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posizionamento seo - copertina TIM

TIM e la SEO che fa da “cane da guardia” ai risultati

Il posizionamento SEO come cuore della strategia digitale di un brand ad alta notorietà. Quali sono i segreti e le sfide di un SEO Specialist di un colosso delle telecomunicazioni?

Ne abbiamo parlato con Eduardo Del Gado, Specialista SEO di TIM, una delle organizzazioni protagoniste dell’edizione 2021 della Digital Factory di Ninja Academy.

eduardo del gado posizionamento seo tim

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Quali sono le funzioni e le sfide del posizionamento SEO per un brand leader di settore?

Agire sulla parte on-site del sito di una grande azienda non è un’attività che può essere facilmente gestita dall’esterno. Inoltre, per un leader di settore, la principale sfida non si riduce all’acquisizione di backlink che, al contrario, proliferano con una certa spontaneità, dato l’alto livello di notorietà del marchio e di conseguenza al lancio delle nuove offerte.

Per questo motivo diventa assolutamente determinante gestire alla perfezione quello che lo spider di Google recepisce durante la fase di scansione e sfruttare, quindi, al massimo la popularity che deriva dalla brand awareness per lo sviluppo dei posizionamenti.

Quante figure concorrono alla strategia SEO dell’azienda?

Attualmente la parte di strategia viene gestita dal SEO Specialist, che è parte del team che si occupa della performance su tutti i canali digital. Questo ci permette di portare avanti un approccio universale nell’ottimizzazione, che a mio avviso è una prerogativa fondamentale per ottenere risultati sia sul breve che sul lungo periodo.

Per quanto riguarda la parte operativa, di chi effettivamente si occupa dell’implementazione degli interventi, possiamo dire che tutti i gruppi della Tribe che gestisce il sito sono coinvolti nelle attività SEO. Inoltre, per quello che riguarda i contenuti e la strategia keyword, vengono coinvolti anche i settori di Marketing, Comunicazione e Legali.

Quali sono i fattori di posizionamento SEO e quanto è importante oggi aggiornare periodicamente la strategia?

Gli ultimi studi sui fattori di posizionamento portati avanti dai principali blog di settore hanno dovuto adottare delle tavole periodiche degli elementi per classificarli e sintetizzarli.

Si parla di oltre 200 elementi per cui si è costruito un indice di correlazione basato sugli esperimenti e le osservazioni degli esperti del settore. Le ultime risposte ufficiali di Google sull’argomento parlano di un numero infinito di fattori che variano di ricerca in ricerca.

Per mia esperienza, la prerogativa fondamentale per lo sviluppo del posizionamento organico è appunto l’aggiornamento periodico della strategia keyword. In parole povere: puntare la giusta keyword con la giusta pagina. Fermo restando che lo stesso vale per gli aspetti legati ai link esterni, quindi, il monitoraggio e la pulizia continui del profilo off-site.

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Quali sono i principali ostacoli a un buon posizionamento e come eluderli?

Il principale problema che noto analizzando siti grandi e piccoli riguarda l’architettura delle informazioni e il modo in cui vengono organizzati i contenuti e la navigazione fra le diverse sezioni.

Soprattutto nel caso in cui l’aggiornamento sia frequente, risulta spesso difficile rispettare una struttura razionale e coerente nel tempo. La ricetta più efficace, a mio avviso, risiede nello studio di una strategia a lungo termine, aggiornata periodicamente, che garantisca la copertura dei diversi topic di posizionamento.

posizionamento seo

Best practice e strumenti per la ricerca keywords

Personalmente trovo determinante l’utilizzo dei dati forniti da Google sui volumi di ricerca medi mensili. La copertura di tutte le ricerche che rientrano nella stessa macro-categoria con le diverse pagine di una sezione, a mio avviso, è l’unica strada per vincere la concorrenza sulle ricerche più competitive.

