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Partnership tra Pinterest e Shopify: le opportunità per le PMI d’Italia

Pinterest e Shopify annunciamo l’espansione globale della loro partnership, attiva da oggi in 27 nuovi Paesi, tra cui l’Italia.

Il social commerce, nuova frontiera dell’eCommerce, diventa un’opportunità concreta per realizzare maggiore interattività con il cliente, anche sotto la spinta del lockdown, che ha rivoluzionato e ribaltato i modelli di business.

“Un’integrazione strategica tra le due corporate”,

dichiarano Adrien Boyer, Country Manager for Southern Europe di Pinterest e Paolo Picazio, Head of Market Development di Shopify, nell’intervista rilasciata in anteprima a Ninja Marketing.

La nuova partnership offrirà a 1,7 milioni di merchants Shopify in tutto il mondo un modo semplice per portare i propri prodotti su Pinterest e trasformarli in Pin di prodotto acquistabili sulla piattaforma.

Pinterest App iPhone

Il retargeting e il supporto multi-feed: le due novità della partnership

Due le nuove funzionalità annunciate: il retargeting dinamico, tramite l’interfaccia utente di Shopify, ovvero un targeting ad alto intento, che consentirà agli inserzionisti di interagire nuovamente con i Pinner che hanno già espresso interesse per i loro prodotti. Altra funzione sarà il supporto multi-feed per i cataloghi: gli utenti Shopify e qualsiasi rivenditore con un account aziendale Pinterest potranno aggiungere fino a 20 feed di prodotto al proprio account per raggiungere diversi mercati, ciascuno indicante dati locali specifici come valuta, lingua o disponibilità del prodotto.

Un’opportunità straordinaria per le piccole imprese italiane PMI, non solo per la spinta verso la digitalizzazione, ma anche per poter usufruire di un mercato in crescita, come quello dell’eCommerce: dai dati statici del report di Casaleggio Associati del 2020, emerge un aumento di utenti che ha raggiunto i 2,6milioni in Italia.

Lo switch culturale: i dati dell’eCommerce e la digitalizzazione delle PMI italiane

Un vero  e proprio switch culturale, non solo nelle abitudini di acquisto dei consumatori, prima fortemente legati al negozio fisico, ma anche in prospettiva corporate, con molte aziende, inizialmente reticenti ed oggi invece disposte ad aprire uno store online. Il lockdown, infatti, ha provocato aumento del traffico Internet del 60%: in Italia il 72% delle persone ha trascorso più tempo sul proprio smartphone.

Pinterest si propone, così, di contribuire alla digitalizzazione delle PMI costruendo una destinazione per lo shopping con pari opportunità di crescita per tutte le aziende, a prescindere dalle dimensioni.

Il 97% delle ricerche su Pinterest, infatti, non mostra brand, ma consiste in 2-3 query di parole: gli oltre 450milioni di utenti mensili sono quindi alla ricerca di ispirazioni, di idee generali e non di marchi specifici. Un vantaggio per le piccole e medie imprese di poter ottenere maggiore visibilità, per farsi scoprire in uno scenario globale e interagire con nuovi clienti che pianificano le loro future decisioni di acquisti: l’83% dei Pinner settimanali ha effettuato un acquisto in base ai contenuti visti in piattaforma.

Pinterest Product Pins Italy

La crescita globale dell’imprenditorialità post lockdown

Gli insight interni di Shopify evidenziano che il numero totale di nuove creazioni di negozi in Italia online è cresciuto del 247% nel 2020 rispetto all’anno precedente, mentre  il GMV (il volume di vendita) è aumentato del 174%, con nuove società attive completamente in remoto.

In ambito mondiale, solo negli Stati Uniti, tra giugno e settembre sono state fondate quasi 1,4 milioni di startup, con un aumento del 49% rispetto al secondo trimestre.

In base alle proiezioni, per più di 2 italiani su 3 (68%), superata l’emergenza, l’ammontare degli acquisti in beni di consumo rimarrà invariato rispetto ad oggi. Solo per il 21% subirà una flessione, mentre per una piccola minoranza (11%) aumenterà.

Obiettivo di Pinterest è essere un luogo di ispirazione e fornire un’esperienza di acquisto online simile a quella in negozio, in termini di navigazione nei corridoi, visualizzazione delle collezioni curate dai rivenditori e confronto dei prezzi. Una sorta di vetrina virtuale per gli inserzionisti sempre aperta.

Adrien Boyer Pinterest Headshot

Adrien, come nasce l’idea della sinergia tra le due corporate e come si svilupperà concretamente (in modalità operativa), la partnership tra Pinterest e Shopify. Come saranno collegate le due piattaforme?

“Pinterest e Shopify si impegnano molto nel supportare i commercianti di tutte le dimensioni a trovare successo nell’ecommerce. Fornendo loro un accesso rapido e facile alle funzionalità di acquisto di Pinterest, gli inserzionisti potranno connettersi con oltre 450 milioni di persone che si rivolgono a Pinterest in tutto il mondo ogni mese per essere ispirati in un ambiente positivo, nella fase iniziale del processo di acquisto, intenzionati a portarlo a termine – esordisce Adrien Boyer, Country Manager for Southern Europe di Pinterest – Attraverso le nostre API (application programming interface), l’integrazione tra Pinterest e Shopify è stata ideata per aiutare i marketer ad impostare la propria presenza e le attività di marketing su Pinterest in pochi semplici passaggi. Scaricando l’integrazione, si può impostare il tag di conversione, caricare il proprio catalogo prodotti e iniziare a fare pubblicità su Pinterest in pochi minuti, guidando la reperibilità e catalizzando gli sforzi di marketing”.

Pinterest si propone come una vetrina sempre aperta. Il negozio online sostituirà lo store fisico, o saranno sinergici tra loro nella dimensione reale e virtuale? Che spazio di visibilità avranno le piccole e medie imprese italiane e come saranno supportate?

“Pinterest e Shopify stanno promuovendo il social commerce.  Stanno abbinando la mentalità unica del pubblico di Pinterest – che sulla piattaforma cerca il prossimo prodotto o servizio da provare – con gli oltre 1,7 milioni di inserzionisti Shopify in tutto il mondo che ora possono facilmente portare i propri prodotti su Pinterest per aumentare le vendite. Questa è una partnership strategica che avvantaggia sia gli acquirenti che le aziende, in particolare le PMI.

Pinterest si trova in una posizione unica perché non è un social media: è una piattaforma di scoperta visiva che le persone utilizzano per la propria pianificazione e ispirazione e non per connettersi con gli amici. Soprattutto più recentemente, si è contraddistinto come luogo in cui le persone hanno potuto sfuggire alle notizie, alla politica e alla negatività online. È un angolo positivo di Internet, dove le persone trovano l’ispirazione per creare la vita che desiderano. Con questa motivazione arriva l’intento commerciale e la percezione degli annunci come additivi, per aiutare nella pianificazione di una nuova casa, vestito o progetto”.

Paolo Picazio, Head of Market Development Shopify

“Essere fonte di ispirazione” e condividere idee creative. Come si può ispirare un consumatore online nel processo di acquisto?

“In questo momento storico in cui lo shopping nelle corsie di un negozio è cambiato radicalmente, vogliamo riportare quella stessa esperienza ai consumatori. Il nostro obiettivo è rendere lo shopping il più stimolante possibile, proprio come sfogliare le pagine di un catalogo o camminare in uno store fisico. Un’esperienza di acquisto online che rispecchi la vita reale. Pinterest può replicare proprio quest’esperienza per consumatori e rivenditori attraverso le collezioni curate e la scoperta visiva”.

La pandemia ha ribaltato lo scenario dei consumi. Quali sono le proiezioni (anche in termini economici) e le prospettive della nuova partnership?

