Inutile negarlo: con l'aggiunta anche su Facebook e WhatsApp delle Stories, la nuova tendenza della comunicazione live è stata ufficialmente consacrata come il nuovo trend del momento. In fondo, quando Mark Zuckerberg in persona inserisce una nuova feature in ben tre su tre delle sue creature social, è chiaro che qualcosa di grosso si sta muovendo.
Ma da dove sono arrivate tutte queste stories, da dove è saltata fuori questa mania della comunicazione live che sta contagiando, volenti o nolenti, tutte le nostre abitudini sui social media? E soprattutto, cosa significa per le aziende che vogliono restare al passo con i tempi nelle strategie di mobile marketing?
Dal News Feed alle Stories
Da dove sia arrivata è presto detto, in realtà, e pochi probabilmente non ne sono a conoscenza: il trend è stato lanciato da Snapchat, che ha fatto della condivisione in diretta, dell'assenza di filtri e abbellimenti (o meglio, del loro totale stravolgimento) e del concetto di "storie" invece di quello di "news feed" i propri punti di forza, conquistando la fetta di pubblico dei giovanissimi (ma non solo) che agognava un proprio linguaggio sui social media.
Una fetta che è cresciuta a dismisura, allargandosi a macchia d'olio ad altri Paesi e ad altre fasce d'età, mettendo sull'allerta il caro Mark che ha pensato bene di correre ai ripari per tempo: in maniera anche un po' eccessiva, ci viene da dire, visto che inserendo le Stories anche su WhatsApp sembra proprio si sia fatto prendere un po' la mano!
Gli utenti con meno di 24 anni che si dilettano con le Stories (originali) su Snapchat, secondo i dati disponibili, sono circa il 60%, ma sono strettamente tallonati dalla fascia 25-34 anni, che pesa per ben il 26% degli utenti.
Alla ricerca di una comunicazione più vera
Ma la ragione e l'origine più profonda di questa esplosione di comunicazione live, un po' il "dark side" dei social media, forse va ricercata proprio nella rivolta contro quella modalità di utilizzo che lo stesso Zuckerberg ha contribuito ad impostare: una comunicazione basata sulla ricerca continua del bello, sull'alterazione della realtà costante, sulla presentazione di vite dalla perfezione irreale ed irraggiungibile.
Chi di noi non si è mai chiesto la veridicità di quell'hashtag #nofilter sotto una foto un po' troppo perfetta su Instagram?Una comunicazione, in fondo, finta quanto lo era quella della pubblicità in televisione, non più proposta dai brand ma da noi stessi.
In un mondo in cui la depressione giovanile è in costante aumento, ed in cui questo fenomeno è stato anche legato all'utilizzo dei social media e agli standard di vita fasulli che sembrano promuovere, è normale che proprio quei giovani abbiano trovato in un canale che si basa sulla comunicazione live e quindi sulla presentazione della vita così com'è, senza filtri (se non quelli esilaranti tipici di Snapchat), il modo perfetto per esprimersi ed incontrarsi online.
Ma cosa possono imparare i brand da questo nuovo trend della comunicazione live, e soprattutto dall'"analisi sociologica" delle sue motivazioni? Forse, se c'è una lezione da cogliere, è che i consumatori (e non solo i giovanissimi) sono stufi. Sono stufi di una comunicazione "patinata", in cui i prodotti e i servizi vengono sempre presentati in modo perfetto, smagliante, abbagliante. Sono stufi di ritrovare online le stesse dinamiche di marketing che hanno visto offline per decenni.
Responsabilità sociale e brand identity
Cosa succede dietro quel marchio che si professa green ed eco-friendly, riempiendo i social di immagini e video "costruiti" per dimostrarlo? La startup che si professa luogo di smartworking e di approccio al lavoro innovativo, come tratta davvero i suoi dipendenti? Come sono fatte le ricette di quell'azienda il cui claim è "come lo faresti tu"?
Ecco, la comunicazione live forse è qui per questo, e questo sarebbe uno degli approcci davvero innovativi che le aziende potrebbero cogliere. Per dimostrare che non c'è niente da nascondere, che parole come Corporate Social Responsibility non sono solo slogan, o banalmente solo per far vedere in tempo reale le "stories" che tutti i giorni ci sarebbero da raccontare. Per arrivare allo step successivo della comunicazione sui social, quella senza filtri.
Uno scenario che potrebbe spaventare molte aziende, con rammarico lo riconosciamo. Ma che potrebbe anche essere il punto di forza di molte altre, il vero tratto distintivo rispetto ai competitor, o il modo per creare quella loyalty di cui ognuno parla e a cui tutti i brand ambiscono.
In fondo la comunicazione live sembra essere qui per restare e, come è stato per tutto il resto, anche i brand dovranno adeguarsi.