Tutta questa analisi diventa ancora più efficace se si ha la possibilità di conoscere i volumi effettivi guardando i dati relativi agli annunci di Google Ads.

Oggi gli UGC possono essere preziosi alleati del posizionamento: come integrarli efficacemente?

Credo che l’integrazione di contenuti generati dagli utenti sia ormai una necessità imprescindibile, soprattutto per un sito di eCommerce. Ci sono specifiche piattaforme che sono cresciute tanto negli ultimi anni, seguendo il modello di Tripadvisor, e diventa quindi altrettanto determinante aggregare più dati possibili, per fornire recensioni efficaci ed affidabili.

Questo comporta però sicuramente l’utilizzo di ulteriori chiamate javascript che vanno ottimizzate rispetto alla timeline di caricamento della pagina. Inoltre, diventa anche importantissimo l’utilizzo di Schema.org per trasferire queste informazioni direttamente sui risultati di ricerca ed influenzarne quindi positivamente il CTR.

Quanto è utile l’auto referenziamento esterno?

Le citazioni del proprio brand sono parte fondamentale dello sviluppo del profilo off-site. In passato si lavorava nello specifico per ottenere link in corrispondenza delle citazioni. Con l’avvento degli aggiornamenti dell’algoritmo che puntavano a penalizzare i link non naturali (Penguin ed i suoi vari roll-out), a mio avviso è diventato rischioso.

Rimane però fisiologico citare il proprio brand in occasione, ad esempio, di un’intervista, quanto può apparire poco naturale inserire un link che punti al proprio sito. In determinate circostanze, però, quando risulta utile all’utente, può avere senso farlo e lo stesso Google ne è stato protagonista.

ecommerce marketing

Come condurre una corretta analisi dei competitor lato SEO?

La questione fondamentale fa sempre capo alla strategia keyword, bisogna infatti selezionare le giuste keyword non-brand che abbiano significativi volumi di ricerca. In secondo luogo, occorre selezionare i fattori di posizionamento da indagare per capire come fanno i competitor a posizionarsi più in alto su determinate ricerche oppure gli elementi che ci consentono di vincere la competizione.

Infine, il risultato di quest’analisi risiede nella definizione dei giusti interventi per l’aumento del traffico e delle conversioni dai risultati organici dei motori di ricerca.

Quali competenze non possono mancare oggi a uno specialista SEO?

La pazienza. Perché è sempre difficile trovare il tempo ed il budget necessari per l’implementazione degli interventi tecnici. Inoltre, bisogna svolgere la funzione del cane da guardia per evitare che ulteriori azioni inficino i risultati raggiunti.

La perseveranza. Perché molto spesso il valore del proprio lavoro e dei risultati ottenuti si osservano sul lungo periodo.

La versatilità. Perché questa è indispensabile per confrontarsi con le varie figure che lavorano alla realizzazione delle pagine di un sito internet.

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Stripo, Spoke e Pitch: i digital tool della settimana

Ottimizzare i tempi e le modalità di task e procedure può fare la differenza tra una giornata storta e una proficua sessione lavorativa. Per questo, la selezione dei nostri digital tool è sempre a disposizione ogni settimana: trucchi e consigli per trasformarti un PRO della scrivania, del computer e dei file excel.

Nella selezione di oggi troviamo tool per creators, strumenti per ottimizzare le presentazioni e per creare messaggi di posta accattivanti.

LEGGI ANCHE: Ovy, Dino Game e Yat: i digital tool della settimana

Sottotitoli

digital tool della settimana spoke

Sono ormai un must have per qualsiasi video. Anzi forse possono essere addirittura più importanti per le clip brevi, che gli utenti vedono scorrere senza audio nei feed social. Per creare sottotitoli in modo semplice e veloce puoi provare Spoke, un’app che in contemporanea può registrare il video e trascrivere in tempo reale. Disponibile con un’opzione free.

