offre ai clienti dei vantaggi per risparmiare tempo e denaro, tra cui il pagamento “scan-and-go” sullo smartphone nei negozi al dettaglio e una spedizione veloce e gratuita per gli acquisti online. Inoltre, Walmart ha iniziato a offrire “esperienze di brand” su larga scala, come ospitare film drive-in nei parcheggi dei negozi, per favorire le relazioni con i clienti.
Walmart ha già visto il risultato del cambiamento verso una maggiore customer-centricity. Il suo impegno ha contribuito a una crescita del 37% delle vendite online e una crescita del 6% delle vendite totali negli Stati Uniti per il primo trimestre dell’anno fiscale in corso.
Contestualizzare i contenuti attraverso dati di prima parte
I viaggi con le tecnologie contactless non devono essere meno personalizzati. Quando conosciamo le preferenze di un cliente o l’iscrizione a un programma di fidelizzazione, possiamo offrire le promozioni giuste e condividere i contenuti più rilevanti, come i dettagli sui nostri ristoranti, se è un buongustaio, o le informazioni sulla spa, se ama il relax. Usare i dati di prima parte in questo modo ci permette di personalizzare le esperienze e far risparmiare del tempo ai nostri colleghi in azienda per garantire esperienze eccezionali.
– Julia Vander Ploeg, vicepresidente e responsabile globale del settore digitale e tecnologico di Hyatt Hotels
Hyatt ha capito da tempo l’importanza di unire i manager del marketing, dei dati e dell’analisi, dell’ingegneria, dei prodotti e non solo attorno a un pensiero condiviso: segnali in entrata, segnali in uscita. Questo ha permesso all’azienda di integrare le piattaforme di dati con quelli di ogni team perché questi attingano alle stesse informazioni, al fine di fornire esperienze allineate con i valori del brand.
Il COVID-19 ha poi dato la spinta per accelerare l’uso, da parte di Hyatt, dei segnali dei clienti per offrire interazioni personalizzate più smart. L’azienda è passata da una strategia di dati di terze parti a un approccio basato sulla privacy e sui dati di prima parte. Questo ha permesso a Hyatt di costruire relazioni dirette con gli utenti e offrire contenuti di valore in cambio delle loro informazioni. L’offerta di “contenuti in contesto” includeva dettagli personalizzati e rilevanti sulle destinazioni, come ristoranti vicini, eventi sportivi, concerti e anche ritardi dei trasporti locali.
Dando priorità ai dati di prima parte e offrendo un’esperienza più personalizzata, Hyatt ha raggiunto 13 volte più clienti nel 2020. L’azienda continuerà a sfruttare il successo delle esperienze di brand customer-centriche per promuovere la fidelizzazione dei clienti in tutto il Gruppo.
Supportare i clienti in modo autentico
I marketer devono essere sempre pronti a cambiare direzione. Man mano che ci avvicinavamo al 2021, abbiamo percepito più volte l’ottimismo dei nostri clienti per il futuro. Il loro ottimismo, unito al ruolo importante che gli imprenditori svolgono nel creare nuove idee e incrementare l’economia, ci ha aiutato a trasformare #OpenWeStand in un messaggio per il 2021: – Make a Different Future.
– Fara Howard, Chief Marketing Officer di GoDaddy
Con lo scoppio della pandemia, GoDaddy si è resa subito conto che i clienti avevano bisogno di aiuto in modi nuovi e diversi. Questo ha portato GoDaddy a lanciare #OpenWeStand, una campagna che ha riunito oltre 70 partner aziendali con l’obiettivo di aiutare gli imprenditori a gestire una piccola impresa in tempi incerti. Sul sito della campagna, GoDaddy ha creato un’ampia gamma di strumenti per aiutare la comunità delle piccole imprese a riunirsi per una forte causa: “Come rimanere aperti, anche se le vostre porte sono chiuse”.
Per capire quanto successo ha avuto #OpenWeStand tra il pubblico, GoDaddy ha collaborato con Google per sviluppare una metodologia e un sistema di misurazione. L’azienda ha usato gli studi di Brand Lift per misurare i cambiamenti nell’awareness del brand, nella consideration e nell’interesse di ricerca, e ha applicato il modello dell’attribuzione per misurarne gli effetti durante il custumer journey.
Sulla base dei risultati ottenuti, GoDaddy è stata in grado di ottimizzare la campagna nel tempo. Ha incrementato l’utilizzo dell’offerta automatica e ha introdotto annunci adattabili della rete di ricerca (responsive search ads) per raggiungere, ad esempio, i clienti nei momenti giusti con un messaggio pertinente.
Ad oggi, più di 70 grandi aziende si sono unite alla causa di GoDaddy per sostenere le piccole imprese e il video dell’inno #OpenWeStand ha totalizzato oltre 65 milioni di visualizzazioni.
Offrire esperienze diversificate
Per quanto riguarda l’adozione dei servizi online nel settore Automotive, ciò che avrebbe dovuto richiedere dai tre ai cinque anni ha richiesto soltanto sei mesi. Durante la notte si sono verificate importanti curve di apprendimento. Non è stato facile, ma ci sono state molte nuove opportunità. I clienti possono creare relazioni con i brand che non avrebbero mai creduto possibili. Quindi, come brand, dobbiamo pensare a come soddisfare le esigenze dei clienti ed essere davvero presenti per loro, usando i dati. Stiamo cercando di cambiare l’intero modello di relazione con i clienti.
– Suzy Deering, Global Chief Marketing Officer di Ford Motor Company
Se molte aziende si stavano focalizzando solo su come rimanere a galla durante la pandemia, Ford aveva una visione più grande. In un momento in cui le vendite dell’industria automobilistica erano scese del 15%, l’azienda ha colto un’opportunità di trasformazione del business e ha iniziato a delineare un piano.
