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WPP Gioia e la ripartenza attraverso le testimonianze di artigiani e commercianti milanesi

WPP celebra la ripartenza delle attività in Italia con una campagna, la prima ideata dalle sue agenzie creative con sede nel nuovo WPP Campus di Milano, che incoraggia le persone a sostenere i piccoli commercianti, i negozi di quartiere e gli artigiani locali. 

 In un mercato in continua evoluzione e sempre più globale, le tante restrizioni e chiusure imposte dalla pandemia mondiale hanno messo in difficoltà chi gestisce le piccole realtà commerciali e artigianali di quartiere. WPP Gioia, campagna creativa pro bono, ha l’obiettivo di esaltare e celebrare la passione e l’abilità dei commercianti locali e il loro costante contributo alla comunità.

Ripartenza

WPP ha recentemente consolidato il suo impegno nel settore creativo italiano con l’apertura del WPP Campus di Milano, un hub innovativo all’interno di uno dei quartieri storici di Milano che, un tempo, ospitava la fabbrica della ex Richard Ginori. Il Campus, infatti, riunisce, in un’unica sede, la creatività e il talento di più di 2.000 dipendenti delle oltre 35 agenzie WPP. 

WPP Gioia ha visto lavorare insieme tutti i leader creativi, mostrando la sinergia che il WPP Campus di Milano è in grado di offrire. Ideata da Francesco Bozza, VP Chief Creative Officer Grey Italy, Lorenzo Crespi, Chief Creative Officer Wunderman Thompson Italy, Giuseppe Mastromatteo, Chief Creative Officer Ogilvy Italy e Francesco Poletti, Chief Creative Officer VMLY&R Italy, e realizzata in partnership con IGPDecaux.

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La campagna ha avuto inizio il 22 settembre, in occasione dell’inaugurazione ufficiale del nuovo WPP Campus di Milano, e riempirà di “gioia”, fino al 22 ottobre, gli spazi della fermata della linea metropolitana M2 Gioia di Milano. Un luogo scelto proprio per far emergere l’obiettivo dell’iniziativa di celebrare la gioia che, non è solo il nome di una fermata, ma rappresenta anche un meraviglioso stato d’animo e un augurio per il futuro. 

Dalla stilista emergente al barbiere, dal ristoratore al cameriere passando per le commesse e i personal trainer, la campagna racconta le loro storie di vita reale, in modo personale e intimo, e le emozioni che hanno provato quando sono stati in grado di tornare a una nuova normalità mentre riaprivano le loro attività dopo mesi di difficoltà.

La scelta di unire per la prima volta le competenze creative delle agenzie italiane di WPP in una campagna pro bono che celebra l’ottimismo della riapertura della città di Milano, è un segnale del nostro impegno per aiutare la comunità imprenditoriale locale a crescere. Attraverso la campagna WPP Gioia abbiamo voluto raccontare le storie delle persone che, con passione e dedizione, lavorano in piccole attività di quartiere.

Commenta Simona Maggini WPP Country Manager in Italia.

La creatività può e deve essere uno dei motori della ripartenza, ed è anche per questo che abbiamo voluto che il nostro nuovo Campus di Milano fosse un vero e proprio hub per il talento creativo. Aiutare le imprese a raccontare storie, obiettivi e idee nel miglior modo possibile non significa solo ritornare a una nuova normalità ma vuole anche essere uno stimolo per le persone a immaginare un futuro migliore e a impegnarsi per realizzarlo.

Instagram unisce video del feed e IGTV in un unico formato

Da oggi su Instagram i video di IGTV e i video del feed saranno combinati in un unico formato: Instagram Video. Comparirà sul profilo una nuova tab Video, che permetterà agli utenti di scoprire tanti nuovi contenuti in tutta facilità. La nostra community di creator sfrutta moltissimo i video per raccontare le proprie storie, intrattenere e connettersi con il pubblico: per questo vogliamo rendere sempre più semplice creare e scoprire video su Instagram.

Rendere più semplice caricare e scoprire video

I video di IGTV e del feed avranno un unico formato, ma il processo per caricare i video dal proprio rullino foto sarà lo stesso: cliccando sul simbolo + nell’angolo in alto a destra nella home page di Instagram e selezionando “Pubblica”.

Introdurremo anche nuove funzioni per ritagliare i video, nuovi filtri e nuovi tag di persone e luoghi.

I creator continueranno a fare cross-posting dei propri video nelle Storie, e a condividerli tramite direct. L’accesso a tutti i nostri strumenti offre ai creator tante possibilità per raccontare le proprie storie e coinvolgere la community. Le anteprime dei video nel feed saranno ora di 60 secondi, a meno che il video non sia idoneo per le inserzioni: in questo caso, l’anteprima resterà di 15 secondi.

Sono un creator e trovo fantastico che non ci sia più alcuna divisione tra i diversi formati: i video del feed e di IGTV sono semplicemente video. Quando una persona cerca un contenuto da guardare online, non lo seleziona in base alla durata del formato ma in base a cosa la può divertire e intrattenere. Sono contento di non aver più bisogno di navigare tra tante tab diverse per guardare video su Instagram.

Nuove modalità per guardare e analizzare i video

La nuova tab Video sarà la casa di questo formato combinato, e renderà più semplice per gli utenti trovare i contenuti dei creator che amano. Mentre guardano un video su Instagram, le persone possono toccare qualunque punto del video per visualizzarlo a schermo intero; inoltre, hanno sempre la possibilità di scorrere per scoprire nuovi contenuti interessanti.

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Per rendere più facile per le aziende e i creator conoscere i risultati dei loro contenuti video, stiamo realizzando una metrica che comprende sia gli insights sui post del feed sia quelli sui video.

Raggiungere nuovi utenti con le inserzioni video

Con Instagram Video, le inserzioni di IGTV si chiameranno inserzioni video in-stream di Instagram. I creator idonei potranno ancora monetizzare i contenuti di lunga durata, e i brand potranno raggiungere il pubblico coinvolgendolo con contenuti lunghi. Le aziende interessate a promuovere i propri video per raggiungere più utenti, potranno pubblicare video non superiori ai 60 secondi.

