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tiktok 2021

TikTok introduce nuovi strumenti di lead generation

Quando le aziende scelgono TikTok, sanno che tramite la piattaforma potranno comunicare in maniera inedita e originale con il proprio target, diventando parte integrante della community. Inoltre, grazie ai formati video immersivi, a tutto schermo, sound-on e di breve durata, riescono a catturare l’attenzione delle proprie audience, e al contempo far crescere la base clienti e aumentare l’impatto sui ricavi.

First-party

Uno scenario che oggi si arricchisce con la lead generation, la soluzione first-party di TikTok che aiuta le aziende a raggiungere i clienti e promuovere la conversione in modo semplice. In pochi, semplici tocchi, ora sarà possibile comunicare prodotti e servizi in modo più accattivante e interessante.

La lead generation sarà un aiuto concreto per le aziende di qualsiasi dimensione a creare interazioni per raggiungere i prospect e convertirli in potenziali clienti. Ad esempio, per gli utenti sarà possibile compilare con maggiore facilità eventuali form e fornire le proprie informazioni (come nome, e-mail o telefono), segnalando così il proprio interesse per quel particolare prodotto o servizio.

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Per rendere ancora più efficiente l’esperienza, inoltre, le informazioni di base che gli utenti già forniscono in fase di iscrizione alla piattaforma potranno essere inserite automaticamente. La lead generation di TikTok consente inoltre di creare messaggi completamente personalizzabili. Le lead possono essere scaricate manualmente o, se integrate con un CRM aziendale, attivate immediatamente. In questo modo, le informazioni degli utenti inserite nei form garantiscono alle aziende di raggiungere i clienti interessati in modo non intrusivo.

Con l’integrazione della lead generation, quando gli utenti inviano i propri dati a TikTok visualizzeranno un’informativa sulla privacy che chiarisce che si stanno raccogliendo le loro informazioni per gli inserzionisti, con link alla relativa policy di TikTok e a quella dell’inserzionista. Le informazioni personali compilate automaticamente nella lead generation saranno accessibili solo all’inserzionista e, in qualsiasi momento, gli utenti potranno modificarle o cliccare per uscire dal form. In questo modo assicuriamo alla nostra community controllo e sicurezza sulla privacy dei propri dati. 

Lead Generation

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In TikTok vogliamo supportare le imprese offrendo loro l’opportunità di creare un legame sincero con i consumatori assicurando al contempo che la nostra community si senta a proprio agio e al sicuro sulla piattaforma, aspetto prioritario per noi. Lead Generation è conforme alla GDPR. Continuiamo a migliorare la nostra piattaforma, le policy e i prodotti per aiutare le aziende a raccontare la loro storia, salvaguardando le informazioni della nostra community e proteggendo la nostra piattaforma e i dati degli utenti.

Siamo entusiasti di introdurre la lead generation per i business di tutto il mondo e di supportare il loro impegno a raggiungere, connettersi e ingaggiare in modo semplice con il proprio target. Per ulteriori informazioni su come iniziare ad utilizzare lead generation, leggi il relativo articolo del nostro Help Centre e scopri qui come brand di diversi settori – dall’automotive alla finanza fino al retail – utilizzano lead generation per creare una relazione con i consumatori su TikTok.

Fiat Professional sceglie ancora il Milanese Imbruttito per la campagna dell’E-Ducato

Dopo il successo della collaborazione per il lancio del Ducato con cambio automatico nel 2019, Fiat Professional sceglie ancora Il Milanese Imbruttito, agenzia creativa e community con oltre 2.5 milioni di utenti, per il lancio di E-Ducato, la versione 100% elettrica del veicolo commerciale più venduto in Europa nel 2020. La collaborazione prevede lo sviluppo di una campagna social multicanale dal titolo “Green & Grano (Duro) – il nuovo business imbruttito” che partirà a fine aprile e che sarà veicolata sulle pagine social delle due aziende.

Protagonista della campagna è il video “Green & Grano (Duro) – il nuovo business imbruttito” che vede coinvolti i personaggi più amati dalla community imbruttita: Il Milanese Imbruttito (interpretato dall’attore Germano Lanzoni), Il Giargiana (Valerio Airò) e il Nano (la giovane star Leonardo Uslengo). Il video sarà affiancato da 1 video pillola e 5 grafiche social, contenuti ideati e prodotti dal team creativo de Il Milanese Imbruttito.

Fiat Professional ha rinnovato la fiducia ne Il Milanese Imbruttito – community  con cui condivide un tone of voice distintivo e ironico – per il lancio del suo primo e più iconico modello elettrico, ideale per le consegne dell’ultimo miglio e  mission urbane. L’obiettivo del nostro brand, leader nel Mercato dei Veicoli Commerciali in Italia, è comunicare i valori green e i vantaggi del nuovo E-Ducato in maniera smart e coinvolgente, con un approccio di branded entertainment che Il Milanese Imbruttito è in grado di rappresentare al meglio.

Commenta Salvatore Cardile, Head of Marketing & Communication di Fiat Professional Italia.

Una collaborazione rinnovata, quella tra Fiat Professional e Il Milanese Imbruttito con l’obiettivo di mostrare come sia possibile coniugare agilità, sostenibilità e una buona dose di coolness quando si tratta di scegliere il veicolo per il proprio business, il tutto in stile imbruttito. Partendo da quì, il progetto prende vita con una nuova avventura imprenditoriale del famoso “Giargiana” che utilizzerà l’E-Ducato e ne mostrerà i punti di forza.

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Siamo entusiasti e orgogliosi di collaborare ancora con il team Fiat Professional per la promozione di un prodotto così innovativo e in linea con i valori della community imbruttita, sempre più attenta ai temi della sostenibilità e confermato anche dalla nostra ultima indagine. È la dimostrazione che l’ironia e il sorriso possono essere la chiave per veicolare messaggi importanti e dare vita a campagne di comunicazione di successo.

Commenta Tommaso Pozza, AD e co-fondatore de Il Milanese Imbruttito.

Nata come pagina Facebook nel 2013, oggi Il Milanese Imbruttito è un’agenzia creativa che opera nel mercato del content marketing e che, oltre ai 3 fondatori, riunisce diverse professionalità del settore della comunicazione digitale per offrire un servizio a 360°.

