Fashion Camp 2011: Ninja Marketing intervista Arianna Chieli

Abito: Shrinkage Design – Photo: Sara Ferraris

Ci sono eventi che tutti aspettano, appuntamenti da non perdere nel panorama nazionale. Arrivano una volta l’anno e bisogna prepararsi al meglio, soprattutto bisogna esserci!

Il Fashion Camp rientra tra questi: è un appuntamento strutturato come un barcamp di due giorni che mette a confronto il mainstream della moda, chi sperimenta nuove tecnologie, i fashionbloggers, gli stilisti esordienti, chi si impegna con la moda etica e chi progetta nuove idee per il futuro per una condivisione ed un arricchimento attraverso workshop, presentazioni e collaborazioni.

Il futuro della moda si incontra a Milano il 10 e 11 giugno prossimi e noi, per prepararvi al meglio per l’occasione, abbiamo deciso di pubblicare dei post dedicati.
E per cominciare, ecco l’intervista ad Arianna Chieli, Direttrice Artistica dell’evento.
Pronti? 🙂

Ciao Arianna! Questa è la seconda edizione del Fashion Camp: cosa vi aspettate in più rispetto alla prima?

La prima edizione è stata una sorta di numero zero, essendo la prima assoluta per tutti. Dovevamo capire se un evento come questo, che a New York ha avuto sponsor enormi e massicce adesioni, poteva funzionare su un tessuto come quello italiano.
La risposta è stata positiva: abbiamo avuto 800 persone che sono intervenute, ma avevamo dei limiti strutturali.

Quest’anno la location è più prestigiosa, è l’ex Ansaldo, il luogo deputato dal Comune di Milano per gli eventi e la creatività. C’è stata un’adesione molto più forte anche a livello di media partner, per cui ci aspettiamo molte più persone.

Anche a livello di contenuti abbiamo lavorato moltissimo, per fornire dei contenuti veri e per dare alle persone lo spazio giusto per veicolarli (tra l’altro ci sarà anche uno stage di burlesque 🙂 ).

Crediamo fortemente che la democratizzazione del fashion passi anche da eventi come il nostro. Tutto questo in una città come Milano in cui il 5% del Pil è dato dalla moda.

Tecnologia e stile: cosa ne pensi della tecnologia indossabile?

La trovo una cosa molto interessante. Soprattutto perché la parte geek delle ragazze si sta ampliando notevolmente, quindi c’è un mercato ancora non coperto.

Poi bisogna tenere d’occhio i passi in avanti che si stanno facendo con i materiali innovativi: per esempio una società fiorentina sta lavorando molto su delle t-shirt che riescono a monitorare il battito cardiaco dei cardiopatici, permettendo loro di vivere una vita normale che altrimenti non potrebbero vivere.

Come una professionista vede l’avanzata dei blogger?

Io credo che sia un processo naturale. L’avere un tesserino da giornalista non mi rende più brava di un blogger. Semplicemente è un altro mezzo di espressione: mentre prima, non essendoci i blog non avevi la possibilità di esprimerti (a meno che scrivevi il tuo diario personale), oggi c’è una maggiore democratizzazione e più possibilità per tutti.

Detto ciò sarà il tempo a fare una “selezione” tra chi è capace e chi no. Personalmente trovo molto poco interessanti i blog in cui una ragazzina si fa una fotografia e la posta, mentre trovo molto più interessanti i blog che indagano le tendenze, che raccontano ed esprimono opinioni.
In Italia c’è molto da questo punto di vista.

Facebook, social network, blog: stanno avendo lo stesso effetto che ha avuto Myspace per i gruppi emergenti anni fa?

Credo che Facebook sia stata una rivoluzione molto forte, anche se ora uso più Twitter perché lo trovo a me più congeniale. Però in effetti è il cambiamento, qualcosa che ti permette di farti sentire da tutti. Sia per il singolo stilista emergente che per i grandi gruppi, i quali forse non hanno ancora ben capito come si gestisce la conversazione.

