Beyond Meat e PepsiCo annunciano una joint venture per creare, produrre e commercializzare nuovi snack e bevande a base vegetale. Ancora non sono stati resi noti i termini finanziari della partnership, ma a meno di 24 ore dalla diffusione dell’accordo il titolo vola in borsa.
Le azioni di Beyond Meat (azienda produttrice di sostituti per la carne e prodotti caseari a base di vegetali nata nel 2009 con sede a Los Angeles), aumentano del 26% mentre la società collabora con PepsiCo, registrando il più grande guadagno in un giorno da quando han iniziato a fare trading nel 2019, mentre le azioni di Pepsi sono rimaste pressocchè invariate, aumentando di circa l’1%.
«Le proteine vegetali rappresentano per noi un’entusiasmante opportunità di crescita, una nuova frontiera nei nostri sforzi per costruire un sistema alimentare più sostenibile ed essere una forza positiva per le persone e il pianeta, soddisfacendo al contempo la domanda dei consumatori per un portafoglio ampliato di prodotti più nutrienti», sottolinea Ram Krishnan, Global Chief Commercial Officer di PepsiCo.
Beyond Meat controlla infatti circa il 13% di prodotti vegetali sostitutivi alla carne negli Stati Uniti, secondo le stime di Jefferies.
«PepsiCo rappresenta per noi il partner ideale in questa impresa entusiasmante, di portata e importanza globale», sottolinea Ethan Brown, CEO di Beyond Meat.
Il mercato in crescita e gli obiettivi di sostenibilità della joint venture
Una joint venture all’insegna di una reciprocità di benefits: Beyond potrà sfruttare il sistema di distribuzione e l’esperienza di marketing di PepsiCo per il lancio di nuovi prodotti Beyond Meat, con accesso all’ampia linea di prodotti. Quest’ultima, invece, potrà approfondire i suoi investimenti nel settore a base vegetale, ampliando la partnership oltre alle bevande, anche alle linee Fritos, Cheetos e Tostitos, così come il manzo essiccato al Matador.
Un’opportunità per PepsiCo spinta verso obiettivi di sostenibilità: lo scorso anno, infatti, ha siglato l’impegno delle Nazioni Unite, con obiettivi di riduzione delle emissioni su base scientifica. Secondo il report 2019 dell’Onu, il sistema alimentare contribuirebbe al 37% delle emissioni di gas serra.
Un accordo che prende in considerazione anche i nuovi trend del mercato, con consumatori sempre più alla ricerca di alimenti sani e sostenibili. Gli hamburger, le salsicce e il pollo di Beyond Meat, a base di proteine dei piselli, sono venduti in tutto il mondo, inclusi Starbucks in Cina e Pizza Hut negli Stati Uniti.
Le vendite statunitensi di carne vegetale sono aumentate del 45% nell’ultimo anno. Le vendite di carne tradizionali sono aumentate del 19% nello stesso periodo, secondo NielsenIQ. Le vendite totali negli Stati Uniti di proteine vegetali, inclusi prodotti come latte di mandorle e uova vegetali, sono aumentate del 19% nell’ultimo anno, superando del 14% tutte le vendite di alimenti.
Un movimento azionario superiore alle effettive opportunità, secondo alcuni esperti di finanza, rispetto alle reali dimensioni del mercato di riferimento.
Le azioni di PepsiCo hanno un valore di mercato di 196 miliardi di dollari, mentre Beyond è valutata in 9,95 miliardi di dollari.
La joint venture sarà gestita da una società a responsabilità limitata chiamata The PLANeT.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/07/VegNews.BeyondMeatSupermarket.jpg473800Barbara Landihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngBarbara Landi2021-01-26 21:02:182021-01-27 16:55:59Joint venture tra Beyond Meat e PepsiCo e il titolo vola il borsa
Ci sono cose che noi umani non possiamo nemmeno immaginare. Esistono figure quasi leggendarie che hanno la soluzione giusta a tutti i nostri problemi tecnologici. No, non sono divinità ultraterrene, ma quasi. Stiamo parlando degli sviluppatori, coloro che sanno animare un PC con un semplice ticchettio della tastiera, fanno calcoli con numeri e lettere che per noi sono incomprensibili ma che per loro è un gesto così facile come bere un bicchier d’acqua. Più o meno.
Vita da sviluppatore: chi è e cosa fa
Volevamo vedere un esemplare di sviluppatore nel suo habitat naturale, volevamo capire cosa fa, come trascorre le sue giornate e come ha iniziato il suo percorso in questo mondo che corre più veloce del vento, e per fortuna Antonello Alonzi, sviluppatore di Seeweb, ci ha accontentati, rispondendo a tutte le nostre domande.
1. Cosa fa esattamente uno sviluppatore e quando hai capito che volevi diventarlo?
Uno sviluppatore è solitamente, come nel mio caso, un analista/sviluppatore, ovvero una persona che ascolta le esigenze di un cliente, analizza la richiesta e sviluppa una soluzione software per automatizzare il processo che il cliente gli ha descritto.
Fin da bambino ho avuto la passione per l’elettronica, prima e l’informatica dopo. Come tanti della mia generazione ho avuto un’infanzia divisa tra i giochi in cortile con gli amici e gli esperimenti con i primi PC (nel mio caso un MSX anche se all’epoca il Commodore 64 era più diffuso).
Negli anni ho capito che mi interessava molto più la parte software che non la parte hardware e così i miei mi comprarono in edicola un corso di programmazione in “BASIC” a fascicoli. Iniziai a capire subito le base della programmazione e la cosa che mi affascinò di più è che pensavo si potesse programmare un PC per fargli fare qualsiasi cosa tu volevi. In effetti è un po’ così, anche se crescendo mi sono reso conto che non è così semplice come può immaginare un bambino. Insomma, anche se ho sempre avuto una passione per i PC in genere e per la programmazione, ho iniziato a programmare “seriamente” intorno ai 20 anni, con un primo vero lavoro (software tra l’altro ancora in funzione).
2. Qual è la cosa che più ti piace di questo lavoro e cosa ti scoraggia di più?
Lo sviluppo software è molto stimolante perché per ogni progetto c’è qualcosa di nuovo da fare, quindi c’è tutta la parte di analisi e poi di sviluppo che cerchi di fare con tutte le ottimizzazioni del caso, cercando di migliorare sempre e d’inserire nel progetto soluzioni innovative. La cosa che mi scoraggia è pensare a “lungo termine”, ovvero come si evolverà il mercato nei prossimi anni e se riuscirò a stare al passo con i tempi, si perché il problema fondamentale di oggi (rispetto a 20 anni fa) è che anche i linguaggi e le tecniche di programmazione si aggiornano continuamente e tu devi tenerti in continuo aggiornamento.
3. Cosa credi possa servire oggi per avere successo nel mondo del web che diventa sempre più affollato?
Si, è vero, il mondo del web è sempre più affollato, però ho avuto modo di capire che la maggior parte degli sviluppatori tende ad adattare soluzioni esistenti per i propri progetti, piuttosto che sviluppare come il cliente la richiede. Certo, il cliente va guidato e gli va spiegato quello che conviene o non conviene fare, però alla fine penso che offrire una soluzione completamente custom sulle esigenze del cliente sia un must e per questo ti preferiscono ad altri.
4. Cosa consiglieresti a chi vuole provarci e quali consigli tecnici daresti?
Quando mi chiedono cosa bisogna fare per diventare programmatori, la risposta è pressoché la stessa: bisogna iniziare con qualche lettura di base, magari qualche video (ormai internet aiuta molto in questo) e sperimentare sul campo con un progetto demo. Se si riesce ad avere una certa autonomia, significa che si è “portati” e quindi conviene approfondire, altrimenti ci si può provare ancora, ma probabilmente non è la propria strada.
Questo non lo dico perché voglio scoraggiarli, ma perché fare quello per cui si è portati darà sicuramente più soddisfazioni, farà affrontare i problemi che si incontreranno in modo più semplice, ti darà la carica, giorno per giorno, per continuare in questo settore, a prescindere dalle difficoltà che si incontreranno. Fare qualcosa solo perché al momento è “cool”, alla lunga diventerà un peso da dover gestire in qualche modo, col rischio di buttare all’aria anni di sforzi senza riuscire a costruire nulla.
5. Svelaci 3 caratteristiche che uno sviluppatore deve assolutamente avere…
Beh, ormai è una parola che va molto di moda: resilienza. Oltre questo ci vuole passione e una mente particolarmente analitica per trovare le soluzioni ottimali alle sfide che giornalmente si affrontano.
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/magia.jpg501750Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2021-01-26 15:55:062021-01-28 12:56:53Vita da sviluppatore: tutto ciò che vorreste chiedere ai maghi dell'informatica
I marketer di oggi vivono di strumenti digitali: alcuni servono per facilitargli la vita gestendo più task contemporaneamente, altri li aiutano a collaborare in modo più efficiente con il team. Altri ancora, a trovare l’ispirazione per non essere mai banali.