Punto di riferimento nel panorama italiano del social entertainment, nel corso degli anni Il Milanese Imbruttito ha sviluppato, oltre a una propria linea di prodotti, progetti editoriali e video per diversi clienti e brand internazionali tra cui Disney, Amazon, Sky, Samsung, PayPal, Microsoft e Coca-Cola, trasformando i loro prodotti in contenuti emozionali per la community.

Siete pronti a salvare Matilda? È uscito il videogioco ufficiale di Chiara Ferragni

Chiara Ferragni Collection, un brand italiano ma con un respiro internazionale, ha deciso di sperimentare il gaming come nuova forma di promozione innovativa e coinvolgente. Infatti, il settore dei videogiochi è in grandissima espansione, complice anche la pandemia, ed è una forma di svago che ormai ha conquistato persone di tutte le età. Nel mondo ci sono 2,7 miliardi di gamer (17 milioni in Italia, secondo l’ultimo report di IIDEA) e il mercato dei videogiochi, da solo, vale più di quello del cinema e della musica messi insieme.

Rescue Matilda!

Il progetto è stato sviluppato da Gamindo, startup specializzata nello sviluppo di videogiochi ad impatto sociale per brand, in collaborazione con il Pixel Artist Manolo “The_Oluk” Saviantoni e il Game Developer Samuele Sciacca, già noti al pubblico per la creazione del gioco Al Bano vs Dino.

Nel gioco Rescue Matilda, un platform game in pixel art, i ruoli finalmente si invertono: non è più il principe a salvare la principessa, ma è la principessa (in questo caso Chiara) pronta a superare ogni ostacolo per salvare Matilda. Dopo aver scelto l’outfit con cui giocare e un primo livello di ambientamento, dove si corre e si salta come nel più classico dei videogiochi, la difficoltà inizia ad aumentare e l’ultimo livello è raggiungibile solo per pochi.

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I nemici, bocche giganti e cactus spinati quasi a ricordare gli hater invadenti, sono sempre di più, gli ostacoli sempre più ostici, e i tempi di reazione necessari sempre più brevi. A motivare gli utenti c’è poi la classifica, con i migliori giocatori di sempre e della settimana.

Per giocare non serve scaricare nessuna app, basta cliccare questo link.

Siete pronti per l’avventura? Che la sfida abbia inizio!

Società digitale: la rete FTTH come driver di crescita

Sveglia, colazione e poi tutti pronti per la scuola e il lavoro: in una stanza i ragazzi, nell’altra i genitori, ognuno davanti al proprio pc per connettersi con il mondo. Sembrerebbe uno scenario da sit-com, invece è una normalissima mattina nell’era digitale. Tra DAD, smart working e il meritato svago della sera, abbiamo ormai perso il conto delle ore passate a navigare sul web ogni giorno. 

Anzi, in verità c’è chi si è preso la briga di contarle per noi: almeno 6 in media, secondo gli esperti. Con la digitalizzazione sempre più diffusa che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite – complici anche le restrizioni dovute alla pandemia di Covid-19 che ci ha portato a usufruire dei mezzi con maggiore costanza – internet è ormai la risposta a ogni nostra necessità. 

Approfittiamo per invitarti mercoledì alle ore 09 su Clubhouse, all’interno della Ninja Morning, per la room powered by Open Fiber!

Il digital divide: l’antagonista delle nostre storie digitali

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C’è un aspetto della vita digitale che forse non è noto a tutti. Siamo ormai così abituati a connetterci al web con un semplice clic – meglio ancora con un tap sullo schermo dei nostri dispositivi mobile – che accedere a internet è, per la maggior parte di noi, un’azione quasi automatica. Eppure, anche nell’era della digitalizzazione ad ogni costo, esistono fasce di popolazione per le quali la possibilità di interagire col mondo via internet non è così scontata. Hai mai sentito parlare di digital divide? Se la risposta è no, puoi considerarti fortunato.

Uno dei player più attivi nella lotta a questo fenomeno di disuguaglianza digitale è proprio Open Fiber che, ad oggi, ha avviato la commercializzazione dei propri servizi in oltre 2000 Comuni italiani. Inclusi i piccoli Comuni delle Aree Bianche, le zone meno popolate che gli operatori spesso non si impegnano a raggiungere. 

Per dirla in poche parole, il digital divide è il divario che sussiste tra coloro che possono accedere alle nuove tecnologie per mezzo di Internet e quelli che non possono farlo. Nella maggior parte dei casi, è dovuto alla carenza di infrastrutture: alcune zone del paese – come ad esempio le cosiddette Aree Bianche e Grigie – si trovano costrette a connettersi al web attraverso infrastrutture ormai obsolete. Queste connessioni instabili e poco performanti non sempre sono in grado di supportare il traffico dati necessario per sostenere una mattinata in DAD o uno scambio di materiale con i colleghi senza rallentamenti. Di conseguenza, il digital divide è il nemico più importante della nostra epoca in ambito di telecomunicazioni. 

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La rete FTTH di Open Fiber come alleata di startup e aziende

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Tra email, messaggistica istantanea e videochiamate il lavoro non si ferma. Freelance, imprenditori e Pubbliche Amministrazioni sono tutti connessi su base quotidiana per portare avanti i propri compiti senza interruzioni. Le conseguenze della pandemia sull’economia e sul mercato del lavoro sarebbero state molto più importanti se gli eventi straordinari che stiamo vivendo si fossero verificati soltanto venti anni fa.

Ma la possibilità di lavorare grazie al web non è nulla se la connessione non è in grado di sostenere le attività necessarie a startup, aziende e liberi professionisti. Il lag – ritardo nella trasmissione delle informazioni – può rallentare notevolmente lo scambio di dati e materiale. Questo penalizza le performance e demotiva i lavoratori, che potrebbero trovare frustrante lavorare in condizioni del genere. Ecco perché la fibra ottica FTTH di Open Fiber, con la sua velocità di trasmissione dati che arriva fino a 1 Gbps, è la tecnologia ideale per garantire la crescita del business in Italia. 