Una cosa che mi piace ricordare è il convegno Digital influence: from Couture to Conversation (dove tra l’altro sarà presente anche il nostro Direttore Mirko) che si terrà al Fashion Camp, dove si discuterà di questi temi: le nuove dinamiche del mercato, i nuovi rapporti con le persone nell’era dei social media, i brand che ancora non sono entrati nell’ottica giusta per quanto riguarda il rapporto con le persone.

A proposito: cosa ne pensi del caso Patrizia Pepe di qualche settimana fa?

Naturalmente è più semplice vestire una modella magra, ma grazie a Dio noi donne le forme le abbiamo. Per cui l’imposizione di un diktat che produce effetti devastanti è semplicemente sbagliato: le donne sono belle come sono, con le loro forme, per cui trovo un autogoal mettere una modella così magra.

Per quanto riguarda la gestione del caso, è stata fatta con improvvisazione , cioè senza avere figure capaci di gestire una comunicazione globale come quelle che sono richieste sui social. Per cui, più che una cattiva volontà, credo ci sia stata una mancanza di esperienza alla base dell’atteggiamento.

Quanto si sente geek la Direttrice Artistica del Fashion Camp?

Sono geek ma non sono schiava della tecnologia, sono iperconnessa perché mi piace “chiacchierare” e sono in Rete in pratica dal 1998. Mi sento a mio agio e mi reputo anche fortunata e grata di vivere in un periodo come questo. Le nuove tecnologie che pervadono la nostra vita è un aspetto che condivido in pieno.

Quali device usi e porti sempre con te?

Sono Mac addicted: ho un iPhone, un iPad, un MacBook ed un MacBook Air. Per me la tecnologia è user-friendly ed i prodotti Apple sono quelli che rispecchiano questa filosofia.

Ringrazio Arianna per l’intervista. 🙂 E vi ricordo che l’appuntamento è per il 10 e 11 giugno a Milano. Vi aspettiamo per una due giorni stupenda!

La raccolta di sangue diventa social con Facebook

I social network hanno implicazioni ed un utilizzo davvero “sociale” e possono aiutare a gestire le emergenze. Il gruppo di ospedali israeliani Natal Trauma Center, dedicato in particolar modo alle vittime della guerra e del terrorismo, infatti, ha messo a punto un sistema basato su Facebook per ottimizzare la raccolta di sangue. Spesso, in caso di incidenti, catastrofi, attentati, etc, è infatti la risorsa più importante, ma anche più scarsa, capace di salvare vite umane.

Una delle maggiori difficoltà è quella di trovare donatori e, sopratutto, avere a disposizione sangue compatibile per  permettere le trasfusioni. L’ospedale ha creato, proprio con questo obiettivo, 8 gruppi su Facebook, Facebook Blood Groups, corispondenti ai rispettivi gruppi sanguigni.

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5 consigli per migliorare la tua strategia su Foursquare

Parliamo di geo-localizzazione. Parliamo di Foursquare.

Per voi avevamo creato una piccola Ninja Guide di Foursquare, sempre per voi abbiamo cercato di sintetizzare  5 learning da considerare prima, durante e dopo per la pianificazione e attuazione della vostra strategia geo-localizzata.

1. Creazione di special o badge semplici da ottenere

Uno degli asset principali di Foursquare è il gioco. Se questo diventa difficile, non c’è alcun divertimento. Rendere “realmente” accessibile un badge oppure uno special è sicuramente un must per le aziende. Uno degli scopi di fare business con Foursquare è quello di colmare il divario tra utente e brand a livello locale, creare una barriera all’ingresso è controproducente.

Foursquare offre svariate tipologie di special e badge, proprio per favorire la scelta della strategia adeguata e corretta alle aziende. Scegliete il vostro modo migliore per valorizzare i vostri utenti. Eric Friedman, direttore Foursquare di sviluppo del business, afferma che il miglior tipo di offerte speciali sono quelle che fanno sì  che le persone si sentano speciali e di fornire loro qualcosa che non potrebbe ottenere un consumatore abituale.

