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Hootsuite - Social Trends 2021 -_EN

5 trend che domineranno i Social Media nel 2021 secondo Hootsuite

  • Il 73% dei marketers dichiara di avere come obiettivo principale per la comunicazione social nel 2021 l’aumento nell’acquisizione di nuovi clienti attraverso i Social Media
  • Il 70% degli utenti Internet di età compresa tra 55 e 64 anni afferma di aver acquistato qualcosa online nell’ultimo mese, e che continuerá a farlo anche dopo la fine della pandemia
  • Il 60% dei Millennials e Generazione Z afferma di voler acquistare più prodotti e servizi da Brand che hanno influenzato positivamente la società durante la pandemia

 

“[…] Quando c’è l’oscurità, c’è anche la luce. C’è resilienza, innovazione e creatività e c’è sempre un percorso da seguire per tornare a crescere. Nel rapporto di quest’anno trovate nuove soluzioni a vecchi problemi. Storie vere di marchi leader in tutto il mondo. Il tutto supportato dalle intuizioni delle menti più brillanti del Marketing e dai dati del nostro più grande sondaggio finora. Spero che vi aiuti a trovare la strada da seguire.”

Inizia con queste parole – volutamente di speranza dopo l’anno appena concluso – scritte dal CEO Tom Keiser, il report Social Trend 2021 pubblicato recentemente da Hootsuite. 

Basato su un sondaggio condotto nel terzo trimestre del 2020 su 11.189 marketers, combinato con dozzine di interviste a esperti del settore e rapporti pubblicati da aziende come Deloitte, Edelman, eMarketer, GlobalWebIndex, etc, lo studio identifica cinque tendenze chiave nel mondo dei Social Media per il 2021.

Prima di tutto vediamo come, tra le piattaforme social più utilizzate, più della metà dei brand coinvolti nello studio (61%) conferma l’intenzione di aumentare il budget pubblicitario destinato a Instagram.

Quasi la metà pensa di fare lo stesso per Facebook, YouTube e LinkedIn, mentre possiamo notare come, nonostante il successo incredibile raggiunto da TikTok nel 2020, i brand non sono ancora convinti a puntare sulla piattaforma a livello di investimento pubblicitario.

Di fatto già nell’ultimo trimestre del 2020 la copertura pubblicitaria di Instagram è cresciuta del 7,1%. Non sorprende che i marketers preferiscano seguire il “percorso più sicuro” per investire i loro budget e raggiungere quindi risultati garantiti, piuttosto che sperimentare nuove strategie e piattaforme.

Dopo questa breve premessa, vediamo nel dettaglio quali sono i cinque social trend del 2021 identificati nel report di Hootsuite.

#1 La corsa al ROI

Il 2020 è stato un anno che ha scosso l’economia di tutti i Paesi a livello mondiale, e ovviamente ha avuto un impatto importante anche nel settore della pubblicità. 

I tagli al budget pubblicitario sono stati inevitabili e hanno messo i brand in grande difficoltà al momento di ripensare – quasi stravolgere – le loro strategie di marketing.

Secondo il sondaggio il 73% dei marketers vede come obiettivo principale per la comunicazione social nel 2021 aumentare l’acquisizione di nuovi clienti, rispetto al 46% dello scorso anno, segnando un aumento del 58% su base annua.

Solo il 23% dei marketer ha parlato di “migliorare l’esperienza del cliente”, mentre l’utilizzo dei social per “acquisire informazioni sui clienti” è sceso al 15%, un errore preoccupante soprattutto in dopo un anno in cui il comportamento del consumatore è cambiato in modo radicale.

La corsa al ROI che segnerà le strategie di molti brand nel 2021 non sarà sufficiente. I marketers devono imparare a trarre vantaggio dagli strumenti a disposizione a livello social, per migliorare le esperienze online dei clienti.

Seguire questa strategia aiuta a differenziare i prodotti e servizi offerti dal brand da un numero infiniti di inserzionisti che cercano, disperatamente, di acquisire nuovi clienti in un momento di grande difficoltà economica dei consumatori.

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Investire nelle campagne multicanale che tendono ad avere un ROI maggiore rispetto alle campagne single media. Infatti, secondo Analytic Partners, per ogni nuovo canale il ROI può migliorare fino a un 35%;
  • Puntare sullo shopping online migliorando il processo di acquisto per i clienti, rendendolo divertente ed interattivo, utilizzando Instagram Live o Pinterest come showroom virtuali;
  • Fidelizzare i clienti attraverso i canali social (Forrester prevede che la spesa per il loyalty marketing aumenterà del 30% nel 2021).

#2 Il silenzio è oro

Un’altra lezione che ci ha insegnato il 2020 è che gli utenti vogliono utilizzare i canali social per connettersi e parlare tra di loro, non con i Brand, soprattutto in tempi di distanziamento sociale.

Nei primi giorni di pandemia molti marchi hanno adottato un tono eccessivamente sentimentale nei loro contenuti, provocando un’ondata di campagne quasi indistinguibili che le persone hanno iniziato a deridere sui Social Media.

La verità è che per troppo tempo la maggior parte dei Brand ha condiviso contenuti che gli utenti non ritengono interessante, come affermato dal 68% delle persone intervistate.

Nel 2021 quindi la strategia vincente per i marketers sarà capire dove e quando inserirsi nelle conversazioni – e quindi nella vita – degli utenti sui Social Media, creando contenuti capaci di sfondare il muro dell’indifferenza.

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Non ignorare le metriche sul consumo passivo di contenuti, perché i dati confermano che solo una piccola minoranza di utenti online commenta o condivide effettivamente i contenuti: la stragrande maggioranza di tutti i media online viene consumata passivamente;
  • Rafforzare i dati del Social Listening con dati da altre fonti, in quanto è molto difficile monitorare le conversazioni che avvengono per esempio tramite Instagram Stories, LinkedIn, TikTok o messaggi privati in generale, e questo può distorcere le informazioni che si ottengono;
  • Continuare a credere nel potere degli UGC per affiancare la produzione di contenuti di Brand, in quanto gli UGC sono economici e hanno il vantaggio di essere contenuti di cui le persone si fidano.

#3 La rivincita dei Baby Boomers

Il 2020 ha ribaltato lo scenario generazionale dei Social Media: l’aumento del tempo trascorso con online, la diffusione dei Live Streaming, dei giochi online e dei pagamenti mobile hanno prodotto nuove forme di alfabetizzazione digitale che si stanno trasformando in abitudini destinate a sopravvivere alla pandemia.

Vediamo come il 70% degli utenti Internet di età compresa tra 55 e 64 anni afferma di aver acquistato qualcosa online nell’ultimo mese, e il 37% prevede di continuare a farlo con più frequenza quando sarà finita la pandemia.

Storicamente, i marketer sono abituati a raggiungere i Baby Boomer attraverso la pubblicità televisiva tradizionale – che continua ad essere uno dei modi più efficaci per raggiungerli.

Ma vale la pena notare che negli ultimi 4 anni c’è stato un aumento del 66% di Baby Boomer che hanno scoperto nuovi marchi e prodotti tramite i Social Media – in particolare su Facebook – secondo i dati forniti da GlobalWebIndex.