La tab Video è la nuova casa del visual storytelling. Siamo felici di vedere i creator su Instagram continuare a creare contenuti che ispirino gli altri ad essere creativi.

eCommerce: 5 consigli per gestirlo al meglio

Dallo studio di Forrester Consulting commissionato da THRON, piattaforma di Digital Asset Management utilizzata dai principali brand globali – da Furla a Valentino, da Dainese a Whirlpoolemergono consigli utili per risparmiare budget, accelerare il time to market e proteggere la coerenza del brand.

Gestire un eCommerce è da sempre un lavoro dispendioso, con forte strategia progettuale: i dati registrano una richiesta del 10% del budget di marketing e un 40% dei brand europei incapace di analizzare correttamente i dati di fruizione dei propri utenti quando provengono da fonti diverse.

Per gestire al meglio il catalogo online è necessario centralizzare su un’unica piattaforma gli asset digitali e i relativi flussi di creazione, approvazione e distribuzione. Questo porterebbe a beneficiare 7 aziende su 10, facendo aumentare i clienti (68%) e la loro soddisfazione (71%).

Di seguito, i 5 step per organizzare in modo più efficiente le diverse fasi che portano alla pubblicazione dei contenuti di un eCommerce.

  1. Centralizzare i flussi di lavoro, shooting compresi

Gli shooting fotografici di prodotto sono uno dei momenti più delicati della costruzione di un catalogo. Accentrare e facilitare le attività di tutti i membri coinvolti favorisce una gestione più efficiente sin dalle prime fasi. Se il team di prodotto, fotografi e agenzie esterni lavorano sulla stessa piattaforma, già a partire dal brief di lavoro, si facilitano i flussi approvativi e si accelera lo step di pubblicazione, perché le informazioni sono già associate agli scatti.

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  1. Curare i performance content per migliorare l’esperienza d’acquisto

Secondo un recente studio di Jellyfish, descrizioni di prodotto, di categoria e guide all’acquisto – i cosiddetti Performance Content – hanno un ruolo cruciale nel completare la shopping experience e nel convertire visitatori in vendite. Il 78% delle aziende, ad esempio, perde regolarmente traffico organico a causa di descrizioni di prodotto poco accurate. Curare questo tipo di contenuti è fondamentale per aumentare in modo costante le performance del proprio eCommerce. Per creare un’esperienza utente realmente efficace, il catalogo va arricchito con immagini di qualità, video che mostrano le caratteristiche e le funzionalità degli articoli in vendita e descrizioni il più possibile approfondite e complete, per permettere agli utenti di valutare ogni dettaglio e soddisfare la loro curiosità. Poter contare su una piattaforma centralizzata per contenuti e informazioni di prodotto, tramite la quale gestire anche la pubblicazione del catalogo i sull’eCommerce, permette di valorizzare al meglio questo tipo di asset.

  1. Centralizzare la distribuzione del catalogo

La pubblicazione del catalogo è una fase delicata. Centralizzare la distribuzione degli asset sui canali finali significa pubblicarli ovunque, eCommerce incluso, senza la necessità di trasferire lavoro, contenuti o informazioni su altri sistemi. Questo si traduce in risparmio di tempo e budget e attenzione alla brand reputation, con informazioni su diverse piattaforme – comprese vetrine intelligenti, digital signage, app e siti del brand in diverse lingue – sempre coerenti e aggiornate.

  1. Mantenere aggiornato l’eCommerce, in automatico

L’eCommerce è una vera e propria vetrina virtuale e, come tale, in evoluzione. Al momento di pubblicare la nuova collezione, aggiungere nuove immagini, video o aggiornare le descrizioni delle pagine prodotto, sarà sufficiente gestire il tutto attraverso una piattaforma di Digital Asset Management per vederle aggiornate in automatico sull’eCommerce e tutti gli altri canali del brand. Spesso infatti questo tipo di piattaforme conta anche su integrazioni native con i principali sistemi eCommerce, che permettono di mantenere aggiornato il catalogo in automatico e in tempo reale

acquisto su ecommerce

  1. Creare un’esperienza utente personalizzata

Gestire in maniera integrata gli asset digitali permette di analizzare in maniera univoca i comportamenti dei propri utenti per conoscere i loro interessi e preferenze. Alcuni sistemi di Digital Asset Management offrono strumenti di Analytics nativi, che permettono di raccogliere insight avanzati sulle performance dei contenuti dell’eCommerce e raccogliere informazioni sugli interessi e le abitudini d’acquisto dei propri utenti. In questo modo, sarà molto più semplice misurare il ROI della propria content strategy e costruire esperienze d’acquisto veramente personalizzate ed efficaci.

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Instagram, Facebook e WhatsApp non funzionano, blackout totale del Zuckerverse

Instagram, Facebook e WhatsApp non funzionano più.

I malfunzionamenti sono iniziati alle 17.30, fino a rendere inaccessibili le piattaforme di Facebook, WhatsApp e Instagram.

Il fenomeno ha coinvolto Paesi di tutto il mondo e ha costretto l’azienda alle scuse.

Trionfa invece Twitter, dove gli utenti di tutto il mondo si sono riversati in massa scatenando l’ironia da meme, tipica dei feed del social.

facebook down

Intanto, Twitter gongola e saluta tutti “i nuovi arrivati” orfani delle piattaforme di Mark Zuckerberg.

Sotto il tweet dell’account ufficiale dell’azienda fondata da Jack Dorsey, hanno risposto moltissimi grandi brand, dando un cinque virtuale all’unico vero social funzionante. Tra i tanti. anche, McDonald’s, Burger King, Reddit, Warner Bros, Alexa, OnlyFans, Tumblr, KFC e non sono mancati all’appello anche gli account proprio di WhatsApp e Instagram.

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Quasi centomila commenti al saluto di Twitter e più di mezzo milione di retweet, più un milione e mezzo di cuoricini a incoronare l’indiscusso re dei social.