“Il prezioso vantaggio per le piccole e medie imprese è che possono essere scoperte grazie alla pertinenza dei propri contenuti e alla qualità dei propri prodotti. Ad esempio, se un utente sta cercando idee per l’arredamento della casa, molto probabilmente non includerà il nome di un brand nel termine di ricerca – continua Adrien Boyer –  Le PMI posso ottenere maggiore visibilità e attirare nuovo pubblico. Stessa possibilità per aziende di qualsiasi dimensione di essere scoperte e di interagire con nuovi clienti motivati, aperti a nuovi stimoli e che pianificano le proprie future decisioni di acquisto. Creare, quindi, credibilità per il proprio brand e i propri prodotti con strategie organiche e a pagamento. Poiché l’e-commerce sta diventando più sempre più importante e i consumatori spostano la propria spesa sull’online, i rivenditori dovrebbero ispirare i Pinner e creare un’esperienza di shopping che assomigli alla vita reale, trasmettendo normalità e gioia. I brand stanno esplorando come ispirare creando esperienze di acquisto digitali altamente visive”.

L’obiettivo di Shopify è rendere il commercio accessibile a tutti riducendo le barriere all’imprenditorialità – aggiunge anche Paolo Picazio, Responsabile per lo sviluppo del mercato italiano di Shopify – Grazie a questa partnership, infatti, tutti i merchant italiani potranno beneficiare delle opportunità che derivano dalla presenza su una vetrina importante come Pinterest, con milioni di utenti che usano l’App per fare acquisti. Si tratta quindi di un vantaggio competitivo importante, per questo ci aspettiamo che gli imprenditori abbraccino con favore questa novità in Italia e adeguino le proprie strategie di vendita a quelli che sono i maxi trend che stanno plasmando il commercio a livello globale, tra cui il social commerce appunto”.

Paolo l’Italia è tra i Paesi obiettivo. Quante sono le PMI presenti su Shopify? Come si evolve lo scenario di acquisto online?

“Ad oggi, sono oltre 1 milione e 700 mila le realtà imprenditoriali – dalle PMI alle grandi aziende – che nel mondo hanno scelto Shopify per gestire il proprio eCommerce. Un numero quasi raddoppiato nel 2020 (erano oltre 1 milione nel 2019). In questo contesto, l’Italia è uno dei Paesi nei quali il commercio digitale è cresciuto di più. E lo dimostrano i dati: nel nostro Paese, i nuovi store aperti su piattaforma Shopify sono aumentato del 247% rispetto al 2019 (ed era +400% soltanto nella prima metà dell’anno).  Comprare online è ormai un’abitudine, ma le aspettative sull’esperienza di acquisto stanno cambiando e dunque i brand, piccoli o grandi che siano, devono adattare le proprie strategie alle nuove esigenze del proprio target. Come rivela il nostro report Future of Commerce 2021, i giovani – che sono oggi la vera forza trainante dell’e-commerce – sono sempre più propensi a scoprire e acquistare nuovi prodotti sui social media. E dunque è proprio su tali piattaforme che i brand dovranno farsi trovare se vorranno restare competitivi anche in futuro. Grazie a questa partnership, ci impegniamo ancora una volta ad aiutare i nostri merchant a cogliere le enormi opportunità che derivano dal social commerce e in questo caso da Pinterest nello specifico”.

Come è possibile sostenere l’utente nella fase di decisione rispetto ad un mercato online sempre più vasto e complesso. Abbiamo dati numerici in proposito?

“È importante che i brand guardino il mondo con gli occhi dei propri clienti, analizzando e valutando tutte le fasi del processo di acquisto. Per questo, Shopify sta lavorando per mettere a disposizione dei propri merchant tutti gli strumenti che consentano loro di sviluppare strategie basate sull’omnicanalità e dunque in grado di intercettare la domanda, raggiungere il proprio target su più canali e piattaforme, soddisfando le loro esigenze. Come negli anni abbiamo integrato la piattaforma Shopify con i più noti marketplace, stiamo stringendo ora partnership con i principali player del settore di cui – soltanto per citare i più recenti – ricordo TikTok e Pinterest da oggi. Nel 2020 le installazioni di app che permettono di vendere sui social da parte dei merchant Shopify sono cresciute del 76% a livello globale”.

Come funzionerà in sintesi l’App Pinterest per Shopify?

Fornirà un accesso agevole alle funzionalità di acquisto di Pinterest, tra cui la distribuzione di tag, l’acquisizione di cataloghi e l’interfaccia di acquisto di pubblicità, senza la necessità di modificare il codice o distribuire risorse sul proprio sito.

Gli inserzionisti potranno caricare un feed diverso per ogni mercato in cui vendono il prodotto, per ogni lingua all’interno di un singolo paese, ma anche per servire diverse strategie pubblicitarie come il retargeting. Mentre il supporto multi-feed per i cataloghi consentirà alle aziende di gestire e ridimensionare meglio i propri prodotti su Pinterest.

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Salesforce si riorganizza per sostenere al meglio la crescita dell’ecosistema italiano

Salesforce, azienda leader globale nel CRM, continua a crescere e l’Italia rimane uno dei paesi che fa segnare dei numeri significativi in tutti gli ambiti. Per questo, per meglio servire e consigliare i propri clienti impegnati in un forte processo di trasformazione e accelerazione digitale, ha deciso di darsi una nuova organizzazione.

Nuova organizzazione

La prima linea è caratterizzata da una Leadership al femminile con Vanessa Fortarezza che in qualità di Area VP Enterprise Business Unit segue tutti i clienti dei settori Financial Services, Telco, Energy e Utilities, Automotive, Manufacturing e Travel&Transportation, mentre Eva Maria Mengoli in quanto Area VP Commercial Business Unit segue le aziende di medie dimensioni fiore all’occhiello del tessuto imprenditoriale italiano in molti settori industriali. Alessandro Paglioli è il Senior Regional VP Retail, Pharma, Media e CPG. I tre manager riportano direttamente al nuovo Country Leader Mauro Solimene.

success: team

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L’altra importante novità riguarda le vendite specializzate. Qui, Maurizio Capobianco in qualità di Area VP Cloud Sales coordina i team di Marketing Cloud guidato da Andrea Buffoni, Commerce Cloud da Gianluca De Cristofaro e Platform e Service Cloud sotto la direzione di Alberto Azerrad.

Nicola Lalla, VP Solution Engineering, estende la sua responsabilità all’area Mediterranean, Middle East & Africa, guidando tutto il team di Solution Engineers a supporto delle vendite.

Salesforce da quest’anno pone inoltre un’attenzione particolare alla Pubblica Amministrazione come segnale dell’urgente necessità di digitalizzare i processi per servire al meglio i cittadini. A riprova di questo impegno è stata affidata a Federico Della Casa la responsabilità di Senior Vice President Sud Europa, Settore Pubblico. In Italia il mercato è invece seguito da Augusto Davico quale Senior Regional VP.

A completare la struttura anche la divisione SMB per i servizi alle piccole e medie imprese con Giovanni Crispino che in quanto Senior Area VP segue Sud Europa, Medio Oriente, Israele e Africa. Marco Marcone Regional VP Alliances & Channel continua a guidare la gestione delle partnership e dei programmi che impattano la Salesforce Economy mentre Silvia Kyselova’, Direttore Marketing coordina le campagne di Awareness e lead generation in modalità integrata.

Mauro D’Addazio, Senior Regional VP ha la responsabilità di guidare i team di progetto del Customer Success Group area critica per il successo dei clienti e per i rinnovi contrattuali.

Resta centrale il ruolo di Paolo Bergamo, Senior Vice President Product Management che in quanto Executive Sponsor dalla California continua a essere un punto di riferimento per i clienti italiani e rappresenta il contatto con l’Headquarter di San Francisco.

La nuova campagna di Heineken celebra la nostra creatività durante le chiusure

Oggi, Heineken lancia una nuova campagna globale, “We’ll Meet Again”, che celebra la resilienza e la creatività delle persone nell’ultimo anno e il modo in cui hanno trovato modi creativi per reinventarsi e mantenere vivo lo spirito.