Vittorio Colao: l’importanza di mappare le Aree Grigie 

La visione a lungo termine di un’Italia digitale è ben chiara anche a Vittorio Colao, Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale. Il Ministro ha preso particolarmente a cuore il cablaggio delle cosiddette Aree Grigie, zone in cui esistono infrastrutture per la banda ultra larga oppure in cui è prevista la realizzazione entro tre anni, senza nessun mercato concorrenziale. Parlando delle Aree Grigie durante un’audizione presso la Commissione Trasporti della Camera, ha dichiarato:

“Faremo rapidamente la mappatura e le consultazioni. Non appena pronto, porteremo il Piano al Comitato interministeriale per la transizione digitale. Un processo complesso che prevede l’interlocuzione con il mercato e con le Istituzioni nazionali e comunitarie. Lo vogliamo velocizzare il più possibile”.

Il piano di azione prevede interventi sia sull’offerta che sulla domanda di servizi digitali. L’obiettivo principale è la copertura dell’intero territorio con tutte le tecnologie in grado di abilitare l’accesso alla banda ultra larga: non solo FTTH, ma anche FWA per raggiungere i territori più impervi. 

Vittorio Colao

Il Ministro punta a connettere tutte le istituzioni, incluse le scuole, gli ospedali, gli uffici pubblici e tutte le 18 isole minori entro pochi anni:

Stiamo lavorando con Agcom e Infratel per far convergere in un unico sistema tutte le mappature. Cercheremo di erogare i nostri contributi in maniera efficiente. Speriamo di fare presto e arrivare entro fine anno ad avere tutto allineato per poter partire con le gare. Cercheremo di fare aree molto più piccole perché permettono agli operatori di essere più precisi. Speriamo a inizio del 2022 di avere il processo terminato.

5 obiettivi in 5 anni, la sfida del Ministro Colao

Le ambizioni del Ministro sono a dir poco interessanti: nonostante l’Unione Europea abbia stabilito come data simbolo della transizione tecnologica il 2030, Colao vuole battere sul tempo gli altri Paesi e punta al 2026. Per i 5 anni futuri, infatti, ha individuato altrettanti obiettivi necessari per la transizione digitale: 

  • Fare in modo che almeno il 70% della popolazione usi regolarmente l’identità digitale, contro la percentuale di utenti attuale che è meno della metà.
  • Rendere digitalmente abile almeno il 70% della popolazione.
  • Portare il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi cloud.
  • Erogare online almeno l’80% dei servizi pubblici.
  • Raggiungere il 100% delle famiglie e delle imprese italiane con reti a banda ultra larga, grazie alla collaborazione con gli operatori di mercato e il MISE.

Una sfida che gli operatori impegnati in Italia nella lotta al digital divide, come ad esempio Open Fiber, non vedono l’ora di cogliere!

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La nuova campagna di Heineken celebra la nostra creatività durante le chiusure

Oggi, Heineken lancia una nuova campagna globale, “We’ll Meet Again”, che celebra la resilienza e la creatività delle persone nell’ultimo anno e il modo in cui hanno trovato modi creativi per reinventarsi e mantenere vivo lo spirito.

We’ll Meet Again

Disponibile su Youtube, We’ll Meet Again viene lanciata esattamente un anno dopo l’uscita della prima campagna #SocialiseResponsibly di Heineken, “Ode To Close”, la prima di una serie di creatività che hanno mostrato sostegno agli utenti durante la pandemia globale.

La creatività mostra il modo in cui le persone si sono reinventate nel quotidiano durante la chiusura, in qualcosa di inaspettato e divertente: dal vestirsi per fare colpo quando si porta fuori la spazzatura, fino a trasformare una passeggiata con il cane in una festa da ballo. We’ll Meet Again riconosce la forza dei consumatori, che hanno usato la loro creatività per mantenere alto l’umore dopo più di un anno di pandemia e limitazioni associate.

Il film è stato diretto dal pluripremiato regista François Rousselet e girato a Barcellona, in Spagna, secondo i rigidi protocolli COVID-19, rafforzando il bisogno di intraprendenza e ingegnosità che è al centro della campagna.

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Bram Westenbrink, Heineken Global Senior Director ha dichiarato:

In Heineken il nostro obiettivo è raccontare storie che siano in sintonia con le persone di tutto il mondo. Quando abbiamo lanciato Ode To Close più di un anno fa, il mondo era bloccato e il nostro messaggio era incentrato sulla sicurezza dei nostri clienti: socializzare responsabilmente. Con We’ll Meet Again, la campagna attinge al sentimento collettivo del momento, mostrando esperienze di vita reale a cui quasi tutti possono relazionarsi, celebrando la resilienza e l’immaginazione con un chiaro messaggio di speranza per il futuro.

Bruno Bertelli, Global CCO, CEO di Publicis Italia, ha dichiarato:

Sebbene il blocco e la riapertura delle città siano stati diversi in ogni paese, ciò che ci ha uniti è il nostro desiderio comune di riconnetterci con le persone attraverso momenti sociali. Con We’ll Meet Again di Heineken, abbiamo realizzato una campagna che celebra l’umanità, sottolineando anche la resilienza, lo spirito positivo e mai arrendevole delle persone in tutto il mondo.

lavoro liquido

Largo al lavoro liquido: è finita l’era dei percorsi lavorativi lineari

  • Siamo tutti “slasheur”: cambiano i paradigmi delle professioni tra freelance e lavoro dipendente.
  • Le piccole grandi rivoluzioni sostenibili che le aziende possono innescare nel mercato del lavoro con il recruiting responsabile.
  • “Assumere fiducia” è il concetto chiave per motivare alla ricerca di lavoro e portare in azienda i valori e le attitudini necessarie per l’organizzazione.

La sovrapposizione ormai problematica tra vita professionale e vita personale, il nomadismo digitale e il lavoro agile, l’obsolescenza delle competenze per via della trasformazione digitale, rappresentano i cardini di una trasformazione critica del lavoro che va di pari passo con i cambiamenti profondi innescati negli anni della pandemia.