I trend per YouTube e TikTok

digital tool della settimana trend watchers

Ci sono molte piattaforme che tracciano le tendenze di internet, ma Trend Watchers si concentra specificamente sui creativi e mostra i trend in crescita allo scopo di creare video. L’app fornisce dati molto utili soprattutto grazie alla funzione “Discover” che mostra le parole chiave specifiche all’interno di un argomento più ampio.

Presentazioni da urlo online

digital tool della settimana pitch

I tool per la creatività e il design non sono mai abbastanza. Pitch è un creatore di presentazioni online veloce, flessibile e gratuito, per costruire in modo rapido slide che catturino l’attenzione. Disponibile anche in una versione gratuita con limitazioni.

Il digital tool per una bio perfetta

digital tool della settimana biolink

Presentarsi nel modo giusto è il primo passo verso un contatto produttivo. Bio Link è un potente strumento di link bio progettato per creatori che aiuta a inserire link di ogni piattaforma che

Email Marketing

Anche nel 2022 non potremo farne a meno. Per creare messaggi di posta accattivanti e gradevoli anche senza competenze di graphic design puoi provare Stripo. Uno strumento di modelli drag & drop che aiuta a personalizzare le email in modo veloce e professionale.

 

cosa le persone si aspettano dai brand sui social

Cosa si aspettano le persone (e cosa dovrebbero fare i brand) sui social

Tutti siamo consapevoli di quanto sia importante essere online, specialmente le aziende. I social media hanno aperto un nuovo mondo di vivere il rapporto tra cliente e brand. È possibile connettersi con i propri clienti ovunque e in tempo reale.

Grazie ai social media si ha la possibilità di vedere ciò che gli utenti pensano, sentono, fanno e dicono in un dato momento e, di conseguenza, modulare i messaggi e le azioni della propria azienda in base alle loro aspettative. Conoscere dati che fino a qualche decennio fa non si potevano minimamente immaginare è di certo vantaggioso.

A volte, però, sapere tutto, o quasi, di quello che i clienti pensano di un brand potrebbe portare ad ansie da prestazione. E se infatti un’azienda non riesce a soddisfare e superare le aspettative dei clienti, finirà per danneggiare il proprio marchio anziché migliorarne il valore.

Ecco perché è importante conoscere le aspettative dei consumatori che hanno dei brand sui social.

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Cosa vogliono i consumatori dai brand sui social media

consumatori brand social

Secondo le ricerche del team di Sprout Social e in base al suo ultimo report “Social Index“, si evincono una serie di tendenze chiave nel social media marketing. La ricerca evidenzia infatti in che modo i marchi possono sfruttare al meglio i canali dei social media per massimizzare la consapevolezza e la connessione con i consumatori.

LEGGI ANCHE: Come la tua impresa dovrebbe agire sui Social Media (anche se non è una Big)

Il report si mostra illuminante per diversi motivi. Incorpora non solo le risposte di marketer e consumatori al fine di fornire una prospettiva su ciò che le persone cercano dai marchi online, ma anche su come i marketer stanno attualmente utilizzando le piattaforme social per venire incontro a questi stessi cambiamenti.

Scopriamo insieme come le persone si approcciano ai social e cosa i consumatori si aspettano dai brand.

Siamo sempre più connessi

Negli ultimi mesi a causa delle restrizioni abbiamo sperimentato sempre più modi di comunicare per restare in contatto con i nostri cari, per lavorare e acquistare beni necessari, cambiando del tutto le nostre abitudini. Di conseguenza tutto questo ha reso le persone più dipendenti dalle piattaforme social in tanti modi. Il 71% dei consumatori si è ritrovato a utilizzare i social media più che mai nell’ultimo anno. Non sono solo i consumatori ad aumentare il loro tempo online, ma anche i marchi stanno raddoppiando il loro utilizzo dei social.