I Brand non possono permettersi di trascurare le generazioni più anziane sui canali social nel 2021: utilizzando la segmentazione intelligente i marketers che includono i Baby Boomer nelle loro strategie digitali possono sfruttare questo crescente entusiasmo tecnologico.

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Segmentare i Baby Boomer in base alle loro passioni o hobby, non semplicemente per età: costruire il target di riferimento su dati sociali che riflettono gli interessi porta a un aumento del 40% del ricordo dell’annuncio;
  • Lasciare da parte gli stereotipi generazionali in quanto l’ultima cosa che i Baby Boomer vogliono vedere sono le campagne pubblicitarie in cui sono raffigurati come “vecchi” che hanno difficoltà ad interagire con la tecnologia;
  • Usare le recensioni online per aumentare la fiducia e influenzare le decisioni di acquisto dei Boomers.

#4 Conosciamoci di più

I Brand sono convinti che raggiungere i consumatori digitalmente sia un gioco da ragazzi, visto che oltre 4 miliardi di persone sono presenti sui Social Media, e la crescita del 2020 ammonta a un 12%. Ma non è così facile.

Secondo un sondaggio condotto tra 2.162 marketers condotto in collaborazione con Altimeter, il 54% ha affermato di non essere sicuro che i propri follower sui Social Media siano clienti effettivamente più attivi rispetto a quelli con cui non interagiscono digitalmente.

Questo accade principalmente perché la maggior parte dei Community Managers non ha sempre ben chiaro se sta interagendo con un cliente acquisito, un nuovo lead, un ex dipendente o un troll.

Qual è il motivo che molte volte rende difficile ai marketers capire se stanno interagendo con il target corretto? La mancanza di integrazione dei dati derivati dai canali social. Secondo Hootsuite infatti solo il 10% degli addetti ai lavori conferma di possedere sistemi aziendali dedicati all’integrazione dei dati in sistemi aziendali come Adobe, Marketo o Salesforce.

Le previsioni per il 2021 dicono che l’85% delle organizzazioni che integreranno i dati dei Social Media riusciranno a quantificare con maggiore precisione il ROI dei canali social appunto. Questo discorso vale sia per i dati organici che per i dati che derivano dall’advertising. 

Le opportunità di targeting e le metriche dettagliate fornite dall’ADV sono infatti fondamentali per riuscire a creare contenuti pertinenti e raggiungere le persone giuste sui Social Media. Eppure quasi un terzo (28%) degli intervistati non pubblica contenuti social a pagamento, anche se è risaputo che la copertura organica ha iniziato a restringersi a partire dal 2010. 

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Utilizzare i Social Media non solo come canale per coinvolgere gli utenti, ma una ulteriore fonte di dati che può aiutare a rafforzare la strategia di comunicazione;
  • Tenere traccia di tutti i dati raccolti sia dalle campagne organiche e da quelle a pagamento, per capire quali canali e quali contenuti stanno performando meglio;
  • Impostare flussi di lavoro manuali in assenza di soluzioni tecnologiche ad hoc, configurando manualmente un flusso di lavoro che può aiutare a misurare i risultati raggiunti sui Social Media.

#5 Tra cambiamento sociale e cambiamento Social

Le ricadute economiche ed emotive causate dalla pandemia di Covid-19, la nascita di movimenti come Black Lives Matter, il cambiamento climatico che ha alimentato gli incendi storici in Australia e Nord America e molto altro: questi fatti accaduti nel 2020 hanno spinto il capitalismo verso un cambiamento socialmente responsabile.

Questo cambiamento ha messo sotto pressione anche i Brand, che si sono trovati a dover affrontare pubblicamente questioni su cui le loro organizzazioni non si erano mai concentrate, o stavano solo iniziando a tenere in considerazione.

Di conseguenza le aziende si sono dovute adattare in fretta alla mentalità e alle aspettative socialmente consapevoli di generazioni più giovani e diversificate, come la Generazione Z. Nel sondaggio annuale di Deloitte sui Millennial e la Gen Z, il 60% degli intervistati ha affermato di voler acquistare più prodotti e servizi da Brand che hanno influenzato positivamente la società durante la pandemia.

I consumatori stanno sviluppando aspettative più alte in relazione a come le aziende possano contribuire a migliorare il mondo in cui viviamo, e utilizzare i Social Media come megafono per promuovere le iniziative sociali è cruciale nel 2021. 

Secondo Michael McGoey – Senior Manager di Twitter – “[…] I Brand che sono in grado di ascoltare la voce dei consumatori e plasmare i propri messaggi in base ad essa, saranno più propensi a sopravvivere e crescere. Quelli che perseguono solo narrazioni guidate dal marchio e che non sono sensibili ai tempi in cui ci troviamo, semplicemente non manterranno i propri clienti”.

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Creare una Social Media Policy che possa fornire linee guida all’intera organizzazione per dare a tutti la possibilità di agire rapidamente e con sicurezza;
  • Impostare un flusso preciso per le comunicazioni di crisi sui canali social, ovvero un piano interfunzionale che aiuta a risparmiare tempo prezioso e mantenere tutti concentrati in caso di crisi sui Social Media;
  • Usare il Social Listening come strumento di Intelligence che possa aiutare le imprese a prendere decisioni più intelligenti sulla base delle mutevoli esigenze dei clienti.
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La pandemia guida la crescita dell’eCommerce anche a San Valentino

Teads, The Global Media Platform, presenta i trend sul comportamento d’acquisto dei consumatori per San Valentino: il digitale è il canale di vendita primario e lo smartphone si configura come il device per eccellenza nel 51% dei casi. Nel 2020 la digitalizzazione accelerata di tutti i mercati causa Covid-19, ha guidato una crescita dell’eCommerce senza precedenti. Trend che si conferma anche per questo San Valentino 2021.

festa di san valentino

La festa dell’amore è stata sempre molto a cuore agli italiani che nel 2020 hanno speso circa 474 milioni di euro in regali di San Valentino. Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio annuale Love Index di Mastercard emerge una differenza tra le donne, che si interessano al regalo per San Valentino già da metà gennaio pianificando l’acquisto, e gli uomini che invece sono più propensi ad acquistare sotto data. Una costante accomuna i due comportamenti: la ricerca è condotta quasi nella totalità dei casi online. Quest’anno si prevede che la curva di acquisti online segua il trend di crescita esponenziale che ha avuto l’eCommerce nel 2020: a Ottobre, il +54,6% rispetto all’Ottobre 2019 con un 51% di acquisti effettuati da mobile.

Per garantire la massima visibilità e la migliore esposizione online in un periodo così affollato, Teads ha sviluppato un pacchetto di più di 430 categorie di contenuto come Health & Wellness, Entertainment, Technology, Business, Home & Garden, Family, Auto, Environmental disponibili per le pianificazioni media di brand e advertiser e attivabili con il Teads Contextual Reachcast.  L’offerta, che permette di riservare in esclusiva per 24 ore una o più categorie di contenuto verticali, garantisce il massimo impatto sulla brand awareness e sull’engagement oltre ad un posizionamento esclusivo come top brand del contenuto verticale. 