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/digital-tool-copertina.jpg9051362Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2021-01-23 16:09:452021-01-26 12:30:56SentiOne, PocketTube e Bufferi, i digital tool della settimana
Presentata ieri Microsoft AI Hub, un’iniziativa di ecosistema volta a mettere a fattor comune l’expertise di partner nazionali qualificati per aiutare le realtà italiane a cogliere i vantaggi dell’Intelligenza Artificiale e per accelerare lo sviluppo di progetti sperimentali in risposta alle esigenze di diversi settori industriali.
Parte di Ambizione Italia #DigitalRestart, il più ampio piano quinquennale di Microsoftda 1,5 miliardi di dollari di investimento in tecnologie e formazione a supporto della trasformazione digitale del Paese e della creazione della prima Region Datacenter, il nuovo centro virtuale di competenze ha l’obiettivo di fare sistema tra player della filiera ICT e aziende italiane, promuovendo uno stimolante scambio con startup, università, centri di ricerca e istituzioni sul fronte AI.
Due le vocazioni primarie: da un lato la rapida prototipazione di progetti di AI in grado di supportare la competitività delle aziende per la ripresa e dall’altro la formazione di professionisti per diffondere le competenze digitali necessarie all’innovazione in Italia. L’AI può infatti contribuire concretamente alla crescita del Paese nell’immediato e in un orizzonte di lungo periodo: l’aumento del fatturato delle aziende che adotteranno tecnologie di AI sarà di quasi 3 punti percentuali più alto rispetto alla media delle aziende del settore e l’impatto dell’AI sarà pari a 570 miliardi di euro di fatturato al 2030.
“Quello dell’Intelligenza Artificiale è un comparto in crescita, che secondo IDC supererà i 300 miliardi di ricavi a livello globale nel 2024. L’Italia ha buone potenzialità, dal momento che l’indice i-Com sul grado di sviluppo dell’AI la vede in 13° posizione su 27 Stati UE, non lontano dalla Germania. Per cogliere questa opportunità, occorre fare di più aiutando le imprese ad avvicinarsi all’Artificial Intelligence e a sviluppare progetti d’impatto reale facilmente replicabili nei settori chiave dell’Economia Italiana, contribuendo a un circolo virtuoso di rilancio” ha dichiarato Silvia Candiani, AD di Microsoft Italia.
“Per questo anche l’AI è al centro del nostro impegno con il piano Ambizione Italia #DigitalRestart, che a soli otto mesi dal lancio ci ha già visto collaborare con aziende e istituzioni per dare avvio a molte iniziative volte a contribuire alla trasformazione digitale del Paese, dall’Alleanza per lo Smartworking all’Alleanza per la Sostenibilità, dal supporto alle PMI alla formazione digitale agli studenti.”.
Il Microsoft AI Hub si concretizzerà come segue:
Focus su 6 settori chiave: Made in Italy (retail, moda e design), manifatturiero, servizi finanziari, sanità, energia e infrastrutture.
Microsoft agirà da abilitatore mettendo a disposizione la propria expertise e la propria piattaforma Cloud per sviluppare scenari applicativi di Data & AI e per identificare le realtà a più alto potenziale attraverso un Data & AI Maturity Check-Up.
In una logica di Open Innovation, le aziende stesse dei comparti strategici dell’economia italiana saranno infatti protagoniste condividendo la propria conoscenza del settore per realizzare use case avanguardistici e progetti pilota, grazie alla stretta collaborazione con gli esperti Microsoft e una task-force di partner in grado offrire consulenza e di mettere le proprie risorse al servizio dello sviluppo, dell’implementazione e dello scale-up di applicazioni di Intelligenza Artificiale.
I primi partner Microsoft a bordo dell’iniziativa sono già oltre venti, tra cui: Accenture, Alterna, Altitudo, beanTech, Capgemini, DataSkills, Factory Software, Hevolus Innovation, Iconsulting, Integris, NTT DATA, Porini, Sopra Steria, 4ward.
L’iniziativa è aperta ad accogliere altri player per contribuire sempre più alla diffusione dell’AI in Italia e nei prossimi mesi si svilupperà sia in virtuale sia in presenza, andando ad arricchire il Microsoft Technology Center, presso la Microsoft House a Milano, progettato per far vivere scenari d’innovazione ad aziende, startup e professionisti e per promuovere proprio l’Open Innovation.
“Positivo che in Italia si stia diffondendo crescente consapevolezza del valore strategico dell’AI, che non solo è tra le priorità del Governo come emerge dalla definizione di una Strategia per l’Intelligenza Artificiale, ma che è anche sempre più presente nelle scelte di investimento delle imprese: secondo l’indagine Microsoft-KRC Research il 28,2% delle aziende ha già integrato l’Intelligenza Artificiale nella propria strategia aziendale o è in fase di implementazione, mentre il 38,8% sta valutando o sperimentando l’adozione di tecnologie intelligenti. E il 96,5% dei dirigenti delle imprese più mature sull’utilizzo dell’AI dichiara di averne già tratto un valore per il proprio business”, ha commentato Sergio Romoli, Direttore Cloud & Enterprise di Microsoft Italia.
“Spesso però la mancanza di talenti adeguati porta molte aziende ad aver condotto sperimentazioni, ma poche riescono a procedere con un reale scale-up. Ecco perché con Microsoft AI Hub vogliamo fare ecosistema per contribuire allo sviluppo di progetti concreti e facilmente scalabili, grazie alla collaborazione tra i nostri esperti, il nostro network di partner e le aziende stesse, con l’obiettivo di contribuire all’innovazione di interi settori. Al contempo AI Hub offrirà utili risorse i termini di formazione, perché mindset e competenze sono il presupposto per il successo dell’AI e per la trasformazione digitale del Paese”.
Al centro dell’abilitatore, quindi, la rapida prototipazione di progetti in grado di far leva sull’AI per generare un impatto concreto e facilmente replicabili per contribuire alla competitività di industry strategiche, con focus su alcuni scenari chiave per la ripresa, come l’utilizzo di dati e analytics per recuperare agilità, per personalizzare l’esperienza di clienti e dipendenti, per digitalizzare i processi in una logica di maggior resilienza e per agevolare l’innovazione di prodotti e servizi.
A tal fine nei progetti pilota verranno integrate tecnologie avanguardistiche ma già consolidate di Computer Vision, Mixed Reality, Data & Knowledge Mining, Bots & Conversational AI, Predictive Analytics, Machine Learning e Data Visualization, abilitate dal Cloud Computing di Microsoft.
Lo sviluppo di use case verrà promosso anche attraverso iniziative come Business Hackathon, volti a stimolare le aziende a collaborare con Microsoft e i Partner per ottimizzare i processi grazie all’AI, sfidandosi per aggiudicarsi supporto consulenziale da parte di esperti/accademici in modo da poter implementare e scalare i propri progetti.
Il Microsoft AI Hub sarà anche un centro di competenze per promuovere la cultura del digitale e la formazione con l’obiettivo di colmare lo skill gap del Paese e di diffondere conoscenze strategiche per un approccio etico all’Intelligenza Artificiale, che possa contribuire a una crescita sostenibile dell’Italia. A tal fine Microsoft metterà a disposizione un ricco palinsesto di contenuti nella sezione dedicata all’AI Hub della piattaforma digitale Ambizione Italia #Digital Restart e svilupperà iniziative di formazione e corsi rivolti a giovani, partner e aziende.
Le realtà del territorio avranno in particolare l’opportunità di accedere all’AI Business School di Microsoft, un’esperienza formativa consolidata che consente di personalizzare il proprio programma di apprendimento scegliendo i corsi in base alle necessità, al livello di conoscenza dei temi e all’industry, con la possibilità di ottenere anche certificazioni utili sul mercato e soprattutto di acquisire nozioni di business, nonché competenze pratiche su come sviluppare Bot e App intelligenti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/11/Intelligenza-artificiale-automazione-e-altre-tecnologie-esponenziali-per-migliorare-i-flussi-di-lavoro.jpg468700Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-01-22 18:30:302021-02-15 16:32:48Microsoft presenta AI Hub, l’iniziativa parte del piano Ambizione Italia #DigitalRestart
Nel primo semestre del 2018, le vendite di veicoli elettrici avevano già raggiunto le 783.000 unità in tutto il mondo superando la quota del 2% del mercato globale
Per quanto le startup cinesi abbiano guadagnato terreno, i loro numeri sono ancora molto inferiori a quelli di Tesla
Ma il cambiamento è globale e l’Europa guida i trend di crescita, grazie agli obiettivi sulle emissioni di CO2. La sfida più grande oggi è nella catena di fornitura delle batterie
L’era dei motori a combustione sta finendo: a lungo termine, questo settore non esisterà più.