Ciò significa che attirare l’attenzione dei clienti e affermarsi come leader di un certo mercato diventa sempre più competitivo tra un pubblico in crescita esponenziale.

Sempre più affollati

Quando i brand approfondiscono le conversazioni e le interazioni disponibili sui social, scopriranno i dati necessari per stare al passo con la concorrenza e allo stesso tempo soddisfare le aspettative dei consumatori di domani. Distinguersi dalla folla resta l’obiettivo principale dei brand ma come emergere in questo caos? Il 90% dei marketer afferma che i dati provenienti dai social sono ciò che consente loro di differenziarsi dai propri competitors.

Come utilizzare i dati social per abbattere la concorrenza

In qualsiasi ambiente competitivo, ma soprattutto sui social, i migliori sono determinati dalla loro capacità di differenziarsi. In che modo quindi i dati social sono utili ai marketer per capire cosa i clienti pensano dei propri competitors? E soprattutto come utilizzeranno i brand questi dati per prevalere su di essi?

Questi dati sono preziosissimi perché:

  • raccontano la fedeltà di un cliente al marchio;
  • rivelano i punti di forza e di debolezza dei prodotti o servizi di un concorrente
  • mostrano i punti salienti in cui un brand può differenziarsi dai propri competitors
  • informa sullo stato del servizio clienti dei brand
  • fornisce informazioni sulle prossime mosse dei concorrenti.

Analizzando queste informazioni, le aziende possono prendere le distanze dai propri competitors e diventare i più performanti per il loro consumatore target.

Come i clienti vedono i brand sui social

I social media sono importanti perché forniscono alle persone una voce e un mezzo per essere ascoltati. Ecco perché esaminare i dati e stillare dei report diventa fondamentale per capire come i clienti percepiscono i brand. Ecco le informazioni che le aziende possono ricavare osservando i dati pervenuti dai social media:

  • mostrano loro come i clienti utilizzano i loro prodotti o servizi;
  • evidenziano cosa non piace ai clienti del loro marchio;
  • racconta anche cosa piace ai clienti del loro brand. Non parliamo solo di prodotti ma soprattutto dei servizi offerti e del tipo di comunicazione che si instaura tra brand e cliente;
  • fornisce informazioni su ciò che i clienti si aspettano dai marchi in futuro e mostra le tendenze a cui sono interessati;
  • consente loro di conoscere i propri clienti a livello personale;
  • specifica che tipo di contenuto social è il più gettonato.

Piattaforme social: le preferite dai consumatori e le più utilizzate dai brand

Parte della connessione con il proprio pubblico di destinazione, tuttavia, include anche le tipologie di piattaforme social utilizzate. Quali sono le piattaforme social che usano i brand rispetto a quelle che i consumatori vorrebbero che i marchi utilizzassero di più?

Al primo posto si piazza Facebook. Il 60% dei consumatori preferisce trovare il proprio brand preferito su questo social. In questo caso però le aspettative non sono disattese, perché l’83% delle aziende comunica con i propri clienti proprio su questa piattaforma. Al secondo posto c’è Instagram, seguito da YouTube, Twitter e LinkedIn.

Crescono i consumatori che vorrebbero trovare le aziende su Pinterest che sono ancora troppo poche rispetto alle aspettative dei clienti. A pari merito Snapchat e Tic Toc, anche se le aziende sono più presenti sul primo social rispetto al secondo.

Se pensate che conoscere quali sia la piattaforma social preferita del proprio pubblico non sia indispensabile, sappiate che 9 consumatori su 10 acquisteranno da brand che seguono sui social, e l’86% sceglierà quel marchio rispetto a un altro che non segue sulle piattaforme online.

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Obiettivi e social media: cosa si aspettano i brand

Quali sono gli obiettivi che hanno i brand nel momento in cui sbarcano sui social?

A questa domanda, le aziende hanno indicato come priorità l’aumento della consapevolezza del marchio, ben il 58% concorda su questo punto. Il 41% punta al coinvolgimento della propria community e il 35% all’aumento del pubblico.