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In momenti dell’anno come quello di San Valentino è fondamentale costruire una continuità comunicativa e assicurarsi di rendere scalabili gli asset di campagna in una strategia multichannel. Il formato inRead Stories Video di Teads permette di riutilizzare gli asset creativi verticali delle campagne social sulle inventory di qualità dei più prestigiosi publisher a livello mondiale. Una soluzione tecnologica che garantisce attenzione e user experience di qualità, con un dato di view time di 7,6 secondi in media (MOAT), e la migliore esperienza full screen con l’interazione tipica del mobile.

Angelo Lo Ponte, Head of Data di Teads italia ha dichiarato:

Le nostre tecnologie di analisi semantica sono in grado di analizzare il contenuto editoriale attribuendo differenti livelli e sfumature connotative ad un articolo e garantendo la massima granularità. Non si tratta di un semplice targeting attraverso keyword ma di un vero e proprio sistema di algoritmi che scansionano il contenuto dell’articolo in maniera precisa e sempre più sofisticata. Siamo fieri di poter garantire ai nostri partner la perfetta combinazione tra precisione e reach per supportare le loro strategie di contextual targeting.

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Microsoft Italia: Matteo Mille è il nuovo Chief Marketing and Operations Officer

Matteo Mille è stato nominato nuovo Chief Marketing and Operations Officer di Microsoft Italia a diretto riporto dell’Amministratore Delegato Silvia Candiani. All’interno del Leadership Team di Microsoft Italia e in collaborazione con il team Marketing & Operations, Matteo Mille avrà la responsabilità di contribuire alla crescita della filiale italiana, definendo piani di business e strategie volti a sostenere il percorso di Trasformazione Digitale dei clienti e dei partner italiani, contribuendo così all’innovazione digitale dell’intero Paese, in un periodo così sfidante come quello attuale.

Matteo Mille, inoltre, contribuirà al piano nazionale Ambizione Italia #DigitalRestart per supportare il lancio della prima Region Datacenter Microsoft in Italia e delle diverse iniziative tra cui l’AI Hub, i progetti con le PMI, l’Alleanza per la Sostenibilità e le attività rivolte alla formazione di studenti e professionisti nell’ambito delle competenze digitali richieste dal mondo del lavoro e delle imprese. Infine, insieme al team contribuirà alla promozione delle iniziative di Diversity & Inclusion, sia internamente sia esternamente all’azienda, per costruire una società più inclusiva.

Matteo, entrato in Microsoft nel 2006 nel ruolo Server & Tools Director guidando il lancio di Windows Server e SQL, rientra in Italia dopo un’esperienza di 7 anni a Singapore dove ha ricoperto il ruolo di Partner Sales Development Lead per la regione APAC (Asia Pacific) sempre per Microsoft, contribuendo alla trasformazione digitale dell’ecosistema dei partner in 9 Paesi dell’Asia Pacifica e guidando anche il business Surface.

Sono entusiasta di rientrare a far parte della famiglia Microsoft Italia, guidare il team M&O e lavorare insieme al Leadership team per guidare la trasformazione digitale che i nostri clienti, i nostri partner e il nostro Paese oggi richiedono, per far fronte a un periodo così sfidante, portando l’Italia ai livelli che si merita, anche grazie al digitale. Le esperienze che ho avuto in Italia, Europa e Asia mi hanno dato l’opportunità di guidare team multiculturali, creando strategie di marketing, costruendo nuovi canali di vendita, raggiungendo significative crescite di business e trasformando diversi ecosistemi di partner. Metterò a disposizione la mia expertise per contribuire al rilancio del nostro meraviglioso Paese.

Ha commentato Matteo Mille.

Laureato in Telecomunicazioni presso l’Università di Pavia, Matteo Mille ha frequentato numerosi percorsi di formazione per executive tra cui Digital Business Strategy presso l’MIT SLOAN School of Management. Prima di Microsoft ha lavorato in aziende quali Italtel, Sun Microsystems, McKinsey e Telecom Italia.

Quando non trascorre il tempo libero con i suoi tre figli e non è impegnato in attività di advisor per startup o di mentor per studenti, lo si può trovare sott’acqua come DiveMaster oppure nei cieli italiani mentre pilota l’aereo costruito con il fratello.

cina clubhouse

Clubhouse esplode anche in Cina e si scatena il mercato degli inviti

I cinesi hanno scoperto Clubhouse e si stanno riversando in massa sull’app di chat audio in gruppo.

Chi c’è su Clubhouse in Cina? Soprattutto le élite cinesi: più precisamente, persone che lavorano in ambito tecnologico, opinion leader e influencer dei social media ma anche dissidenti e giornalisti.

L’esplosione della notorietà del nuovo social network in Cina è abbastanza recente: il giorno dopo che Elon Musk ha fatto il suo ingresso su Clubhouse, l’hashtag “Clubhouse Invite Code” era in cima ai trending topic su Weibo, il più grande portale di informazione cinese, di proprietà di Sina. L’apparizione del fondatore di Tesla, in particolare, ha acceso la curiosità per l’applicazione in Cina, dove gode di un grande seguito di fan.

Le persone si stanno confrontando prevalentemente su argomenti legati alla politica. Mentre la censura diventa sempre più invasiva nei confronti dei social media cinesi, i frequentatori di Clubhouse stanno utilizzando le stanze come una nuova piazza per confrontarsi su temi scottanti, come democrazia, identità cinese e la gestione della pandemia da parte del governo.

LEGGI ANCHE: Cos’è Clubhouse, il social audio su invito amato da VIP e Venture Capitalist

La vendita degli inviti

Clubhouse è diventato tanto popolare che chi ha a disposizione inviti per consentire l’ingresso ai propri contatti li ha messi in vendita su Xianyu, un’app cinese per la vendita di oggetti usati, anche se attualmente i venditori sembrano superare i compratori ed è necessario un’account Apple extra cinese per accedere.

Gli addetti ai lavori hanno subito fiutato l’affare e già ci si chiede chi sarà il primo a copiare la nuova app per realizzare la propria versione Made in China. Wu Yunfei di Dizhua, un’app simile a Clubhouse, ha scritto che ha testato l’applicazione e ha provato “sentimenti contrastanti” sentendo già la gente discutere su come copiarla. Justin Sun, un imprenditore cinese che ha fondato la piattaforma di criptovalute TRON, ha immediatamente annunciato su Twitter che stava costruendo un’app simile, chiamata “Two”, per replicare il successo di Clubhouse in Cina.

clubhouse

Sebbene Clubhouse abbia riscosso enorme successo negli ultimi giorni, sono molte le applicazioni di chat vocali già presenti sul mercato cinese. Nessuna di loro, però, è riuscita a diventare mainstream.