2. Formazione del personale

In un settore in continua evoluzione come quello dei social media è fondamentale assicurarsi che il vostro personale sia perfettamente informato e in grado di riconoscere uno special di Foursquare. Gran parte del successo della vostra strategia dipende da questo punto fondamentale. Pensate cosa potrebbe succedere se un utente si recasse  presso la venue – i geo-social network, lo ricordiamo ancora una volta, prevedono la presenza “reale” e “fisica” dell’utente –  per riscuotere lo special e non venisse correttamente ricompensato. Aggiungete uno smartphone, con connessione internet. Mettereste a serio rischio la vostra brand reputation.

Foursquare, vi aiuta in questo senso, mettendo a vostra disposizione uno strumento 1.0: il volantino, un modo semplice per informare correttamente il vostro personale.

3. Valutare le statistiche

Chi sono i vostri utenti? Cosa hanno fatto prima di venire nella vostra venue? A che ora sono arrivati? Queste come molte altre domande necessitano di una risposta se volete avere una strategia di successo. Controllare, monitorare e analizzare la dashboard dovrà diventare il vostro pane quotidiano. Grazie ad essa, sarete in grado monitorare moltissime informazioni sulla vostra venue e suoi vostri utenti che dovrete analizzare e trasformare in azioni concrete capaci di ottimizzare e, se serve, correggere la vostra strategia. Avete la possibilità di conoscere i vostri utenti, perché non sfruttarla?

4. Valorizzare la tua attività o prodotto

Offrire troppi special, offrire special troppo facili da ottenere, offrire special non adeguati per la tua attività: questi sono tutti casi che potrebbero influenzare negativamente il vostro brand o la vostra attività commerciale, anche in termini di revenue. La vostra strategia di geo-localizzazione deve creare delle proficue opportunità per voi e per i vostri utenti. Opportunità che devono essere commisurate con i valori e posizionamento del vostro brand, attività commerciale o prodotto. In ognuno di questi casi dovrete stabilire a priori quale obiettivo vorrete raggiungere: loyalty, awareness, incrementeo vendite, visibilità. Eccovi alcuni esempi:

– Gucci non offre nessun tipo di “promozione” perché questa non è compatibile con i valori del brand e del prodotto. Offre invece l’opportunità di conoscere il mondo Gucci, rendendo accessibili informazioni e fornendo suggerimenti legati al lifestyle del brand.

Coin offre al contrario la CoinCard Easy a tutti i mayor di moltissimi  negozi milanesi. Iniziativa ad alto potenziale di CRM, a fronte investimento di soli 5 euro (il costo della tessera) per mayor.

Perciò, se siete una pizzeria non offrite una pizza gratis per ogni check-in. Piuttosto, perseguite un programma di loyalty, offrendo una pizza gratutita solo dopo tre o quattro check-in presso la vostra attività. Questo è forse banale, ma vi assicuro che mi sono imbattuto in cose del genere.

5. Comunicate il vostro special on-line e off-line


Per incentivare i vostri utenti, vi siete ricordati di segnalare “fisicamente” che offrite uno special nella vostra venue? Non lo avete ancora fatto? Male. Molto Male. Affidarsi esclusivamente alla comunicazione on-line è un errore “strutturale” con i geo-social network. Un ottimo modo per pubblicizzare i vostri special su Foursquare è sicuramente attraverso un mix di comunicazione on-line, tramite azioni cross-mediali: blog, Facebook, Twitter, website isituzionale; e offline, tramite appunto una segnaletica POS: vetrofanie, cartelli, segnaposto.  Siate creativi:  Arby’s riserva tavoli per i Mayor, Petco espone un sacco di cartelli personalizzati e Walgreens attacca adesivi di Foursquare in tutti i suoi ingressi. Perciò dopo avere reclamato il vostro locale su Foursquare, chiedete la spedizione dell’adesivo “Special Here” – è gratuito.