In questo scenario, si modifica vistosamente anche il concetto di occupabilità, da considerare come la capacità delle persone di trovare un lavoro, di mantenerlo o di saperlo comunque cercare in maniera attiva. Un processo che era già in atto negli ultimi anni (vd. Il Report  2018 del progetto EU “Independent Workers and Industrial Relations in Europe”) e che ha inevitabilmente accelerato la sua evoluzione, mese dopo mese, e continuerà a farlo.

lavoro agile

Il mito del posto fisso, già incrinato da tempo, ha generato uno sgretolamento definitivo anche dei percorsi lavorativi “lineari”. E in un mondo dove “non sappiamo ciò che non sappiamo” (come rappresenta il framework del Cynefin – kəˈnɛvɪn), se il mercato del lavoro è sempre più incerto, per il job seeker perseguire la ricerca di più posti di lavoro anche inconciliabili tra loro diventa una tattica.

Sia che il fenomeno sia di tipo congiunturale oppure una scelta consapevole, non può essere sottovalutato anche dall’universo delle grandi aziende, soprattutto se sono alla ricerca di “talenti”.

“Job Surfers”, “Lance Libere” e “Professioni barrate”

Quanto mai centrate suonano le parole che sir Walter Scott faceva dire al Capitano dei Free Companions nell’Ivanhoe: “Grazie a questi tempi inquieti, un uomo d’azione trova sempre un impiego”. In quel romanzo, che ha fatto la storia della letteratura, veniva coniato per la prima volta il termine “free-lance” per descrivere un soldato mercenario medievale; oggi sta a significare un libero professionista che presta il proprio operato per diverse organizzazioni dove nello specifico il soggetto non ha clienti diretti ma soprattutto indiretti, perché sono resi disponibili dai committenti.

Una sorta di “subappalto” di opportunità dove però si gioca un ruolo fondamentale se si è esperti nella risoluzione di problemi specifici attraverso il mettere a disposizione le proprie competenze.

Ancora di più questo concetto è radicalizzato dalla presenza sempre più crescente di “slashworkers” che, come spiega Matteo Sola, sono in molti casi persone di talento, dotate di competenze che risultano essere scarse sul mercato (come nel caso delle competenze digitali) che, non avendo il mito del posto fisso e delle sue garanzie, infatti, non hanno nessun interesse a diventare collaboratori fissi di un’azienda.

Certamente, molti di questi profili sono spinti dalla necessità, per dirla all’inglese, del ““keep body and soul together” (sbarcare il lunario), che trovano espressione in molte professionalità della gig economy, ma ancora più spesso si tratta di ibridazioni consapevoli, soprattutto a livello aziendale.

Per giunta, come sottolinea Marielle Barbe in “Profession Slasheur” si tratta di un fenomeno che riguarda più generazioni, non solo quelle più giovani, e che riflettono il desiderio di attribuire sensemaking alle proprie attività lavorative in maniera deliberata.

Lo slash “/”, che contraddistingue sempre di più le headline dei professionisti nei propri profili Linkedin, è così il simbolo forse di una crisi di identità professionale, che culturalmente sta cambiando la nostra abitudine a catalogare le persone secondo il lavoro che fanno (ed è sempre più spinoso porre la domanda “cosa fai nella vita?”).

Per le nuove generazioni, i tempi in cui ci si poteva identificare col proprio lavoro sono finiti. Le carriere sfuggono alle classificazioni classiche che la generazione precedente sovrapponeva alla vita personale per trenta o quaranta anni. Nelle piccole località italiane è sempre stato naturale identificare “il maresciallo”, “l’avvocato” o il “dottore” come identità nette che rappresentavano anche valori e profili di personalità già delineati.

colloquio di lavoro

Come sottolinea Nicolò Andréula in Flow Generation, gli economisti identificano questo comportamento come path dependency (dipendenza dal percorso): crediamo di sapere chi siamo e in cosa siamo bravi perché abbiamo studiato una certa materia o perché abbiamo lavorato in un certo ambito per anni. Ma oggi il mito del posto fisso non trova più lo stesso spazio di applicazione.

Si tratta di costruire un percorso, non di trovare un lavoro, in accordo con le leggi della società liquida denominata da Zygmunt Bauman da ormai diversi anni e diventare dei “giocolieri di mestieri”, mentre ci si rende conto che l’intelligenza artificiale e la tecnologia digitale diventano sempre più presenti nei posti di lavoro, mettendo in crisi le nostre certezze lavorative.

Ma esistono anche risvolti innovativi e di cambio di mindset: la pandemia, con il più grande esperimento di remote working della storia dell’umanità, ha fatto vivere ancor di più a tutti un’esperienza che prima era solo una prerogativa dei nomadi digitali, evidenziando molto bene quali compiti e quali mestieri possano essere riformulati in un’ottica diversa nel “new normal” e quali no. Per molti, inoltre, è fiorita l’occasione di immaginare altre professioni o nuove competenze a cui attingere per ricodificare il proprio profilo professionale.

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Nel futuro del mondo del lavoro sarà quindi sempre meno importante aver seguito un percorso di carriera lineare. Quello che conterà di più sarà la propria capacità di risolvere problemi specifici e di essere autosufficienti e affidabili nel processo decisionale. La domanda da fare quando ci presentiamo a qualcuno potrebbe pertanto diventare nei prossimi anni non più “cosa fai nella vita?” ma “in cosa sei bravo”?

Dal responsabile di selezione alla “selezione responsabile”

In questo panorama di riformulazione delle strategie di employability che riguardano il singolo, come devono essere riformulate le strategie organizzative HR?

Accrescere l’occupabilità è generalmente un obiettivo prioritario delle politiche per l’occupazione a livello istituzionale, ma lo sarà sempre di più anche per il mondo del business, che deve favorire la crescita delle persone all’interno dell’organizzazione e riformulare i processi di acquisizione di nuove risorse dalle skills multiple.

L’ innovazione, infatti, non è detto che passi unicamente per la digitalizzazione dei processi di selezione, in quanto non è auspicabile renderla un’attività meramente “meccanica”, dove basta pubblicare un annuncio e poi lasciar fare tutto il lavoro all’intelligenza artificiale o ad alcuni specialisti per misurare le persone e individuare senza fatica il candidato più adatto.