Clubhouse è stato lanciato lo scorso aprile dall’imprenditore della Silicon Valley Paul Davison e dall’ex-Googler Rohan Seth. Grazie anche alle restrizioni e ai lockdown in tutto il mondo, molte persone hanno scaricato l’app, ancora in modalità beta, per discutere o ascoltare argomenti che vanno dalla politica alla tecnologia in una serie di chatroom. Insieme al fascino della sua esclusività, l’attrazione principale dell’app è la possibilità per gli utenti di partecipare a conversazioni ospitate da celebrità come Elon Musk e motli altri VIP che hanno sposato il nuovo sistema fin da subito.

Retail Transformation: esclusività in un mondo di Atomi e Bit

I grandi cambiamenti sostanziali che il mondo del retail sta affrontando oggi sono racchiusi in tre concetti: accessibilità, distribuzione e connettività.

La rivoluzione di questi concetti, partita e sviluppata da figure iconiche che vanno da Steve Jobs a Mark Zuckerberg passando per Jeff Bezos, ha comportato che il consumatore oggi può avere, almeno dal punto di vista strutturale, quello che vuole, dove vuole e al prezzo che vuole.

Se hai voglia di mangiare sushi per cena, vai online e in pochi passaggi lo ricevi a casa. L’altro lato della medaglia, però, è che se davvero puoi ottenere ciò che vuoi, quando e come vuoi, viene a mancare il concetto di esclusività. Le aziende hanno risposto in due modi: alcune hanno reagito con meccanismi promozionali, del tipo “vieni in negozio oggi perché per te c’è un’offerta esclusiva, domani lo stesso prodotto costerà di più“.

Il secondo modo di reagire, che oggi è quello che va per la maggiore, è quello dell’allocazione e dell’accessibilità al prodotto attraverso le collaborazioni. Sulla base di queste collaborazioni faccio salire la domanda a livelli altissimi attraverso meccanismi pubblicitari, poi però nel mercato immetto un quantitativo di prodotti nettamente inferiore rispetto alla domanda.

A questo punto, il mio ritorno dell’investimento non si avrà sul singolo prodotto ma su tutto il life cycle di prodotto: creo la domanda sul prodotto della collaborazione, per esempio una scarpa, e con lo stesso prodotto faccio un take down, un’altra colorazione meno premium che posso vendere a tutti.

i consumatori sono cambiati

Il concetto di esclusività è quindi destinato a espandersi nella distribuzione organizzata: in principio, il problema era trovare il prodotto e sviluppare la catena di negozio di prossimità. Oggi, il problema è che i prodotti sono sempre accessibili e manca l’esclusività, grazie a internet, grazie al grande sviluppo del retail e del franchising. Domani, l’esigenza di esclusività tornerà e si comincerà a segmentare l’accesso ai negozi, magari attraverso sistemi di prenotazione, sia il trattamento del singolo cliente, che non sarà più generico ma invece one-to-one, da tutti i punti di vista.

Il rapporto con il cliente sarà totalmente personalizzato, dal punto di vista del consiglio di prodotto ma anche dell’approccio con il singolo cliente, che sarà molto più amicale. Per semplificare, questo nuovo rapporto sarà molto più simile a quello che avevano i nostri nonni con il commerciante di quartiere rispetto a quello che noi oggi abbiamo con una qualunque catena franchising. Questo perché l’uomo ha un’esigenza recondita, ontologica, di vivere rapporti di esclusività. Vogliamo sentirci unici, non uguali a tutti gli altri e questo rapporto di esclusività lo viviamo attraverso lo status, o attraverso un prodotto speciale o attraverso una relazione speciale.

La distinzione tra digitale e fisico non ci appartiene più

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Oggi non ha più senso operare distinzioni tra negozio fisico ed eCommerce. Qualche esempio ci aiuta a chiarire il concetto con semplicità. Se prenotiamo un prodotto online e poi andiamo a ritirarlo in un negozio fisico, si tratta di una vendita fisica o digitale? Se entriamo in un negozio fisico e paghiamo con carta di credito, quindi facendo una transazione digitale, siamo di fronte a una vendita fisica o digitale? O ancora, se in un negozio fisico non troviamo la nostra taglia e il negoziante la ordina permettendoci di trovarla il giorno dopo nello stesso negozio fisico, abbiamo acquistato in modo digitale o fisico?

La realtà è che non esiste più una netta divisione tra mondo fisico e mondo digitale: se proprio vogliamo creare una dicotomia, possiamo parlare di “mondo degli atomi” e “mondo di bit”. Oggi viviamo in un contesto e questo è assolutamente naturale: cerchiamo prodotti online mentre siamo all’interno di negozi fisici, scattiamo foto e le pubblichiamo su Instagram mentre giriamo nel centro commerciale o tra gli store del nostro quartiere.

La differenziazione tra fisico e digitale è un approccio “yuppie” anni ’80 che oggi non ci appartiene più. Per questo non si può attribuire alle tecnologie “la colpa” di mettere in difficoltà i negozi fisici: l’esperienza fisica, semplicemente, assume un ruolo diverso all’interno della shopper journey dei consumatori.

Come gli eCommerce possono mantenere alti i tassi di crescita

tecnology doubls profitability

Le strategie che gli eCommerce possono adottare per mantenere i tassi di crescita ricalcano, sostanzialmente, quelle messe in atto da qualunque attività commerciale. Queste sono:

  • Migliore gestione dello stock
  • Miglioramento della frequenza di visita del consumatore
  • Aumento del traffico dei consumatori all’interno del punto vendita
  • Aumento del traffico di persone interessate all’interno dello store (il classico conversion rate)

Infatti, i quattro KPI fondamentali per ogni punto vendita sono:

  1. Traffico all’interno degli store
  2. Conversion rate (quanto di quel traffico è disponibile a convertirsi in vendita)
  3. Disponibilità di prodotto
  4. Scontrino medio

Anche gli eCommerce, dato per assodato che non ci sono differenze rispetto alle realtà fisiche, salvo la nomenclatura e il sistema infrastrutturale, dovranno lavorare su questi quattro KPI. In che modo?

Fulfillment

Perfezionare l’immagazzinamento. Tutti gli stock, tutti i magazzini di tutte le catene vendita fisiche devono essere integrate con il desktop dell’eCommerce. Se una persona cerca un prodotto online, lo shipping può avvenire dal magazzino dell’eCommerce o dallo store fisico dietro casa.

Esperienza d’acquisto

Migliorare l’esperienza d’acquisto è essenziale, attraverso nuovi processi cognitivi sul trattamento del cliente. Attualmente, la vendita su eCommerce è molto più simile a quella che si può avere su una larga superficie di Zara più che quella che si può avere dal nostro barbiere di fiducia, dove c’è una vendita consiglio sostenuta. Servizio al cliente, vicinanza al cliente e supporto al cliente sono assenti e sarà sempre più necessario potenziare questi aspetti.

Nuovi (e migliori) servizi

Introdurre nuovi servizi e migliorare quelli esistenti è una strategia ottimale per aumentare lo scontrino medio e alzare i margini di profitto. Parliamo di servizi orientati all’esclusività, quindi customizzazioni, approccio one-to-one, oppure servizi orientati sulla possibilità di ricevere il prodotto nel modo migliore possibile o più velocemente, per esempio sistemi di subscription, o di velocizzazione tipo Amazon Prime, o ancora sistemi di qualità dell’assicurazione in caso di mancata consegna del prodotto.