Nel prossimo decennio la mobilità si trasformerà completamente grazie alla diffusione dei veicoli elettrici e alla condivisione dei mezzi di trasporto, con enormi implicazioni per il mercato dell’automobile e per la società in generale.
Una forte prova a sostegno di questa affermazione è la domanda di petrolio per il carburante dei veicoli che, secondo Bloomberg New Energy Finance, ha già raggiunto il suo picco, mentre la domanda di risorse energetiche per l’intero trasporto su strada raggiungerà il suo picco nel 2035, quando scenderà dello 0,6% su base annua per tornare ai livelli del 2018 nel 2050. Il trend si rifletterà sull’ambiente, con un deciso calo anche delle emissioni inquinanti, che seguiranno lo stesso percorso.
Già ora, i veicoli elettrici sostituiscono il fabbisogno di un milione di barili al giorno: in soli venti anni si consumeranno 17 milioni di barili di petrolio in meno. Ogni giorno. Seguendo questo trend, continuare a utilizzare automobili a combustione diventerà insostenibile dal punto di vista finanziario e inaccettabile per quanto riguarda l’ambiente.
Secondo Deloitte, nel primo semestre del 2018, le vendite di veicoli elettrici avevano già raggiunto le 783.000 unità in tutto il mondo superando la quota del 2% del mercato globale, e più che raddoppiando dal 2015.
Lo scontro fra Tesla e Nio (e le altre startup cinesi) in numeri
Il mercato cinese dei veicoli elettrici poggia prevalentemente su tre grandi operatori: Nio, Li Auto e Xpeng.
Le vendite di veicoli elettrici “puri” da gennaio a novembre sono aumentate del 4,4% rispetto a un anno fa, contro un calo del 7,6% delle vendite complessive di autovetture nello stesso periodo, secondo il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology cinese. Le azioni delle tre startup cinesi, tutte quotate a New York, sono salite alle stelle: Nio è stata una delle società cinesi quotate negli Stati Uniti più performanti del 2020, con un guadagno di oltre l’1,100%.
Per quanto le startup cinesi abbiano guadagnato terreno, i loro numeri sono ancora molto inferiori a quelli di Tesla di Elon Musk, che ha consegnato un numero di auto circa cinque volte maggiore in tutto il mondo nello scorso anno rispetto alle tre startup messe insieme.
Ecco lo scontro del 2020 in numeri:
Nio
L’azienda ha reso noto che nel 2020 le consegne sono più che raddoppiate rispetto all’anno precedente, arrivando alla cifra di 43.728 veicoli.
Diventata pubblica nel settembre 2018, ha subito incontrato difficoltà finanziarie. Mentre la Cina affrontava la pandemia all’inizio del 2020, Nio si è assicurata circa 1 miliardo di dollari di finanziamenti da parte di investitori statali. In agosto, il fondatore William Li ha dichiarato che la società prevede di riprendere i piani di espansione internazionale nella seconda metà del 2021, a partire dall’Europa.
Le consegne sono salite costantemente per cinque mesi consecutivi, raggiungendo le 7.000 unità nel solo mese di dicembre, e la startup ha da poco presentato la sua prima berlina.
Li Auto
Li Auto dichiara di aver consegnato 32.624 vetture nel 2020, appena 12 mesi dopo essere entrata sul mercato.
Le consegne per il primo modello, il SUV Li One, hanno raggiunto il record mensile di 6.126 unità nel mese di dicembre e le azioni sono aumentate del 150% rispetto all’offerta pubblica iniziale di luglio sul Nasdaq.
Xpeng
I dati rilasciati da Xpeng raccontano di 27.041 veicoli consegnati nel 2020, numero più che raddoppiato rispetto a un anno fa. Nel solo mese di dicembre, l’azienda ha infatti consegnato 5.700 auto elettriche.
Le sue azioni sono aumentate di oltre il 185% dall’offerta pubblica di acquisto iniziale alla Borsa di New York ad agosto.
Tesla
Numeri di tutt’altro tenore per Tesla, che nel 2020 ha consegnato 499.550 veicoli, mancando leggermente un obiettivo implicito di 500.000 unità. Tuttavia, la casa automobilistica di Elon Musk ha stabilito un nuovo record trimestrale con la consegna di 180.570 veicoli negli ultimi tre mesi dell’anno.
Il senior tech analyst di Wedbush Securities, Dan Ives ha attribuito la forte performance del quarto trimestre di Tesla proprio alla presenza in Cina, dove ha sede una fabbrica con una capacità produttiva annuale di 250.000 veicoli.
Nonostante la concorrenza agguerrita, “la Cina rimane un’opportunità per il mercato dei veicoli elettrici ‘greenfield’, poiché riteniamo che le vendite complessive di veicoli elettrici possano potenzialmente raddoppiare nella regione nei prossimi anni, data la domanda repressa di veicoli elettrici in tutte le fasce di mercato“, second Ives. Con un’ulteriore crescita in Cina, Ives prevede che Tesla potrebbe consegnare un milione di unità in tutto il mondo entro il 2022.
Intanto, Tesla ha comunicato che i veicoli del Model Y di fabbricazione cinese arriveranno sul mercato con un prezzo di 339.900 yuan: è il 30% in meno rispetto al costo inizialmente annunciato di 488.000 yuan.
Inoltre, durante il Battery Day 2020, il CEO di Tesla, Elon Musk, ha lanciato una bomba rivelando il suo piano per abbattere i costi degli EV e rivoluzionando così l’industria delle batterie: le nuove tecnologie per la produzione degli accumulatori (le batterie tabless) permetteranno di immagazzinare cinque volte più energia con un conseguente aumento di potenza del 6% e un aumento dell’autonomia del 15%
Il significativo calo dei costi di produzione renderà l’acquisto di un veicolo elettrico alla portata di un numero molto più alto di persone.
Il trasporto delle merci e la mobilità condivisa
Gli spostamenti delle persone non saranno gli unici ad essere rivoluzionati da queste innovazioni: UPS, big player delle spedizioni, ha iniziato a investire nel settore e ha già acquistato diecimila veicoli elettrici, con una previsione di acquisto di altri duemila veicoli ogni anno.
Nel frattempo, diverse società di car sharing hanno iniziato a utilizzare EV nel loro business e la maggior parte dei produttori di automobili sta sviluppando e testando nuove soluzioni a propulsione elettrica.
Il cambiamento è globale
Lo scorso anno Apple ha assunto Michael Schwekutsch, ex VP Engineering di Tesla, ora a capo dello sviluppo del propulsore elettrico dell’azienda. Una mossa audace, che rivela il chiaro intento di Apple di integrare i veicoli elettrici nella sua flotta di veicoli.
General Motor’s Cruise ha percorso 831 mila miglia con la sua EV Chevrolet Bolt di terza generazione e ha dato vita a Cruise Anywhere, un servizio di ride-hailing per dipendenti a San Francisco, e ha collaborato con DoorDash che utilizza i suoi veicoli per il food delivery.
Waymo (di proprietà di Google Alphabet) batte la concorrenza in termini di chilometri: i suoi 600 veicoli hanno percorso oltre 35 milioni di km in 25 città e richiedono un intervento manuale solo ogni 20.000 km. Un fattore decisamente importante per superare la concorrenza.
Le prestazioni dei veicoli elettrici migliorano e i costi diminuiscono in misura esponenziale. Questo consente agli imprenditori e investitori più lungimiranti di spostarsi interamente sul trasporto elettrico.
Se Tesla raggiungerà da sola l’obiettivo di produzione di 3 terawattora all’anno, le industrie dell’energia e dei trasporti dovranno adeguarsi di conseguenza (e rapidamente), giustificando la folle quotazione attuale delle azioni.
Il crollo dei prezzi dei veicoli EV renderà presto le auto con motore a combustione interna un ricordo del passato.
Cina e USA frenano, l’Europa guida il trend di crescita
I mercati chiave dell’EV suggeriscono dinamiche regionali in evoluzione, con la Cina e gli Stati Uniti che perdono terreno rispetto all’Europa.
Secondo l’indice EVI di McKinsey, la crescita del mercato dei veicoli elettrici ha rallentato nel 2019 e nel primo trimestre del 2020, dopo essere invece aumentata del 65% dal 2017 al 2018. Nel 2019, il numero di unità vendute è aumentato solo a 2,3 milioni, da 2,1 milioni, per una crescita di appena il 9% rispetto all’anno precedente.
Nel primo trimestre del 2020, le vendite di veicoli elettrici sono diminuite del 25% I giorni di rapida espansione sono cessati, o almeno si sono temporaneamente interrotti.
Il discorso però cambia se consideriamo con attenzione il mercato europeo: in contrasto con un rallentamento a livello globale nel 2019 e nel primo trimestre del 2020, l’Europa ha ampliato la sua quota di mercato al 26%, crescendo del 44%, mentre nel Regno Unito le vendite di veicoli elettrici sono diminuite del 12% nel 2019, con solo 320.000 unità vendute.