Guidata da un nuovo CEO, Ford ha iniziato a mettere in discussione tutto, dai silos organizzativi alla leadership, fino al futuro dei suoi veicoli. Come parte del processo, il brand ha intrapreso una partnership strategica con Google per reinventare completamente l’esperienza del cliente attraverso nuove tecnologie, come migliori veicoli connessi, e servizi più personalizzati, come richieste di manutenzione in tempo reale.
Tra le altre attività di marketing, Ford sta mettendo al primo posto anche le relazioni con i clienti. L’azienda sta rapidamente passando da un modello di acquisizione a un modello basato sulla fedeltà che le permetterà di soddisfare le continue esigenze delle persone in modo più personalizzato.
Senza sapere come sarebbe stata la “nuova normalità”, queste aziende hanno dato priorità alla soddisfazione dei bisogni dei loro clienti investendo in dati di prima parte e nell’automazione. Anche se non possiamo prevedere quali sfide ci aspetteranno, trovare nuovi approcci che mettano i clienti al centro del vostro business è un ottimo modo di prepararsi a quel che accadrà nel prossimo futuro.
Articolo di: Kate Stanford
Traduzione a cura di: Debora Melania Martuccio
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/1_ROX-3.jpg10801920Think with Googlehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngThink with Google2021-06-30 12:01:372021-07-26 12:58:48Nel futuro il cliente è al primo posto: 5 aziende l’hanno capito grazie alla pandemia
Libertà di esprimere la propria unicità. Ispirare un cambiamento positivo ed aprire nuove strade per la parità di genere verso una cultura del rispetto delle differenze, nel tentativo di abbattere disuguaglianze, stereotipi e clichè.
L’onda rainbow si propaga in Italia per il Pride Month, per celebrare la difesa dei diritti delle persone, oltre le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.
Attivisti, star system, brand e aziende in campo per contrastare l’omofobia e la transfobia, l’avversione e l’intolleranza nei confronti delle persone, gay, lesbiche, bisessuali e transessuali.
Diversità che può tradursi in leva di business o nella necessità, per i brand, di prevedere all’interno dell’organizzazione aziendale anche un Chief Diversity Officer per l’inclusione della diversità e della disabilità.
La rivoluzione dei modelli culturali
Una spinta rivoluzionaria che parte dalle icone indiscusse del pop mondiale, da Madonna, a Cher e Lady Gaga con messaggi di sensibilizzazione rivolti all’affermazione della dignità e dell’uguaglianza, alle grandi big tech, come Spotify, eBay, Facebook, Google e TikTok, riunite in Italia nel progetto #Tech4Pride con l’illuminazione arcobaleno del Palazzo storico del Comune di Milano in occasione della Pride Week.
“Un’illuminazione fisica, ma soprattutto metaforica – spiegano le big company – per accendere i riflettori sull’importanza di sostenere un luogo sicuro per ragazze e ragazzi respinti dalle loro famiglie dopo aver fatto coming out”.
Un’iniziativa congiunta tesa al sostegno di Casa Arcobaleno, una Casa per i ragazzi discriminati per il proprio orientamento sessuale e identità di genere o per il percorso di transizione avviato. Un luogo sicuro dove sentirsi accolti per realizzare il proprio progetto di vita, seguendo i propri desideri.
«La musica, nella storia, ha sempre offerto alle minoranze culturali oppresse il modo per far sentire la propria voce. E noi, che nasciamo come piattaforma di streaming musicale, abbiamo fatto nostro questo ruolo di “amplificatori”»,
esordisce Ester Gazzano, Head of Consumer Marketing, Southern and Eastern Europe di Spotify, che si racconta a Ninja Marketing sul tema delicato della Diversity & Inclusion.
Diversity, inclusion, equality: Ester come si costruisce una strategia D&I, su quali principi etici si fonda?
«Nel caso di Spotify, la Diversity & Inclusion rappresenta una parte fondamentale del Dna aziendale: ha nella sua mission la volontà di dare a tutti la possibilità di esprimere la loro arte, e quindi incoraggia, supporta e a volte fa da pioniere a queste voci che sono segnale di un cambiamento sociale importante. Oltre a essere parte integrante della mission aziendale, la D&I nel nostro caso è rispecchiata dalle stesse persone che sono parte dell’azienda: in Spotify arrivano talenti di ogni cultura, razza e genere, per poter rappresentare ogni punto di vista, incoraggiare la creatività, perseguire l’innovazione e capire meglio ogni tipologia di utente e creator».
Spotify, eBay, Facebook, Google e TikTok in campo, per la prima volta insieme, per sostenere la comunità LGBTQA+ e celebrare la Milano Pride Week. Come nasce questa sinergia?
«La sinergia nasce dalla volontà, come ha citato il Sindaco di Milano Giuseppe Sala a commento dell’iniziativa, di fare la differenza insieme nella promozione dei diritti e nella diffusione della cultura della condivisione, della solidarietà e della tolleranza. Noi di Spotify, come le altre big tech coinvolte, siamo un po’ uno specchio di quello che accade nella società, in termini di costumi, tendenze, movimenti sociali: il movimento a favore dei diritti della comunità LGBTQ+ cerca una rappresentanza anche attraverso le aziende che sono, appunto, in grado di veicolare i loro messaggi e amplificare la loro voce, e Spotify lo è certamente. La cronaca di quest’anno ha visto protagonisti diversi casi di ragazzi e ragazze discriminati dalle proprie famiglie dopo aver fatto coming out. Abbiamo dunque ritenuto fondamentale attivarci e unire le forze per supportarli, affinchè possano avere un luogo sicuro, quale è Casa Arcobaleno, in cui essere accolti e trovare una nuova famiglia».
L’importanza dell’autenticità della vision D&I per un’azienda
Inclusione: è una strategia di marketing da cavalcare per le aziende o una reale conquista nella lotta contro ogni forma di discriminazione?