La ricerca del lavoro reca con sé un costo emotivo per l’individuo sempre rilevante, che rischia di essere ulteriormente caricato dalla tensione sociale ed economica di prossimo avvento, non appena la fine del blocco dei licenziamenti sarà formalizzata. Anche per l’azienda occorre riprendere la dimensione umana del lavoro, evitando i messaggi di assistenzialismo o attribuendo percorsi formativi o nuovi ruoli professionali senza mettere le persone al centro del proprio progetto lavorativo.

Ecco quindi alcune piccole, grandi, innovazioni che possono essere attivate nelle funzioni People & Culture aziendali per attualizzare i processi al mercato del lavoro post-pandemico e approcciare la gestione dei talenti in un’ottica sostenibile.

Job Description Agili

Nell’approccio Agile declinato sui processi delle risorse umane gli aspetti del reclutamento possono essere ridisegnati iniziando ad operare con la missione del fit culturale tra le nuove risorse e l’organizzazione, puntando sugli aspetti attitudinali ancor prima delle competenze di ruolo.

L’intero processo di selezione dovrà però contemplare oltre ai requisiti di tipo tecnico specialistico anche la valutazione delle cosiddette competenze a “T”, degli aspetti motivazionali e del fitting culturale: i tratti di apertura al cambiamento, diversity e adattamento saranno da ritenersi privilegiati per la rappresentazione di un mindset più vicino ai principi “agili”.

Gli annunci di lavoro, al di là dei ruoli e delle funzioni presenti negli organigrammi, dovranno esplicitare più marcatamente: gli ambiti di innovazione, di team involvement, di impatto e carriera organizzativa e forse meno segnatamente le sole classiche conoscenze e competenze tecniche richieste dal ruolo.

Sarà una misura più “sostenibile” perché dall’informazione più trasparente, più legata ad una visione olistica della persona nonché prodromo indispensabile per la relazione di fiducia reciproca che deve instaurarsi tra il datore di lavoro e il job seeker.

Corporate Entrepreneurship e Recruiting per team

Che le nuove generazioni siano maggiormente attratte dall’universo delle start-up rispetto all’ambiente corporate probabilmente non è più un segreto.

Attrezzare quindi i processi di recruiting e selezione immaginando l’inserimento di interi gruppi di lavoro già coesi da un’esperienza professionale pregressa (giovani o adulti che siano), potrebbe significare una vera rivoluzione.

Magari anche attraverso la costruzione di “Call for Ideas” formalizzate che non siano semplicemente rivolte al singolo, ma anche a team di lavoro (e non per forza sotto forma di contest o hackathon con dei premi in palio).

Non è un caso che la spinta verso l’Open Innovation o l’acquisizione di intere Start-up all’interno della galassia Corporate sia stata un processo sempre più diffuso negli ultimi anni.

Accompagnata dalla declinazione della filosofia della “Corporate Entrepreneurship” all’interno del contesto organizzativo, la ricerca del lavoro può in questo modo essere incoraggiata all’esterno come percorso collettivo condiviso che favorisca la contaminazione e il networking tra competenze professionali diversificate, che reagisca all’estrema volatilità delle figure professionali identificate dalle linee di business e risponda in maniera più aderente alla ricerca di profili “multipotenziali” o “ibridi”, spesso idealizzati, la cui caratteristica principale è purtroppo sempre l’estrema rarità.

lavoro intergenerazionale

Employability e Multi-generational Learning

Una visione del mercato del lavoro fluido e contaminato tra esterno ed interno non può che guardare anche alla possibilità di agevolare processi di learning organization che mettano a fattor comune competenze e potenzialità multi-generazionali.

Le peculiarità dei senior che l’azienda ha con sé possono essere messe a disposizione delle nuove generazioni per migliorare le skills trasversali di time management, comunicazione efficace, gestione dei progetti, di leadership, etc: skills strategiche che non possono mancare agli “slash-workers” di oggi e di domani.

Allo stesso modo, l’avvicinamento della Zed Gen al mondo del lavoro può avvenire, forse per la prima volta nella storia, a partire dalla possibilità di rendere i giovani e i giovanissimi dei “trainer” di competenze tecniche (digitali) o culturali, utilissime ai lavoratori più adulti per il proprio reskilling e il proprio rinnovamento di employability.

Last 2¢: “assumere fiducia”

In conclusione, il termine employability rappresenta le caratteristiche individuali e sociali utili al lavoratore e al job seeker di fare fronte ai problemi di adattamento e all’incertezza del mondo del lavoro. Ma sempre di più si fa strada l’idea che per avvicinare domanda e offerta nel mercato, si debba ricostruire il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e persone.

L’esperienza dell’home working/remote working ha polarizzato tantissimo il concetto di collaborazione tra azienda e persone, rappresentando minacciosamente sullo sfondo la possibilità di immaginare un futuro dove il “datore di lavoro” può diventare un mero “datore di stipendio”, poiché le mansioni possono essere svolte senza vivere la collettività e i valori culturali di uno specifico brand o di un ambiente particolare. E puntare sulla relazione di fiducia per ricostruire i legami è l’unica strada possibile in tal senso.

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In fondo, da sempre, l’interesse e la passione per un lavoro (o per un determinato ambiente professionale) hanno sempre valso molto più dei titoli di studio, dimostrare quello che si è capaci di fare è considerato molto più valido di un’autodichiarazione in un CV e sappiamo tutti che avere già “esperienza” alla prima assunzione è un paradosso a cui inevitabilmente si deve fare fronte intraprendendo un percorso di apprendimento informale all’interno dell’organizzazione diventando solo col tempo efficaci nel ruolo per cui ci si è candidati.

Allora “assumere fiducia” significa biunivocamente, prendere coraggio e infonderlo verso il job seeker attraverso gli strumenti e la forza dell’orientamento professionale e, al contempo, portare a bordo in azienda i valori della competenza, della coerenza e della chiarezza sapendoli confermare, giorno dopo giorno, nell’evoluzione continua del lavoro.

Google e Rai vincitori di inclusione. Il Diversity Brand Report 2021

È Google il vincitore assoluto “overall” del Diversity Brand Award 2021 insieme alla piattaforma “Virtual Lis” di Rai, prima per la sezione digital. Un riconoscimento importante per il gigante del big tech e per la concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia, che testimonia l’impatto e la forte percezione del reale impegno sul fronte Diversity &  Inclusion.