CINA
Le vendite di EV sono rimaste più o meno costanti in Cina nel 2019: circa 1,2 milioni di unità vendute, con un aumento del solo 3% rispetto all’anno precedente e nel primo trimestre 2020 la vendita di veicoli elettrici è diminuita del 57% rispetto al trimestre precedente.
Nel primo trimestre del 2020, la Cina è stata pesantemente colpita dalla pandemia COVID-19 e diversi produttori di veicoli elettrici sono stati costretti a fermare la produzione.
Il calo della crescita dei veicoli elettrici in Cina, con conseguenti tagli alle sovvenzioni del governo, ha sollevato preoccupazioni sulla sostenibilità della domanda dei potenziali clienti, anche se Pechino ha fissato un obiettivo di vendita del 25% del mercato per i veicoli elettrici entro il 2025. Riuscirà a rispettarlo?
Il governo ha recentemente deciso di estendere le sovvenzioni ai NEV (Neighborhood Electric Vehicle) di due anni, fino alla fine del 2022.
Inoltre, 10 miliardi di RMB (1,4 miliardi di dollari) saranno investiti per ampliare la rete di ricarica per i veicoli elettrici come parte di uno stimolo economico che potrebbe aiutare la ripresa delle vendite di veicoli elettrici.
Tuttavia, raggiungere l’obiettivo del 25% entro il 2025 probabilmente richiederà strumenti politici aggiuntivi e nuovi modelli di business per stimolare una domanda sufficiente da parte dei consumatori.
EUROPA
In Europa la situazione è diversa perché i costruttori di automobili si affidano ai veicoli elettrici per rispettare i parametri di riduzione del biossido di carbonio per i prossimi anni.
Anche se l’investimento in EV è stato di oltre 30 miliardi di euro negli ultimi due anni, la crisi legata al COVID-19 rischia di vanificare gli sforzi per soddisfare le stringenti normative europee ed evitare sanzioni pecuniarie: il superamento dei limiti renderebbe ancora più severi gli obiettivi previsti per il 2030.
Nonostante la pandemia, l’Europa ha registrato un maggiore slancio, lato consumatore, per l’acquisto di veicoli elettrici nel primo trimestre 2020 e altri segnali suggeriscono che questo trend continuerà, ad esempio un piano importante per la realizzazione di infrastrutture di ricarica e la creazione di ulteriori incentivi all’acquisto.
Il nuovo standard di emissioni dell’Unione Europea, 95 grammi di anidride carbonica per chilometro, potrebbe incentivare ulteriormente le vendite di veicoli elettrici, perché stabilisce che il 100% del parco veicoli debba soddisfare questo standard nel 2021.
Le vendite di BEV (battery electric vehicle) hanno registrato una sostanziale accelerazione spinta da tre modelli: la Tesla Model 3, la Hyundai Kona e l’Audi e-tron.
Le vendite di EV sono aumentate di percentuali a due cifre nel 2019 in quasi tutti i paesi europei. Le vendite in alcuni mercati più piccoli, come Estonia, Islanda e Slovacchia, sono invece diminuite in termini assoluti.
A trainare le vendite di veicoli elettrici ci sono Germania e Paesi Bassi, che hanno contribuito per quasi la metà della crescita complessiva del mercato in Europa; in entrambi i paesi, le unità vendute sono aumentate di circa 40.000 pezzi, grazie all’aumento della domanda di nuovi modelli, della disponibilità di modelli esistenti con batterie più performanti, e all’introduzione di nuovi incentivi governativi.
USA
Nel 2018, negli Stati Uniti le vendite di veicoli elettrici sono aumentate dell’80%, in grande misura grazie al lancio sul mercato della versione standard di Tesla Model 3.
Con l’aumento delle consegne di Tesla all’estero e la graduale eliminazione del credito d’imposta federale a gennaio e luglio 2019, le vendite del marchio negli Stati Uniti sono diminuite del 7%, ovvero di 12.400 unità.
Nel frattempo, la Chevrolet Volt è stata gradualmente eliminata e le sue vendite sono diminuite di 14.000 unità, mentre quelle della Honda Clarity sono diminuite di 8.000 unità.
Alcuni OEM internazionali (Original equipment manufacturer) hanno lanciato con successo nuovi modelli negli Stati Uniti nel 2019, tra cui Audi (e-tron) e Hyundai (la Kona). Anche le vendite dell’e-Golf di VW sono aumentate. Questi tre marchi hanno rappresentato più di 24.500 unità di vendite, ma la loro forte performance non ha potuto compensare il declino di altri modelli.
Anche i bassi prezzi del petrolio di oggi stanno contribuendo al rallentamento del mercato dei veicoli elettrici, perché riducono notevolmente il costo totale di proprietà dei veicoli con motore a combustione interna (rispetto ai veicoli elettrici).
Questi cambiamenti stanno creando grande incertezza, e lo sviluppo del mercato americano dei veicoli elettrici potrebbe dipendere in gran parte sia dal numero di stati che adottano il programma “Zero-Emission Vehicle Program” della California sia dalle oscillazioni dei prezzi del petrolio.
Secondo il rapporto di McKinsey, le strategie di elettrificazione in USA rimangono costanti nonostante l’incertezza sulle normative vigenti, ma rispetto all’ultimo trimestre del 2019, le vendite sono diminuite del 33%.
Anche se alcune case automobilistiche hanno tagliato o posticipato i programmi per gli EV, gli OEM nazionali continuano a impegnarsi per migliorare il risparmio medio di energia sulle nuove flotte, comprendenti SUV e veicoli utilitari compatti.
Molte case automobilistiche stanno utilizzando l’ibrido plug-in veicoli elettrici (PHEV) come ponte per un futuro completamente elettrico.
Negli ultimi anni, le vendite di ibride plug-in sono cresciute più lentamente rispetto alle vendite di veicoli a sola batteria elettrica (BEV). I PHEV (Plug-in Hybrid Electric Vehicle) rappresentano meno di un terzo del mercato globale dei veicoli elettrici in 2019.
Precipita il mercato dei PHEV
Sebbene la maggior parte delle case automobilistiche li abbia in catalogo, il numero di modelli disponibili si ridurrà a meno della metà del numero di modelli BEV, nei prossimi anni.
L’autonomia di guida è uno dei principali vantaggi dei PHEV, ma questa tipologia di veicoli ha recentemente iniziato ad affrontare i venti contrari della regolamentazione, perché il loro impatto ambientale ha suscitato preoccupazioni. In reazione, alcuni paesi hanno ridotto o interamente abolito le agevolazioni economiche per i PHEV, aumentando ulteriormente il loro già elevato prezzo per i consumatori.
Nel 2019, tra i mercati chiave dei veicoli elettrici, i PHEV dominavano la categoria dei veicoli elettrici in soli tre paesi: Finlandia, Islanda e Svezia. Pertanto, possiamo prevedere che i PHEV rappresenteranno una quota compresa solo tra il 5 e il 10 per cento del mercato globale da 2030.
L’alternativa a idrogeno
Si sente parlare molto poco dell’idrogeno ma in realtà c’è un bel po’ di movimento, soprattutto sul fronte dei veicoli commerciali.
La maggior parte dei grandi OEM stanno lavorando su questa tecnologia: per esempio, Daimler e Volvo, Toyota e Traton, e Honda e Isuzu, mentre nuovi player, come Nikola e Hyzon, stanno entrando nel mercato. Anche le aziende cinesi si stanno muovendo velocemente.
Nel complesso, vediamo sempre meno OEM che non pensano all’idrogeno come a una necessaria parte del loro portafoglio di propulsione. Alla luce della regolazione del biossido di carbonio per i camion, ogni tonnellata di peso in meno e ogni chilometro percorso in più abbatterà i costi per le celle a combustibile rispetto alle batterie.
Per i camion a lungo raggio, i veicoli elettrici con celle a combustibile andranno in pareggio con i veicoli elettrici a batteria entro i prossimi cinque anni. Raggiungeranno anche un costo inferiore rispetto al diesel prima del 2030.
Come gli EV possono scalare il mercato
All’inizio gli acquirenti di veicoli elettrici sembravano costituire un segmento specifico di consumatori: abitanti di città tecnologicamente all’avanguardia con redditi superiori alla media e abituati allo shopping online. Adesso, la diffusione dei veicoli elettrici è significativamente aumentata tra i consumatori e molti hanno imparato a riconoscere i numerosi vantaggi dei veicoli elettrici.
Per aumentare la quota di mercato, i produttori di questi veicoli dovrebbero sistematicamente insistere sui vantaggi legati all’adozione di queste tecnologie: dal rispetto per l’ambiente, fino alle sovvenzioni, passando attraverso una nuova esperienza di guida.