Bene, abbiamo finito. Questi 5 punti sono per me i 5 dogmi da consideare per aumentare le possibilità di riuscita di una strategia geo-localizzata.

Be Ninja.

In-sperience: Lo spazio domestico come luogo di consumo [TREND]


Con un gioco di parole si può parlare di in-sperience, cioè di esperienze, che non si fanno più solo fuori ma anche e soprattutto dentro casa. Il cinema, il teatro, la palestra, la spa, il parrucchiere, il ristorante. La casa è un luogo sempre più aperto, senza pareti, che filtra le esperienze esterne. Un luogo di produzione di senso e la scena di rappresentazione di nuove tendenze.

Le performing arts in casa

Scena e, in alcuni casi, palcoscenico. Diffusi da tempo negli States, gli House Concert hanno preso piede anche in Italia. Musicisti emergenti e affermati si esibiscono unplugged davanti a pochi invitati, quanti ne contiene un soggiorno, per intenderci. Un’ora circa di pura musica e ascolto all’insegna di un legame insolitamente intimo tra pubblico e artista. Il circuito viaggia sul web e i social network, le location sono svelate via mail – e solo qualche ora prima – a chi si iscrive, i partecipanti sono invitati a portare cibo e bevande, come si fa in un vero ritrovo tra amici. Perché prima e dopo si beve e si chiacchiera tutti insieme, artisti compresi.

Ma non solo. Anche l’arte contemporanea sceglie come cornice espositiva le case private che per una sera si trasformano in gallerie. Si tratta di vere e proprie mostre, gestite con modalità professionali a cui il padrone di casa può dare il suo personale contributo “curatoriale”, dal momento che lo spazio/casa espositivo ne rispecchia stile e personalità.

Qualità e professionalità

La dimensione domestica è da sempre intimamente connessa al cibo. E a casa si può mangiare bene come al ristorante. Se il take away è un concetto scontato – e spesso associato a un ripiego – quello “d’autore” è di recente comparsa e diffusione ed è, al contrario, legato a una scelta di qualità. The Friday Night Takeout è il servizio ideato da Frank Hannon – chef di numerosi ristoranti di grido – e attivo per il momento nelle aree di London Fields, Shoreditch e South Hackney. Ogni venerdì, partendo da ingredienti selezionati e rigorosamente di stagione, Frank si esibisce in un piatto a sua scelta (su richiesta anche vegetariano), lo posta sul suo blog e lo consegna a domicilio. Un esempio tra i tanti.

Spazio alla qualità, quindi, e alla professionalità tra le mura di casa. Autoproduzione è diventata in questi ultimi anni – complice anche la crisi – una parola chiave. Largo quindi alle macchine per impastare il pane, produrre vino e ai sistemi outdoor e indoor di coltivazione degli ortaggi, vere e proprie micro-serre domestiche.

La casa non si afferma solo come un contenitore di consumi esterni, ma anche come un codice estetico, espressivo e relazionale da replicare negli spazi pubblici. Negozi, ristoranti, bar e locali riproducono nel design e nell’allestimento l’intimità e le atmosfere calde della casa. La domesticità, l’agio e l’accoglienza sono elementi differenzianti percepiti come un valore dai consumatori.

A Bogotà il locale principe della movida locale – la cosiddetta rumba – è la casa di Armando Fuentes, rockstar locale che negli anni ’70 aveva cercato fortuna e eccessi a Londra e che, tornato in patria con il nome di Armando Records, è diventato un importante manager di artisti. Qualche anno fa decide di trasformare casa sua nel locale più ambito della vita notturna cittadina. Lo stile, quello dei gloriosi anni 70, un ampio terrazzo su cui si balla e si improvvisano concerti e selezione alla porta. Perché mica fai entrare chiunque a casa tua? No, se fosse vero. Il punto è che Armando non esiste. È il frutto dell’immaginazione e dell’abilità imprenditoriale di cinque giovani amici che hanno ri-creato una domesticità “finzionale” e l’hanno fatta abitare da una leggenda metropolitana.

