Possiamo ancora proteggere la privacy?
"Siamo amareggiati. Si tratta di una decisione estrema e non proporzionata. Siamo sempre stati disponibili e continueremo ad esserlo e a collaborare con le autorità".
Così un portavoce di Facebook ha commentato l'arresto di Diego Dzodan, numero due del social network in America Latina, che ha anche ricevuto sanzioni economiche.
I problemi legati al binomio privacy/tecnologia si moltiplicano: nello scorso dicembre, un giudice brasiliano aveva temporaneamente ottenuto il blocco del servizio a causa del diniego di fornire l'accesso ai dati e alle conversazioni presenti su WhatsApp, società appartenente a Facebook, di alcuni soggetti coinvolti in attività criminali. Tutto questo per 48 ore e nonostante le proteste di milioni di utenti.
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Facebook, WhatsApp e privacy
Ci troviamo di fronte al terzo caso in pochi mesi in Brasile: l'azienda di Zuckerberg si è più volte rifiutata di fornire i dati richiesti. Già a febbraio 2015, infatti, il gruppo si era rifiutato di fornire l'accesso ai dati personali riguardo a pochi soggetti sospettati di reati legati alla pedofilia, per proteggere la privacy dei suoi moltissimi utenti.
Questa volta il giudice brasiliano ha concesso un mese di tempo per fornire i dati richiesti, imponendo anche una multa giornaliera; è stato dunque inevitabile, per recidiva, l'arresto di Diego Dzodan, con l'accusa di non aver comunicato dati dell'applicazione più scaricata in Brasile negli ultimi due anni.
A nulla è valsa la giustificazione del team brasiliano, secondo cui WhatsApp non memorizza i messaggi scambiati dagli utenti, che sono invece criptati da entrambe le parti.
L'arresto di un responsabile di Facebook appare, secondo le dichiarazioni dello staff del popolare social network, fuori misura, perché basa l'accusa di intralcio alle indagini su informazioni che l'azienda non è in grado di fornire.
Prima di Facebook, FBI vs Apple
Non è passato molto dalla burrascosa vicenda che ha coinvolto Apple dopo la richiesta dell'FBI di creare una backdoor per accedere alle conversazioni e ai dati personali di un iPhone 5 di proprietà di uno dei cecchini della strage di San Bernardino.
Apple ha intrapreso un impegnativo braccio di ferro per proteggere la privacy dei dati memorizzati sui dispositivi, affrontando il Governo Americano davanti al Congresso, opponendosi all'ingiunzione che obbligava l'azienda a fornire tutto l'aiuto possibile alle indagini relative ai reati penali, fino alla creazione della temuta backdoor.
Il consigliere generale di Apple, Bruce Sewell, testimonierà infatti al Congresso.
Non è questo l'unico caso in cui dal Governo è stato richiesto lo sblocco di un terminale (iPhone o iPad) di proprietà di soggetti coinvolti in procedimenti penali.
Proteggere la privacy: bloccare un iPhone è una violazione?
Sono oltre una dozzina le richieste da parte delle autorità americane e lo sblocco dell'iPhone 5 del tiratore di San Bernardino potrebbe stabilire un rilevante precedente di violazione autorizzata della privacy.
Proprio in questi giorni un giudice di New York, pronunciandosi su un caso di sblocco di un dispositivo interessato da All Writs Act, si è espresso in modo favorevole ad Apple, fornendo, di fatto, un utile aggancio all'azienda di Cupertino.
In questo scontro legale che può decidersi sulla motivazione di incostituzionalità, Sewell sostiene che: "Il popolo americano ha diritto ad una conversazione onesta intorno a queste tematiche importanti".
La crittografia usata da Apple è stata sviluppata da team super qualificati nel corso degli anni per proteggere la privacy di chi li usa.
Se oggi si dimostra tanto efficace da risultare inaccessibile ai tecnici del governo, essenzialmente conferma sicurezza e affidabilità, proprio per proteggere la privacy delle persone.
Esiste una platea più ampia su cui promuovere un prodotto?
Proteggere e violare la privacy: nessuna certezza, solo interrogativi
Solleva molti dubbi la questione relativa alla sicurezza dei nostri dati.
Fatti qualche domanda: è possibile assumersi i rischi di lavorare alla vulnerabilità di un sistema, invece che alla sua sicurezza?
Quanti diritti siamo disposti a barattare per questa società "sicura"?
A quanti milioni ammonta il numero delle persone, incensurate, che pagherebbero, in termini di privacy, l'accesso ai dati di questa dozzina di criminali?
O ancora, è possibile che il lavoro e i risultati degli investigatori dipendano, in così grande parte, da dati a cui non possono o non riescono ad accedere? Quanto sono affidabili i servizi di intelligence?
Insomma, dove sono i super hacker assoldati dalla CIA nei film americani?
Dall'altro lato: possiamo accettare a cuor leggero che la forza di pochi soggetti privati sia tale da mercanteggiare con le istituzioni nazionali e sovranazionali?
Quello tra FBI e Apple pare un braccio di forza fantascientifico. Possiamo cedere la sovranità alle S.p.A?
USA e Europa, approcci diversi alla privacy
Stati Uniti e Unione Europea hanno storicamente e giuridicamente avuto approcci diversi nel proteggere la privacy e il diritto alla riservatezza: l'Unione Europea ha adottato una legge generale in materia (recepita in tutti gli stati membri e valida quindi anche per l'Italia), la Direttiva 95/46/CE, mentre gli USA utilizzano gli strumenti tipici del sistema di Common Law, disciplinando le fattispecie caso per caso e sulla base dei precedenti.
Questa differenza legislativa rende evidente la complessità del tema per un sistema giuridico basato sui casi e sulla giurisprudenza invece che sui codici: stabilire che è possibile e legittimo (Che è secondo la legge, che ha le condizioni richieste dalla legge, e perciò valido - Treccani) invadere la sfera privata di un individuo, tramite una sentenza, costituisce una frattura col passato e una importante innovazione giuridica.
Proteggere la privacy: si tratta di una vera frattura, in relazione a tecnologie mai normate?
La nozione di privacy nel diritto anglosassone è piuttosto ampia: una definizione giuridica di privacy non esiste e tutta la legislazione americana è considerata patchwork quilt legislation a causa della frammentarietà del regime di tutela del diritto alla riservatezza.
Il rischio di affidarsi a decisioni giurisprudenziali per dirimere controversie legate alle tecnologie più innovative va calcolato come la severa rinuncia ai principi di equità, tipici dei sistemi occidentali regolati sulle fattispecie, del Pater Familias.
Privacy e iperconnessione
Allora, possiamo davvero parlare di frattura col passato?
Probabilmente, no: gli strumenti tecnologici e le intelligenze artificiali si sviluppano più in fretta di quanto possano fare i processi di normazione per legiferare e i limiti tra privacy e condivisione spontanea assumono contorni sempre più sfumati.
Se il potente Governo degli Stati Uniti ha bisogno di Tim Cook, chi è che comanda davvero?