La crescita nei settori dei trasporti rimane una delle leve più critiche negli sforzi globali per ridurre il biossido di carbonio e migliorare la qualità dell’aria urbana, ma sarà necessario che oltre a sovvenzioni e sanzioni, i governi attuino programmi di rottamazione che incoraggino i consumatori a sostituire le vecchie auto con quelle di nuova generazione.
Il boom del mercato delle batterie
Pompati dalle ambiziose strategie EV delle case automobilistiche, i fornitori di batterie stanno aumentando le loro capacità produttive.
Quali sono le tendenze e le sfide principali per la catena di fornitura delle batterie?
Secondo Markus Wilthaner, partner associato di McKinsey a Vienna, l’adozione dei veicoli elettrici ha sovraccaricato l’industrializzazione e l’espansione nel settore. I produttori di celle a batteria si trovano ora davanti a un’opportunità di crescita fuori misura e potrebbero diventare alcuni dei maggiori fornitori del settore automobilistico a livello globale.
Questa grande opportunità si accompagna però a enormi sfide e compromessi. Le aziende hanno bisogno di aumentare rapidamente le capacità di produzione e devono stabilizzare i processi raggiungendo rendimenti molto elevati e puntando costantemente all’innovazione dei prodotti.
Ogni anno, devono ridurre i costi per aggiudicarsi contratti a lungo termine e rimanere competitivi, cercando allo stesso tempo nuovi modelli di business.
Infine questi fornitori dovranno risolvere le sfide legate alla sostenibilità trasformando l’intera catena del valore della batteria, dall’estrazione mineraria al riciclo delle unità esauste, rispettando l’ambiente e creando un’industria responsabile.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/speciale-veicoli-elettrici.jpg9641708Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-01-22 15:56:252021-03-12 08:17:48I veicoli elettrici sono sempre più vicini all'adozione di massa e l'Europa guida la crescita
Dall’eroismo alla vicinanza sociale dei brand, anche l’employer branding cambia prospettiva
Puntare sull’inclusione generazionale è la strategia giusta per non perdere attrattività
Non è un errore di battitura. Nel titolo è scritto proprio Employee Branding (branding dei dipendenti) perché il focus delle strategie di attrazione dei futuri lavoratori in azienda si sposta sempre di più dal brand alle persone.
La trasformazione in Employee Branding
Il cambio culturale che si è prodotto nel nostro immaginario collettivo in questo 2020 di pandemie e infodemie, ha già modificato i messaggi sul piano marketing dei brand più importanti portandoli a narrare degli storytelling che, come ha profetizzato Andrea Fontana in “Ballando con l’Apocalisse” (ROI Edizioni, 2020.p.58), sono passati dai messaggi che prima del Covid-19 recitavano: “Amami, ti insegno a vivere, per cui comprami” a: “So che siamo nei guai, ma credo di capire i tuoi problemi, che sono anche i miei, proverò a starti a fianco per fare con te un pezzo di strada insieme”.
E l’employer branding non può esimersi dal guardarsi allo specchio e riflettere se i messaggi che parlavano di impatto, carriera, “better workplace to be” e di benefit personalizzati siano ancora validi dopo la rivoluzione culturale e di sensibilità che si sta compiendo in questi mesi nella percezione dei potenziali nuovi dipendenti.
Un altro aspetto con cui fare i conti sarà senza dubbio la percezione della scarsità del lavoro e delle inevitabili difficoltà collegate alla contrazione del mercato per il 2021 che potrebbero modificare in un senso o in un altro i valori che i più giovani reputano distintivi di un brand. Si sceglieranno brand più “sicuri” dal punto di vista della stabilità economica e della sicurezza psicologica o continuerà il trend di infatuazione verso le aziende che riflettono sensibilità ai temi di sostenibilità e digitalità?
In altre occasioni ho già espresso personalmente quali contenuti evergreen dovrebbe comprendere una strategia di employer branding per essere efficace soprattutto in relazione al target giovanile: ovvero che il messaggio di Employer Value Proposition deve puntare sul miglioramento degli aspetti ritenuti per loro stessi come “negativi”, e quindi motivare, informare e valorizzare coloro che si ritengono disinformati, sfiduciati, defocalizzati, ma attraverso uno stile che si avvicini agli attributi che Millennials e Zed Gen conferiscono a loro stessi come “positivi”, ovvero partecipativo, dinamico, digitale e “smart”.
Ma esistono sicuramente altri temi fondamentali su cui vale la pena concentrare l’attenzione. Uno di questi è senz’altro la capacità di rappresentare in maniera trasparente ed efficace l’attenzione dell’azienda all’inclusione generazionale. Stando ai dati di Universum Global (2019) del D&I Index, infatti, il Il 53% dei Millennials definisce la diversità come diversità di età, l’83% dei Millennials e il 92% della Gen Z la considera come diversità culturale.
Sono quindi meno prevalenti gli altri temi come il genere, l’etnia, la religione, etc., e questo sta a significare quanto sia efficace poter rendere la propria organizzazione non solo sensibile, ma concretamente dedita all’inclusione generazionale, al fine di renderla naturalmente attrattiva per le nuove generazioni.
La dicotomia tra “veterani” e “neofiti” rappresenta anche sul piano emotivo del giovane la paura di non essere integrato, accettato o accompagnato nella crescita professionale da parte dell’organismo aziendale. Questo, spesso, detiene o un numero elevato di senior, o una cultura valoriale che risiede necessariamente nelle figure con maggiore “anzianità” di carriera in quell’organizzazione.
Non è un mistero, inoltre, che i brand che investono in Diversity & Inclusion, aumentano significativamente i loro ricavi.
Gli ultimi dati del Diversity Brand Summit 2020 rilevano un +23% di crescita complessiva, con scelte di acquisto da parte dei consumatori che sono dedicate per oltre il 63% ai marchi ritenuti maggiormente inclusivi e la misura del Net Promoter Score che evidenzia una veicolazione del passaparola addirittura del +89,8% per questa tipologia di brand.
Se l’inclusione culturale attrae consumatori, probabilmente può farlo anche per futuri employee. Non a caso molti marchi di questa classifica coincidono anche con quelli più scelti o preferiti nelle indagini dell’Universum Most Attractive Employers Italy 2020.
Narrare l’inclusione significa approcciarsi alle tematiche sociali e di sostenibilità e ad un mindset culturale aperto e vicino alla realtà contemporanea delle persone, in particolare quelle alla ricerca di un lavoro, poiché ne vivono la complessità, l’incertezza e la volatilità in maniera molto concreta.
Torniamo quindi al principio per cui non sono forse solo le soluzioni eroiche dell’Employer ad attrarci (“ho un’opportunità di lavoro per te, ti salverò dalle difficoltà economiche”) ma anche i problemi e i conflitti umani che ci spronano e ci motivano nel momento in cui le organizzazioni che accettano le diversità e le fragilità di tutti e sono rappresentate anche da persone che falliscono, esitano e soffrono.
Poiché una delle grandi difficoltà delle strategie di employer branding è quella di rapportarsi con la comunicazione esterna di prodotto (che solitamente non parla di persone) la strada del racconto dell’imperfezione, fatta di esseri umani perfettibili, di risultati non ottenuti e obiettivi non raggiunti, potrebbe diventare una scelta di narrazione coraggiosa e ripida, ma che certamente riuscirebbe ad attrarre molto efficacemente la platea dei potenziali employee, (giovani e meno giovani), in quanto ineluttabilmente autentica.
La frontiera innovativa dello storytelling di un datore di lavoro che si prefigura è quindi una sorta di “Employer Unbranding” o “Employee Branding”, dove si comunica in primis la vita autentica delle persone, senza filtri, essenziale. E ancora di più uno storytelling intergenerazionale può fare la differenza, nel momento in cui la narrazione delle storie professionali riesca a rappresentare anche i conflitti e le criticità della vita delle persone, con l’obiettivo non solo di aumentare la notorietà dell’employer brand, ma anche di offrire una reale utilità alle persone stimolando il loro interesse e il loro coinvolgimento.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/linkedin-employee-branding.jpg594935Giulio Beroniahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulio Beronia2021-01-21 18:01:592021-01-25 23:17:19Dall’Employer all’Employee Branding: attrarre i giovani con l’umanità e l’imperfezione
Quando eravamo bambini e immaginavamo come sarebbe stato il futuro, non potevamo fare a meno di sognare macchine volanti, viaggi interplanetari e oggetti scintillanti con mille funzioni, come una sorta di coltellini svizzeri futuristici. Sulle macchine volanti e i viaggi spaziali ci stiamo ancora lavorando, ma per quanto riguarda gli oggetti la nostra fantasia non aveva tutti i torti. Pensate a come la tecnologia ha migliorato le nostre vite e come Internet sia parte integrante della nostra quotidianità attraverso prodotti e servizi sempre più 2.0.
Stiamo parlando dell’importanza dell’IoT, ossia l’Internet of Things, l’Internet degli oggetti e del ruolo crescente che ha assunto negli ultimi anni.