Alessia Zampano

500.000 iOS Apps per l'Apple Store [INFOGRAFICA]

iTunes mezzo milione di Apps approvate

500,000 (cinquecentomila!) ecco un bel numero tondo da comunicare al prossimo Worldwide Developers Conference di giugno e già da ora agli investitori del titolo Apple (AAPL).

In 34 mesi, il team di iTunes di Apple ha approvato più di 500.000 apps per iPhone, iPad e iPod touch (con una media di apps sostituite e ritirare inferiore al 20%, quindi le apps disponibili sono circa 400.000).

Per celebrare l’evento, tre società collegate al mondo delle app 148apps, Chompe e Chillingo hanno prodotto un’infografica da poster.

Mentre l’Apple store si attesta con 10 miliardi di applicazioni scaricate (conteggio partito dallo scorso gennaio) Android conta ancora 3 miliardi di download e uno store con circa la metà delle apps.

Ecco l’infografica con i dati delle 500,000 Apps

Chi volesse scaricare interamente l’infografica e diventare fan ecco la fanpage su facebook http://www.facebook.com/500kapps

Tutti in posa per il video clip dei C-mon and Kypski [VIRAL VIDEO]

Musica e tecnologia: per il video del singolo “More or Less” la band americana C-Mon and Kypski ha chiesto ai propri fan di mettersi in posa davanti alla webcam, immortalare il momento e diventare parte del video-clip della canzone.

Il progetto si chiama One frame of fame e non è un mero esperimento sociale: dietro questa operazione di coinvolgimento dei fan e di crowd sourcing c’è in realtà un progetto tecnologico ben preciso: sviluppare un algoritmo che permetta ai computer di riconoscere le pose degli individui, ignorando tutto quello che sta intorno, abbigliamento, ambiente etc.
La tecnologia da sviluppare è la stessa da Microsoft Kinect per la consolle XBox360: persone diverse che simulano la stessa posizione davanti alla webcam, per costruire degli efficienti occhi al computer.
Trovato qui

15+ esempi di product video per startup di successo

Il video-teaser stile spy movie di MacHeist: http://macheist.com/theheist

Si dice che il video sia il medium più promettente per il futuro del web, il supporto più potente di cui oggi si possa disporre per veicolare informazioni di ogni tipo: dalla pubblicità all’e-learning, dagli screencasts alla video-chat, il video online porta su internet tutta la massiccia portata comunicativa dell’immagine in movimento.

La dieta quotidiana di qualsiasi internet user si sta integrando sempre più con dosi ingenti di video di ogni genere, e in questo senso si stanno già affacciando le prime forme di ibridazione PC-TV (Youtube XL, con l’interfaccia dedicata ai pannelli LCD di grandi dimensioni, o Vimeo Couch Mode, per una visione in modalità “lean back) ed i primi servizi di video-curation (recente l’uscita di Plizy).

Ma se il video online è formidabile per l’intrattenimento e lo svago, lo è altrettanto per istruire lo spettatore circa le funzionalità di un prodotto o un servizio; esiste infatti una folta popolazione di “product videos” che fanno esattamente questo: raccontano un prodotto e lo illustrano al suo potenziale consumatore.
In particolare, la comunità startup ha scelto il product video come strumento d’elezione per informare, coinvolgere e in ultima analisi convincere all’acquisto/adozione il proprio pubblico. Esistono infatti centinaia di filmati realizzati a questo scopo, e praticamente ognuno dei grandi nomi del panorama di settore ne sfoggia almeno uno.
Gli stili e le tecniche di realizzazione sono le più varie: dal minimalismo handmade stile Commoncraft, alla motion graphics, passando dalla proiezione sul mondo reale di interfacce web usata fra gli altri da AirBnb.