Festeggia anche Telegram che, in ogni occasione in cui WhatsApp ha alzato bandiera bianca, ha guadagnato milioni di iscritti in tutto il mondo.

E a un certo punto, alle 21.30 circa, ora italiana, è saltato anche Twitter, forse per la congestione causata dall’afflusso enorme di utenti sulla piattaforma.

twitter down

Le misteriose ragioni del blocco

Secondo Reuters, Facebook risulta inaccessibile perché gli utenti non vengono indirizzati nel posto giusto dal Domain Name System.

Gli esperti della sicurezza che seguono la situazione hanno dichiarato che l’interruzione è stata probabilmente innescata da un errore di configurazione che ha lasciato le indicazioni per i server di Facebook non disponibili. Potrebbe quindi essere il risultato di un errore interno, anche se il sabotaggio da parte di un insider sarebbe teoricamente possibile.

Facebook intanto non ha fornito alcuna specifica sulla natura del problema o quanti utenti sarebbero stati colpiti dall’interruzione, ma l’ipotesi della cancellazione dai registri DNS è stata confermata anche da Brian Krebs, un esperto di sicurezza informatica.

scuola e lavoro

Il pezzo di carta non basta più: cosa emerge dai dati sulle previsioni occupazionali

Il mantra che abbiamo sentito ripetere dalle generazioni più adulte è sempre stato “Senza un pezzo di carta non si va da nessuna parte”.

Per molto tempo il “pezzo di carta” fondamentale è stato il diploma di maturità; negli ultimi anni, sempre di più, il minimo indispensabile è diventato molto spesso un altro certificato, quello di laurea.

Senza laurea, infatti, si resta automaticamente esclusi da una gamma molto ampia di lavori. Non è un caso se il dato relativo ai laureati in Italia è andato via via aumentando, pur rimanendo al di sotto del livello medio europeo: nel nostro Paese, tra la popolazione tra i 25-64 anni, solamente un quinto risulta laureato rispetto al 32,3% europeo.

Il nuovo inizio dell’anno scolastico fa riflettere sempre sulla centralità della scuola e dell’università nello sviluppo della cittadinanza, ma apre sempre a nuovi dibattiti e riflessioni sull’efficacia delle stesse, sui contenuti e sui programmi, sulle modalità, sull’ibridazione tecnologica più o meno prevalente ed efficace.

Spesso si tralascia l’approfondimento sul metodo, rimanendo superficialmente a questionare su quali materie insegnare nelle scuole: il pensiero di molti è quello di basare la scelta dei contenuti scolastici a partire dalle richieste delle grandi aziende oggi sul mercato del lavoro.

Purtroppo, in questa accezione, esistono errori di prospettiva e di interpretazione che non possono essere tralasciati.

Formare specialisti richiede tempo e non sempre le richieste delle imprese rimangono le stesse per molti anni come in passato.

Come sappiamo, le necessità professionali cambiano vorticosamente e sono estremamente influenzate anche dalle mode e dalle opinioni che vengono diffuse incessantemente sul tema.

Il rischio mediatico è sempre di creare illusione e confondere le nuove generazioni per incapacità di immaginare concretamente il futuro del lavoro.

Purtroppo, è naturale che si tenga conto dei punti di vista delle grandi aziende che sono solitamente anche quelle che hanno voce per esprimere i propri fabbisogni professionali, ma questo non significa che valga lo stesso per le migliaia di piccole microimprese (che costituiscono la parte più cospicua del mercato) che in buona parte ricercano lavoratori in settori tradizionali e anche con bassa qualifica.

Proviamo allora ad analizzare cosa effettivamente emerge dai dati sulle previsioni occupazionali per decifrare quali siano i capisaldi da tenere a mente quando discorriamo di istruzione.

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Cosa richiede il mercato del lavoro

C’è da ricordare sempre, prima di ogni altra considerazione, che la percentuale di italiani che ha solo un titolo di scuola media o elementare raggiunge il 50%, più un ulteriore 8% di persone non-analfabete ma che non possiedono alcun titolo. In pratica, 6 italiani su 10 non hanno un titolo di studio superiore!

Molti sono anziani che probabilmente non hanno avuto in passato l’opportunità di proseguire gli studi. Questa è lo scenario che fa da base a tutti i ragionamenti.

Pensando ai laureati, questi sono solo il 9% del totale e, ogni anno, i nuovi sono circa 320.000, su una base di circa 1 milione e 800 mila studenti iscritti a corsi universitari o di alta formazione artistico-musicale.

Quindi i giovani sono complessivamente più istruiti: il 75% (pari al 9% dei 25-34enni); le facoltà dove orienta le proprie scelte chi si immatricola oggi all’università sono soprattutto Economia, Medicina, Ingegneria e le facoltà d’indirizzo scientifico.

Forse questo dimostra allora quanto i giovani siano, tutto sommato, allineati alle richieste del mercato del lavoro.

Il tasso di occupazione che infatti viene registrato per queste facoltà (a 5 anni dalla laurea) è intorno al 90%, contro un 75% per le facoltà di ambito letterario, giuridico e psicologico, dove i guadagni sono minori anche dal punto di vista retributivo.

Stando alle ultime analisi compiute da Unioncamere, attraverso il Sistema Informativo Excelsior nell’ultimo report “Previsioni Dei Fabbisogni Occupazionali e Professionali in Italia a Medio Termine (2021-2025)”, per il prossimo quinquennio si prevede un fabbisogno occupazionale dei settori privati e pubblici compreso tra 3,5 e 3,9 milioni di lavoratori, di cui 933mila-1,3 milioni di unità determinate dalla componente di crescita economica (denominata expansion demand), considerando anche l’impatto dei diversi interventi previsti dal Governo e dal piano finanziato Next Generation UE.

Il turnover riguarderà invece il restante 70% del fabbisogno di occupati.