Internet of Things, quotidianità e mondo digitale
Cosa intendiamo quando parliamo di IoT? È un acronimo che abbiamo sentito spesso nominare. Internet of Things, lo dice stesso la parola, è l’Internet degli oggetti, sono infatti quest’ultimi a essere connessi, grazie a Internet, e hanno la facoltà di scambiare dati tra loro. Questi prodotti sono definiti intelligenti, quindi smart objects.
Stiamo parlando di un’evoluzione dell’uso d’Internet perché attraverso la connessione, gli oggetti si rendono riconoscibili e scambiano informazioni su sé stessi e l’ambiente che li circonda.
Gli smart objects hanno delle caratteristiche peculiari che li rendono tali, stiamo parlando di proprietà cui:
l’identificazione
la connessione
la localizzazione
la capacità di generare dati
la possibilità d’interagire con l’ambiente esterno
Campi di applicazione dell’IoT
L’Internet of Things può essere applicato in qualsiasi contesto, dagli elettrodomestici di casa per un’abitazione smart, a sistemi più complessi come le apparecchiature in campo medico.
È possibile con l’IoT agire in ambito sanitario con precisione e ottimizzando gli sforzi monitorando, per esempio, lo stato di salute dei pazienti da remoto. In questo modo il personale può recarsi presso le strutture sanitarie solo quando c’è un’urgenza grave.
In riferimento a macchinari di qualsiasi genere, invece, l’IoT permette il monitoraggio e il loro funzionamento, così chi si occupa della manutenzione può intervenire solo quando c’è una reale necessità.
IoT e aziende: utilizzi e vantaggi
Abbiamo visto che l’IoT agisce in diversi campi applicativi, ma può essere vantaggioso anche per migliorare le performance di un’azienda? Certo che sì.
Con l’ormai conclamata industria 4.0, l’IoT è sempre più parte integrante dell’innovazione e consente alle organizzazioni di raccogliere, scambiare, analizzare e interpretare i dati in tempo reale. Il valore di questi dati è unico perché fornisce informazioni significative sui consumatori, in determinati contesti, e in tempo reale, permettendo alle aziende di modificare i propri prodotti e servizi, ove è necessario, e trasformare l’interazione e le relazioni con i clienti.
Ma un’azienda come può adottare in modo pratico l’IoT, utilizzandola e integrandola al proprio sistema?
Le soluzioni che ci vengono proposte non sono tutte performanti. Spesso risultano frammentate, troppo complesse e invece di semplificare i processi, tendono a comprometterli. Le aziende hanno bisogno di uno strumento unico e intuitivo che possa facilitare e non disperdere le attività utili proveniente dall’integrazione dell’IoT.
Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: a chi rivolgersi?
Cloud MQTT, il server per connettere gli oggetti nelle aziende
Ci viene in soccorso Seeweb, un Cloud Computing Provider che offre servizi di alta qualità e unici quanto a tecnologia, scalabilità e rapporto prezzo/prestazioni. Un provider che punta da sempre all’innovazione ed è sempre attento alle novità del mercato. Seeweb non poteva lasciarsi scappare l’occasione di creare un servizio tutto suo che riguarda proprio l’IoT, attraverso il lancio di Cloud MQTT.
Il Cloud MQTT connette gli oggetti nelle aziende sfruttando il protocollo di comunicazione più efficace in ambito IoT. Include diverse caratteristiche come:
la gestione semplificata dei dispositivi;
la personalizzazione dei dati di connessione;
la possibilità di salvare i dati nel nostro Cloud;
La piattaforma riduce le complessità legate all’utilizzo dell’Internet of Things nelle aziende grazie a una cloud things platform completamente gestita che:
si avvale di Kubernetes, che automatizza le operazioni di gestione dei container;
sfrutta MQTT, il protocollo più usato per connettere gli oggetti al Cloud;
è compatibile con la maggior parte dei device esistenti;
è abbinabile a un dominio personalizzato e a un certificato SSL;
offre la possibilità di salvare le metriche nel Cloud Seeweb;
permette di gestire i dati mediante Prometheus
Una volta acquistato il servizio verranno inviati i dati di accesso da utilizzare per configurare il prodotto e i dispositivi. Ogni dispositivo ha un client ID, un topic e i permessi di accesso.
Quali sono gli strumenti che possono beneficiare di questo servizio?
Possiamo utilizzare tutti i tipi di dispositivi che supportano MQTT, ossia i sensori di temperatura, automotive, controllo macchine ma anche software di telemetria o messaggistica. Ma cos’è un protocollo MQTT e a cosa serve?
Cos’è un MQTT
Il protocollo MQTT ha l’obiettivo di rendere facile ed efficace la comunicazione tra le macchine, ossia gli oggetti. Le sue caratteristiche principali sono:
la leggerezza e la semplicità nello scambio di messaggi;
ha la possibilità di creare il minimo traffico sulle reti;
richiede poche risorse ai dispositivi a livello di gestione.
È uno strumento capace di veicolare in modo efficiente la distribuzione di messaggi da uno a molti destinatari, garantendo affidabilità e semplicità. Connettere i dispositivi di un’azienda e integrare l’IoT non sarà più un grosso problema con Cloud MQTT, un modo semplice di abbracciare l’innovazione.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/12/Iot.jpg500765Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2021-01-21 16:30:152021-01-25 23:13:50IoT, ovvero come iniziare a connettere oggetti nella propria azienda
Il nostro mondo è cambiato, così come la comunicazione visiva. Nel 2021, i brand e i creatori di contenuti dovranno cercare di indagare sui nuovi bisogni, priorità e punti deboli dei consumatori, ridefinire il concetto di autenticità nella fotografia e trattare il loro pubblico con contenuti video mordi e fuggi e design più dinamici.
Ecco, quindi, quali saranno i trend visuali del 2021 e come possiamo lasciarci ispirare.
1. Simboli di ottimismo
La tendenza è che il pubblico sia più coinvolto e rimanga fedele ai marchi che trasmettono messaggi positivi e ottimisti. Gli elementi essenziali nel 2021 per i creativi sono palette dai colori vivaci che riflettano gioia e speranza per un futuro luminoso, oltre a font arrotondati dall’aspetto amichevole e invitante.
Quest’anno, i marchi saranno anche chiamati a far sentire i consumatori a proprio agio nell’usare le immagini come un vero e proprio linguaggio. Concetti come lo slow living possono essere utilizzati come simboli di ottimismo ed essere apprezzati dal pubblico di tutto il mondo.
Parole chiave: ottimistico, slow living, divertimento
Oggi, le esigenze dei consumatori ruotano intorno alla salute e al benessere. I marchi e i creatori di contenuti utilizzano immagini che illustrano la cura personale, lo sport e il tempo libero per evidenziare un messaggio pertinente. Non dobbiamo dimenticare i bisogni umani di base, come il dormire bene, l’adeguata assunzione di cibo e la pratica regolare di attività fisica per migliorare la qualità della vita.
Tuttavia, il tema del benessere non è limitato ai messaggi trasmessi dai creativi. La componente visiva della tendenza si basa su soluzioni di colori calmanti ed equilibrati nei design, oltre a foto, illustrazioni e video motivazionali che aiutano a dimostrare che i marchi sono interessati al benessere fisico e digitale del loro pubblico.
Parole chiave: routine, motivazionale, stile di vita
Quando ci sentiamo emotivamente carichi, ci rivolgiamo alla natura, che ci distrae e fa spostare la nostra attenzione su ciò che conta davvero. Nel design, vediamo che questo si riflette sulla tendenza di utilizzare sfumature di base e motivi botanici che aiutano a ridurre i livelli di stress, migliorare l’umore e aumentare la produttività.
Palette di colori ispirate alla natura, foto autentiche ed elementi organici nella grafica animata possono essere una scommessa sicura e stimolante per i design dei siti web nel 2021. Anche le esperienze utente più d’impatto e coinvolgenti possono essere raggiunte con l’inclusione di una traccia audio rilassante. Ad esempio, i suoni accattivanti delle foreste di tutto il mondo riescono a completare in modo coerente un progetto ispirato alla natura.
L’empatia virtuale fatta con le esperienze online può essere il modo più rapido per trasmettere un messaggio importante, cambiare le abitudini dei consumatori e accelerare il cambiamento. È necessario che le storie raccontate dai brand utilizzando VR, AR e MR siano più sincere e autentiche, non solo visivamente accattivanti.
Le aziende e i privati sono spinti a progettare scenari interattivi in cui l’utente gioca un ruolo centrale e gode di un’esperienza multisensoriale come nella vita reale. Solo una totale immersione nell’ambiente dopo un disastro ecologico, conflitti regionali o la vita quotidiana in diversi angoli del mondo può mettere il pubblico in relazione e aiutarlo a diventare più empatico con le questioni locali e con le sfide globali che stiamo affrontando.