Non aggiungiamo altro e vi lasciamo in compagnia di 15+ product videos di startup più o meno conosciute.
Lasciatevi ispirare 🙂

Groupon Now

Square

Flipboard

Things

Dropbox

Path

Chrome OS

Flavors.me

Box.net

Frid.ge

Silk

Evernote

AirBnb

Yobongo

Google +1

Flow by Metalab

Everyday app

Special: macHeist, video in MP4 qui

Come riconoscere una foto modificata [HOW TO]

Che vi piaccia o no, oggi la foto-manipolazione è diventata più facile e i risultati sono migliori di quanto lo siano mai stati. Di solito, le alterazioni vengono fatte a fin di bene – per togliere gli occhi rossi o sistemare il bilanciamento del bianco, ad esempio – ma altre volte le modifiche possono metterci in difficoltà. Quando allora incontriamo una foto modificata, come riuscire a riconoscerla ?

Un po’ di storia

Le immagini ritoccate ci hanno accompagnati sin dalla comparsa delle prime macchine fotografiche. Un esempio famoso sono le Fatine di Cottingley del 1917, che hanno ingannato addirittura Sir Arthur Conan Doyle, l’autore di Sherlock Holmes.

Ovviamente, con la tecnica raggiunta ai giorni nostri, le foto sono tutte da ridere, ma all’epoca ci ha creduto tanta gente. Considerate però che a quei tempi rimuovere delle parti dalla foto o aggiungere elementi che non c’erano non doveva essere tanto facile, e quindi la maggior parte delle “falsificazioni” avveniva su foto a soggetto fisso (guardate un po’ la fotografia del Mostro di Lochness).

Manipolazione digitale

Con l’avvento di software appositi come Photoshop e con le macchine fotografiche che diventavano sempre più affidabili anche per l’utilizzo quotidiano, si è diffusa la pratica di modificare le foto in digitale; allo stesso tempo o proprio in risposta a questa tendenza si è sviluppato il campo dei digital forensics, professionisti che si impegnano a svelare le mistificazioni e le immagini false. E’ importante ricordare comunque che la maggior parte dei ritocchi viene eseguita semplicemente per ragioni estetiche. Quanto sono fastidiosi gli occhi rossi? Ci sono dei software che li rimuovono automaticamente, così come macchine fotografiche che fanno lo stesso oltre a mettere a fuoco i volti inquadrati al momento dello scatto.

Simulare la bravura del fotografo

Esiste anche l’abilità di modificare il bilanciamento del bianco di una foto, o di sistemare luminosità e contrasto per creare un’immagine più bella da vedere. Non si tratta di una falsificazione vera e propria (più che altro della bravura del fotografo), ma è una pratica molto diffusa. Prima dell’era digitale i fotografi facevano già queste cose direttamente nella camera oscura.

Un’altra pratica diffusa è quella di ritagliare l’immagine in modo da rimuovere eventuali imperfezioni oppure oggetti presenti nelle zone dei bordi, che potrebbero distrarre dal soggetto principale. In questo modo chi vede la fotografia concentra l’attenzione su quello che il fotografo ha voluto esprimere invece di indugiare su dettagli meno rilevanti.

Il timbro clone

Finora le modifiche che ho elencato sono quasi tutte a fin di bene, ed eccone un’altra: usare il timbro clone per rimuovere quei fastidiosi tralicci dell’alta tensione da un paesaggio meraviglioso, ad esempio. Chi non l’ha fatto almeno una volta? Se il timbro è stato usato nel modo giusto, è difficile scoprire il “misfatto” (a meno che ovviamente non si conosca la veduta originale o si abbiano altre foto per confrontare), ed è difficile da individuare senza software appositi.

Luce e prospettiva

Mentre noi umani, secondo una ricerca del Dartmouth College (nel New Hampshire, in USA), siamo molto bravi a riconoscere i volti e determinare direzione e velocità del movimento, non andiamo molto d’accordo con ombre e prospettiva. E questo non va bene, in quanto il primo passo per vedere se una foto è stata modificata o meno è proprio guardare le ombre, le luci e la prospettiva.