La top 20 dei brand italiani (21 in realtà, per un ex aequo) più inclusivi è stata presentata in modalità streaming durante la quarta edizione del Diversity Brand Summit, “Diversity Factor: born to build trust”, occasione anche per delineare il Diversity Brand Index 2021, progetto di ricerca volto a misurare la capacità delle aziende di sviluppare con efficacia una cultura orientata alla D&I,  curato da Diversity e Focus MGMT.

Il ranking delle Top 20 in Italia: “Make it possible”

Ai vertici del ranking italiano rientrano anche Amazon, Carrefour, Coca-Cola, Durex, Esselunga, Freeda, Google, H&M, Ikea, Intesa Sanpaolo, L’Oréal, Leroy Merlin, Mattel, MySecretCase, Netflix, Pantene, Rai, Spotify, Starbucks, TIM, Vodafone.

Make it possible” è il claim che accompagna l’edizione 2021 del Premio, promosso dalla no profit Diversity, fondata da Francesca Vecchioni, e dalla società di consulenza strategica Focus MGMT, realizzato con il patrocinio della Commissione Europea e del Comune di Milano.

Il diversity factor si contraddistingue, soprattutto, come un vero e potente driver di posizionamento per le aziende, anche in un anno complicato come il 2020 per la pandemia, con un impatto economico significativo: i brand percepiti come non inclusivi registrano un NPS (Net Promoter Score, indicatore del passaparola) negativo pari al -90,9% (con un’ulteriore riduzione di 4,9 punti percentuali rispetto all’anno precedente), a fronte di un +81,2% invece per i brand percepiti come inclusivi. Ciò si ripercuote sul differenziale della crescita dei ricavi: +23% a favore di quei brand che, nonostante la crisi COVID-19, sono riusciti a non interrompere il loro piano di sviluppo e il loro impegno sulla D&I. Dal report, tuttavia, emerge che soltanto 1 azienda su 5 in Italia si impegna realmente sul tema della diversità, sebbene una corporate inclusiva viene percepita come più moderna e conquista un maggior livello di fiducia dei clienti, amplia il proprio mercato e migliora le performance economiche, ma soprattutto attrae e coltiva talenti.

Top 20 italiane

La strategia “diversity oriented” di Google e Rai

Alla base della motivazione del primato di Google, l’aver lavorato in maniera diffusa sulla D&I, in particolare sul gender, sull’orientamento sessuale e affettivo e sulla disabilità. Per aver compreso il ruolo di brand consapevole e responsabile, lavorando su iniziative e attività disruptive, capaci di cambiare e migliorare la vita di ognuno, abbattendo barriere tangibili ed intangibili, oltre all’aver sviluppato una customer experience diversity oriented.

“È con estremo piacere che accolgo questo riconoscimento, che coglie a pieno il concetto di alleanza espresso ogni giorno dalla comunità dei Googler – dichiara Fabio Vaccarono, Vice President Managing Director Italy di Google – Dalle sue origini Google è impegnata a rendere la diversità, l’equità e l’inclusione parte di tutto ciò che facciamo: dal modo in cui costruiamo i nostri prodotti, al modo in cui interagiamo con le persone nel posto di lavoro. Nel realizzare questa visione, abbiamo sempre sentito un elevato livello di responsabilità verso la società e la comunità in cui operiamo: per questo abbiamo fatto nostro il compito di incoraggiare rispetto, equità, uguaglianza nella diversità e inclusione. Nella situazione di emergenza che stiamo attraversando, l’impegno ad aiutare tutte le comunità a proteggere questi valori e tutelare i diritti che hanno acquisito negli anni e, in alcuni casi, acquisirne di nuovi si è fatto ancora più forte”.

A decretare il successo come vincitore digital di Rai è la Virtual Lis, la piattaforma capace di erogare servizi e contenuti nella lingua italiana dei segni mediante un avatar virtuale, affermando un nuovo paradigma di inclusione.

“La vittoria nel Digital Diversity Brand Award è, per il servizio pubblico, motivo di particolare orgoglio.  Arriva dopo che la Rai è stata inserita per il terzo anno consecutivo nella lista delle aziende più inclusive, per di più in un periodo drammaticamente segnato dalla pandemia – evidenzia Giovanni Parapini, Direttore Rai per il Sociale – Mentre vige ovunque la regola ferrea del distanziamento fisico, il servizio pubblico sa essere fattore di coesione: contribuisce cioè a rompere l’isolamento di quelle persone che del contatto con gli altri hanno un bisogno vitale. Lo fa stavolta con un progetto che mette insieme un forte valore sociale e una tecnologia d’avanguardia, come è tipico delle realizzazioni del Centro Ricerche, Innovazione tecnologica e Sperimentazione della Rai a Torino. Il Virtual LIS è rivolto alle persone sorde segnanti, con un Avatar che si esprime nella Lingua Italiana dei Segni: una piattaforma che si è ulteriormente arricchita con un’applicazione pensata per la didattica, che permette di imparare la LIS via web e generare nuovi contenuti. È un modo molto concreto attraverso il quale il servizio pubblico ribadisce che nessuno deve sentirsi escluso”.

Il report Diversity Brand Index. Fiducia come key factor

È sul concetto di fiducia che insiste il Diversity Brand Index, che diventa marchio di certificazione per i brand in termini di impegno in D&I.

Il report sottolinea, infatti, una crescita del + 23% nei ricavi per le aziende più inclusive rispetto a quelle non inclusive, anche in un anno condizionato dal Covid e dalla crisi sanitaria, economica e dal cambiamento del profilo di consumatrici e consumatori, meno arrabbiate/i, ma un po’ più individualiste/i rispetto alle tematiche della D&I, assumendo connotazioni “tribali”. Fondamentale, nella costruzione del rapporto di fiducia con il mercato, è la  comunicazione efficace e costante verso il proprio target di riferimento.