Per semplificare, le tre parole chiave per mantenere alto i tassi di crescita di un eCommerce sono: prodotti esclusivi, maggiore disponibilità di prodotto e servizi eccellenti di assistenza al cliente.

Hubspot

HubSpot acquisisce The Hustle. Obiettivo, creare la migliore rete media al mondo

HubSpot, società di software quotata in borsa, ha firmato un accordo per acquisire The Hustle, società del settore editoriale.

“È una partnership rivoluzionaria – sottolinea The Hustle nella newletter ufficiale ai suoi utenti – Una società di software acquista una società media. Con il supporto di HubSpot, lanceremo nuovi podcast, prodotti, contenuti e funzionalità originali, con newsletter sempre free”.

Un’acquisizione che si configura come una potenzialità enorme. HubSpot (hubspot.com), con sede a Cambridge nel Massachusetts, è una piattaforma di  gestione delle relazioni con i clienti (CRM), che definisce il concetto dell’inbound marketing: un unico hub che include prodotti di vendita, assistenza, marketing, gestione del sito web. Con più di 95.000 clienti in più di 120 paesi, HubSpot si contraddistingue come leader del mercato di riferimento, la cui finalità è favorire la crescita delle aziende per attirare e coinvolgere i clienti. Uno strumento “all-in-one”, un’unica piattaforma a supporto delle imprese e del team di vendita per tutte le attività di Marketing online (aumento del traffico al sito web, conversione di visitatori in contatti e tracciamento dei comportamento di consumo con informazioni per la profilazione), per offrire al proprio pubblico un set diversificato di contenuti media.

La popolare newsletter di Hustle, il podcast e i contenuti premium confluiranno nelle rete di contenuti educativi di HubSpot, per offrire al proprio pubblico un set diversificato di contenuti media.

“Per molti clienti, la loro prima introduzione a HubSpot avviene attraverso il nostro blog educativo, l’Academy e i contenuti di YouTube, non il nostro software – evidenziano i vertici HubSpot nella nota stampa diramata –  Hustle ha una comprovata capacità di creare contenuti che appassionano imprenditori, startup e aziende”.

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La rete media

Contenuti educativi di HubSpot che raggiungono ogni mese un target di sette milioni di utenti per il blog e centinaia di migliaia di fruitori di video su YouTube. Sempre nell’arco temporale mensile, oltre 100mila seguono le lezioni dell’academy  e più di 300mila hanno ricevuto una certificazione.

“Ho avviato The Hustle con la missione di aiutare gli imprenditori, fornendo informazioni su come amplificare il proprio brand, cambiando il metodo con cui le società media operano – afferma il fondatore, Sam Parr –  Entrando a far parte del team HubSpot, svilupperemo la nostra vocazione iniziale per realizzare le migliori reti di contenuti aziendali al mondo”.

La newsletter quotidiana di Hustle è stata avviata nel 2016 e informa oltre 1,5 milioni di lettori con notizie di attualità e di business. La piattaforma di abbonamento “Trends” e il suo podcast “My First Million”, offrono agli imprenditori approfondimenti, dati e best practices per lo sviluppo delle aziende.

 

Non solo digitale: il futuro dei pagamenti è nel proximity payment

Oramai ci abbiamo fatto l’abitudine: pagare senza denaro (cashless) e magari senza toccare nessun dispositivo (contactless) è diventata la quotidianità durante il periodo dell’emergenza. Ma ci ha anche aiutato a scoprire la comodità del proximity payment, ovvero dei pagamenti di prossimità.

Sicuri, comodi e veloci, rendono ancora più evidente che tutto può essere racchiuso in pochi essenziali strumenti: una carta o uno smartphone.

Ma andiamo con ordine e scopriamo cosa si intende per proximity payment e quali sono i trend che stanno guidando oggi il settore dei pagamenti.

Scopri la comodità di pagare, ogni giorno, ovunque, in modo intelligente, semplice e sicuro con Mooney!

proximity payment

Che cos’è il Proximity Payment e come sta crescendo

I pagamenti oggi sono sempre più smart e uno dei comparti che ha registrato negli ultimi anni il miglior tasso di crescita è quello del proximity payment, ovvero la modalità con cui in negozio smartphone e carte sostituiscono i contanti.

Con il termine proximity payment, infatti, si intendono i pagamenti elettronici di prossimità, cioè quelli che richiedono una vicinanza fisica tra l’acquirente e il venditore del prodotto/servizio che si intende acquistare. Per avvenire, la transazione sfrutta il sistema contactless: il pagamento avviene attraverso la connessione a corto raggio del dispositivo mobile, quindi attraverso la tecnologia NFC (Near Field Communication). Ad esempio, basta avvicinare il telefono al POS senza toccare nulla per portare a termine la transazione.

Ma c’è di più, perché la prossimità va intesa non solo in senso digitale, ma anche fisico. In un settore come quello dei pagamenti, che si rivolge potenzialmente a persone diversissime tra loro, per età, competenze digitali e più semplicemente abitudini, anche la capillarità della rete fisica ha un peso. Mooney, ad esempio, grazie all’unione di SisalPay e Banca 5 (Gruppo Intesa Sanpaolo) permette di prelevare contanti, pagare bollettini, tasse e servizi PagoPA, fare ricariche, acquistare biglietti dei mezzi pubblici ecc., in oltre 45.000 punti vendita – bar, tabaccherie ed edicole – in modo perfettamente integrato con le più moderne piattaforme digitali.

Grazie all’offerta Mooney è possibile effettuare sia operazioni in contanti che attraverso i canali digitali ed elettronici di pagamento, integrando e rafforzando l’offerta commerciale di tabacchi, bar ed edicole abilitate con un ventaglio si servizi e soluzioni adatti praticamente a tutti i target (o quasi).

proximity payment

Il mercato del Proximity Payment

Secondo l’Osservatorio Mobile Payment & Commerce, negli ultimi anni in Italia i pagamenti proximity sono aumentati del 650%, per un totale di oltre 15,6 milioni di transazioni in negozio effettuate via smartphone nel 2018.

Un recente white paper pubblicato da eMarketer ha dettagliato più nello specifico una preziosa visione del mercato dei pagamenti di prossimità in continua crescita. Secondo la ricerca, i consumatori di tutto il mondo stanno rapidamente adottando l’uso regolare del proximity. Tra gli altri dati, si stima che nel 2021, il 17,2% della popolazione globale sarà utente di pagamenti di prossimità mobile, con un valore compreso tra i 5 e i 10 miliardi di euro. Se verranno rispettate le attese, cioè, il proximity payment supererà di gran lunga il valore delle transazioni eCommerce e peer-to-peer.

Con un po’ di ritardo rispetto agli altri Paesi, anche l’Italia ha iniziato a seguire questo trend ed è aumentato sia il numero degli utenti che utilizza il proximity payment, sia quello degli esercenti che hanno compreso l’importanza di offrire ai consumatori opzioni di pagamento più semplici e comode, sia che avvengano attraverso canali fisici (nei punti vendita), sia che siano digitali o elettroniche (con smartphone o carta di credito), in un’ottica sempre più phygital.