We’ll Meet Again

Disponibile su Youtube, We’ll Meet Again viene lanciata esattamente un anno dopo l’uscita della prima campagna #SocialiseResponsibly di Heineken, “Ode To Close”, la prima di una serie di creatività che hanno mostrato sostegno agli utenti durante la pandemia globale.

La creatività mostra il modo in cui le persone si sono reinventate nel quotidiano durante la chiusura, in qualcosa di inaspettato e divertente: dal vestirsi per fare colpo quando si porta fuori la spazzatura, fino a trasformare una passeggiata con il cane in una festa da ballo. We’ll Meet Again riconosce la forza dei consumatori, che hanno usato la loro creatività per mantenere alto l’umore dopo più di un anno di pandemia e limitazioni associate.

Il film è stato diretto dal pluripremiato regista François Rousselet e girato a Barcellona, in Spagna, secondo i rigidi protocolli COVID-19, rafforzando il bisogno di intraprendenza e ingegnosità che è al centro della campagna.

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Bram Westenbrink, Heineken Global Senior Director ha dichiarato:

In Heineken il nostro obiettivo è raccontare storie che siano in sintonia con le persone di tutto il mondo. Quando abbiamo lanciato Ode To Close più di un anno fa, il mondo era bloccato e il nostro messaggio era incentrato sulla sicurezza dei nostri clienti: socializzare responsabilmente. Con We’ll Meet Again, la campagna attinge al sentimento collettivo del momento, mostrando esperienze di vita reale a cui quasi tutti possono relazionarsi, celebrando la resilienza e l’immaginazione con un chiaro messaggio di speranza per il futuro.

Bruno Bertelli, Global CCO, CEO di Publicis Italia, ha dichiarato:

Sebbene il blocco e la riapertura delle città siano stati diversi in ogni paese, ciò che ci ha uniti è il nostro desiderio comune di riconnetterci con le persone attraverso momenti sociali. Con We’ll Meet Again di Heineken, abbiamo realizzato una campagna che celebra l’umanità, sottolineando anche la resilienza, lo spirito positivo e mai arrendevole delle persone in tutto il mondo.

lavoro liquido

Largo al lavoro liquido: è finita l’era dei percorsi lavorativi lineari

  • Siamo tutti “slasheur”: cambiano i paradigmi delle professioni tra freelance e lavoro dipendente.
  • Le piccole grandi rivoluzioni sostenibili che le aziende possono innescare nel mercato del lavoro con il recruiting responsabile.
  • “Assumere fiducia” è il concetto chiave per motivare alla ricerca di lavoro e portare in azienda i valori e le attitudini necessarie per l’organizzazione.

La sovrapposizione ormai problematica tra vita professionale e vita personale, il nomadismo digitale e il lavoro agile, l’obsolescenza delle competenze per via della trasformazione digitale, rappresentano i cardini di una trasformazione critica del lavoro che va di pari passo con i cambiamenti profondi innescati negli anni della pandemia.

In questo scenario, si modifica vistosamente anche il concetto di occupabilità, da considerare come la capacità delle persone di trovare un lavoro, di mantenerlo o di saperlo comunque cercare in maniera attiva. Un processo che era già in atto negli ultimi anni (vd. Il Report  2018 del progetto EU “Independent Workers and Industrial Relations in Europe”) e che ha inevitabilmente accelerato la sua evoluzione, mese dopo mese, e continuerà a farlo.

lavoro agile

Il mito del posto fisso, già incrinato da tempo, ha generato uno sgretolamento definitivo anche dei percorsi lavorativi “lineari”. E in un mondo dove “non sappiamo ciò che non sappiamo” (come rappresenta il framework del Cynefin – kəˈnɛvɪn), se il mercato del lavoro è sempre più incerto, per il job seeker perseguire la ricerca di più posti di lavoro anche inconciliabili tra loro diventa una tattica.

Sia che il fenomeno sia di tipo congiunturale oppure una scelta consapevole, non può essere sottovalutato anche dall’universo delle grandi aziende, soprattutto se sono alla ricerca di “talenti”.

“Job Surfers”, “Lance Libere” e “Professioni barrate”

Quanto mai centrate suonano le parole che sir Walter Scott faceva dire al Capitano dei Free Companions nell’Ivanhoe: “Grazie a questi tempi inquieti, un uomo d’azione trova sempre un impiego”. In quel romanzo, che ha fatto la storia della letteratura, veniva coniato per la prima volta il termine “free-lance” per descrivere un soldato mercenario medievale; oggi sta a significare un libero professionista che presta il proprio operato per diverse organizzazioni dove nello specifico il soggetto non ha clienti diretti ma soprattutto indiretti, perché sono resi disponibili dai committenti.

Una sorta di “subappalto” di opportunità dove però si gioca un ruolo fondamentale se si è esperti nella risoluzione di problemi specifici attraverso il mettere a disposizione le proprie competenze.

Ancora di più questo concetto è radicalizzato dalla presenza sempre più crescente di “slashworkers” che, come spiega Matteo Sola, sono in molti casi persone di talento, dotate di competenze che risultano essere scarse sul mercato (come nel caso delle competenze digitali) che, non avendo il mito del posto fisso e delle sue garanzie, infatti, non hanno nessun interesse a diventare collaboratori fissi di un’azienda.

Certamente, molti di questi profili sono spinti dalla necessità, per dirla all’inglese, del ““keep body and soul together” (sbarcare il lunario), che trovano espressione in molte professionalità della gig economy, ma ancora più spesso si tratta di ibridazioni consapevoli, soprattutto a livello aziendale.

Per giunta, come sottolinea Marielle Barbe in “Profession Slasheur” si tratta di un fenomeno che riguarda più generazioni, non solo quelle più giovani, e che riflettono il desiderio di attribuire sensemaking alle proprie attività lavorative in maniera deliberata.

Lo slash “/”, che contraddistingue sempre di più le headline dei professionisti nei propri profili Linkedin, è così il simbolo forse di una crisi di identità professionale, che culturalmente sta cambiando la nostra abitudine a catalogare le persone secondo il lavoro che fanno (ed è sempre più spinoso porre la domanda “cosa fai nella vita?”).

Per le nuove generazioni, i tempi in cui ci si poteva identificare col proprio lavoro sono finiti. Le carriere sfuggono alle classificazioni classiche che la generazione precedente sovrapponeva alla vita personale per trenta o quaranta anni. Nelle piccole località italiane è sempre stato naturale identificare “il maresciallo”, “l’avvocato” o il “dottore” come identità nette che rappresentavano anche valori e profili di personalità già delineati.

colloquio di lavoro

Come sottolinea Nicolò Andréula in Flow Generation, gli economisti identificano questo comportamento come path dependency (dipendenza dal percorso): crediamo di sapere chi siamo e in cosa siamo bravi perché abbiamo studiato una certa materia o perché abbiamo lavorato in un certo ambito per anni. Ma oggi il mito del posto fisso non trova più lo stesso spazio di applicazione.

Si tratta di costruire un percorso, non di trovare un lavoro, in accordo con le leggi della società liquida denominata da Zygmunt Bauman da ormai diversi anni e diventare dei “giocolieri di mestieri”, mentre ci si rende conto che l’intelligenza artificiale e la tecnologia digitale diventano sempre più presenti nei posti di lavoro, mettendo in crisi le nostre certezze lavorative.

Ma esistono anche risvolti innovativi e di cambio di mindset: la pandemia, con il più grande esperimento di remote working della storia dell’umanità, ha fatto vivere ancor di più a tutti un’esperienza che prima era solo una prerogativa dei nomadi digitali, evidenziando molto bene quali compiti e quali mestieri possano essere riformulati in un’ottica diversa nel “new normal” e quali no. Per molti, inoltre, è fiorita l’occasione di immaginare altre professioni o nuove competenze a cui attingere per ricodificare il proprio profilo professionale.