Il pubblico è alla costante ricerca di contenuti più autentici. In passato, si cercavano aiuti visivi che traducessero bene le emozioni e le immagini con le quali poter identificarsi, che rappresentassero perfettamente stili di vita frenetici. Ma ora le foto e i video che illustrano questa cultura dell’eccitazione vengono sostituiti da immagini di slow living, lavoro e vacanze a casa.
I creatori di contenuti sono incoraggiati a ripensare a cosa sia l’autenticità, poiché i clienti pensano meno ai beni materiali e più ai valori spirituali. Allo stesso tempo, i marchi sono alla ricerca di modi per comunicare con storie più sincere e coinvolgenti, in cui la scelta di elementi visivi pertinenti è sempre essenziale.
Quest’anno, gli artisti che desiderano creare opere sperimentali si ispirano all’estetica cinematografica. Creano foto e video con composizioni che lasciano più spazio intorno ai soggetti per catturare l’ambiente e l’atmosfera, che mostrano grande attenzione ai dettagli, palette di colori tenui e che richiedono quasi sempre una post-produzione minima.
I professionisti sono alla continua ricerca e sperimentazione di nuove tecniche di illuminazione per ottenere l’inquadratura perfetta, inventando modi innovativi per riprendere immagini ispirate a film e programmi TV. Questa tendenza fotografica aumenta il fascino delle immagini, che sembrano essere uscite direttamente dallo schermo di un film.
Con un pubblico in costante crescita di utenti di TikTok e l’introduzione di Instagram Reels, il formato video ‘mordi e fuggi’ è stato semplificato ed è ora perfetto per consumare i contenuti in circolazione. I creatori di contenuti di tutto il mondo sono in grado di mantenere gli utenti coinvolti con una narrativa più autentica e coinvolgente che dura pochi secondi.
I video mordi e fuggi vengono creati con uno smartphone o una fotocamera digitale per risparmiare tempo. Le app di editing video o gli strumenti di Instagram e TikTok sono molto utili per ridurre ulteriormente il tempo tra la creazione e la condivisione. Il nuovo formato video funziona bene anche per i marchi che devono rispondere rapidamente agli eventi, condividere aggiornamenti con contenuti situazionali e raggiungere nuovi segmenti di pubblico.
Parole chiave: verticale, coinvolgente, situazionale
Nel 2021, audio e immagini andranno di pari passo per aiutare i marchi a connettersi meglio con il loro pubblico e lasciare un’impressione buona e duratura. Brevi sequenze di musica nei video, effetti sonori nelle app e tracce integrate nei siti web fanno sì che gli utenti abbiano un coinvolgimento visivo e uditivo per ottenere un’esperienza migliorata con un prodotto specifico, un progetto o anche il marchio stesso.
I clienti dei microstock sono entusiasti di aggiungere effetti sonori e musica ai progetti a tema per una maggiore risposta emotiva. L’audio diventa sempre più un elemento essenziale per le aziende che vogliono avere una parte attiva nella competizione e creare esperienze ambientali indimenticabili, sia online che offline.
Il lockdown in tutto il mondo ha accelerato la digitalizzazione globale, lasciando le persone senza scelta, se non quella di abbracciare la nuova realtà. Man mano che le persone si abituano alla nuova routine online, i designer cercano modi per mantenere gli utenti più coinvolti.
L’integrazione di elementi di gioco su siti web, app e altri progetti è il nuovo modo di concentrarsi sull’utente per i marchi. Sfide tematiche e soggetti animati, badge dei risultati e classifiche stilizzate o esperienze più complesse create con l’aiuto di grafica animata possono aumentare l’immersione dell’utente. L’esperienza d’uso diventa più calma e divertente, anche quando parliamo di attività di routine, come prendersi cura delle finanze, lavorare o fare esercizio fisico.
Cosa sta accadendo nel mondo dei social media? La recente decisione di Facebook e Twitter di bannare il presidente degli Stati Uniti uscente, Donald Trump, come fosse un utente qualsiasi, è una scelta che sembra andare ben oltre gli “standard della community” e crea un precedente preoccupante. Ne abbiamo parlato con Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, professore associato di Storia delle Dottrine Politiche all’Università IULM di Milano e autore di “Contro la tribù – Hayek la giustizia sociale e i sentieri di montagna”.
I nuovi media sostituiranno i social tradizionali?
Può un social network censurare le idee? Il caso Trump apre interrogativi sul potere della tecnocrazia ed accendo il dibattito. Quale saranno gli effetti futuri? Assisteremo ad una fuga degli utenti verso i media emergenti?
«La censura di Trump crea un doppio cortocircuito. Equipara di fatto i social network agli editori tradizionali, scegliendo di non dare voce a un utente, esattamente come farebbe l’editore di un quotidiano – sottolinea Alberto Mingardi – L’interrogativo attuale, a fronte delle problematiche in cui sono coinvolti, tra cui i diritti di copyright, a difendersi sostenendo di non essere editori, d’ora in avanti? Dall’altra, mette in crisi coloro che hanno sempre denunciato i social perché sottratti alla regolamentazione pubblica: Twitter e Facebook si sono, letteralmente, autoregolati. L’espulsione di Trump è un atto eclatante ed apre un dibattito che si svilupperà a lungo».
Le Big Tech, nate come espressione del libero mercato, sembrano ormai legate indissolubilmente ai decisori politici, tanto da fornire output non desiderabili, tali da far fallire le proprie stesse premesse. Il risultato è un conglomerato di potere, più vicino alle logiche del crony capitalism che del free market.
Parler in crescita
Alla censura in atto su Twitter e Facebook si è unita l’offensiva contro Parler da parte di Google e Apple (con la rimozione dell’App dai rispettivi store online) e di Amazon dai propri server. La fuga degli investitori, testimoniata dai crolli in borsa delle piattaforme, si tradurrà anche in una fuga degli utenti verso piattaforme alternative? In una logica di libero mercato l’ipotesi diventa realistica, nel momento in cui altri player saranno in grado di offrire servizi altrettanto interessanti. Anche se lo scoglio resterà sempre il solito: la massa critica di persone che andranno ad animare una nuova piattaforma e quanto il valore aggiunto di quest’ultima verrà percepito dagli utenti, sempre più polarizzati in “tribù” distinte e impermeabili tra loro.
«Twitter e Facebook ci ricordano tutti i giorni come sia cambiato Internet – continua Mingardi – Speravamo fosse uno spazio aperto, nel quale potesse svilupparsi un dibattito più razionale e sereno, invece i social replicano, in certi casi inasprendola, la tribalizzazione anche politica che si riscontra nelle nostre società. Il cerchio delle cose che leggiamo si restringe. Gli algoritmi dei social media aiutano ciascuno di noi a costruire la propria echo-chamber, impermeabile a qualsiasi contaminazione di altre opinioni».
Alberto Mingardi
Professor Mingardi, l’assenza di dibattito radicalizza ogni utente sulle proprie posizioni? La comfort zone dei propri amici diventa quella del proprio algoritmo di gradimento.
«La frequentazione assidua di queste piattaforme rinforza le convinzioni di ogni utente, un po’ come un tempo si faceva comprando in edicola l’Unità e il Giornale. Solo che qualsiasi quotidiano, anche il più schierato, è plurale negli argomenti trattati: nei media tradizionali c’era sempre l’articolo di cricket in un magazine stampato per gli appassionati di calcio.
Nel nuovo mondo polarizzato, alcune tribù hanno avuto più successo di altre, come nel caso di quella dei sostenitori di Donald Trump nel 2016. Quattro anni fa nessuno o quasi si sarebbe aspettata l’elezione del candidato repubblicano, che aveva costruito un grande seguito su Twitter (memorabile la sua battuta al raggiungimento del milione di follower: “È come avere il New York Times, senza pagare per il suo bilancio in dissesto”). La sua lezione non è stata sprecata e nel frattempo anche i democratici si sono messi al lavoro per recuperare terreno. La comunicazione politica è diventata così sempre più aggressiva, intollerante, tribale».
Riconoscere una fake news
Le fake news bastano a censurare il post di un account privato. Chi decide e come si riconosce una notizia fake? «Quando ti metti a definire una fake news non ne esci più. Cos’è realmente? Alcune sono evidenti, altre meno. Dove comincia la “balla” e dove inizia l’opinione? È un lavoro che possono fare i fact checkers, ma anche costoro debbono crearsi una reputazione “sul mercato”: guai se diventano censori ufficiali.
Le misure di contrasto alle fake news riprendono anche un po’ il target dei social, riflettono gli utenti: FB, che è più popolare e trasversale ha lasciato più libertà di circolazione delle idee rispetto a Twitter, che ha filtri più coerenti con la sua base utenza».