Il Diversity Brand Index 2021, sviluppato sulla base di una ricerca condotta da gennaio a dicembre 2020 su un campione statisticamente rappresentativo della popolazione italiana, composto da 1.039 cittadine e cittadini, ha visto una riduzione dei brand citati come “maggiormente inclusivi” (388, contro i 482 dell’anno precedente, ossia il -19,5%), a causa soprattutto del distanziamento sociale (e quindi minori relazioni) del lockdown e dell’emergenza epidemiologica.

Il ridimensionamento nel 2020 del numero di aziende inclusive: da 482 a 300, -19%

Due le declinazioni di tale ridimensionamento: fisica e digitale. I brand che tradizionalmente hanno fondato la relazione con il proprio target sulla dimensione fisica, hanno sofferto l’inaccessibilità degli store e degli spazi commerciali. Nell’overload informativo legato alla pandemia, vari brand non hanno avuto la forza (e la volontà) di affermare il tema della D&I, focalizzandosi su contenuti ed attività più tattici e meno strategici.

Hanno perso terreno aziende legate ai consumer services (-12 punti percentuali) ai beni di largo consumo (-10 ). Il retail (-2 p.p.) si conferma comunque il settore più presente (20%) tra le 50 corporate considerate più inclusive. Premiate le aziende capaci di fare comunicazione su altri canali rispetto a quelli fisici (e-commerce, infotainment, social network), in particolare dell’information technology (+8), luxury goods (+10) e healthcare & wellbeing (+8).

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Come cambiano i consumatori e le consumatrici

Il report conferma il trend della polarizzazione, con la scomparsa di alcune fasce intermedie in termini di orientamento all’inclusione (es. idealiste/i). Scompare, infatti, il segmento di arrabbiatissime/i e quello di arrabbiate/i passa dal 25,4% dell’anno scorso al 12,4%, con una composizione peculiare: il 63,57% di questo segmento è composto da uomini. Il 40% di giovani fra i 18 e i 35 anni, privati della propria vita sociale ed assistendo ad una focalizzazione mediatica sulla fascia degli “over”, ha sviluppato un atteggiamento non positivo nei confronti di alcune forme di diversità.

Prevalgono Individualismo ed egoismo: emergono “tribali”

Nell’anno del COVID-19 si registra una forte tendenza verso l’egoismo e l’individualismo, con l’arrivo della nuova categoria “tribali” (16,4%), composta da persone in passato distanti dall’inclusione che, durante la pandemia, hanno percepito come alcune forme di diversità fossero in realtà molto vicine: il loro coinvolgimento sui temi della D&I si declina infatti soprattutto all’interno del proprio nucleo familiare. Vi è poi un forte aumento dei consapevoli (15,7% dal 4,2% della precedente edizione), persone attente all’inclusione, ma non direttamente coinvolte.

In un Paese con un buon grado di conoscenza, familiarità e contatto sui temi della diversity ma ancora con una scarsa pratica, nell’interazione e nel coinvolgimento, la maggioranza delle persone (55,5%) è comunque altamente sensibile e attiva sulle tematiche della diversity, con il 34,5% di coinvolte/i e il 21% di impegnate/i.

L’88% di consumatrici e consumatori è maggiormente propenso verso i brand più inclusivi

Le pratiche inclusive sui temi di genere e identità di genere, etnia, orientamento sessuale e affettivo, età, status socio-economico, (dis)abilità e credo religioso (le 7 aree della diversity su cui si è concentrata la ricerca) impattano positivamente sulla reputazione del brand e sulla fiducia riposta nella marca, traducendosi in un indice di passaparola positivo e risultati economici migliori.

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FIAT e Leo Burnett presentano 500 Family Hey Google per un target giovane e tecnologico

Fiat offre soluzioni semplici per vivere al meglio ogni giorno, e oggi lo fa con la nuova tecnologia Hey Google disponibile sulla famiglia Fiat 500, rivolgendosi ad un target giovane, tecnologico, che ama il divertimento, lo stare insieme e lo stile cool di 500.

La pianificazione, a cura di Starcom, è iniziata in Italia dall’11 aprile sui principali canali TV generalisti, satellitari, digitali e sull’addressable dei principali broadcaster disponibili. Firma la sede torinese di Leo Burnett, hub strategico creativo e di coordinamento internazionale per i brand Stellantis, sotto la guida di Maurizio Spagnulo e la direzione creativa esecutiva di Francesco Martini.

Fiat 500X Hey Google

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Lo spot, diretto da Federico Mazzarisi, racconta con tono scanzonato un momento di vita fuori dagli schemi vissuto da tre amici: nella loro Fiat 500X Hey Google troveranno tutte le risposte di cui hanno bisogno. Ma cosa ne faranno? La risposta è nel finale sorprendente del film, che rispecchia il classico tone of voice del brand.

Al via il primo appuntamento del WPP Italia Diversity & Inclusion Board

Dare vita ad una WPP più inclusiva che celebri diversità e differenze stimolando la creatività. È questo il percorso che segna la rotta di WPP in Italia, il Gruppo leader in ambito di marketing e comunicazione, che ha dato il via al WPP D&I Board, l’iniziativa che coinvolge protagonisti della industry della comunicazione – incluse le attività di CSV, come ad esempio la collaborazione con CoorDown -, della tecnologia, della cultura e dello spettacolo volto a riflettere su Diversità e Inclusione, fondamentali nella quotidianità della vita aziendale. 

Diversity & Inclusion

In Italia, da ormai qualche anno, WPP ha intrapreso un percorso di valorizzazione delle attività relative alle tematiche di Diversity & Inclusion. Nel 2017 fu ideato il progetto Winspire, la prima iniziativa interna locale cross-agenzie che vuole supportare e promuovere i talenti e la leadership femminile. Da quest’anno la creative transformation company allargherà il suo raggio d’azione impegnandosi a promuovere una maggiore diversità all’interno dei suoi team che, a sua volta, porterà una maggiore creatività e innovazione nei loro progetti. Obiettivo prioritario sarà l’uguaglianza di genere, specialmente ai livelli più alti di una organizzazione. 