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Nel futuro del mondo del lavoro sarà quindi sempre meno importante aver seguito un percorso di carriera lineare. Quello che conterà di più sarà la propria capacità di risolvere problemi specifici e di essere autosufficienti e affidabili nel processo decisionale. La domanda da fare quando ci presentiamo a qualcuno potrebbe pertanto diventare nei prossimi anni non più “cosa fai nella vita?” ma “in cosa sei bravo”?

Dal responsabile di selezione alla “selezione responsabile”

In questo panorama di riformulazione delle strategie di employability che riguardano il singolo, come devono essere riformulate le strategie organizzative HR?

Accrescere l’occupabilità è generalmente un obiettivo prioritario delle politiche per l’occupazione a livello istituzionale, ma lo sarà sempre di più anche per il mondo del business, che deve favorire la crescita delle persone all’interno dell’organizzazione e riformulare i processi di acquisizione di nuove risorse dalle skills multiple.

L’ innovazione, infatti, non è detto che passi unicamente per la digitalizzazione dei processi di selezione, in quanto non è auspicabile renderla un’attività meramente “meccanica”, dove basta pubblicare un annuncio e poi lasciar fare tutto il lavoro all’intelligenza artificiale o ad alcuni specialisti per misurare le persone e individuare senza fatica il candidato più adatto.

La ricerca del lavoro reca con sé un costo emotivo per l’individuo sempre rilevante, che rischia di essere ulteriormente caricato dalla tensione sociale ed economica di prossimo avvento, non appena la fine del blocco dei licenziamenti sarà formalizzata. Anche per l’azienda occorre riprendere la dimensione umana del lavoro, evitando i messaggi di assistenzialismo o attribuendo percorsi formativi o nuovi ruoli professionali senza mettere le persone al centro del proprio progetto lavorativo.

Ecco quindi alcune piccole, grandi, innovazioni che possono essere attivate nelle funzioni People & Culture aziendali per attualizzare i processi al mercato del lavoro post-pandemico e approcciare la gestione dei talenti in un’ottica sostenibile.

Job Description Agili

Nell’approccio Agile declinato sui processi delle risorse umane gli aspetti del reclutamento possono essere ridisegnati iniziando ad operare con la missione del fit culturale tra le nuove risorse e l’organizzazione, puntando sugli aspetti attitudinali ancor prima delle competenze di ruolo.

L’intero processo di selezione dovrà però contemplare oltre ai requisiti di tipo tecnico specialistico anche la valutazione delle cosiddette competenze a “T”, degli aspetti motivazionali e del fitting culturale: i tratti di apertura al cambiamento, diversity e adattamento saranno da ritenersi privilegiati per la rappresentazione di un mindset più vicino ai principi “agili”.

Gli annunci di lavoro, al di là dei ruoli e delle funzioni presenti negli organigrammi, dovranno esplicitare più marcatamente: gli ambiti di innovazione, di team involvement, di impatto e carriera organizzativa e forse meno segnatamente le sole classiche conoscenze e competenze tecniche richieste dal ruolo.

Sarà una misura più “sostenibile” perché dall’informazione più trasparente, più legata ad una visione olistica della persona nonché prodromo indispensabile per la relazione di fiducia reciproca che deve instaurarsi tra il datore di lavoro e il job seeker.

Corporate Entrepreneurship e Recruiting per team

Che le nuove generazioni siano maggiormente attratte dall’universo delle start-up rispetto all’ambiente corporate probabilmente non è più un segreto.

Attrezzare quindi i processi di recruiting e selezione immaginando l’inserimento di interi gruppi di lavoro già coesi da un’esperienza professionale pregressa (giovani o adulti che siano), potrebbe significare una vera rivoluzione.

Magari anche attraverso la costruzione di “Call for Ideas” formalizzate che non siano semplicemente rivolte al singolo, ma anche a team di lavoro (e non per forza sotto forma di contest o hackathon con dei premi in palio).

Non è un caso che la spinta verso l’Open Innovation o l’acquisizione di intere Start-up all’interno della galassia Corporate sia stata un processo sempre più diffuso negli ultimi anni.

Accompagnata dalla declinazione della filosofia della “Corporate Entrepreneurship” all’interno del contesto organizzativo, la ricerca del lavoro può in questo modo essere incoraggiata all’esterno come percorso collettivo condiviso che favorisca la contaminazione e il networking tra competenze professionali diversificate, che reagisca all’estrema volatilità delle figure professionali identificate dalle linee di business e risponda in maniera più aderente alla ricerca di profili “multipotenziali” o “ibridi”, spesso idealizzati, la cui caratteristica principale è purtroppo sempre l’estrema rarità.

lavoro intergenerazionale

Employability e Multi-generational Learning

Una visione del mercato del lavoro fluido e contaminato tra esterno ed interno non può che guardare anche alla possibilità di agevolare processi di learning organization che mettano a fattor comune competenze e potenzialità multi-generazionali.

Le peculiarità dei senior che l’azienda ha con sé possono essere messe a disposizione delle nuove generazioni per migliorare le skills trasversali di time management, comunicazione efficace, gestione dei progetti, di leadership, etc: skills strategiche che non possono mancare agli “slash-workers” di oggi e di domani.

Allo stesso modo, l’avvicinamento della Zed Gen al mondo del lavoro può avvenire, forse per la prima volta nella storia, a partire dalla possibilità di rendere i giovani e i giovanissimi dei “trainer” di competenze tecniche (digitali) o culturali, utilissime ai lavoratori più adulti per il proprio reskilling e il proprio rinnovamento di employability.

Last 2¢: “assumere fiducia”

In conclusione, il termine employability rappresenta le caratteristiche individuali e sociali utili al lavoratore e al job seeker di fare fronte ai problemi di adattamento e all’incertezza del mondo del lavoro. Ma sempre di più si fa strada l’idea che per avvicinare domanda e offerta nel mercato, si debba ricostruire il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e persone.

L’esperienza dell’home working/remote working ha polarizzato tantissimo il concetto di collaborazione tra azienda e persone, rappresentando minacciosamente sullo sfondo la possibilità di immaginare un futuro dove il “datore di lavoro” può diventare un mero “datore di stipendio”, poiché le mansioni possono essere svolte senza vivere la collettività e i valori culturali di uno specifico brand o di un ambiente particolare. E puntare sulla relazione di fiducia per ricostruire i legami è l’unica strada possibile in tal senso.

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In fondo, da sempre, l’interesse e la passione per un lavoro (o per un determinato ambiente professionale) hanno sempre valso molto più dei titoli di studio, dimostrare quello che si è capaci di fare è considerato molto più valido di un’autodichiarazione in un CV e sappiamo tutti che avere già “esperienza” alla prima assunzione è un paradosso a cui inevitabilmente si deve fare fronte intraprendendo un percorso di apprendimento informale all’interno dell’organizzazione diventando solo col tempo efficaci nel ruolo per cui ci si è candidati.

Allora “assumere fiducia” significa biunivocamente, prendere coraggio e infonderlo verso il job seeker attraverso gli strumenti e la forza dell’orientamento professionale e, al contempo, portare a bordo in azienda i valori della competenza, della coerenza e della chiarezza sapendoli confermare, giorno dopo giorno, nell’evoluzione continua del lavoro.

Google e Rai vincitori di inclusione. Il Diversity Brand Report 2021

È Google il vincitore assoluto “overall” del Diversity Brand Award 2021 insieme alla piattaforma “Virtual Lis” di Rai, prima per la sezione digital. Un riconoscimento importante per il gigante del big tech e per la concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia, che testimonia l’impatto e la forte percezione del reale impegno sul fronte Diversity &  Inclusion.