«Non esiste strategia di marketing legata alla D&I che possa essere efficace senza che l’azienda non abbia l’inclusività nel suo DNA. Le persone oggi chiedono, se non pretendono, autenticità da parte delle aziende, così come chiedono che le aziende si esprimano e agiscano in maniera concreta su determinati temi e accadimenti. Dunque l’inclusione, così come la diversità, prima di tutto devono essere parte integrante di un’azienda».
La narrazione podcast della cultura queer: nasce PRIMA
Quali sono le iniziative ideate da Spotify per garantire diversità e inclusione all’interno dell’azienda e, in contemporanea, permettere ai propri creator di manifestare la propria libertà di espressione.
«Negli anni durante il mese del Pride siamo stati presenti con diverse attivazioni volte a creare uno spazio più ampio e permanente per la cultura queer, sia sulla piattaforma che nella società. Quest’anno in Italia abbiamo lanciato PRIMA, un nuovo podcast originale che racconta la storia di Mariasilvia Spolato, la prima donna in Italia ad aver dichiarato pubblicamente la sua omosessualità nel 1972. Questo podcast vuole celebrare, a 50 anni dalla nascita dei primi movimenti omosessuali, il coraggio di chi, esponendosi in prima persona, ha aperto nuove strade e cambiato la vita delle generazioni successive. Abbiamo inoltre rinnovato Pride, un hub editoriale che promuove artisti, podcaster e playlist LGBTQIA+. Dell’hub fa parte anche la playlist Pride Italia, che celebra la musica di artisti e artiste che fanno parte della comunità italiana LGBTQIA+ o che a essa sono legate, in modo iconico. Spostandosi sul tema a noi caro del gender gap, abbiamo di recente lanciato la nostra campagna globale EQUAL».
Ester Gazzano, Head of Consumer Marketing, Southern and Eastern Europe di Spotify
«È dedicata a promuovere la parità di genere e a celebrare il contributo delle donne nel mondo dell’audio. Tramite Equal, intendiamo far conoscere sempre più le artiste e le podcaster a livello locale e internazionale, attraverso partnership globali, attivazioni, nuovi contenuti e supporto concreto sulla piattaforma come all’esterno.
La cultura della D&I viene trasmessa da Spotify sia ai creators che alla sua audience anche attraverso le persone che sono parte dell’azienda: a livello centrale vengono promossi diversi programmi, progetti ed eventi orientati a favorire l’inclusione, come ad esempio l’Inclusion Summit, che nel tempo ha ampliato il numero di delegati da diversi uffici nel mondo proprio per garantire massima rappresentanza e favorire un momento globale di confronto su questi temi».
Da creator ad inspirator: quanto sarà fondamentale ispirare modelli positivi contro qualsiasi forma di odio razziale, di genere, etnico o religioso?
«Sicuramente è fondamentale. Anche per questo la nostra campagna sulla parità di genere, EQUAL, mette in primo piano ogni mese delle nuove artiste. Il primo volto che abbiamo scelto, ad esempio, è stato quello di Madame, che sul tema si è personalmente esposta e che rappresenta un modello di riferimento per tutti i giovani, essendo stata grado di parlare di diversità, inclusione e di ricerca della propria identità con un linguaggio accessibile a tutti: quello della musica».
Pari opportunità di genere anche nelle progressioni di carriera: le statistiche, purtroppo, dimostrano un gap salariale e anche di crescita professionale delle donne rispetto agli uomini. Qual è la vision di Spotify in proposito?
«È un gap che conosciamo, avendo rilevato che, ad esempio, solo 1 artista su 5 nelle classifiche è donna, un dato in netto contrasto con il ruolo chiave e la grande influenza delle donne sia nel successo di Spotify che dell’industria musicale in generale. Un dato che prendiamo come punto di partenza per dare il nostro contributo e costruire progetti che possano colmare il gap. Nell’ambito di EQUAL, ad esempio, abbiamo lanciato un Board attraverso cui 15 organizzazioni di tutto il mondo si impegnano a offrire un incentivo economico, una tantum, per supportare le artiste e lavorare in collaborazione con loro per scoprire metodi tangibili per rendere l’industria audio più equa. Abbiamo inoltre rinnovato, sempre a livello globale, anche programmi di successo come Sound Up per dare sempre nuove opportunità alle donne nel mondo dell’audio. Il tutto oltre alle playlist dedicate alle artiste donne, che promuoviamo sempre nell’ambito di EQUAL».
Nasce Spotify Greenroom: come sarà possibile bloccare eventuali contenuti offensivi della dignità umana? È possibile, inoltre, tracciare un primo bilancio a meno di due settimana dal lancio in Italia?
«Abbiamo lanciato Greenroom consapevoli che il potenziale dell’audio è illimitato, quindi anche con l’obiettivo di sperimentare nuovi format che aiutino i creator a interagire con la propria audience e viceversa. Non abbiamo risultati da condividere a così poco tempo dal lancio, ma siamo convinti che questo possa rappresentare un ulteriore strumento da offrire alle persone, artisti o utenti, per esprimere la loro creatività. Per garantire a tutti un’esperienza piacevole e sicura su Greenroom, non sono ammessi contenuti che fomentano l’odio o l’esaltazione della violenza, la promozione dell’autolesionismo, le molestie, la pubblicazione di contenuti sessualmente espliciti e violazioni delle condizioni d’uso di Greenroom. In generale stiamo lavorando per assicurare che le policy legate alla gestione dei contenuti su Greenroom siano coerenti con quelle delle altre piattaforme da noi acquisite (es. Anchor, Megaphone) e continueremo a investire in quei team che svolgono un ruolo nel garantire che le nostre piattaforme siano sempre sicure da utilizzare».