Una carta che strizza l’occhio all’intrattenimento

Mooney ha reso i servizi di pagamento davvero di prossimità, vicini, a portata di mano, offrendo un’esperienza “onlife” al tempo stesso fisica e digitale anche grazie alla sua carta prepagata Visa per tutte le tue esigenze: contactless, con IBAN italiano, e che permette di gestire tutto tramite app. E l’attivazione è gratuita!

La carta Mooney si può usare per qualsiasi tipo di spesa, in tutti i negozi in modalità contactless e online grazie al servizio Visa Secure. Sempre online è anche possibile inviare bonifici, controllare il saldo, monitorare tutti i movimenti, ricaricare il telefono e pagare i bollettini dallo smartphone, risparmiando sulle commissioni.
Infine, per ricaricare la carta è sufficiente andare in uno dei tanti punti vendita abilitati o effettuare un bonifico.

Ma Mooney non si rivolge solo a chi vuole trovare soluzioni di pagamento comode, veloci e sicure: anche la rete degli esercizi convenzionati, infatti, ha accesso a servizi di supporto al business, investimenti diretti, formazione qualificata e un modello comunicativo bidirezionale e all’avanguardia, fondamentale per la digitalizzazione dell’impresa.

E non è tutto. Mooney parla davvero la nostra lingua e per questo ha anche lanciato un divertente Quiz Talk Show condotto da Rossella Brescia che prevede la partecipazione di 56 persone tra cui 4 manager Mooney, 2 influencer (Rudy Bandiera e Francesco Facchinetti) e 50 tra gli esercenti e i clienti che già si avvalgono del servizio. Insomma, il divertimento (e il pagamento) è assicurato.

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Come utilizzare Instagram Shopping: la guida completa

Dati alla mano, Instagram conta più di un miliardo di utenti attivi al mese ed è sempre di più in crescita: hai mai pensato che il social dei cuoricini potrebbe già essere uno dei tuoi migliori alleati per promuovere il tuo eCommerce? Ti spieghiamo qualcosa in più, caro Ninja.

Cos’è Instagram Shopping

Un insieme di veri e propri “negozi su Instagram”, un’opzione molto interessante  per chi ha un eCommerce e vuole vendere direttamente dalla piattaforma social. È un modo per interagire ma anche fare acquisti: immagina un grande shop, ma all’interno di Instagram, in grado di creare un’esperienza di acquisto più interattiva.

Come funziona lo shopping su Instagram

Instagram Shopping è molto più semplice di quanto tu possa immaginare. Ciò che devi proporti di fare è rendere i contenuti più allettanti, in modo che le persone trascorrano più tempo sull’app, controllando i negozi che amano e scoprendo nuovi marchi, quindi anche il tuo.

Pronto a iniziare? Per trovare i negozi che desideri esplorare o da cui acquistare, vai nell’app e clicca sulla piccola icona dello shopping simile a una borsa della spesa.

Da lì, vedrai negozi dei brand che già segui, oltre ad alcuni che sono consigliati in base alle tue interazioni su Instagram. Puoi anche cliccare su “Scelte degli editori” per scorrere le diverse categorie  (come le guide ai regali), e per esplorare le raccolte e altri consigli; se invece clicci su “Esplora gli shop”, vedrai inoltre un elenco di brand che già segui e che sono presenti tra gli i negozi.

Dopo aver cliccato su un negozio, vedrai i prodotti e le collezioni che hanno a disposizione e potrai saperne di più o scegliere di acquistare, proprio come faresti su un eCommerce.

LEGGI ANCHE: Come la percezione che abbiamo dei brand condiziona le nostre scelte d’acquisto

Come configurare un negozio Instagram

Per creare un negozio su Instagram per il tuo brand, devi avere un  account Instagram Business e devi essere idoneo a crearlo: secondo Instagram, devi operare in un mercato supportato  (a seconda della tua posizione) e avere un sito di eCommerce da cui vendere i prodotti. Ricorda sempre che Instagram Shopping è un’estensione del tuo negozio di eCommerce, non necessariamente un sostituto.

Dopo di ciò, dovrai connettere il tuo account Facebook (e più avanti ti spieghiamo perché!); segui i passaggi che Instagram suggerisce per configurare il tuo account, caricare le immagini dei prodotti e “attivare gli acquisti”.

Ecco alcuni suggerimenti da tenere a mente mentre esegui questi passaggi tecnici:

  • Usa immagini di alta qualità per i tuoi prodotti e le tue collezioni: pensa al tuo negozio Instagram come a una sorta di catalogo interattivo. Sii selettivo riguardo alle immagini che stai utilizzando per i tuoi prodotti. Assicurati che si distinguano e mostrino molti dettagli.
  • Inserisci tutte le informazioni sui prodotti: immagina sempre di comporre un catalogo, perciò dovrai inserire tutte le informazioni su ciascun prodotto, inclusi prezzi, colori, dimensioni, gusti, tipi, ecc. spedizione e altri dettagli.
  • Preparati a taggare: dopo aver configurato il tuo negozio, l’ultimo passaggio consigliato da Instagram è iniziare a taggare. Quando carichi un’immagine, seleziona “Tagga prodotti” e digita il nome del prodotto che desideri taggare in quel post. Potrai farlo anche su Instagram Stories.

Vantaggi di avere un negozio Instagram

Torniamo ai numeri. Secondo Instagram, il 60% delle persone intervistate ha dichiarato di scoprire nuovi prodotti grazie all’app in questione.

Facebook afferma invece che il 70% delle persone indicate come appassionati di shopping si rivolgono a Instagram per fare acquisti e il 36% di tutti gli utenti di Instagram considera lo shopping un appassionante hobby. Un buon inizio, non è vero?

Ecco alcuni altri vantaggi per investire su Instagram Shopping:

  • È gratuito: ci sono solo le commissioni sulle vendite effettive.
  • È un altro negozio online: un ulteriore punto di contatto con i tuoi clienti.
  • È un catalogo mobile: Instagram ha progettato queste funzionalità in modo semplice e pratico, per mettere a disposizione tutte le info in un colpo solo.
  • È un modo per costruire il tuo seguito: non solo hai la possibilità di vendere quindi di guadagnare, ma anche di far crescere la tua community.

Instagram Shopping vs. Facebook Shops

Seppure siano piattaforme diverse, sono entrambe sotto l’ombrello di Facebook.

Ricorda che Facebook possiede Instagram il che significa che Facebook alimenta Instagram Shopping: per questo motivo, per configurare il tuo negozio Instagram, dovrai collegarti al tuo account Facebook il cui pagamento sarà elaborato tramite Facebook Pay.

Sappiamo cosa ti stai chiedendo in questo momento: occorre aprire sia un negozio Instagram sia un negozio Facebook? Considerando che hai necessariamente bisogno di Facebook per avviare Instagram Shopping, potrebbe valere la pena avere prodotti su entrambe le piattaforme; è infatti possibile utilizzare gli stessi prodotti e le stesse collezioni. Inoltre, la tua target audience potrebbe trascorrere più tempo su Instagram che su Facebook, quindi vale la pena investire su entrambi.