La top 20 dei brand italiani (21 in realtà, per un ex aequo) più inclusivi è stata presentata in modalità streaming durante la quarta edizione del Diversity Brand Summit, “Diversity Factor: born to build trust”, occasione anche per delineare il Diversity Brand Index 2021, progetto di ricerca volto a misurare la capacità delle aziende di sviluppare con efficacia una cultura orientata alla D&I,  curato da Diversity e Focus MGMT.

Il ranking delle Top 20 in Italia: “Make it possible”

Ai vertici del ranking italiano rientrano anche Amazon, Carrefour, Coca-Cola, Durex, Esselunga, Freeda, Google, H&M, Ikea, Intesa Sanpaolo, L’Oréal, Leroy Merlin, Mattel, MySecretCase, Netflix, Pantene, Rai, Spotify, Starbucks, TIM, Vodafone.

Make it possible” è il claim che accompagna l’edizione 2021 del Premio, promosso dalla no profit Diversity, fondata da Francesca Vecchioni, e dalla società di consulenza strategica Focus MGMT, realizzato con il patrocinio della Commissione Europea e del Comune di Milano.

Il diversity factor si contraddistingue, soprattutto, come un vero e potente driver di posizionamento per le aziende, anche in un anno complicato come il 2020 per la pandemia, con un impatto economico significativo: i brand percepiti come non inclusivi registrano un NPS (Net Promoter Score, indicatore del passaparola) negativo pari al -90,9% (con un’ulteriore riduzione di 4,9 punti percentuali rispetto all’anno precedente), a fronte di un +81,2% invece per i brand percepiti come inclusivi. Ciò si ripercuote sul differenziale della crescita dei ricavi: +23% a favore di quei brand che, nonostante la crisi COVID-19, sono riusciti a non interrompere il loro piano di sviluppo e il loro impegno sulla D&I. Dal report, tuttavia, emerge che soltanto 1 azienda su 5 in Italia si impegna realmente sul tema della diversità, sebbene una corporate inclusiva viene percepita come più moderna e conquista un maggior livello di fiducia dei clienti, amplia il proprio mercato e migliora le performance economiche, ma soprattutto attrae e coltiva talenti.

Top 20 italiane

La strategia “diversity oriented” di Google e Rai

Alla base della motivazione del primato di Google, l’aver lavorato in maniera diffusa sulla D&I, in particolare sul gender, sull’orientamento sessuale e affettivo e sulla disabilità. Per aver compreso il ruolo di brand consapevole e responsabile, lavorando su iniziative e attività disruptive, capaci di cambiare e migliorare la vita di ognuno, abbattendo barriere tangibili ed intangibili, oltre all’aver sviluppato una customer experience diversity oriented.

“È con estremo piacere che accolgo questo riconoscimento, che coglie a pieno il concetto di alleanza espresso ogni giorno dalla comunità dei Googler – dichiara Fabio Vaccarono, Vice President Managing Director Italy di Google – Dalle sue origini Google è impegnata a rendere la diversità, l’equità e l’inclusione parte di tutto ciò che facciamo: dal modo in cui costruiamo i nostri prodotti, al modo in cui interagiamo con le persone nel posto di lavoro. Nel realizzare questa visione, abbiamo sempre sentito un elevato livello di responsabilità verso la società e la comunità in cui operiamo: per questo abbiamo fatto nostro il compito di incoraggiare rispetto, equità, uguaglianza nella diversità e inclusione. Nella situazione di emergenza che stiamo attraversando, l’impegno ad aiutare tutte le comunità a proteggere questi valori e tutelare i diritti che hanno acquisito negli anni e, in alcuni casi, acquisirne di nuovi si è fatto ancora più forte”.

A decretare il successo come vincitore digital di Rai è la Virtual Lis, la piattaforma capace di erogare servizi e contenuti nella lingua italiana dei segni mediante un avatar virtuale, affermando un nuovo paradigma di inclusione.

“La vittoria nel Digital Diversity Brand Award è, per il servizio pubblico, motivo di particolare orgoglio.  Arriva dopo che la Rai è stata inserita per il terzo anno consecutivo nella lista delle aziende più inclusive, per di più in un periodo drammaticamente segnato dalla pandemia – evidenzia Giovanni Parapini, Direttore Rai per il Sociale – Mentre vige ovunque la regola ferrea del distanziamento fisico, il servizio pubblico sa essere fattore di coesione: contribuisce cioè a rompere l’isolamento di quelle persone che del contatto con gli altri hanno un bisogno vitale. Lo fa stavolta con un progetto che mette insieme un forte valore sociale e una tecnologia d’avanguardia, come è tipico delle realizzazioni del Centro Ricerche, Innovazione tecnologica e Sperimentazione della Rai a Torino. Il Virtual LIS è rivolto alle persone sorde segnanti, con un Avatar che si esprime nella Lingua Italiana dei Segni: una piattaforma che si è ulteriormente arricchita con un’applicazione pensata per la didattica, che permette di imparare la LIS via web e generare nuovi contenuti. È un modo molto concreto attraverso il quale il servizio pubblico ribadisce che nessuno deve sentirsi escluso”.

Il report Diversity Brand Index. Fiducia come key factor

È sul concetto di fiducia che insiste il Diversity Brand Index, che diventa marchio di certificazione per i brand in termini di impegno in D&I.

Il report sottolinea, infatti, una crescita del + 23% nei ricavi per le aziende più inclusive rispetto a quelle non inclusive, anche in un anno condizionato dal Covid e dalla crisi sanitaria, economica e dal cambiamento del profilo di consumatrici e consumatori, meno arrabbiate/i, ma un po’ più individualiste/i rispetto alle tematiche della D&I, assumendo connotazioni “tribali”. Fondamentale, nella costruzione del rapporto di fiducia con il mercato, è la  comunicazione efficace e costante verso il proprio target di riferimento.

Il Diversity Brand Index 2021, sviluppato sulla base di una ricerca condotta da gennaio a dicembre 2020 su un campione statisticamente rappresentativo della popolazione italiana, composto da 1.039 cittadine e cittadini, ha visto una riduzione dei brand citati come “maggiormente inclusivi” (388, contro i 482 dell’anno precedente, ossia il -19,5%), a causa soprattutto del distanziamento sociale (e quindi minori relazioni) del lockdown e dell’emergenza epidemiologica.

Il ridimensionamento nel 2020 del numero di aziende inclusive: da 482 a 300, -19%

Due le declinazioni di tale ridimensionamento: fisica e digitale. I brand che tradizionalmente hanno fondato la relazione con il proprio target sulla dimensione fisica, hanno sofferto l’inaccessibilità degli store e degli spazi commerciali. Nell’overload informativo legato alla pandemia, vari brand non hanno avuto la forza (e la volontà) di affermare il tema della D&I, focalizzandosi su contenuti ed attività più tattici e meno strategici.

Hanno perso terreno aziende legate ai consumer services (-12 punti percentuali) ai beni di largo consumo (-10 ). Il retail (-2 p.p.) si conferma comunque il settore più presente (20%) tra le 50 corporate considerate più inclusive. Premiate le aziende capaci di fare comunicazione su altri canali rispetto a quelli fisici (e-commerce, infotainment, social network), in particolare dell’information technology (+8), luxury goods (+10) e healthcare & wellbeing (+8).

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Come cambiano i consumatori e le consumatrici

Il report conferma il trend della polarizzazione, con la scomparsa di alcune fasce intermedie in termini di orientamento all’inclusione (es. idealiste/i). Scompare, infatti, il segmento di arrabbiatissime/i e quello di arrabbiate/i passa dal 25,4% dell’anno scorso al 12,4%, con una composizione peculiare: il 63,57% di questo segmento è composto da uomini. Il 40% di giovani fra i 18 e i 35 anni, privati della propria vita sociale ed assistendo ad una focalizzazione mediatica sulla fascia degli “over”, ha sviluppato un atteggiamento non positivo nei confronti di alcune forme di diversità.