E come possono i brand raggiungere questi risultati a cui aspirano? Ovviamente con contenuti mirati e personalizzati tenendo sempre presente le aspettative dei consumatori.

I contenuti migliori per conquistare il proprio pubblico

Possiamo creare una miriade di contenuti ma non tutti sono efficaci per raggiungere il cuore dei nostri clienti e attirare la loro attenzione. Quali sono quindi i contenuti più preziosi per il raggiungimento degli obiettivi da parte dei brand sui social media?

Il contenuto è al centro di ogni strategia social. È così che le aziende entrano in contatto per la prima volta con i clienti sui social media.

Esso rappresenta quell’ingrediente essenziale con cui i marchi comunicano e si connettono con i nuovi clienti e con quelli già fidelizzati.

I contenuti che arrivano subito e attirano l’attenzione dei clienti sono sicuramente i video. Dopodiché troviamo le immagini, i post di testo, le storie e infine i video in diretta.

consumatori brand social

Fonte: Sprout Social Index

Il potere comunicativo dei video

Secondo il 54% dei marketer, il video è il formato più prezioso per raggiungere gli obiettivi sui social. Nonostante la crescente domanda di questo formato tra i consumatori e il valore del video nel raggiungimento degli obiettivi social, le strategie social si basano su contenuti formati da immagini e post contenenti link.

Solo il 14% dei post di Facebook, l’11% dei post d’Instagram e il 5% dei post di Twitter include contenuti video.

Perché i video funzionano così tanto sui social

La stragrande maggioranza dei marketer afferma che il video ha contribuito ad aumentare le vendite, il traffico sul proprio sito Web e la comprensione da parte degli utenti del proprio prodotto o servizio.

Se gli obiettivi sono più incentrati sul coinvolgimento della community, i contenuti video sui social possono essere una risorsa preziosa su cui fare affidamento.

I video di Instagram ottengono il 49% di coinvolgimento in più rispetto a post con immagini. Le persone hanno anche il doppio delle probabilità di condividere video con i propri amici rispetto a qualsiasi altro tipo di contenuto.

Se la popolarità di Tik Tok e Instagram Reels è indicativa, i video a basso impatto, in stile creator, possono aggiungere un livello di riconoscibilità che gli spettatori apprezzano davvero molto.

Le immagini restano i contenuti più pubblicati e immediati

Le immagini sono al secondo posto nella classifica dei format più preziosi da pubblicare sui social. Sono però anche il tipo di contenuto più pubblicato e apprezzato sui social network.

A differenza della maggior parte dei video, le immagini vengono viste nell’immediato, e fissate in un istante. I colori, il testo e altri dettagli danno agli utenti un’impressione forte e ben definita del brand. Di conseguenza le aziende dovrebbero includere sempre le immagini nella propria strategia per ogni social network che usano.

Instagram e Pinterest sono le piattaforme che meglio si prestano alle immagini e hanno vantaggi unici.

Perché utilizzare Instagram e Pinterest

Sebbene si sia evoluto per essere molto di più, Instagram ha esordito come una piattaforma di condivisione d’immagini. Queste costituiscono l’87% dei contenuti Instagram condivisi dai brand, e dato che il 48% dei consumatori desidera che i brand utilizzino di più questa piattaforma per la loro comunicazione sui social, è bene aumentare la frequenza delle immagini pubblicate per essere competitivi con gli altri brand.

Diverso il discorso su Pinterest. Solo il 20% dei consumatori segue i marchi su Pinterest, ma ciò non dovrebbe dissuadere i brand dal condividervi immagini. La maggior parte degli utenti di Pinterest non è alla ricerca di un brand, ma di ispirazione.

Gli utenti infatti vagano alla ricerca di contenuti visivi che suscitano il loro interesse e trovano ispirazione per acquisti futuri.