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/SPOTIFY_6-1.jpg10801920Barbara Landihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngBarbara Landi2021-06-29 16:25:162021-12-29 15:01:37Diversity, inclusion, equality: Spotify contro la discriminazione di genere
“Sposare una tecnologia, sposare l’innovazione significa guardare al futuro con ottimismo. Nessuna delle persone che dicono di voler abbandonare la tecnologia sarebbe disposta a fare a meno del wi-fi o dei viaggi in aereo, a meno di non essere davvero ortodossi“.
In questa tappa degli appuntamenti con gli Unbreakable Speaker protagonisti di N-Conference, Mirko Pallera di Ninja ha incontrato Massimo Temporelli, fisico e co-founder della start up innovativa sulla fabbricazione digitale TheFabLab.
Massimo è anche protagonista di un seguitissimo podcast, “F***ing Genius“, che racconta le grandi figure che hanno cambiato la nostra evoluzione, da Nikola Tesla a Steve Jobs, da Marie Curie a Leonardo da Vinci: assolutamente consigliato!
Secondo lui, fare ricerca e sviluppo sulle nuove tecnologie è l’unico modo per far incontrare innovazione e sostenibilità. Il suo F***ing Genius ideale è quasi un antropologo, oltre che uno scienziato, più umano e meno tecnico, in grado di proporre alla società quello che non sa ancora di volere: quello che rappresentano ad esempio Steve Jobs ed Elon Musk.
Audacia, coraggio, tecnologia, progettualità, innovazione sociale e tecnologica: questa la ricetta di Massimo Temporelli per essere unbreakable.
Il grande potenziale della digital fabrication è che permette di passare facilmente dall’idea al progetto e dal progetto alla produzione con pochi passaggi, senza dover frequentare la vecchia filiera industriale.
Infatti, nel corso del viaggio all’interno di TheFabLab, il suo spazio in Talent Garden, tra “Umarell” di ogni dimensione e altri prodotti di artigianato digitale da scrivania stampati in 3D come il “Made in Italy” (la famosa manina “all’italiana” che oscilla), Massimo ci spiega perché ha dato vita al suo podcast verticale sul percorso di alcune delle personalità più innovative della storia:
“Se i giovani ascolteranno le storie di Marie Curie, che nell’800 fece di tutto per diventare una scienziata e ricercatrice quando era complicato per le donne; se sentono le storie di Elon Musk, di Steve Jobs, di Edison, di Laura Bassi, di Archimede, si innamoreranno della scienza e porteranno il messaggio anche in quest’epoca: portare la scienza e la tecnologia a compiersi nel business“.
L’hacking delle maschere per trasformarle in respiratori
La passione per la scienza e la tecnologia può portare a risultati inattesi: “Quando è scoppiata l’emergenza Coronavirus, mancava tutto: valvole, siringhe, mascherine. Così mi ha chiamato la direttrice de Il Giornale di Brescia, chiedendomi di realizzare le valvole con la stampa 3D. Grazie a Cristian Fracassi, che ha fatto reverse engineering sulle valvole esistenti, abbiamo realizzato i primi prodotti. Poi, una cosa incredibile: grazie alla collaborazione di Decathlon, siamo riusciti a trasformare un tipo di maschera in uno strumento per la respirazione assistita. Tanti Fab Lab si sono messi a disposizione del progetto e abbiamo contribuito a salvare probabilmente migliaia di persone in diverse parti del mondo“.
In questa storia ci sono tutti gli elementi per diventare unbreakable: audacia, coraggio, tecnologia, progettualità e innovazione, sociale e tecnologica.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/temporelli-copertina.jpg8201465Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-06-29 16:00:262021-06-29 16:34:47Podcast, Steve Jobs e stampa 3D: intervista a Massimo Temporelli
Sono passati alcuni mesi dalla firma del protocollo d’intesa che ha visto Ammagamma e l’Istituto Comprensivo 3 di Modena “Mattarella” dare vita a LUCY, la prima scuola sperimentale di intelligenza artificiale per gli istituti secondari di primo grado.
Dato il successo di questa prima esperienza, positiva sotto tutti i punti di vista per gli oltre cento studenti che vi hanno preso parte, Ammagamma e l’Istituto Mattarella hanno deciso di dare vita anche alla fase successiva del progetto. L’obiettivo è quello di educare anche gli adulti a comprendere e a utilizzare i dati e le tecnologie di intelligenza artificiale, in modo consapevole e responsabile, ovvero di formare i docenti del primo ciclo (scuola primaria e secondaria di primo grado) di altre scuole d’Italia, affinché possano replicare il programma didattico di Lucy e gettare le basi per creare una community sulla buona pratica di educazione all’AI.
Con il progetto Lucy abbiamo realizzato la prima sperimentazione curricolare di didattica dell’intelligenza artificiale per la scuola secondaria di primo grado, dedicata non solo agli studenti ma anche ai docenti. Questa esperienza annuale, realizzata per le terze medie dell’IC3 di Modena, ci ha portato a costruire un percorso multidisciplinare e laboratoriale finalizzato alla scoperta dei meccanismi di funzionamento dell’AI e all’immaginazione delle implicazioni e nuovi utilizzi delle tecnologie intelligenti.
Ha commentato Daniele Barca, Preside dell’IC3 Mattarella di Modena.
L’intelligenza artificiale è infatti integrata nella nostra vita digitale quotidiana e può essere un valido supporto nel processo decisionale delle persone. Ma che cos’è l’intelligenza artificiale? Cosa è in grado di fare e dove è possibile applicarla? Come leggere i dati che vediamo tutti i giorni?
Educare all’intelligenza artificiale non significa solo rendersi conto di quali siano gli strumenti “intelligenti”, ma anche, e soprattutto, significa comprenderne il funzionamento per ridimensionare la percezione “magica” e la visione distopica di quello che potrebbe essere il suo impatto nel futuro.