Prevalgono Individualismo ed egoismo: emergono “tribali”

Nell’anno del COVID-19 si registra una forte tendenza verso l’egoismo e l’individualismo, con l’arrivo della nuova categoria “tribali” (16,4%), composta da persone in passato distanti dall’inclusione che, durante la pandemia, hanno percepito come alcune forme di diversità fossero in realtà molto vicine: il loro coinvolgimento sui temi della D&I si declina infatti soprattutto all’interno del proprio nucleo familiare. Vi è poi un forte aumento dei consapevoli (15,7% dal 4,2% della precedente edizione), persone attente all’inclusione, ma non direttamente coinvolte.

In un Paese con un buon grado di conoscenza, familiarità e contatto sui temi della diversity ma ancora con una scarsa pratica, nell’interazione e nel coinvolgimento, la maggioranza delle persone (55,5%) è comunque altamente sensibile e attiva sulle tematiche della diversity, con il 34,5% di coinvolte/i e il 21% di impegnate/i.

L’88% di consumatrici e consumatori è maggiormente propenso verso i brand più inclusivi

Le pratiche inclusive sui temi di genere e identità di genere, etnia, orientamento sessuale e affettivo, età, status socio-economico, (dis)abilità e credo religioso (le 7 aree della diversity su cui si è concentrata la ricerca) impattano positivamente sulla reputazione del brand e sulla fiducia riposta nella marca, traducendosi in un indice di passaparola positivo e risultati economici migliori.

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FIAT e Leo Burnett presentano 500 Family Hey Google per un target giovane e tecnologico

Fiat offre soluzioni semplici per vivere al meglio ogni giorno, e oggi lo fa con la nuova tecnologia Hey Google disponibile sulla famiglia Fiat 500, rivolgendosi ad un target giovane, tecnologico, che ama il divertimento, lo stare insieme e lo stile cool di 500.

La pianificazione, a cura di Starcom, è iniziata in Italia dall’11 aprile sui principali canali TV generalisti, satellitari, digitali e sull’addressable dei principali broadcaster disponibili. Firma la sede torinese di Leo Burnett, hub strategico creativo e di coordinamento internazionale per i brand Stellantis, sotto la guida di Maurizio Spagnulo e la direzione creativa esecutiva di Francesco Martini.

Fiat 500X Hey Google

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Lo spot, diretto da Federico Mazzarisi, racconta con tono scanzonato un momento di vita fuori dagli schemi vissuto da tre amici: nella loro Fiat 500X Hey Google troveranno tutte le risposte di cui hanno bisogno. Ma cosa ne faranno? La risposta è nel finale sorprendente del film, che rispecchia il classico tone of voice del brand.

Al via il primo appuntamento del WPP Italia Diversity & Inclusion Board

Dare vita ad una WPP più inclusiva che celebri diversità e differenze stimolando la creatività. È questo il percorso che segna la rotta di WPP in Italia, il Gruppo leader in ambito di marketing e comunicazione, che ha dato il via al WPP D&I Board, l’iniziativa che coinvolge protagonisti della industry della comunicazione – incluse le attività di CSV, come ad esempio la collaborazione con CoorDown -, della tecnologia, della cultura e dello spettacolo volto a riflettere su Diversità e Inclusione, fondamentali nella quotidianità della vita aziendale. 

Diversity & Inclusion

In Italia, da ormai qualche anno, WPP ha intrapreso un percorso di valorizzazione delle attività relative alle tematiche di Diversity & Inclusion. Nel 2017 fu ideato il progetto Winspire, la prima iniziativa interna locale cross-agenzie che vuole supportare e promuovere i talenti e la leadership femminile. Da quest’anno la creative transformation company allargherà il suo raggio d’azione impegnandosi a promuovere una maggiore diversità all’interno dei suoi team che, a sua volta, porterà una maggiore creatività e innovazione nei loro progetti. Obiettivo prioritario sarà l’uguaglianza di genere, specialmente ai livelli più alti di una organizzazione. 

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Nasce così il WPP Diversity & Inclusion Board il cui obiettivo è riflettere e dare vita ad un nuovo linguaggio della diversità e dell’inclusione, basato sulla partecipazione, sulle testimonianze e sullo scambio di opinioni di tutti i partecipanti. Gli spunti emersi verranno raccolti in un white paper da veicolare al mercato entro la fine dell’anno, con l’obiettivo di fornire linee guida riguardo alle tematiche di Diversity & Inclusion nel panorama italiano e aiutare i team a integrare best practice. 

Dopo i saluti introduttivi da parte di Simona Maggini, Country Manager di WPP in Italia, e Roberto D’Incau, Founder & CEO Lang&Partners, al tavolo di lavoro sono intervenuti gli altri membri del WPP D&I Board: da figure apicali di aziende leader di mercato, ad artisti e alti rappresentanti delle istituzioni culturali, da personalità del mondo dell’editoria ad esponenti di importanti associazioni di volontariato.

In quanto Gruppo leader negli ambiti di marketing e comunicazione, riteniamo sia una nostra concreta responsabilità fare da guida nella riflessione e nel percorso di cambiamento del sistema italiano che porterà quanto prima a riconoscere team diversificati come patrimonio essenziale con cui promuovere maggiore creatività e idee a vantaggio delle diverse aziende che operano nel mercato.

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Dichiara Simona Maggini, Country Manager WPP Italia:

Ritengo che la parola chiave sia Inclusione: ci stiamo impegnando con una serie di autorevoli partner per far sì che l’inclusione diventi la normalità e non ci fermeremo finché il risultato non sarà raggiunto. Per quanto riguardo il Gruppo, stiamo compiendo un deciso passo in tal senso con l’inaugurazione del Campus WPP, un luogo, appunto, altamente inclusivo e innovativo, dove lavoreranno oltre 2.000 persone, portando background differenti, idee e competenze distinte essenziali per la nostra creatività e il nostro successo.

FOOD Z: la ristorazione secondo la Generazione Z

Il tema di come aiutare la ripartenza delle attività nella ristorazione è argomento pressante e quotidiano. Le difficoltà economiche del settore Ho.Re.Ca. sono pesanti e impongono agli operatori chiarezza di visione per prendere decisioni e impegnarsi in investimenti. 

Diventa quindi fondamentale avere a disposizione analisi e dati su cui basare le scelte. Esattamente il tipo di contenuti che l’agenzia di branding CBA ha raccolto ed esaminato in “FOOD Z”, ampio e approfondito studio su abitudini, preferenze e motivazioni rispetto al consumo di cibo out-of-home della Generazione Z.

FOOD Z

Verificata sul campo attraverso più fasi e con metodologie diverse di contatto con il target (approfondimenti nella scheda), la ricerca anticipa e disegna il profilo di un’esperienza nuova e tailor-made che i canali di ristorazione amati dai giovani nati dopo il 1995 potrebbero offrire. Quella che è stata definita una “stay-in generation” è infatti in realtà un gruppo sociale in cui l’89% dei ragazzi pranza(va) o cena(va) fuori casa almeno una volta a settimana.

generazione covid

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FOOD Z racconta di una generazione cresciuta in un mondo dove il digitale non è novità, ma quotidianità. Questa evidenza è il punto di origine di una proposta ibrida, on e offline, in cui la realtà analogica si mescola, si adatta e trova compensazione in quella virtuale e interattiva, così da generare una experience del cibo fuori casa mai vista prima.

Lo studio di CBA parte da 3 domande chiave – il rapporto con il cibo, i momenti di consumo fuori casa più rilevanti e i driver di scelta del luogo dove mangiare di questo target generazionale – e sviluppa, sulla base dei diversi insight raccolti nelle interviste e poi clusterizzati, tantissimi suggerimenti per il ristoratore su come intervenire nel customer journey del giovane cliente così da renderglielo memorabile.