Prendete ad esempio la foto del turista accidentale dell’11 settembre, che ha fatto il giro del mondo: dopo aver superato l’inquietudine iniziale data dal vedere un aereo che sembra schiantarsi in un grattacielo, vi accorgerete che ci sono varie incongruenze nelle ombre. Sia l’aereo che l’uomo sono in prospettiva frontale, ma l’uomo ha delle ombre molto forti sul viso (tanto che quasi non si vede la parte destra); l’aeroplano invece sembra catturato in foto direttamente dall’alto, e visto che vola presumibilmente non c’è nulla che potrebbe fare ombra.

C’è una semplice tecnica per scorgere le incongruenze delle ombre. Visto che la luce viaggia in linea retta, basterebbe unire un punto dove un oggetto è illuminato e lo stesso punto sulla sua ombra, per poi estendere la linea verso la fonte della luce. Tutte le linee dovrebbero incontrarsi in un punto, o essere tutte parallele se si tratta di luce solare. Allo stesso modo, tutti i riflessi dovrebbero essere perpendicolari alla luce e puntare verso la stessa direzione. Guardate di nuovo la foto, scoprite qualcosa che non va adesso?

Ripetizioni nelle immagini

Cercate anche dei pezzettini duplicati nelle immagini: un esempio clamoroso è stato questa foto di Adnan Hajj del fumo sopra Beirut dopo un bombardamento Israeliano. Il fumo di due colonne diverse è chiaramente stato duplicato, probabilmente con il timbro clone (strumento di Photoshop, NDR). Ed è un ritocco fatto così male che si capisce subito quanto sia un falso, ma alla Reuters la foto fu passata senza problemi al mondo intero.

State attenti perché è facile farsi ingannare, ma è altrettanto facile osservare meglio due o tre elementi dell’insieme e scoprire gli “imbrogli”.

Freelance: 5 online community su misura

Le prospettive di guadagni extra e la flessibilità dell’organizzazione del lavoro spingono molti professionisti a lavorare come freelance. Essere un libero professionista e gestire molteplici clienti non è però sempre facile, mentre può rivelarsi molto utile condividere risorse, best practice o anche opportunità di lavoro con una community online.

Ecco cinque siti dedicati a chi opera come freelance che possono offrire un valido supporto a chiunque opti per svolgere questo particolare tipo di attività.

1. Elance: Elance offre ai freelance la possibilità di compilare il proprio profilo, di candidarsi per i progetti proposti dalle aziende presenti sul sito e di svolgere la loro attività nell’area di lavoro cloud-based. La community prevede diverse modalità di partecipazione, che vanno da un livello base gratuito a una sottoscrizione di 40$ mensili che, tra gli altri vantaggi, offre la possibilità di sottoporre il proprio portfolio a un numero più elevato di aziende, una più ampia “zona di lavoro” virtuale e permette l’accesso a un numero illimitato di utenti.
Le aziende possono assumere i freelance e coordinare il progetto direttamente nell’area di lavoro cloud-based, mentre le procedure di pagamento e fatturazione sono gestite da Elance.

2. oDesk: simile a Elance nel fornire un database consultabile dalle aziende in cerca di professionisti, non prevede il pagamento di una tariffa al momento dell’iscrizione alla community ma trattiene il 10% di tutti i pagamenti effettuati sulla piattaforma.
Applicazioni e strumenti Excel, Java, WordPress e Ruby on Rails (insieme a tanti altri) permettono ai freelance di testare online le proprie skill e capacità prima di proporsi a un particolare cliente.

3. Sologig: Sologig funziona in maniera leggermente più tradizionale. I freelance possono registrarsi gratis alla community e iscriversi alla newsletter dedicata alle opportunità di lavoro, oltre a cercare le posizioni aperte direttamente sul sito. Possono inoltre inserire il loro curriculum, le cui parole chiave vengono utilizzate per cercare corrispondenze con i profili cercati dalle aziende.
Se per i freelance il servizio è gratuito, non lo è per le aziende (tra le quali ci sono anche Ernst & Young, Lockheed Martin e Medix IT Staffing Solutions), che pagano una tariffa per inserire le loro proposte di lavoro e consultare il database di Sologig.