Educare a pensare è un vero e proprio format didattico che abbiamo studiato per rispondere al tema dell’approccio critico al digitale e trova fondamento nei concetti espressi all’interno del libro bianco sulla didattica dell’intelligenza artificiale “De Arte Intelligendi”, redatto e promosso da Ammagamma. Serve un approccio multidisciplinare per comprendere a fondo l’AI. Questa è l’ambizione della nostra scuola e la visione educativa di Ammagamma.
Ha aggiunto Pietro Monari, responsabile dei progetti Education di Ammagamma.
Il percorso, che si svolgerà tra gli spazi dell’Istituto Comprensivo e il convento di suore Orsoline dove ha sede Ammagamma, guiderà i partecipanti in un viaggio tra l’evoluzione tecnologica dell’intelligenza artificiale e la storia culturale modenese, attraverso delle attività laboratoriali che metteranno in collegamento la storia, la letteratura, la magia e l’immaginazione, con l’informatica, la robotica, la natura e la matematica.
Il corso è accreditato S.O.F.I.A., con il codice 60473, darà diritto a crediti formativi e si terrà presso il future lab spazio Leo dell’IC3 di Modena (scuole medie Mattarella, Viale Piersanti Mattarella, 145).
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/Rossellina_01.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-06-28 15:34:252021-07-21 15:46:40Docenti di tutta Italia a scuola di intelligenza artificiale: Summer School sull’AI a Modena
A qualcuno l’ufficio manca da morire, qualcun altro farebbe di tutto per non tornarci.
Altri ancora, farebbero l’impossibile pur di proseguire le attività professionali in un contesto naturale e piacevole, magari in un altro paese europeo.
Indipendentemente da quale sia il profilo che più si avvicina al tuo, nella selezione dei digital tool di questa settimana puoi scoprire come soddisfare questo tipo di bisogni e alleggerire la vita quotidiana, tanto nel caso che tu sia costretto a dirigerti in ufficio ogni mattina, quanto nel caso la tua abitazione sia diventata anche sede della tua vita professionale, tra call, bambini urlanti e gatti che passeggiano sulla tastiera.
Chi l’ha detto che Slack debba essere solo un luogo di scambio di informazioni e di direttive? Grazie a Ricotta Trivia puoi creare momenti di pausa e intrattenimento con i colleghi anche online, con quiz asincroni e giochi che stimolano la condivisione.
Come usare Twitter al meglio
Se vuoi salvare, organizzare e accedere in modo più rapido ai tweet a cui tieni, devi assolutamente provare Tweetflick. Un gestore di segnalibri che dà i superpoteri agli utenti del social.
Sei ancora in smart working?
Sembra assurdo, ma anche ora che ci avviciniamo alle vacanze potrebbe mancarti l’ufficio. Per ritrovare un po’ di atmosfera lavorativa e concentrarti meglio al suono della tastiera o del vociare in sala riunioni, c’è imisstheoffice. Un bell’esempio di content experience, in grado di catapultarti dritto alla tua scrivania grazie a design essenziale e rumori d’ambiente.
Logo tester
Il simbolo del tuo brand è un vero logo o ha bisogno di un tagliando? Grazie a TWM puoi scoprire subito se il tuo logo è all’altezza degli standard dell’industry, verificando automaticamente unicità, scalabilità, tolleranza allo sfondo, colori.
Lavorare dalla Spagna o dal Portogallo
Sei un freelance o svolgi un lavoro da remoto? Forse potrebbe piacerti farlo dall’estero, in veri paradisi naturali di Spagna e Portogallo. Su Rural Club puoi ricevere tutte le informazioni sulle location. abitazioni e spazi di co-working
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/digital-tool-1.jpg8271468Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2021-06-27 09:30:502021-06-28 12:52:51Tweetflick, Ricotta Trivia e TWM: i digital tool della settimana
Nioghalvfjerdsfjorden sembra una parola scritta a caso da un bambino sulla tastiera del computer di casa, di quelle che si escono fuori mentre si gioca a fare gli impiegati come mamma o papà.
In realtà, è una parola islandese, o meglio: è un nome proprio. Di un ghiacciaio della Groenlandia, per la precisione. Uno dei tanti posti che probabilmente non si sarebbero mai sentiti nominare se non fosse per un fatto capitato nell’autunno del 2020.
Le cause sono, manco a dirlo, da ricondurre al Global Warming. È una di quelle notizie che riempiono le code dei telegiornali, lasciano lo spazio dell’indignazione nei primi secondi pur apparendolontanissime e vengono anche dimenticate senza conseguenze apparenti. Un po’ come tutto ciò che riguarda il riscaldamento globale.
Cosa c’entra tutto questo con il Purpose, le aziende e le nuove tendenze?
La risposta sta nel definire l’origine del fenomeno: perché la necessità di identificare un Purpose è sì evidente, ma non si può comprendere fino in fondo se non si comprende il “perché” oggi sia così di stretta attualità.
E no, non può bastare dire “i consumatori ce lo chiedono”. Per capirlo fino in fondo, bisogna capire da dove nasce il bisogno di dare alle aziende uno scopo.
Rimuovere come forma di controllo
Torniamo per un attimo al cambiamento climatico. Il rumore che fa un iceberg grande quanto una capitale europea è diverso da quello di uno scarico di automobile inutilmente in movimento o una bottiglietta di plastica abbandonata in spiaggia.
Il peso specifico è lo stesso, però, se consideriamo che entrambi i fenomeni si possono ricollegare a una stessa matrice, ossia il modello di sviluppo che il mondo, o meglio, una parte del pianeta, si è dato.
Il fenomeno del riscaldamento globale infatti, pur ostracizzato da una certa corrente di pensiero definita negazionista, da più parti è indicato come un fenomeno fortemente correlato all’azione umana e anzi, causato dalla stessa. Ed è evidente che molto c’entri come e quanto produciamo e consumiamo.