Approccio strategico-creativo

Per esempio aggiungendo nel sito web del locale strumenti di servizio che permettono al giovane cliente al primo appuntamento sentimentale di progettare in anticipo tutti i dettagli di una serata sicuramente delicata e importante, scegliendo il grado di privacy del tavolo, l’ambiente, gli allestimenti, il menù. Tra questi servizi CBA include anche piccoli interventi di aiuto online come la scelta del grado di confidenza da parte del personale che può diventare facilitatore della serata, oppure una lista di particolarità del locale come spunto di conversazione, o il naming del tavolo come momento di gioco.

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Il locale stesso potrà infine suggerire come chiudere la serata facilitando online il pagamento del conto e condividendo consigli su dove proseguire la serata. L’obiettivo è chiaro: creare un legame fortissimo con i consumatori che, sentendosi capiti, seguiti e aiutati, conserveranno un ricordo positivo del ristorante. 

Queste idee sono un assaggio dell’approccio strategico-creativo adottato da CBA nell’individuare soluzioni che combinano le esigenze del target e la necessità del ristoratore di ripensare in modo efficiente la propria proposizione. 

Scegliere un ristorante infatti dipende anche dalla motivazione per cui si esce, e da ogni motivazione discendono need specifici. Motivazioni ed esigenze che sono state raccolte e clusterizzate da CBA in una nuova unità di analisi, gli “scenarios”. Questi scenarios profilano alcuni dei principali momenti di consumo della GenZ: da Celebrations a Tinder Date, da Improvvisata al fast food ad Entertained Dinner, Cena con dolcetto, Co-studying. Ognuno di questi profili contiene informazioni chiave e stimoli che potranno, se adeguatamente sviluppati, trasformare radicalmente la brand experience ristorativa della GenZ.

Dopo questi mesi durissimi ci troviamo in un momento di passaggio fondamentale per il futuro del settore Ho.Re.Ca. Il fattore economico pesa molto, ma il rilancio deve obbligatoriamente passare anche da una diversa visione prospettica. È il momento di immaginare nuovi modi di offrire il servizio, consapevoli del fatto che non è il momento della casualità, ma quello delle scelte mirate e ponderate.

ha commentato Massimiliano Frangi, Chief Design Officer di CBA.

L’esperienza di CBA nella creazione di brand experience per la ristorazione è solida e sostenuta da case histories uniche e distintive come quella di Langosteria. Ci sentiamo pronti per progettare soluzioni di customer journey innovative e dare un contributo concreto al rilancio del settore.

Google Ads lancia Insights Page: il Decoding Decisions report per decodificare la contemporaneità

Come cambia il processo decisionale del consumatore con l’accelerazione digitale provocata dal Covid? Soprattutto come possono i professionisti del marketing farsi notare nella complessa fase di scelta?

“Per comprendere cosa rappresenta questo cambiamento per i consumatori e per i marketer, abbiamo realizzato il “Decoding Decisions”, una ricerca che utilizza le scienze comportamentali per indagare il modo in cui i consumatori prendono decisioni online e, più nello specifico, proprio all’interno del messy middle, ovvero quello spazio tra il momento in cui si inizia la ricerca (trigger) e l’acquisto: un “centro disordinato”, che ben rappresenta il “nuovo” percorso di acquisto del consumatore”, sottolinea Paola Scarpa, Director Client Solutions, Data and Insights di Google.

I tre macro trend

Come evidenziato da Matt Brittin, President EMEA di Google, si possono individuare oggi tre tendenze chiave per il mercato: in primis un cambiamento nei comportamenti dei consumatori, incentivato dalla pandemia; la centralità della privacy e quindi la necessità di costruire e ripristinare la fiducia delle persone; la necessità di essere veloci e utili nell’aiutare a leggere la complessità del presente.

Tre trend a cui Google risponde con una serie di strumenti per i marketer, dall’introduzione della Insights Page e il Decoding Decisions alla Privacy SandBox.

“Insieme stiamo cercando la strada per guardare al futuro. La veloce accelerazione tecnologica ha provocato un balzo di cinque anni in pochi mesi. Oltre metà del pianeta è ormai presente online. Questo ha mostrato ancora una volta come l’accesso gratuito e aperto a Internet sia fondamentale, non solo per le persone e le imprese, ma anche per le nostre economie e le nostre società – continua Paola Scarpa – Google vuole continuare a essere al fianco dei professionisti del marketing per aiutarli a osservare da vicino le nuove tendenze, per cogliere le esigenze dei propri clienti e fornire gli strumenti per andare loro incontro. Se tutto è cambiato, che cosa è destinato a restare? Gli insight ci aiutano a leggere la nuova realtà”.

Le stime Google nella ricerca online

Infatti, secondo le stime di Google, l’accelerazione dei cambiamenti già in essere nei comportamenti online, ha provocato un +50% di crescita dell’interesse nel motore di ricerca Google (fonte Google Trends) per “negozio online” in Italia (anno su anno), e un +210 % nella ricerca per “consegna a domicilio” in Italia. Le persone hanno più che mai bisogno di supporto per navigare la complessità di scelta e desiderano un mondo digitale aperto e conveniente e ciò richiede annunci pertinenti che rispettino la loro privacy. Proprio l’interesse di ricerca per “privacy online” è cresciuto a livello globale di oltre il 50% in un anno. La quantità di scelta e di informazioni che i consumatori hanno a loro disposizione online ha reso il processo decisionale che porta all’acquisto infinitamente più complesso.

Le Key Action sono, quindi, essere veloci anche attraverso strumenti automatici, e costruire fiducia sempre.

Dal trigger all’acquisto: la fase di esplorazione e di valutazione del Decoding Decisions

Privacy e costruzione della fiducia

Un mondo in evoluzione, con nuove sfide da sostenere, ma anche nuove opportunità. Se da un lato si assiste ad un’accelerazione nei comportamenti anche in relazione all’uso del digitale e dei motori di ricerca, atro cardine saranno sicurezza, privacy e fiducia.

“La fiducia è un aspetto fondamentale, da costruire giorno per giorno. Le aspettative delle persone in relazione alla privacy online crescono sempre di più. Uno studio di Axios ha mostrato come l’80% dei consumatori nell’ultimo anno si sia rivelato più preoccupato su come le aziende utilizzano i loro dati, su cui richiedono maggior controllo anche rispetto a come vengono utilizzati online”

In questo senso, l’impegno di Google continua con l’iniziativa Privacy Sandbox che coinvolge l’intero ecosistema della pubblicità online, con l’obiettivo di supportare il rispetto della privacy delle singole persone e ripristinare la fiducia nei confronti degli annunci.

Per il terzo macrotrend fondamentale per i marketer digitali, ovvero come agire con rapidità ed efficacia per aiutare le persone a navigare la complessità che caratterizza la nostra realtà oggi e i processi di acquisto, in sostegno arriva il Decoding Decisions elaborato da Google.

Il Decoding Decisions e il Messy Middle

“Oggi il consumatore prende le proprie decisioni in un contesto online dove si moltiplicano le informazioni a disposizione e le possibilità di scelta. Si complica il processo di ricerca: non è un caso che il 54% dei consumatori italiani dichiari di avere difficoltà nel trovare il prodotto che desidera. Questo spazio tra il momento in cui si inizia la ricerca (trigger) e l’acquisto è il messy middle, un “centro disordinato”, che ben rappresenta il “nuovo” percorso di acquisto del consumatore”, evidenzia Paola Scarpa.

Come imporsi, quindi, sul mercato e soprattutto come comprendere il “messy middle”, ovvero le fasi centrali del percorso d’acquisto influiscono sulle decisioni finali degli acquirenti? Con l’aiuto di esperti nel campo delle scienze comportamentali, The Behavioural Architects, Google ha iniziato un percorso teso a decifrare il modo in cui i consumatori decidono cosa acquistare.

 

 

Scarpa, Director Client Solutions, Data and Insights di Google

I Bias o distorsioni cognitive: come influenzano il processo di acquisto?