Ecosostenibilità e digitalizzazione saranno quindi sempre di più i temi su cui si concentrerà l’attenzione rispetto allo sviluppo di competenze: la transizione verso la sostenibilità ambientale richiederà competenze green a professioni trasversali in più settori, oltre a tutte quelle professioni più tradizionali già esistenti.

digitalizzazione

Per quanto riguarda le competenze digitali, STEM e di innovazione 4.0, verranno ricercate con un e-skill mix (il possesso con elevato grado di importanza di almeno due e-skill) in una stima tra 886mila e 924mila unità.

La domanda di competenze digitali interesserà sia figure professionali già esistenti quanto nuove professioni emergenti, come data scientist, big data analyst, cloud computing expert, cyber security expert, business intelligence analyst e artificial intelligence system engineer, sia le figure più tradizionali che necessiteranno di digital skill per affrontare il mondo del lavoro che cambia.

Si stima inoltre che le professioni specialistiche e tecniche, con un fabbisogno intorno a 1,5 milioni di occupati nel quinquennio, rappresenteranno oltre il 40% del totale del fabbisogno occupazionale, in crescita rispetto al recente passato, soprattutto per la domanda del settore pubblico nei prossimi anni.

Inoltre, dall’analisi di settore, dopo un 2020 in forte sofferenza per l’ambito “commercio e turismo”, emerge una domanda di più di 500mila occupati nel quinquennio successivo, così come la carenza di profili medico-sanitari (stimata in circa 11-13mila laureati all’anno) dipenderà dall’invecchiamento della popolazione e dall’adeguamento dei sistemi sanitari post-pandemia.

Le altre filiere che potranno esprimere ampi fabbisogni occupazionali tra 2021 e 2025 sono “formazione e cultura” (453-492mila unità), “altri servizi pubblici e privati” (477-512mila unità) e “costruzioni e infrastrutture” (192-210mila unità).

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Sono però necessarie alcune precisazioni sulla base di questa domanda: chi si laurea in filologia romanza, è destinato a rimanere escluso dal mondo del lavoro?

Non ci sono certezze su questo: Stando ai dati, per i laureati, il confronto domanda-offerta (al netto dei laureati in cerca di lavoro già presenti sul mercato), evidenzia una situazione di lieve carenza di offerta, ma con notevoli differenziazioni per indirizzi. Si stima comunque una carenza di offerta negli ambiti medico-sanitario, scientifico-matematico-fisico, ingegneria e architettura.

Per i diplomati si riscontra invece un fabbisogno superiore all’offerta, in particolare per l’indirizzo amministrativo marketing, costruzioni, trasporti-logistica e agro-alimentare. Si delinea un sostanziale equilibrio per l’indirizzo sociosanitario e per l’industria-artigianato. Per l’indirizzo turistico e l’insieme dei licei emerge un rilevante eccesso di offerta di profili.

Tecnologia a scuola

Laurea o Diploma? Questo è il dilemma

In definitiva, è meglio il diploma o laurea per trovare lavoro?

Tra i vantaggi di un’educazione non universitaria troviamo la possibilità di apprendere competenze forse più direttamente spendibili, un costo e una durata complessiva del percorso di studio ovviamente minore, probabilmente un inserimento più diretto rispetto ad alcune tendenze di mercato o alle nuove tecnologie, ma di contro vi saranno svantaggi legati all’esclusione da quelle professioni che richiedono un titolo accademico, minori opportunità di ingresso nel settore pubblico o nelle grandi aziende per tipologie di lavori basati sull’economia della conoscenza.

Non esiste, ahimè, una risposta univoca, soprattutto in un contesto socio-economico come quello attuale dove tutto è sempre in un perenne cambiamento.

Le nostre scelte devono basarsi sempre su un’attenta valutazione di noi stessi rispetto anche alla nostra attitudine allo studio. Sono tanti i ragazzi e le ragazze che non hanno iniziato subito un percorso accademico dopo il diploma e che hanno iniziato a sperimentare il lavoro, per poi iscriversi magari dopo qualche anno ad una facoltà, con alle spalle le esperienze sul campo e decifrando solo in quel modo quale fosse il loro tragitto professionale.

In certe situazioni è interessante valutare anche l’offerta dei percorsi ITS, l’Istruzione Tecnico-Superiore che permette studi biennali nei campi della moda, del turismo, delle tecnologie e programmati su base regionale, in base alle peculiarità che quel tessuto economico offre.

Nello scenario del mercato professionale sarà molto rilevante anche il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione: la trasformazione demografica potrebbe generare una carenza di offerta di lavoro, rischiando di peggiorare il mismatch nel breve periodo in mancanza di politiche adeguate di re-skill.

Insomma, non è mai troppo tardi per imparare e in Italia, diversamente da altri Paesi Europei, il 75% degli italiani fa un mestiere che non corrisponde al titolo di studio che ha ottenuto. Trovare subito un lavoro non significa anche mantenerlo per tutta la vita (come forse avveniva con le generazioni precedenti).

Come amava ricordare Maria Montessori “La caratteristica peculiare dell’Università consiste nell’insegnare a studiare. La laurea è solo la prova che si sa studiare, che si sa acquisire formazione da sé stessi e che ci si è trovati bene nei percorsi della ricerca scientifica… Se si è imparato ad imparare allora si è fatti per imparare. Una persona con una laurea è dunque una persona che sa meglio destreggiarsi nell’oceano della formazione. Ha ricevuto un orientamento

Il titolo di studio in fondo è un tassello a metà tra le nostre caratteristiche/attitudini e le opportunità professionali che si presentano e si presenteranno nel mondo del lavoro.

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La sfida è provare a superare quel principio di omologazione dove rimane un’idea di fondo che spinge tutti a limitare l’imprevisto, il rischio e le non conformità. La psiche umana desidera inevitabilmente e fisiologicamente soluzioni snelle e univoche (per la serie: se esistono 100 posizioni aperte servono 100 job seeker adeguati. Ergo, la scuola deve formare quei 100 che devono “fittare” perfettamente), ma con pensieri purtroppo semplicistici.