Questa consapevolezza, però, non ha sembrato generare, almeno fino ad oggi, un mutamento nei comportamenti delle persone. Anzi, si potrebbe tranquillamente dire che le persone abbiano continuato a comportarsi come se il problema non ci fosse.
Certamente, alcuni potrebbero condividere l’opinione che tutto sia frutto di un normale processo trasformativo del nostro pianeta. Questa posizione però è notoriamente minoritaria e non condivisa dalla maggioranza della comunità scientifica.
Nella pubblicazione, un po’ datata ma ancora attuale, si può leggere una riflessione puntuale sulla percezione del problema “riscaldamento globale”, un fenomeno che si sta manifestando da almeno un secolo e negli ultimi trent’anni ha paurosamente accelerato.
“La lentezza del cambiamento e i messaggi tra loro dissonanti veicolati dai mass media generano una sensazione di impotenza diffusa, se non paralisi: l’utente-spettatore che ascolta gli scienziati contrapporsi sullo schermo non sa più a chi credere e su quale base agire; percepisce l’aleatorietà e discutibilità di ogni posizione scientifica e non sa reagire, né ha spesso gli strumenti e le competenze per discernere e farsi un’idea propria su temi così complessi, anche perché spesso non arricchisce il suo sapere con contributi culturali non provenienti dalla televisione.”.
Televisione, certo, ma non solo. Una decina di anni fa si era appena cominciato a parlare di filter bubble e simili. Oggi, però, non è più un concetto così vago, ed è noto che arricchire il proprio bagaglio culturale è azione che contempla inevitabilmente il coinvolgimento della sfera digitale, con il fenomeno di selezione a monte delle fonti che porta, com’è logico, la formazione di un’opinione viziata da preconcetti.
Il professor Caserini però non si limita a questo, e continua con un ulteriore elemento di riflessione, decisamente più interessante.
“Le percezioni soggettive possono solo parzialmente essere informative su un problema, quello del clima, caratterizzato da una grande inerzia temporale. La paura non sembra un fattore che porta ad un maggior coinvolgimento nelle azioni di mitigazione, e gli shock causati da eventi estremi non sembrano determinare necessariamente più consapevolezza. L’irregolarità del fenomeno e i fattori di disturbo rendono importante un’interpretazione non solo dei singoli eventi, magari basata su sensazioni individuali, temporanee, ma su una lettura globale dei processi in corso. Negli ultimi anni si è giunti a teorizzare, quale extrema ratio, una pedagogia delle catastrofi: paradossalmente, gli uomini potrebbero cambiare se e solo se colpiti direttamente da eventi altamente stressanti (ma non letali, o almeno non per tutti…), tali da costringerli a generare e ricercare nuovi apprendimenti, vere e proprie conversioni dei loro stili di vita e di pensiero sul pianeta. Una potente ristrutturazione cognitiva, insomma.“.
In altre parole, il cambiamento climatico non ci sta toccando ancora così direttamente da comprendere come ogni piccolo cambiamento nel nostro stile di vita può impattare sul risultato finale. Questo ci porta a non considerare che anche noi, nella nostra individualità, possiamo contribuire a fermare un fenomeno potenzialmente disastroso.
Possiamo impedire a mani nude e da soli che un iceberg si stacchi dal Nioghalvfjerdsfjorden? Teoricamente no. Praticamente, sì: basterebbe convincersi che è così.
Se infatti tutti capissimo che ogni nostro gesto è correlato a conseguenze più grandi, riusciremmo a orientare avvenimenti decisamente più grandi di noi.
È un problema epocale, si sa: se tutti facessero la propria parte. Il punto è che, cognitivamente, sembra che l’uomo non sia in grado di farlo.
Un po’ perché egoista, un po’ forse perché vittima di questo principio di rimozione.
Ci racconta in esclusiva Stefano Liberti, giornalista esperto di cambiamento climatico e autore di diversi libri sul tema, l’ultimo intitolato Terra Bruciata: “C’è un problema di tempo: si parla infatti del “Dobbiamo farlo per i nostri figli”, quando in realtà c’è un discorso di tempestività. Perché la raccontiamo così? Perché nel dibattito pubblico se ne parla con tempistiche più dilatate? Se si confronta ad esempio come ci siamo confrontati con la pandemia abbiamo una differenza abbastanza evidente. Ci sono due cose complementari: la percezione che siamo di fronte a qualcosa di “spazialmente” e “temporalmente” lontano, che sembra non riguardare noi ma riguardi altre latitudini, altri paesi, e che quindi non ci riguardi. Questo approccio non considera ad esempio l’interconnessione degli equilibri del pianeta. La seconda è che spesso si ha la percezione che il problema sia talmente grande che non possiamo avere soluzioni per risolverlo. Siccome è così grande lo sublimiamo, facciamo finta che non ci sia. Questo anche perché lo si racconta così, come un qualcosa di gigantesca, ed è un qualcosa che riguarda anche gli attivisti, che presentano il Global Warming come catastrofico. Immaginare che ci siano delle soluzioni per temperare e adattare il nostro mondo alla nuova situazione è vitale.“.
Fino ad oggi?
Credere nelle idee non è più così semplice
La risposta per opporsi a una trasformazione epocale, a un problema collettivo, a una sfida per il futuro sembrerebbe essere affidata a due diversi aspetti: alle istituzioni (governo, parlamento, rappresentanti del popolo) e conseguentemente alle ideologie che ne sostengono la gestione.
Se intervengono le entità chiamate a dare un indirizzo alle masse, teoricamente si dovrebbe ottenere un risultato.
Ciò non avviene se a mancare è la fiducia: e nelle istituzioni, così come nelle ideologie, si può dire che ce ne sia rimasta pochina.