Il presupposto della ricerca si fonda sulle persone, che cercano informazioni su brand e prodotti, valutano tutte le opzioni che hanno a disposizione, affidandosi anche a dei bias cognitivi (distorsioni o pregiudizi cognitivi, radicati a fondo nella mente per affrontare e gestire i concetti complessi e su larga scala) che influenzano il comportamento e le decisioni di acquisto di un prodotto rispetto ad un altro, in un processo che alterna fasi di esplorazione e valutazione.

Sebbene i bias cognitivi siano centinaia, la ricerca Google si sofferma su sette di questi: euristica di categoria (brevi descrizioni di informazioni chiave del prodotto possono semplificare le decisioni di acquisto), potere dell’immediatezza, prova sociale (consigli e recensioni da altre persone possono rivelarsi molto efficaci), bias di scarsità (un prodotto diventa più desiderabile se la sua disponibilità diminuisce), bias di autorità (l’opinione di un esperto o di una fonte attendibile è particolarmente influente), potere della gratuità (un regalo incluso con un acquisto, anche se non correlato al prodotto acquistato, può essere un ottimo incentivo), componente emozionale. A differenza di altri Paesi, quest’ultimo bias è emerso come particolarmente rilevante in Italia su alcune categorie di prodotto che presentano una marcata componente di design.

Questi bias hanno costituito la base dell’esperimento sugli acquisti su larga scala con acquirenti in-market reali, con la simulazione in Italia di 100.000 scenari di acquisto in dieci categorie di prodotti.

Ecco quali sono le evidenze scientifiche che emergono dalla ricerca:

Essere presenti può spostare le preferenze di brand nel messy middle

“Nell’esperimento abbiamo chiesto alle persone di indicarci il loro primo e il loro secondo brand preferito all’interno di una determinata categoria di prodotto. Abbiamo poi creato la pagina online di un retailer e mostrato, per i due brand, una proposizione identica per ciascuno dei sette bias cognitivi. L’unica differenza era costituita esclusivamente dai due marchi mostrati nella pagina. In media, in tutte le categorie della nostra ricerca, quasi un terzo dei clienti ha scelto il loro secondo marchio preferito, semplicemente perché questo era presente nella stessa pagina della loro prima scelta. Anche se il prodotto e la proposta erano esattamente gli stessi. Ciò indica che, pur in diverse categorie di prodotti, è fondamentale per un brand mostrare la propria presenza quando il consumatore si trova nelle fasi di esplorazione e valutazione, in cui è aperto a considerare tutti i brand e le opzioni a disposizione”, spiega Paola Scarpa.

Ciò che le persone scoprono nel messy middle spesso guida il processo di decisione finale

“Alcuni bias cognitivi possono pesare più di altri nelle diverse fasi del messy middle e nella decisione d’acquisto degli italiani: per esempio, l’euristica emozionale è più efficace nella fase di esplorazione, mentre quella sociale lo è nella fase di valutazione. Le scoperte fatte nel messy middle possono spesso determinare il risultato e non sono sempre le scoperte razionali ad avere il maggiore impatto. Per questo è importante per i brand essere a conoscenza di questi bias in modo da valorizzare al meglio la loro proposizione e aiutare il consumatore a valutare e scegliere il prodotto più adatto alle proprie esigenze”.

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 Anche un brand non conosciuto può emergere nel messy middle

“Nella nostra ricerca abbiamo portato l’esperimento all’estremo, introducendo un brand completamente inventato, di cui nessuno dei partecipanti alla simulazione aveva mai sentito parlare prima, andando a posizionarlo offrendo il meglio dei sette bias cognitivi analizzati. In tutte le categorie, il brand inventato è stato così in grado di ottenere una quota significativa di preferenza rispetto al marchio di prima scelta. Più tempo le persone trascorrono nel messy middle, più cresce la possibilità che possano scegliere un brand diverso, addirittura sconosciuto fino a quel momento”.

Il messy middle racconta, quindi, un percorso di acquisto più complesso, dove i consumatori si trovano a scoprire ed esplorare, fuori da una logica di linearità predefinita. Gli acquirenti elaborano tutte le informazioni e le opzioni che incontrano durante il percorso: si tratta di un processo di elaborazione che influenza le decisioni finali di acquisto, ma è anche un’opportunità in cui i brand non conosciuti possono trovare nuovo spazio e pubblico.

Da oggi il roll out globale di due novità in Google Ads: Insights Page e applicazione automatica di consigli e raccomandazioni per i marketer

“Proprio per supportare gli esperti di marketing nel cogliere queste opportunità, oggi Google inizierà il roll out a livello globale di due novità in Google Ads. Da un lato, l’introduzione della Insights Page, grazie alla quale gli operatori di marketing potranno visualizzare informazioni utili per adattare il proprio business e cogliere le opportunità date dai rapidi cambiamenti nei comportamenti dei consumatori. Dall’altro, sarà possibile per gli esperti di marketing scegliere di applicare in maniera automatica determinati consigli e raccomandazioni, per migliorare la performance di una determinata campagna in modo rapido e efficace – annuncia Paola –  La realtà che viviamo è in continuo cambiamento, al centro però rimangono sempre le persone: in un contesto in accelerazione, comprendere i comportamenti in evoluzione dei consumatori mantenendo la loro privacy sempre al centro sono aspetti chiave per guardare, e cercare, il futuro”.

L’approccio al messy middle

In che modo, quindi, i professionisti del marketing possono farsi notare nel “messy middle”?

vo non è quello di forzare le persone a uscire dal ciclo mostrato nel modello, ma di fornire informazioni e riassicurazioni necessarie per aiutarle a prendere una decisione. Che si tratti di un gigante della categoria o di un brand competitor, l’approccio è lo stesso, il report:

  • Garantire la presenza del brand in modo strategico affinché il prodotto o servizio sia notato e ricordato dai clienti mentre esplorano le opzioni.
  • Applicare i principi delle scienze comportamentali in modo intelligente e responsabile per rendere la proposta convincente quando i consumatori valutano le opzioni.
  • Avvicinare il momento del trigger a quello dell’acquisto in modo da ridurre il tempo di esposizione dei clienti esistenti e potenziali a brand concorrenti.
  • Creare team flessibili e competenti per andare oltre il branding tradizionale ed evitare barriere tra reparti che rischiano di lasciare spazi vuoti nel percorso decisionale dei consumatori.

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Bruno Bertelli è il Direttore creativo più premiato al mondo!

Bruno Bertelli è il Chief Creative Officer più premiato al mondo nel 2020. Lo svela la classifica del World Creative Rankings, stilata da The Drum, che quest’anno ha analizzato in totale 1.768 lavori creativi di 1.295 aziende realizzate da 964 agenzie e firmate da 387 Chief Creative Officer.

The drum world creative rankings 2021

Per la prima volta nella storia un italiano si posiziona in vetta alla prestigiosa classifica globale che celebra i migliori talenti creativi del mondo dell’advertising e della comunicazione. Un risultato che fa riflettere su come oggi in Italia sia possibile raggiungere altissimi livelli di eccellenza in settori dove solitamente sono altri Paesi ad avere la leadership.

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Dal 2016 Bertelli è Global Chief Creative Officer di Publicis Worldwide, una delle agenzie creative più importanti al mondo e parte di Publicis Groupe, terzo gruppo di comunicazione globale. Grazie al suo lavoro con brand come Heineken, Diesel, Barilla e Mercedes, di cui è advisor global, ha saputo ispirare generazioni di talenti tanto da attrarre in Italia creativi di tutto il mondo.

Nella sua carriera Bertelli ha vinto 82 Leoni al Cannes Lion e alla fine del 2017 Adage, tra le più celebri testate di creatività, ha inserito Bertelli nella classifica Creativity 50, insieme a Rihanna, Yayoi Kusama, Melissa McCarty, Stephen Colbert e Edward Enninful. In passato hanno ricevuto tale riconoscimento personaggi italiani del calibro di Franca Sozzani, Maurizio Cattelan e Oliviero Toscani.