LEGGI ANCHE: 5 tips per creare Reels epici su Instagram

Facebook Pay, al tuo servizio

Come si fa a comprare e vendere effettivamente con Instagram Shopping?

L’opzione più semplice è quella dell’acquisto diretto dal tuo sito di eCommerce. Gli acquirenti verranno quindi indirizzati al tuo sito web, in un browser all’interno dell’app Instagram, anziché elaborare l’acquisto tramite la piattaforma Instagram.

Tuttavia, se desideri “bloccare” gli acquirenti in questo passaggio, puoi impostare le opzioni di pagamento per consentire la transazione tramite Instagram. Quando configuri il tuo negozio, dovrai perciò collegarti a Facebook Pay. Quando una persona acquista dai negozi su Instagram, dovrà inviare le informazioni sulla carta di credito, carta di debito o PayPal per utilizzare Facebook Pay  e finalizzare la transazione.

Come promuovere il tuo negozio Instagram

Una volta che lo shop è attivo, non ti resta che iniziare a promuoverlo.

  • Punta sulle collezioni: Instagram consiglia di  puntare su stagioni, vacanze o momenti pop per creare collezioni che si colleghino e attirino gli acquirenti.
  • Semplifica gli acquisti: quando crei post e storie, assicurati di scegliere l’opzione “Tagga prodotto” per collegarti direttamente ai prodotti del tuo negozio. Inoltre, Facebook consiglia di  aggiungere call to action nei sottotitoli per ricordare agli acquirenti cosa fare. Un altro tip è aggiornare la tua biografia con le informazioni sugli acquisti.
  • Investi in pubblicità: vuoi raggiungere ancora più persone con il tuo negozio Instagram? Potresti considerare di lanciare un annuncio su Instagram  con tag cliccabili che attirano le persone nel tuo negozio.

Alternative allo shopping su Instagram

Mettiamo le cose in chiaro: Instagram Shopping non è universale e potrebbe non rappresentare la piattaforma giusta per il tuo brand. I motivi potrebbero essere vari:

  • Non ho l’età. È vero che Instagram è molto popolare, ma non tutti sono presenti sul social. Se il mercato di riferimento del tuo brand non è particolarmente social o non ha “l’età giusta” allora puoi evitare Instagram Shopping.
  • No catalogo, no party. Instagram Shopping funziona bene con le collezioni, consentendo ai brand di lanciare o promuovere gruppi di prodotti. Se vendi solo un articolo, potrebbe non valere la pena dedicare il tuo tempo ad aprire un canale shop. Tuttavia, anche un prodotto, se fotografato e promosso bene, potrebbe essere popolare lì.
  • L’anima non conta. I prodotti o servizi digitali non sono vendibili con l’app, è sempre necessario vendere un prodotto fisico.

Ricordati che il web è bello perché è vario: puoi sempre scegliere un’alternativa a Instagram Shopping. Gli esempi possono includere:

  • Like2Buy : Con Like2Buy, puoi creare soluzioni acquistabili, oltre a creare altri inviti all’azione, come la richiesta di indirizzi e-mail di potenziali clienti.
  • Yotpo : oltre a diversi strumenti di marketing per l’e-commerce, Yotpo offre uno strumento di integrazione di Instagram.
  • FourSixty : pubblicizzando un’estetica incentrata sul design, FourSixty fornisce strumenti di marketing per Instagram, comprese le gallerie acquistabili e la pianificazione.
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Come la percezione che abbiamo dei brand condiziona le nostre scelte d’acquisto

  • Le nostre scelte di acquisto non dipendono pienamente dalla funzionalità del prodotto, ci aspettiamo dai brand una maggiore conoscenza delle nostre storie, dei nostri vissuti e delle nostre emozioni
  • L’influenza dei brand non segue un percorso verticale, con una comunicazione unilaterale ma avviene attraverso uno scambio di emozioni ed empatia
  • I prodotti dunque passano in secondo piano rispetto ai valori e alle emozioni attraverso cui ci immedesimiamo

Siamo abituati a pensare che le decisioni che portano a compiere l’acquisto di un prodotto siano il frutto di scelte razionali. E se invece a scegliere fossero le emozioni?

Il processo decisionale non segue un percorso lineare, non è totalmente il risultato di ricerche e analisi di mercato fondate sulla funzionalità del prodotto e sulla semplice necessità personale. O almeno, non è più così.

Il marketing è da sempre concentrato sullo studio dei consumatori, sui loro desideri e sulla percezione che questi hanno nei confronti dei brand. Negli ultimi anni la guerra dei marchi per differenziarsi dalla moltitudine è diventata spietata con i nuovi canali di comunicazione. Il problema fondamentale rimane quello di catturare l’attenzione, farsi ricordare, diventare un modello e infine entrare nelle nostre case. Costruire e mantenere la propria awareness è il compito più difficile per i brand.

La rivoluzione dei consumatori

Noi consumatori, del resto, siamo diventatati più furbi e più pretenziosi rispetto alle nostre esigenze. Non ci accontentiamo più dei messaggi unidirezionali, abbiamo spodestato il brand dal suo trono e lo abbiamo voluto mettere al nostro pari. Tempestati per anni da loghi, messaggi e immagini abbiamo ormai affinato le nostre preferenze e i nostri valori, imponendo le nostre personalità.

Ovviamente, in questa evoluzione le aziende hanno dovuto rivalutare le loro certezze, i loro studi ed anche le loro teorie economiche.

Le ricerche di mercato di tipo quantitativo trovano ormai uno spazio molto ristretto per intuire i comportamenti di acquisto. A muovere le preferenze sono le scelte personali legate al legame emotivo con il brand attraverso la condivisione dei valori, della sua storia e alla manifestazione che l’azienda ha rispetto ai cambiamenti sociali e alle evoluzioni culturali.

Basti pensare a Gucci con le sue modelle lontane dagli stereotipi di bellezza, a Dove con le sue testimonial rispecchianti la vera società fatta di donne normalmente “imperfette”. Come anche Nike: ricordiamo i manichini plus size o i diversi spot contro gli stereotipi o a favore dell’inclusività.

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Scelte razionali di cuore

Nel 1975 la Pepsi Company decise di avviare una ricerca di mercato per provare a spodestare la Coca-Cola dal primato dei soft drink. L’esperimento prevedeva l’offerta di due bicchieri anonimi di bevande (uno contenente Pepsi e l’altro Coca-Cola) a qualsiasi cliente dei supermercati di tutto il mondo, chiedendo quale bevanda fosse migliore. La raccolta dei dati fece ipoteticamente ben sperare in vendite superiori per Pepsi. Ma non andò così. Perché?