Le ideologie sembrano essere morte, a fronte delle idee che invece ancora resistono, con conseguente vulnus gestionale. Scrive Daniele Fulvi su TheVision: “Ad essere scomparsa dai radar, dunque, non è l’impostazione dell’azione politica sulla base di valori etici, ma la buona politica che di tali valori si dovrebbe nutrire. Soprattutto nelle nuove generazioni, è molto forte l’urgenza di implementare una visione del mondo che si contrapponga a quella del capitalismo neoliberista, ormai in profonda crisi.“.
Una sensazione confermata anche dai dati.
Secondo un’indagine pubblicata dal PEW Research Center, negli Stati Uniti dal secondo dopoguerra in avanti si è evidenziato un trend negativo particolarmente marcato nella fiducia dei cittadini verso il governo e verso gli organi che dovrebbero far riferimento per una sana vita pubblica: i partiti.
Non va meglio in Europa: secondo un’indagine svolta dalla Comunità Europea, negli ultimi quindici anni il legame soprattutto con le istituzioni nazionali sta deteriorandosi, lasciando spazio a un generale scetticismo in particolare verso quelle più vicine all’idea di democrazia e rappresentatività, il Parlamento.
A proposito della perdita di fiducia verso le ideologie, ci racconta Giorgio Triani, sociologo e docente di Comunicazione giornalistica e pubblicitaria presso l’Università di Parma, dove è anche coordinatore del master su Web communication e social media: “Il fenomeno orami della caduta verticale delle ideologie non comincia oggi. La fine delle Grandi Narrazioni era già stata annunciata da Francois Lyotard nel famoso saggio La condizione post moderna e da un decennio e più le consideriamo defunte. Morte. Dire però che le ideologie sono morte è una grossa inesattezza, per quanto efficace come immagine. Perché le ideologie non muoiono mai: si trasformano, cambiano. ma sono sempre pronte a riprendersi il loro posto, nella politica soprattutto. Ne di sinistra ne di destra come amano oggi dire in molti. Secondo il noto libro di Barthes, Miti d’Oggi è la più netta, ancorché nascosta e furba, forma di ideologia. D’altra parte le ideologie sono sistemi di valori, di credenze, attese, emozioni, paure e quant’altro. Diciamo che le ideologie, quelle che abbiamo ereditato dal secolo scorso sono in pausa, pronte però a riaccendersi. Credo si possa pronosticare che presto con la crisi epocale in corso ritorneranno prepotentemente in sella.”
E quindi, che si fa?
I CEO (e le aziende) come guida
In questo spazio vuoto comincia a intravedersi la ragione per cui, oggi, parliamo di Purpose.
Chi prende il posto delle istituzioni nel cuore delle persone? Chi sono gli organi preposti a lavorare per risolvere i grandi problemi del pianeta?
L’indagine ci mostra dei dati molto interessanti, e un assunto che potrebbe diventare un mantra che riassume perfettamente il nostro tempo: le persone si aspettano che il business vada oltre il business.
Il 65% degli italiani afferma che le figure che dovrebbero assolvere il ruolo di problem solver quando il governo non riesce più ad agire per risolvere i problemi sociali sono i CEO.
Il 57% li indica come guida ideale per il cambiamento, a discapito dell’attesa del governo.
Infine, e questa è la notizia più interessante, il 55% crede che i CEO dovrebbero essere responsabili non solo nei confronti di consigli di amministrazione e degli stakeholder, ma anche nei confronti dell’opinione pubblica.
Perché questa fiducia?
La tesi più attendibile sembra quella che indica la maggior attenzione spesa dalle aziende verso temi quali la sostenibilità, la collettività e l’etica: in altri termini, CEO e brand sono vittime della trasformazione (in positivo) che la consapevolezza di dover agire nel rispetto del contesto sociale, economico e ambientale ha comportato.
Pur limitandosi allo scenario italiano, c’è da scommetterci che queste statistiche siano coerenti con quelli europei e mondiali.
Un battito d’ali per cambiare il mondo: il Purpose è un incipit
Con Effetto Farfalla, secondo la Treccani, si indica “l’estrema sensibilità alle condizioni iniziali esibita dai sistemi dinamici non lineari. In altri termini, infinitesime variazioni nelle condizioni iniziali producono variazioni grandi e crescenti nel comportamento successivo dei suddetti sistemi“.
In una situazione di caos, ogni minima variazione può condurre a una trasformazione epocale.
Torniamo allora al tema con cui abbiamo cominciato il nostro articolo: evitare di lasciare una bottiglietta di plastica sulla spiaggia, o di prendere l’auto per percorrere 600 metri, può contribuire a non accrescere l’inquinamento degli oceani o allo scioglimento dei ghiacci del Nioghalvfjerdsfjorden in Groenlandia?
Se rimangono gesti isolati, no.
Ma le se le bottiglie che si evita di lasciare sulla spiaggia diventano cinque milioni, o si evita di prendere trecentomila auto per percorrere 600 metri, si può auspicare che sì, qualcosa possa cambiare.
Per le persone, che assolvono il ruolo di consumatori, diventa più semplice immaginare di smettere di comprare merce in plastica o prendere l’auto per tratti brevi se a consigliarlo è una marca che offre un’alternativa altrettanto soddisfacente, se sapranno che le proprie marche preferite scelgono a monte di cambiare per raggiungere quegli scopi.
Ad esempio, producendo packaging a basso impatto ambientale o proponendo vetture ibride io non faccio solo una scelta di mercato, ma anche etica.
Sempre rimanendo sul mercato italiano: il 30% dei consumatori evita i prodotti con imballaggi in plastica, il 36% non acquista più prodotti che impattano negativamente sull’ambiente, il 62% preferisce i brand che sono concretamente attenti all’ambiente.
Un piccolo gesto come l’acquisto di un prodotto invece di un altro diventa la testimonianza concreta che ognuno di noi sta facendo la propria parte: la cosa più importante, è che tutto questo può avvenire senza cambiare le nostre abitudini.