Tornando alla quaestio iniziale, tra chi ritiene che la scuola debba formare dei lavoratori o dei cittadini, la posizione più giusta è forse immaginarla come l’esperienza formativa che le persone hanno a disposizione per imparare a scegliere il proprio percorso individuale.

Una scuola efficace, equa, inclusiva e “ibrida”

In uno scenario professionale che lamenta la mancanza di competenze o di titoli specifici per esigenze specifiche, per migliorare la transizione tra il mondo dell’istruzione e quello lavorativo è probabilmente utile pensare ad elementi adattativi della scuola in termini di inclusione e ibridazione tra innovazione e tradizione (tecnologica, metodologica, contenutistica, etc.).

In termini generazionali, non dimentichiamo che quando si parla di “ascensore sociale bloccato”, spesso si sottovaluta il ruolo giocato dall’istruzione; da anni esistono dati che dimostrano un legame praticamente ereditario tra il titolo di studio dei genitori e quello dei figli.

Un’ultima ricerca INAPP porta nuove evidenze a sostegno di questa tendenza: tra i figli di genitori con la laurea, il 75% ha la probabilità di laurearsi a sua volta. Dato che scende al 48% tra chi ha alle spalle una famiglia dove il titolo di studio massimo è il diploma e al 12% se i genitori hanno la licenza media.

Come abbiamo visto, il sistema universitario italiano presenta comunque il problema di produrre un numero consistente di laureati, specie nei settori in cui le imprese ne hanno maggior bisogno. La difficoltà è dovuta anche al fatto che i costi per l’istruzione universitaria sono in aumento e i meccanismi di finanziamento risultano inadeguati (borse di studio insufficienti) o perché pongono il rischio di investimento su studenti e famiglie. Queste ultime spesso non sono in grado di tradurre le informazioni e valutare correttamente il valore dell’istruzione.

A livello di sistemi scolastici, non dobbiamo necessariamente replicare i modelli esteri poiché inevitabilmente non si può “fotocopiare” un metodo.

Cosa rende un sistema educativo migliore di un altro? È possibile stabilire delle regole generali? Secondo un report di Eurydice la risposta è affermativa se, oltre al perseguimento dell’efficacia, si considera l’obiettiva di una scuola equa e inclusiva.

Tra i sistemi educativi europei più virtuosi ci sono quelli di Irlanda, Estonia, Lettonia, Danimarca e Finlandia. Tutti questi paesi, tranne l’Irlanda, hanno un’organizzazione a struttura unica (elementari e medie in unico ciclo), che sembra quindi essere una formula vincente.

In particolare, i principi del modello educativo finlandese si pongono come obiettivi di offrire a tutte le persone equità nell’accesso all’istruzione, di far maturare nei ragazzi e nelle ragazze capacità di pensare in modo autonomo e di esercitare l’autovalutazione; in parallelo, l’autonomia del sistema scende a tutti i livelli (gestionale e amministrativo, delle scuole e degli insegnanti, che hanno piena autonomia pedagogica in termini di metodo, libri di testo, etc.).

Per attuare un cambiamento di mindset culturale è però necessario un ripensamento che parta dai principi di inclusione generazionale.

Per chi suona la campanella? La Scuola come comun divisore di inclusione generazionale

Quando proviamo a considerare quali siano i punti di contatto che possono permettere un dialogo virtuoso tra individui di età distanti, in primis viene in mente il tema della scuola.

L’istruzione scolastica è in fondo quell’esperienza, se vogliamo “inevitabile”, da cui siamo passati tutti.

L’istruzione obbligatoria, tra l’altro, esiste da più di 150 anni (venne introdotta in Italia già durante l’epoca napoleonica perseguendo un principio molto moderno di uguaglianza di opportunità e poi consolidata ulteriormente dalle Riforme scolastiche principali del nostro Stato come la Legge Casati del 1859 e la Legge Coppino del 1877), pertanto non credo esistano generazioni in vita oggi che non l’abbiano vissuta, anche solo per pochi anni di scuola elementare.

Ancor di più, le materie e la struttura dei programmi scolastici istituiti con la Riforma Gentile del 1923, sono rimasti invariati fino agli Sessanta e una buona percentuale di quei paradigmi contenutistici perdura ancora nei programmi scolastici attuali.

Tutto questo per dire che “parlare di scuola”, o meglio di apprendimento e educazione, può diventare una chiave di volta per raccontare le differenze generazionali ma anche soprattutto individuare gli elementi di contatto su cui è possibile sviluppare il miglioramento di un’istituzione, come quella dell’Istruzione, che proprio grazie alla condivisione di esperienze attuali mescolate a quelle di chi “ci è già passato”, può sviluppare idee nuove e progresso pedagogico a tutto tondo.

L’importante è non cadere nella tentazione da parte della popolazione adulta o genitoriale di dire “la scuola non è più quella di una volta” e di provare a pensare di più fuori dagli schemi.

Per anni abbiamo pensato a un’istruzione separata dall’educazione che ha trascinato con sé il disinteresse per la conoscenza e le discipline. Per cambiare le cose è necessario che un’intera generazione di adulti e millennials si fermi a riflettere su questa questione.

Forse attualizzando (provandoci ancora una volta) l’idea trasgressiva di Ivan Illich per cui “la scuola è l’agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com’è”, rivalutando la critica della modernità e della tecnologia verso una nuova coerenza: il dono e la sorpresa costituiti dall’altro possono solo apparire quando questo spazio è aperto.

Tecnologia a scuola

L’immediatezza dell’incontro con l’altro è ostacolata da quegli strumenti “non-conviviali” come la scuola laddove viene limitata a confezionare l’apprendimento o semplicemente a selezionare le persone “giuste”.

Ai fini dell’incontro intergenerazionale, il terreno dell’apprendimento e della condivisione di competenze può anche essere declinato per formulare una scuola migliore attraverso il dialogo tra chi vive o ha vissuto il mondo del lavoro e ne conosce i fabbisogni più concreti e chi sperimenta quotidianamente l’attualità e intravede i bisogni della società in cui sarà nel breve futuro più adulto.