Nel 2003 il direttore dello Human Neuroimaging Lab di Houston riprese lo studio ma cambiando la modalità di raccolta dati. Decise di utilizzare su diverse persone l’fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale) macchinario in grado di guardare all’interno del cervello umano, illuminandosi esattamente dove si verifica l’attività cerebrale in risposta ad uno stimolo. Durante la prima somministrazione di bevande anonime, il dottor Montague confermò le preferenze per Pepsi. Ma alla seconda somministrazione, dichiarando prima i nomi dei brand, il 75% delle preferenze andò invece a Coca-Cola. L’attività cerebrale “accesa” indicava la predominanza del pensiero emozionale.

L’esperimento di neuromarketing ha osservato come, sebbene il gusto più gradevole a livello inconscio fosse quello della Pepsi, le emozioni suscitate da Coca-Cola prevalevano sulla preferenza.

Da qui, le tecniche delle neuroscienze (come l’fMRI) sono state ampiamente usate nel marketing e nella comunicazione per osservare la percezione di un prodotto o l’efficacia di una campagna pubblicitaria.

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 Le emozioni scavalcano il prodotto

L’esperimento Pepsi-Coca-Cola ha dimostrato come la percezione di un brand possa influenzare inesorabilmente le nostre preferenze.

Un marchio che ci coinvolge emotivamente attraverso i suoi aspetti, che siano i colori, i ricordi suscitati, la musica, l’immedesimazione, sarà quella spinta invisibile, anzi irrazionale, che ci farà allungare la mano verso quel determinato prodotto. Ce lo ricordano ad esempio Harley-Davidson o P&G.

La leva è sì quella delle emozioni, ma da ricercare anche (e soprattutto) nella sfera sociale ed individuale. E questo, le aziende e il marketing lo hanno ben capito, trasformando la loro comunicazione verticale in una alla pari, vicino ai pensieri, a ciò che provano gli individui. D

a qualche anno assistiamo ad un cambiamento di ruolo dei brand, volto a supportare le persone nell’espressione della propria identità, composta da un lato dall’appartenenza ad una comunità o ad uno stile di vita, dall’altro da una sfera prettamente personale in cui affermare la propria individualità. Dal canto loro anche i brand definiscono la loro identity manifestando i loro valori per acquisire fiducia e fidelizzazione di uno specifico pubblico che si riconosce in essi.

Acquistare un brand oggi significa acquistare la storia, i valori e tutti gli elementi dello stesso. Una sorta di amicizia tra marca e individuo in cui ritrovarsi a vicenda, affidare le insicurezze per sentirsi meno vulnerabili. Si capisce che la relazione è di tipo emotivo, in cui la funzionalità del prodotto passa in secondo piano rispetto alla condivisione, rispetto alla persona.

Scegliamo noi stessi

Vendere un prodotto significa dunque vendere storie, emozioni condivise come paura, gioia, solidarietà, empatia. Ad esempio gli spot natalizi di grandi brand come John Lewis, CocaCola o Erste Group puntano su una narrazione totalmente emotiva volta sulla nostalgia, sugli affetti familiari, sui ricordi, sull’amicizia. Emozioni che la maggior parte di noi condivide e sente proprie (anche per il particolare momento dell’anno) immedesimandosi nello storytelling.

Il prodotto non è il protagonista, il messaggio emotivo si sviluppa insieme al racconto in cui si rivela alla fine con la realizzazione di un desiderio o di un bisogno grazie al prodotto. IKEA, ad esempio, fa emergere i sentimenti di nostalgia attraverso i ricordi. Momenti felici vissuti su una poltrona e che continueranno ad esistere dopo generazioni (grazie anche alla resistenza della poltrona).

Un ulteriore esempio sono stati gli spot durante la prima ondata di Covid-19. Tutto il mondo era coinvolto, le strade deserte, il silenzio delle città interrotto dalle sirene delle ambulanze. Le nostre emozioni erano negative, di paura, di solitudine. I brand si sono immedesimati con le nostre emozioni restituendoci spot che raccontavano di infermieri, corrieri, operai, persone sole in casa senza compagnia: raccontavano del vissuto delle persone. Ci hanno incoraggiato, hanno fatto sentire la loro presenza, hanno manifestato empatia.

LEGGI ANCHE: Qualcosa unisce le pubblicità post Covid dei brand (e le rende tutte un po’ simili)

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Un amico che ha empatia verso ciò che proviamo, che viviamo, verso ciò che vogliamo essere nel contesto della società. Ecco l’aggancio emotivo che ci fa avere interesse per un brand, identificarci con esso e ricordarlo nel futuro. Ricordarlo positivamente e riconoscerlo  porterà anche a preferirlo e molto probabilmente ad acquistarlo.

La comprensione delle preferenze di acquisto del consumatore deve essere dunque basata sulla conoscenza delle emozioni umane che influenzano il processo decisionale. Ancora una volta, al centro del messaggio, del prodotto, del brand e dell’acquisto finale ci sono le persone che attraverso le loro storie, le loro aspirazioni, i loro desideri, scelgono di acquistare emozioni: le loro.

Buddybank partner dei PG Nationals spring, Summer split 2021

Buddybank, la banca per smartphone di UniCredit, affiancata da PG Esports (il più importante organizzatore di tornei dedicati al gaming competitivo), inizia il 2021 con una collaborazione innovativa che riguarda i primi due split dei PG Nationals 2021, il più amato e seguito torneo di League of Legends d’Italia.

Buddybank, ha deciso un anno fa di puntare con successo sulla forza comunicativa del settore degli Esports, iniziando le sue prime collaborazioni con i PG National e la Milano Games Week. Ad inizio 2021 buddybank, con una nuova veste grafica e sempre al fianco di PG Esports, ha rinnovato la sua collaborazione nel settore degli electronic sports con una ulteriore partnership ambiziosa ed innovativa.

Commenta l’Head of GroupM ESP, Luca Pravadelli:

“Siamo lieti della proficua e duratura collaborazione creatasi con buddybank. Nel 2020 abbiamo iniziato assieme questo percorso e adesso torniamo in campo in maniera ancora più solida e forte. In quanto unit specializzata nello sport marketing, negli ultimi anni abbiamo studiato e monitorato la crescita e le opportunità offerte del mondo Esports. Con l’arrivo della pandemia, si è resa ancora più evidente la volontà da parte dei clienti di GroupM (o del gruppo WPP) di instaurare nuove partnership in questo settore, e buddybank ne è la dimostrazione”.

streaming esports

Il team MediaCom, partner da anni di buddybank, si è attivato in completa sinergia con la unit dedicata ai progetti di branded entertainment MediaCom MBA per disegnare e ideare un progetto di esports. L’attività si è svolta avvalendosi della consulenza di GroupM ESP (Entertainment & Sports Partnerships), business unit di GroupM dedicata allo Sport Marketing. GroupM ESP ha supportato buddybank nella negoziazione della partnership e ne gestirà lo sviluppo attraverso la costruzione congiunta di un’efficace strategia di comunicazione.

“Siamo davvero felici di poter continuare a sostenere il mondo degli Esports, anche perché rappresenta in pieno una buona parte della nostra clientela smart e giovane. Non ci sentiamo solo partner, in buddybank siamo diventati dei veri fan degli Esports e non vediamo l’ora di vedere chi vincerà i PG Nationals”.

Afferma Massimo Bondanza, Head of Marketing & Products di buddybank.