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Nasce così il WPP Diversity & Inclusion Board il cui obiettivo è riflettere e dare vita ad un nuovo linguaggio della diversità e dell’inclusione, basato sulla partecipazione, sulle testimonianze e sullo scambio di opinioni di tutti i partecipanti. Gli spunti emersi verranno raccolti in un white paper da veicolare al mercato entro la fine dell’anno, con l’obiettivo di fornire linee guida riguardo alle tematiche di Diversity & Inclusion nel panorama italiano e aiutare i team a integrare best practice. 

Dopo i saluti introduttivi da parte di Simona Maggini, Country Manager di WPP in Italia, e Roberto D’Incau, Founder & CEO Lang&Partners, al tavolo di lavoro sono intervenuti gli altri membri del WPP D&I Board: da figure apicali di aziende leader di mercato, ad artisti e alti rappresentanti delle istituzioni culturali, da personalità del mondo dell’editoria ad esponenti di importanti associazioni di volontariato.

In quanto Gruppo leader negli ambiti di marketing e comunicazione, riteniamo sia una nostra concreta responsabilità fare da guida nella riflessione e nel percorso di cambiamento del sistema italiano che porterà quanto prima a riconoscere team diversificati come patrimonio essenziale con cui promuovere maggiore creatività e idee a vantaggio delle diverse aziende che operano nel mercato.

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Dichiara Simona Maggini, Country Manager WPP Italia:

Ritengo che la parola chiave sia Inclusione: ci stiamo impegnando con una serie di autorevoli partner per far sì che l’inclusione diventi la normalità e non ci fermeremo finché il risultato non sarà raggiunto. Per quanto riguardo il Gruppo, stiamo compiendo un deciso passo in tal senso con l’inaugurazione del Campus WPP, un luogo, appunto, altamente inclusivo e innovativo, dove lavoreranno oltre 2.000 persone, portando background differenti, idee e competenze distinte essenziali per la nostra creatività e il nostro successo.

FOOD Z: la ristorazione secondo la Generazione Z

Il tema di come aiutare la ripartenza delle attività nella ristorazione è argomento pressante e quotidiano. Le difficoltà economiche del settore Ho.Re.Ca. sono pesanti e impongono agli operatori chiarezza di visione per prendere decisioni e impegnarsi in investimenti. 

Diventa quindi fondamentale avere a disposizione analisi e dati su cui basare le scelte. Esattamente il tipo di contenuti che l’agenzia di branding CBA ha raccolto ed esaminato in “FOOD Z”, ampio e approfondito studio su abitudini, preferenze e motivazioni rispetto al consumo di cibo out-of-home della Generazione Z.

FOOD Z

Verificata sul campo attraverso più fasi e con metodologie diverse di contatto con il target (approfondimenti nella scheda), la ricerca anticipa e disegna il profilo di un’esperienza nuova e tailor-made che i canali di ristorazione amati dai giovani nati dopo il 1995 potrebbero offrire. Quella che è stata definita una “stay-in generation” è infatti in realtà un gruppo sociale in cui l’89% dei ragazzi pranza(va) o cena(va) fuori casa almeno una volta a settimana.

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FOOD Z racconta di una generazione cresciuta in un mondo dove il digitale non è novità, ma quotidianità. Questa evidenza è il punto di origine di una proposta ibrida, on e offline, in cui la realtà analogica si mescola, si adatta e trova compensazione in quella virtuale e interattiva, così da generare una experience del cibo fuori casa mai vista prima.

Lo studio di CBA parte da 3 domande chiave – il rapporto con il cibo, i momenti di consumo fuori casa più rilevanti e i driver di scelta del luogo dove mangiare di questo target generazionale – e sviluppa, sulla base dei diversi insight raccolti nelle interviste e poi clusterizzati, tantissimi suggerimenti per il ristoratore su come intervenire nel customer journey del giovane cliente così da renderglielo memorabile.

Approccio strategico-creativo

Per esempio aggiungendo nel sito web del locale strumenti di servizio che permettono al giovane cliente al primo appuntamento sentimentale di progettare in anticipo tutti i dettagli di una serata sicuramente delicata e importante, scegliendo il grado di privacy del tavolo, l’ambiente, gli allestimenti, il menù. Tra questi servizi CBA include anche piccoli interventi di aiuto online come la scelta del grado di confidenza da parte del personale che può diventare facilitatore della serata, oppure una lista di particolarità del locale come spunto di conversazione, o il naming del tavolo come momento di gioco.

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Il locale stesso potrà infine suggerire come chiudere la serata facilitando online il pagamento del conto e condividendo consigli su dove proseguire la serata. L’obiettivo è chiaro: creare un legame fortissimo con i consumatori che, sentendosi capiti, seguiti e aiutati, conserveranno un ricordo positivo del ristorante. 

Queste idee sono un assaggio dell’approccio strategico-creativo adottato da CBA nell’individuare soluzioni che combinano le esigenze del target e la necessità del ristoratore di ripensare in modo efficiente la propria proposizione. 

Scegliere un ristorante infatti dipende anche dalla motivazione per cui si esce, e da ogni motivazione discendono need specifici. Motivazioni ed esigenze che sono state raccolte e clusterizzate da CBA in una nuova unità di analisi, gli “scenarios”. Questi scenarios profilano alcuni dei principali momenti di consumo della GenZ: da Celebrations a Tinder Date, da Improvvisata al fast food ad Entertained Dinner, Cena con dolcetto, Co-studying. Ognuno di questi profili contiene informazioni chiave e stimoli che potranno, se adeguatamente sviluppati, trasformare radicalmente la brand experience ristorativa della GenZ.

Dopo questi mesi durissimi ci troviamo in un momento di passaggio fondamentale per il futuro del settore Ho.Re.Ca. Il fattore economico pesa molto, ma il rilancio deve obbligatoriamente passare anche da una diversa visione prospettica. È il momento di immaginare nuovi modi di offrire il servizio, consapevoli del fatto che non è il momento della casualità, ma quello delle scelte mirate e ponderate.

ha commentato Massimiliano Frangi, Chief Design Officer di CBA.

L’esperienza di CBA nella creazione di brand experience per la ristorazione è solida e sostenuta da case histories uniche e distintive come quella di Langosteria. Ci sentiamo pronti per progettare soluzioni di customer journey innovative e dare un contributo concreto al rilancio del settore.