Perché no, all’interno di un contesto aziendale, come un “hackathon” continuativo nel tempo con l’obiettivo di disegnare la scuola e il lavoro del futuro.

Quando una campana rintocca ci ricorda che noi non siamo degli individui isolati ma facciamo parte di una comunità: un concetto evocato da John Donne nel suo celebre sonetto “No Man is an Island”: «…And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee» («E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te»).

E la campanella della scuola suona tutti gli anni per tutti noi, ricordandoci che l’individualismo o la visione unilaterale non aiutano al progresso della società. Pensare alla scuola e al mondo del lavoro è un processo sistemico poiché ogni cosa che facciamo si ripercuote, anche se forse non ce ne rendiamo conto, su tutto quanto ci circonda.

annunci stampa settembre

KitKat, Netflix e Oreo: i migliori annunci stampa di settembre

Non tutti i problemi sono davvero “gravi”. Ad esempio, ci sono nutrite fazioni contrapposte di fan che si confrontano (e a volte litigano) sulla director cut di un regista, sull’ultimo singolo dell’artista tanto amato e anche su quale sia il modo giusto di consumare uno snack.

Sebbene alcune persone possano considerarle questioni di lana caprina, un certo peso devono averlo, se i brand non possono evitare di pronunciarsi sulle diatribe e intervengono per dirimere le spinose questioni.

E come lo fanno? Naturalmente, con lo strumento più rapido, potente e convincente di tutti, tra quelli a loro disposizione: la creatività.

Godiamoci gli annunci stampa del mese di settembre selezionati per voi dai Ninja.

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Amnesty International – Seniors’ rights

Esiste un’età in cui è giusto rinunciare ai propri diritti? Si stima che 7 anziani su dieci siano vittime di pregiudizi a causa della loro età: il fenomeno è noto come “ageismo“, a causa del quale le persone più adulte vengono considerate inefficienti e lente.

È una violenza inaccettabile, per questo la campagna invita a non aspettare di diventare “vecchi” per difendere i diritti degli anziani.

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Advertising Agency: Bonjour, Bruxelles, Belgium
Creative Director: Marine Vincent
Creative: Maxim Deliège
Designer: Pierre Jadot
Photographer: Phil Van Duynen

KitKat – Have a Bite

Siamo davanti a un momento storico: Nestlé sta finalmente prendendo coscienza del dibattito appassionato che imperversa da anni su internet: qual è il modo corretto di mangiare un KitKat?

Se è impossibile dimenticare lo slogan storico del prodotto (Have a Break) che invita a “spezzare” le barrette di cioccolato dalla tavoletta, l’azienda rilancia un nuovo motto, Have a Byte (Tira un morso) per “difendere” tutte quelle persone che ostentano con orgoglio il loro approccio innovativo al consumo dello snack.

La campagna è diventata virale anche su TikTok, dove tanti influencer si sono pronunciati rispondendo alla domanda: “È sbagliato mangiarlo così?”.

Se sei una di quelle persone che hanno dato un morso gigante a tutte e quattro le strisce o rosicchiato gli strati di cioccolato, per Nestlé va bene, a patto che tu faccia una pausa per godertelo.

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Advertising Agency: Wunderman Thompson Australia
Chief Creative Officer: João Braga
Associate Creative Director: Simon Koay
Associate Creative Director: Steven Hey
Senior Copywriter: Steve May
National Chief Strategy Officer: Angela Morris
Senior Strategist: Carnelian Easton-Jones
Partner: Ana Lynch
Group Engagement Lead: Laura Hawdon

Quebec Association of Magazine Publishers – Free your mind with a magazine

Libera la mente, abbandona like, cuoricini e commenti.

In che modo? Rilassandoti ricominciando a leggere una rivista in formato cartaceo. La campagna di Quebec Association of Magazine Publishers punta proprio ai nostalgici della carta e dell’impagabile effetto che produce tra le mani dei lettori.

Quebec Publishers advertising

Advertising Agency: Havas, Montreal, Canada

Netflix – Schumacher

Netflix ci ha abituato a campagne di successo e non ha mai perso l’occasione di fare le cose in grande. Quando l’obiettivo è la promozione del documentario su uno dei più grandi campioni (e uomini) del nostro tempo, il risultato è il murales 3D per il film “Schumacher”.

Attraverso interviste esclusive e filmati di repertorio, questo documentario ricostruisce un ritratto intimo del sette volte campione di Formula 1.

murales 3D schumaker

murales 3D schumaker

Advertising Agency: Heimat Active, Berlin, Germany
Executive Creative Director: Denis Rätzel
Managing Director: Daniela Strauß
Senior Art Director: Stefano Dessi
Senior Copywriter: Jan Roters
Junior Art Director: Sophia Cordes
Copywriter: Paul Zürker
Client Service Director: Lisa Währer
Senior Account Manager: Meltem Colak
Senior Marketing Manager Netflix DACH: Flo Hoffmann
Title Lead Films Marketing Netflix DACH: Silke Lakeit

OreoHavaianas – Oreo + Havaianas

Havaianas e Oreo hanno molto in comune: e tutti li vogliono, contano su legioni di fan super fidelizzati e su un successo incomparabile.

Così, si sono messi insieme per creare una capsule collection unica, super speciale e limitata.

Hai mai immaginato un infradito con un aroma di cioccolato? Bene, questo è ciò che Havaianas e Oreo hanno creato insieme.

Il modello Havaianas + Oreo TOP della collezione non solo ha le cinghie che profumano di cioccolato, ma presenta una stampa “cioccolatosa” sulla suola, che replica gli strati del biscotto Oreo.

oreo 01

 

Oreo 03

 

Advertising Agency: Leo Burnett Tailor Made, Brazil

Aumentare la quota di mercato con le inserzioni

Come far crescere le tue quote di mercato tutelando la privacy delle persone

Mentre l’Europa inizia a riaprire, dobbiamo ancora comprendere appieno quali cambiamenti sociali verranno dall’era Covid.

