Update 27 settembre 2018
Dopo diverse smentite, è arrivata la prima conferma da un alto funzionario del gigante informatico. Come riportato da AsiaNews, è stato Keith Enright, capo del settore privacy di Google, ad aver ammesso l’esistenza del progetto Dragonfly durante un’audizione al Senato americano. “Esiste il progetto. Ma i contorni, i dettagli dell’operazione non sono ancora chiari – ha detto il capo del settore privacy – Da quel che so io non siamo vicini a lanciare un prodotto dedicato alla ricerca in Cina. E non saprei dire se possiamo o vogliamo farlo”.
17 settembre 2018
Un motore di ricerca pensato da
Google per la Cina, progettato per dispositivi
Android, in grado di rimuovere i contenuti ritenuti sensibili dal regime del Partito comunista cinese (come le informazioni su dissidenti politici, la libertà di parola, la democrazia, i diritti umani e la protesta). Un sistema capace di collegare le ricerche online al numero di telefono di chi le effettua e che consente al governo cinese di monitorare le ricerche online dei suoi cittadini. Il progetto di si chiama
Dragonfly (secondo fonti vicine al progetto, sarebbe gestito da Google in partnership con una società con sede nella Cina continentale) e come scrive
The Intercept è al centro di una trattativa tra
Mountain View e i
l governo di Pechino per riportare il suo motore di ricerca all’interno dei confini del Paese (800 milioni di utenti potenziali). Inoltre l’archiviazione dei dati di
Dragonfly avverrebbe su server Google in Cina, quindi potenzialmente accessibili alle autorità cinesi.
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Le prime indiscrezioni
Del progetto
Dragonfly avevamo dato notizia ad agosto
QUI: in quell’occasione il CEO di Google Sundar Pichai (nella foto), messo sotto pressione da oltre un migliaio di dipendenti, preoccupati dal potenziale lancio di un motore di ricerca in Cina sottoposto a censura, aveva tentato di tranquillizzare tutti. Ma di fatto è il primo top manager di Google a confermare pubblicamente l’esistenza di una sorta di piano per la nazione asiatica dove l’azienda nel 2010 mise fine alle sue attività di ricerca online per via di leggi locali sulla censura. Sundar Pichai aveva detto al suo staff che la controllata di Alphabet “non è vicina” al lancio del prodotto controverso. Per poi aggiungere: “Non è affatto chiaro se lo faremo o se potremmo farlo ma il team è da un po’ che sta esplorando il da farsi. Credo stia esplorando varie opzioni”. Le polemiche erano montate dopo le indiscrezioni, pubblicate sempre da The Intercept.
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Preoccupazioni
Le notizie sul motore di ricerca creato su misura del governo cinese non sono piaciute neanche negli States, dove 16 legislatori hanno scritto a
Sundar Pichai, esprimendo gravi preoccupazioni. Una decina di ingegneri di Google, inoltre, hanno rimesso il loro incarico sollevando questioni etiche. Critiche sono arrivate anche da Amnesty International, Human Rights Watch e da Electronic Frontier Foundation.