Serve una normativa? Molti decisori politici invocano un provvedimento che ponga limiti allo strapotere delle piattaforme social. «Regolare decisioni arbitrarie di soggetti privati, come le Big Tech, con le decisioni, altrettanto arbitrarie, della politica e della legge? Forse non è la soluzione migliore. Bisognerebbe scommettere sulla diversificazione e sul mercato: se le persone non si troveranno bene in una piattaforma, migreranno in un’altra piattaforma, quando qualcuno proporrà loro offerte alternative e altrettanto credibili. Si pensi alla crescita di Linkedin, che è una specie di porto sicuro dalle polemiche più urlate. Vedremo come evolverà Parler, ora che Twitter ha cacciato Trump».
I social media diventano editori proprio nel momento in cui la fiducia nei media tradizionali è al minimo storico.
«L’assenza di fiducia nei media tradizionali non per forza è un fatto positivo: le grandi testate hanno anche una funzione di scrematura dei punti di vista, l’opinione di mio cugino vale meno di quella del fondo del Wall Street Journal. Si presume che chi scrive per queste testate abbia una capacità di analisi maggiore. I grandi media hanno la funzione di dirti che ci sono cose che meritano la prima pagina e altre che stanno bene a pagina 25, una funzione preziosa, ben diversa dalla home di un social, che invece è basata su una scala di importanza personalizzata per i gusti di ciascuno di noi. La crisi dell’editoria, e dei media tradizionali in generale, ha portato questi editori a motivare la propria tifoseria, tribalizzando a loro volta l’informazione: solo un altro modo per tamponare l’emorragia di lettori e ascoltatori, una strategia che tuttavia non sembra funzionare molto. Quello delle tifoserie è un gioco che, ad esempio, è stato chiaro per tutto il 2020 con l’isterismo pandemico, alimentato dai media tradizionali in una rincorsa perversa agli umori dei social».
Attrarre l’audience
Il problema dell’autorevolezza, non riguarda solo i media ma anche la comunicazione politica. La pazienza delle persone è poca, l’intrattenimento è tutto: tempo una frazione di secondo si deve decidere se scrollare la home o soffermarsi su un tema.
«La comunicazione politica dovrebbe portare a conoscere qualcuno che mi somiglia ma che, per preparazione su certi temi e capacità, è meglio di me. Questo era il vecchio approccio: attualmente, nella sfiducia generalizzata, la gente si accontenta di intrattenimento: se lo show è divertente mi accontento, anche se i protagonisti non sono migliori di me e forse sono perfino peggio.
Il problema è che finché concedo il 5% del Pil all’intrattenimento (cinema, teatro, Netflix…) la situazione rientra nella normalità, ma se noi scegliamo i politici come in base alle loro doti di entertainment, stiamo scegliendo persone, sulla base di questo criterio, per affidargli metà del PIL; questa eventualità, che si sta concretizzando nelle nostre società attuali, diventa un problema.
Alberto Mingardi, Contro la tribù: Hayek, la giustizia sociale e i sentieri di montagna, Alberto Mingardi, Marsilio, 2020
La narrazione mainstream è ormai un “framing” preciso che esclude ogni altra “versione dei fatti”, censurandola dalla storia ed escludendo ogni revisionismo?
C’è sempre una realtà, tra le tante possibili, che diventa mainstream a discapito di altre. Eppure non sempre la versione che sopravvive è anche la più aderente ai fatti. Prendi l’esempio del Titanic: uno sceneggiatore del film di James Cameron trovò che un banchiere, a bordo, era rimasto sulla nave che colava a picco citando il posto al suo maggiordomo. Ne discussero con il regista e gli altri autori ma scelsero di non inserirlo nel film. Perché? Forse perché erano convinti che le persone non si sarebbero appassionati alla vicenda, forse perché gli sembrava troppo strano che un riccone potesse essere anche una persona animato da tanto spirito di sacrificio. In un caso o nell’altro, vediamo un approccio ideologico magari non “scelto” apertamente ma senz’altro pervasivo e penetrato a fondo nelle nostre società».
A proposito di Hollywood: inprima fila, nelle proteste contro Trump, artisti, intellettuali, influencers e celebrità. Sembra cambiato poco da fine anni ’60, quando contro Nixon iniziò una vera e propria rivolta, capeggiata dalle star.
«Gli artisti, gli intellettuali da sempre sono stati “contro” il potere costituito, offrendo spesso una visione alternativa, ma la cose dai tempi di Nixon sono cambiate moltissimo: le proteste di ieri hanno gettato le fondamenta culturale dell’establishment di oggi. Molto spesso la ribellione è di maniera e in realtà perfettamente coerente con presupposti ideologici comunemente accettati, soprattutto nel mondo della comunicazione e dello showbiz. C’è un conformismo dell’anticonformismo».
Abbiamo citato Parler che, come altre piattaforme, si sta affacciando nel mercato dei social media. Se la soluzione non può arrivare dallo Stato, dovrà arrivare giocoforza dal mercato: nuove applicazioni, oppure…
«La mia proposta è far pagare la gente per scrivere. Un piccolo pedaggio. Sembra una proposta scandalosa e irricevibile ma se ci pensi non lo è: un tempo il costo per comunicare le proprie idee, o mandare a quel Paese qualcuno era alto. Se avevi un reclamo da fare a un’azienda, ad esempio, dovevi prendere carte e penna e perdere tempo e soldi per la spedizione della lettera. Oggi il costo di una comunicazione di questo tipo è irrisorio, il tempo di due minuti per scrivere un tweet; l’utente consumatore si ritiene invincibile e spesso comunica alle aziende con una certa aggressività, pretendendo risposte esaustive e in tempo reale. Per non dire dei commenti agli articoli di giornale: una sfilza di vaffa, neanche troppo infiorettati. Ma questa veemenza perché non viene utilizzata nei confronti degli operatori pubblici? Perché sui social media e online si trasferiscono le nostre aspettative della realtà: dalle aziende private e dai brand ci aspettiamo efficienza, mentre nei confronti dello Stato non abbiamo aspettative, perché siamo già abituati alla sua inefficienza. Insomma, e se tornassimo a fare pagare alla gente il francobollo?».
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2015/11/i_social_network_che_ti_censurano_1.jpg476640David Mazzerellihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDavid Mazzerelli2021-01-15 16:00:422021-01-20 12:59:47Se i social media diventano editori: il pericolo della censura. Intervista ad Alberto Mingardi
Xiaomi, la big tech dell’elettronica cinese, terza al mondo nella produzione di telefoni cellulari, crolla in borsa ad Hong. A soli sei giorni dall’abbandono della Casa Bianca, l’ultimo atto del presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, che inserisce Xiaomi nella lista nera, designandola come “compagnia militare cinese comunista”.
Xiaomi nella blacklist USA
Il Dipartimento della Difesa USA ha comunicato, infatti, che il colosso cinese rientra in una nuova lista di aziende contro le quali gli Stati Uniti imporranno specifiche restrizioni, con l’ordine per società e investitori statunitensi di disinvestire in Xiaomi entro l’11 novembre.
L’intervento di Biden potrebbe ribaltare la decisione, ma sorprende al momento la presenza di un’azienda elettronica come Xiaomi nella lista nera, inclusa tra i nove nomi di società evidenziate dal Dipartimento della Difesa, molto più orientate all’industria specializzate in aviazione, aerospaziale, cantieristica navale, chimica, telecomunicazioni, edilizia e altre forme di infrastruttura.
Anche Huawei, il secondo produttore di telefoni al mondo, è sulla lista, ma in quanto costruttore di apparecchiature di telecomunicazione su larga scala.
Immediata la replica di Xiaomi e il portavoce dell’azienda ha affermato di:
Operare in conformità con le leggi e i regolamenti pertinenti delle giurisdizioni in cui svolge le proprie attività. Non è di proprietà, controllata o affiliata all’esercito cinese, e non è una compagnia militare cinese comunista.
Al vaglio anche le conseguenze economiche e il riflesso in termini di immagine della disposizione USA, prima di intraprendere qualsiasi azione.
Se Huawei è nella “Entity list”, ovvero l’elenco delle entità del Dipartimento del Commercio statunitense che impedisce all’Usa di esportare tecnologia ad aziende inserite nella lista nera, evitando qualsiasi collaborazione, Xiaomi invece fa parte del gruppo che vieta investimenti diretti. Questo significa che Xiaomi non perde la possibilità di utilizzare Android, Google Play o chip Qualcomm (a differenza di quanto accaduto a Huawei), ma al tempo stesso le aziende USA che hanno quote in Xiaomi saranno costrette a rivedere le proprie posizioni.
Il Dipartimento del Commercio si sta muovendo per impedire a sei interi Paesi, designati come “avversari stranieri”, di fornire apparecchiature di comunicazione agli Stati Uniti, inclusi Cina, Russia, Iran, Corea del Nord, Cuba e il governo del venezuelano Nicolás Maduro.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/xiaomi-stock-exchange-2.jpg6671212Barbara Landihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngBarbara Landi2021-01-15 13:48:372021-01-18 21:48:45USA, Xiaomi nella blacklist e il titolo crolla in borsa a Hong Kong
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