È però chiaro che il mondo è cambiato rapidamente, con l’uso della tecnologia che ha fatto un balzo in avanti di cinque o dieci anni in altrettanti mesi.
L’industria pubblicitaria sta affrontando un periodo unico nella sua storia. Ora più che mai, le persone prestano grande attenzione alla propria privacy e le norme che la regolano stanno cambiando.

Per anni, il settore pubblicitario ha dato per scontato che le persone fossero disposte a fornire i propri dati personali in cambio dell’accesso senza costi a contenuti di qualità e della possibilità di poter mostrare loro annunci pertinenti.

Ora le persone vogliono essere certe che questo scambio vada a loro vantaggio e richiedono un maggiore controllo su come i loro dati personali vengono utilizzati online.

Method of data collection

Per far fronte a questa nuova sfida, l’intero ecosistema è chiamato a dover ripensare al futuro del marketing digitale.

La tutela della privacy online è diventata essenziale e la disponibilità delle persone a condividere i loro dati va di pari passo con la condizione che i brand siano trasparenti su quali dati raccolgono, come vengono utilizzati e quali vantaggi può portare loro.

Se senza privacy il futuro per la pubblicità digitale è a rischio, in che modo gli attori in campo possono quindi soddisfare le aspettative delle persone e guadagnare la loro fiducia?

L’approccio delle 3 M

Il consiglio che diamo agli inserzionisti è di adottare il cosiddetto approccio delle tre M: rendere la condivisione dei dati “meaningful“, “memorable” e “manageable“. Per renderla meaningful, significativa, è necessario rendere chiaro alle persone che la condivisione dei propri dati permette di restituire loro annunci pubblicitari pertinenti e vicini a ciò che è di loro interesse mentre navigano online, così come quali sono gli ulteriori benefici nella fruizione di un sito o di un servizio online.

Per renderla memorable, memorabile, le persone devono ricordare di aver condiviso i dati su cui sono basati i contenuti di marketing che vedono. È necessario conoscere le modalità e i motivi della raccolta dei dati e spiegarli alle persone in modo chiaro ed esplicito, con un linguaggio semplice.

Infine, per renderla manageable, gestibile, è necessario assicurarsi che gli utenti comprendano come avviene la condivisione dei loro dati e offrire loro strumenti di controllo adeguati, semplici da usare e facili da trovare.

Utilizzando l’approccio delle tre M si crea un ambiente sostenibile per la realizzazione e la misurazione dei contenuti di marketing, senza compromettere la privacy delle persone. L’adozione di questo approccio apre la strada a un tipo di marketing incentrato sul rispetto della privacy e in grado di infondere maggiore fiducia negli utenti, con conseguenti risultati finali migliori.

Parlando di approccio e risultati, abbiamo recentemente presentato due nuovi studi di riferimento, commissionati da Google e realizzati in collaborazione con Ipsos e Boston Consulting Group (BCG).

Queste ricerche hanno fornito approfondimenti inediti sugli atteggiamenti spesso complessi e contraddittori che i consumatori hanno nei confronti della privacy online, e sulle opportunità a disposizione dei brand per riconciliare queste tendenze contrapposte.

Le ricerche hanno anche mostrato come i professionisti di marketing più esperti dal punto di vista digitale siano più pronti nel rispondere a queste dinamiche mutevoli del consumatore: hanno il doppio delle probabilità di far crescere la loro quota di mercato in un periodo di 12 mesi rispetto a chi presenta una minore esperienza in questo campo.

Questi studi rappresentano un modello per le aziende che vogliono soddisfare il crescente desiderio di tutela della privacy del pubblico e, a loro volta, costruire relazioni più profonde e significative con i loro clienti.

Google - Upfit in brand equity

Gli atteggiamenti degli utenti nei confronti della privacy online, spesso complessi e contraddittori, non sono una novità: secondo una ricerca condotta lo scorso anno da Google insieme a Euroconsumers, più di due terzi degli utenti europei online ritiene che la quantità di dati personali raccolti renda difficile proteggere la privacy.

Solo un utente su cinque sente di avere il controllo sui dati personali che vengono raccolti.

google euroconsumer research

Allo stesso tempo, la nuova ricerca realizzata in collaborazione con Ipsos ci rivela oggi dati interessanti. In particolare, le persone dichiarano di essere favorevoli a condividere alcuni dati, a patto che possano capire e controllare le modalità di utilizzo e abbiano vantaggi evidenti nel farlo.

In questo caso, la ricerca afferma che vi è il triplo di probabilità in più che gli utenti reagiscano positivamente alla pubblicità e che, nel doppio dei casi, la trovino pertinente.

Il vecchio approccio di pubblicare annunci basandosi su cookie di terze parti sta per scomparire.

Questo cambiamento non è banale, richiede una profonda modifica nel modo in cui le aziende si avvicinano al marketing online, ma è comunque possibile. Ed è un cammino che intendiamo affrontare al fianco del settore pubblicitario, ascoltandone le richieste.

L’anno scorso abbiamo annunciato che in futuro Chrome non avrebbe più supportato i cookie di terze parti. Molti attori dell’industria digitale ci hanno comunicato
che avevano bisogno di più tempo per prepararsi al cambiamento, così Chrome ha esteso la scadenza fino al 2023.

Ci è stata inoltre richiesta una maggiore trasparenza nella pianificazione così Chrome ha iniziato a condividere mensilmente (su privacysandbox.com) una timeline aggiornata con lo stato di sviluppo delle diverse proposte tecnologiche contenute all’interno di Privacy Sandbox, un’iniziativa aperta e collaborativa che vede coinvolti esperti del web e di computer science, insieme ad aziende, associazioni di categoria, publisher e autorità di regolamentazione, con l’obiettivo di definire nuovi
standard comuni per il web e per la pubblicità digitale.