Ancora Giorgio Triani: “Sì, attualmente pare che il consumo e le marche abbiano preso il posto della politica e delle ideologie. Però è un a funzione vicaria, surrogata. Si sono infilate nel vuoto e lo hanno colmato. Personalmente credo che aziende e brand possano assolvere una funzione importante nell’orientare le persone. Ma lo possono e debbono fare nello specifico proprio. Ovvero sui temi (ideali) che ispirano le rispettive missioni aziendali, ma non pensando di diventare loro delle Chiese, dei Partiti. Per fare esempi Barilla può e deve proporre una cultura corretta del cibo, ma non pensare di potersi esprimere su tutto ( sul cambiamento climatico e sulle smart city) …il mondo che vorrei deve fermarsi alle Nastrine o agli spaghetti…… Per tutti vale la raccomandazione di attenersi al proprio stretto ambito, nel momento in cui si assumono posizioni non meramente merceologico“.
Evitando l’effetto “religione” che può portare l’individuo a deturpare l’effetto benefico di questa tendenza al consumo consapevole e “migliorativo”, possiamo pensare che l’Effetto Farfalla di cui parliamo possa generare in maniera totalmente automatica e sinergica un cambiamento che diventa evidente e si muova come una valanga, come scatenato da un’unica matrice di senso e frutto dell’unione di un’intelligenza collettiva, la community attorno alla marca, che si fa un tutt’uno con l’azienda che ispira il cambiamento.
Cosa che poteva succedere attorno a un movimento politico e di opinione, e che oggi si sviluppa quando andiamo al supermercato o finiamo nello shop online del nostro marchio preferito.
La campagna Adidas in partnership con Parley “Run for the Ocean” per la protezione degli oceani: la plastica raccolta torna in circolo sotto forma di scarpe. Un brand che “cambia la vita” e dà un senso alle persone.
A confermare ciò, Stefano Liberti: “Le grandi aziende si stanno schierando, penso a Patagonia che fa operazioni che sono contrarie al proprio modello di business. Al di là del fatto che siano un B-Corp, loro sembrano genuinamente interessati ad affrontare i problemi che affliggono il clima, sembra anche più dei soggetti pubblici che devono mediare con i grandi centri di potere, le corporazioni, e diventa tutto un compromesso. Questa crisi però non è risolvibile con i compromessi, e bisogna schierarsi: anche perché alcuni interessi saranno sopraffatti, sia per mitigare le cause che per adattarsi agli effetti. Spesso si dice che il cambiamento passa dai comportamenti dei singoli e dei gruppi, che devono diventare sostenibili: il rischio che diventi un alibi per le decisioni che vanno prese, che vanno fatte le macropotenze come USA, Europa, Cina. Gli obiettivi sono difficili da raggiungere, per questo ci va un intervento possente. Lo stesso vale per i territori, la cui azione di adattamento richiede l’intervento dello Stato. Certo, i comportamenti che nascono dal consumo consapevole possono spingere la politica a essere più incisiva: il comportamento del singolo però sposta poco. Se però le aziende diventano driver di cambiamento qualcosa si può smuovere: è più facile comprare qualcosa in cui la soluzione è già integrata, che non cambiare le mie abitudini. Se c’è un’azienda che mi vende una bevanda in plastica riciclata e l’altra no, nn dovrò cambiare abitudini e certamente ci sarà un impatto.“”
Il Purpose è solo una logica conseguenza, una risposta al vuoto lasciato nelle persone per rispondere al loro bisogno di dare un senso alle cose.
Nel “Il Secolo Breve” tutto questo veniva assolto dalla forza delle ideologie, oggi dall’individualistico bisogno di soddisfare le proprie necessità che, finalmente, sembra non più essere fine a se stesso.
Chiaro che centrando il Purpose, un’azienda offre anche un senso alle cose che compie. Diventa più credibile. Attiva trasformazioni più credibili.
In termini narrativi: scrive l’incipit di una storia che diventerà a tutti gli effetti parte di tanti, e a cui tanti prenderanno parte.
Non sappiamo se sia positivo osservare come tutto questo venga generato dall’atavica incapacità dell’uomo di rinunciare a qualcosa (perché, comunque, rimane sempre il consumo il centro di tutto): sicuro non sia del tutto premiante per chi crede che l’umanità possa migliorarsi.
Certamente, se una marca può aiutare a combattere la xenofobia o la diffusione delle microplastiche, allora è comunque un qualcosa di positivo che può contribuire alla crescita collettiva.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/PRO-purpose.jpg8201465Francesco Gavatortahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFrancesco Gavatorta2021-06-25 16:30:462021-09-22 17:17:51Come la tua azienda può cambiare il mondo partendo dal Purpose
Decimo appuntamentocon i Webinar PRO targati Ninja: tutti gli insight, trucchi, trend, dietro le quinte sui temi caldi del momento, condivisi con voi.
L’argomento di questa puntata è la CSR, Corporate Social Responsibility: ne abbiamo parlato con Marco Marchetti, Head of Digital Marketing di Despar. Grande appassionato di marketing e comunicazione, è coinvolto in prima linea anche in tutte le attività aziendali che hanno a che fare con l’impegno sociale.
Non perderti i punti salienti dell’intervista:
Cos’è la CSR, Corporate Social Responsibility: min 03,20
I 4 pilastri fondamentali della CSR: min 07,25
Come avviare un contesto aziendale: min 09,00
I progetti a lungo periodo: min 13,00
I benefici della CSR per le imprese e le persone: min 16,55
La situazione in Italia: min 18,00
I case study: min 22,40
Cosa aspettarci per il futuro: min 32,45
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/06/ANTEPRIME-PROSANDRO.jpg10801920Rossella Pisaturohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRossella Pisaturo2021-06-25 13:44:422021-07-26 11:12:52Perché ogni azienda ha una responsabilità sociale e come scoprire la tua
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