4. Hour.ly: nato nel 2010, Hour.ly ha subito vinto il People’s Choice Award allo Startup Showcase della O’Reilly Media.
Si tratta di una vera e propria social networking community in cui i freelance (gratuitamente), possono creare il proprio profilo completo di informazioni di contatto, foto e caratteristiche professionali. Ci si può proporre per un lavoro con un semplice click, mentre Hour.ly confronta i profili dei freelance con le opportunità di lavoro pubblicate dalle aziende (che utilizzano il servizio ugualmente in maniera gratuita) in base a location, modalità di retribuzione, esperienze professionali e disponibilità. I colloqui di lavoro possono svolgersi utilizzando il servizio di video chat di Hour.ly.

5. Freelance Switch: in questa community i freelance non solo forniscono informazioni riguardo le proprie esperienze professionali, ma pubblicano anche resoconti sul “freelancer lifestyle”. Stabilire un compenso, avere a che fare con i clienti, ottenere referenze sono i temi trattati da un gran numero di articoli presenti sul sito, insieme ai podcast dedicati alle negoziazioni contrattuali e al personal branding.
L’accesso alla piattaforma è gratuito, ma non la candidatura alle offerte di lavoro, per la quale è previsto il pagamento di una sottoscrizione che parte dai 7$ al mese. Tra le aziende che (gratuitamente) pubblicano offerte di lavoro ci sono anche Sony, Nokia e Adobe.

E voi, avete mai provato ad utilizzare una di queste piattaforme? Cosa ne pensate?

The Insiders, un'agenzia per il passaparola in Italia


Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo. Ma niente sostituisce lo sguardo dell’essere umano.
A sentire queste parole, si direbbe che anche Paulo Coelho sia un fervente sostenitore del word of mouth!

Gli spot in tv? Seccanti. La pubblicità su internet? Solo spam. L’azienda belga The Insiders ha deciso che i tradizionali media hanno troppi difetti e li lascia perdere per puntare su qualcosa di più semplice: il passaparola.

Tra le cose che maggiormente influenzano l’acquisto ci sono i consigli dei nostri conoscenti. Per questo la potenza del passaparola non è da sottovalutare. Ok, so di non aver detto una geniale novità. Buzz e leader d’opinione sono pane quotidiano per tutti i ninja. Però l’agenzia di Anversa è riuscita a sviluppare l’idea in modo piuttosto interessante.

La filosofia

The Insiders sfrutta le logiche dei social network: aggrega intorno a sè gli utenti desiderosi di diventare ambasciatori di una marca e li spinge a condividere la propria epserienza. Il web 2.0, per definizione, è interattivo. Dunque, è proprio questa caratteristica che fa crescere The Insiders e permette al passaparola di diffondersi.

“Ai nostri ambasciatori proponiamo di provare dei prodotti, generalmente senza richiederne la restituzione, e di tenerci aggiornati sulla prova mediante la compilazione di un certo numero di report”, le parole di Umberto Luciani, Country Sales & Marketing Manager di The Insiders, ci spiegano in sintesi il vero ruolo dell’ambasciatore: “Quello che l’utilizzatore finale deve fare è ciò che si è sempre fatto negli anni: parlarne con gli amici“.

Come funziona

Gli iscritti potranno postare all’interno del sito foto, commenti e contenuti vari sulla propria esperienza, ma soprattutto dovranno diffondere le loro opinioni, coinvolgendo ovviamente il proprio network offline e online.

Case study

Se guardiamo i risultati, con una campagna di 8 settimane, l’azienda Herta ha raggiunto 200mila consumatori, sfruttando il passaparola di 1000 ambasciatori.
E in Italia? Per adesso, l’obiettivo di The Insiders è raggiungere quota 50mila iscritti. E quando ci riuscirà…non potremo fidarci più di nessuno!