Focalizzando insieme l’attenzione sulla protezione di ciò che conta per le persone con strumenti appositamente creati per generare più opportunità per il domani, possiamo creare un web che tuteli la privacy di tutti, dove le persone sono informate e detengono il controllo dei propri dati personali, e dove gli inserzionisti possono finanziare contenuti di qualità che poggiano su un rapporto di fedeltà e fiducia con il pubblico, ottenendo risultati ottimali con la precisione e la responsabilizzazione adeguate.

La tecnologia digitale ci offre una grande opportunità aiutandoci nella ripresa e nella crescita e rendendoci più inclusivi, più veloci e migliori di prima grazie a strumenti aperti e convenienti.

Coloro che plasmano il mondo digitale devono collaborare per mettere al primo posto la privacy. Siamo qui per lavorare insieme proprio per raggiungere questo scopo.

Le competenze che ti servono per lavorare nel Social Media Marketing

Lavorare nel Social Media Marketing, oggi, è una sfida sempre più ambiziosa, che richiede competenze trasversali e costantemente aggiornate. 

I Social Media sono ormai entrati in una fase matura e il livello di complessità si sta alzando sempre di più. Per portare risultati c’è bisogno di una preparazione continua, tecnica e verticale.

La necessità di colmare il gap con persone che facciano upskilling e reskilling ha fatto esplodere la domanda di formazione.

Diventa assolutamente necessario alzare il livello delle competenze strategiche e tecniche, di processo e di tool per permettere ai Digital marketer di fare la differenza. 

Il Social Media Bootcamp di Ninja Academy

Per questi motivi, Ninja Academy ha lanciato un nuovo ciclo di incontri ancora più specifici e più pratici con alcuni dei migliori esperti di Social Media Marketing in circolazione: un concentrato di competenze Social rivolte a studenti e imprenditori, manager e freelance che hanno la necessità di essere sempre aggiornati ricevendo nuovi input da grandi professionisti del settore. 

Social Media Bootcamp Ninja Academy

Il 27 e il 28 settembre i migliori guerrieri Ninja hanno dispensato consigli e illustrato best practice per misurarsi con le proprie competenze attuali nel Social Media Marketing e con quelle da integrare per essere un professionista a 360°.

Ecco cosa abbiamo imparato dall’appuntamento:

  • Come pianificare strategie social a prova di crisi con Mariano Tredicini, Head of Social Communication & Web Analysis TIM
  • Come attrarre clienti su LinkedIn con contenuti ingaggianti con Cristiano Carriero, Storyteller & Brand Journalist
  • Come acquisire contatti con le Lead ADS di Facebook con Veronica Gentili, Facebook Marketing Expert & Influencer
  • Come sfruttare i Reels per crescere su Instagram con Orazio Spoto, Instagram Expert & Presidente di Instagramers Italia
  • Come fare lead generation con Telegram con Mario Di Girolamo, Growth Marketer Zero
  • Come vendere via WhatsApp con il conversational commerce con Alessandra e Maria Rosaria Gallucci, WhatsApp Marketing Expert

Come recuperare la diretta del Social Media Bootcamp

Non hai potuto seguire gli interventi da vivo? Nessun problema! Li ripercorriamo insieme.

Ecco un breve recap delle due giornate, con i video per vedere o rivedere gli interventi integrali:

Day 1

Mariano Tredicini, Head of Social Communication & Web Analysis TIM

Con Mariano Tredicini ci siamo lasciati ispirare dai migliori case study per progettare una Social Media Strategy a prova di crisi, a partire dall’esempio di Tim e della gestione del “caso Dazn”, abbiamo conosciuto i trucchi per una Social Media Policy inattaccabile e i migliori tool e consigli per un’analisi dei dati e dei competitor davvero utile.

Cristiano Carriero, Storyteller & Brand Journalist

Con Cristiano Carriero abbiamo conosciuto i segreti per fare Content Marketing su LinkedIn e realizzare contenuti davvero ingaggianti; abbiamo preso spunto dai migliori case study per creare sia contenuti istituzionali che più emozionali; abbiamo imparato come conquistare autorevolezza con il personal branding e sostenere la mission aziendale anche come membri.

Veronica Gentili, Facebook Marketing Expert & Influencer

Con Veronica Gentili abbiamo appreso le best practice per realizzare Facebook Lead Ads efficaci e per padroneggiare nuove funzionalità, personalizzazioni e formati specifici; e abbiamo scoperto come si conciliano le attività di acquisizione contatti con la gestione corretta della normativa in materia di privacy.

Day 2

Orazio Spoto, Instagram Expert & Presidente di Instagramers Italia

Grazie a Orazio Spoto abbiamo imparato come sfruttare le potenzialità di uno degli strumenti social oggi più performanti, gli Instagram Reels, prendendo spunto da alcuni dei più interessanti case study per far crescere le nostre pagine nonché per vendere prodotti; e abbiamo scoperto in cosa si differenziano gli IG Reels da altri micro contenuti come gli YouTube Shorts e perché gli youtuber li stanno preferendo sempre di più.

 

Mario Di Girolamo, Growth Marketer Zero

Con Mario Di Girolamo abbiamo capito quali sono i passaggi fondamentali per utilizzare Telegram in modo completamente nuovo, sfruttandolo per fare lead generation e ottenere nuovi clienti; abbiamo visto alcuni dei migliori esempi di acquisizione contatti mediante Telegram, e in particolare con funzioni come AD/POST per traffico alla landing page e attività di conversione e notifiche eventi.

Alessandra e Maria Rosaria Gallucci, WhatsApp Marketing Expert

Con “Le Gallucci” abbiamo appreso alcuni segreti per far crescere il nostro business e aumentare le vendite attraverso WhatsApp; abbiamo esplorato i motivi del successo del conversational commerce, come la ricerca da parte degli utenti di esperienze personalizzate e di risposte rapide ai propri bisogni; e abbiamo attinto spunti preziosi da alcuni dei brand pionieri di questa nuova frontiera dell’online commerce.

>> Il Social Media Bootcamp ti è piaciuto? Entra in profondità nei temi trattati: scopri il Nuovo Master in Social Media Marketing e mettiti alla prova con la Social Media Factory realizzando un project work per X Factor <<