Sia Pinterest che Instagram hanno anche funzionalità di social commerce che consentono alle aziende di taggare i prodotti, trasformando le immagini in contenuti acquistabili.

Le parole sono importanti. Sempre

È importante che le aziende diano la priorità ai contenuti visivi, ma non dovrebbero mai perdere di vista il potere delle parole. Quasi un terzo dei marketer afferma che i post basati su testo sono il tipo di contenuto più prezioso che un’azienda deve integrare nella propria strategia social.

Il contenuto scritto richiede la stessa attenzione e coerenza dei precedenti formati. Lo sviluppo di un tono e di una voce distintivi che si allineano con le immagini di un brand, aiuterà i contenuti scritti a distinguersi dal chiacchiericcio che affolla le piattaforme social.

Perché i post basati su testo funzioneranno sempre anche sui social

I consumatori vogliono informazioni, sempre e ovunque. Il 53% dei consumatori apprezza o segue le pagine di un brand sui social per conoscere nuovi prodotti o servizi. Il 52% lo fa per rimanere aggiornato sulle novità dell’azienda. I post di testo sono il modo più diretto per dare queste informazioni ai propri follower.

I contenuti scritti possono essere estremamente preziosi per avviare conversazioni che aiuteranno a conoscere meglio clienti e potenziali clienti.

Cosa rende un brand il migliore sui social

Un servizio clienti efficiente definisce un marchio il migliore sui social e la collaborazione tra esperti di marketing e team di assistenza clienti può garantire un’esperienza coerente sia online che offline. I brand non devono solo garantire servizi e prodotti esclusivi, ma esperienze coinvolgenti.

Cosa vogliono i consumatori dai brand che seguono sui social e cosa si aspettano da loro?

Il 47% dei consumatori cerca un servizio clienti valido e che si distingua. Il servizio clienti, quindi, è un punto focale chiave. Il 46% si aspetta che i brand sui social coinvolgono il loro pubblico. La comunicazione deve essere spontanea e diretta e mai unilaterale. Le persone vogliono che i brand, oltre a essere chiari, siano trasparenti. Lo pensa ben il 44% dei consumatori.

Attenzione però anche al tipo di contenuti. Il 39% si aspetta contenuti memorabili. Per gli utenti i brand devono avere una personalità distinta, devono differenziarsi dagli altri brand non solo per ciò che offrono ma per come si presentano.

Originalità prima di tutto, ma l’utente si aspetta che un brand sia sempre sul pezzo, che faccia tendenza e che abbracci le novità, soprattutto quelle social.

Stare al passo con i clienti

Come abbiamo visto, un tratto distintivo di molti marchi forti sui social è un eccellente servizio clienti, in cui la reattività è fondamentale.

Confrontando i tempi di risposta medi del settore, i marketer acquisiscono una chiara comprensione di come confrontarsi coi propri competitors. I feedback e le recensioni lasciate sui social consentono ai brand di connettersi meglio con il proprio pubblico di destinazione e identificare le aree di crescita.

Sapevate che l’88% dei consumatori acquista un prodotto da un marchio dopo aver letto le recensioni di altri clienti sui social media? E infatti il 31% degli utenti lascia il proprio feedback sull’esperienza avuta con un brand proprio sui social.

Cosa fanno le persone dopo aver visitato i social

Quando un brand soddisfa le aspettative dei consumatori sui social, i suoi vantaggi si estendono ovunque. Ed è qui che avviene la magia…

Dopo aver spulciato per bene i canali social, gli utenti passano al setaccio il sito web di un brand o l’app. Dopodiché, colpiti dall’esperienza avuta sui social, e dai feedback positivi di altri utenti, acquistano un prodotto.

Se il brand ha anche un negozio fisico nelle vicinanze degli utenti, è molto probabile che essi vi si recheranno per dare un’occhiata e acquistare ulteriori prodotti. Se l’esperienza sarà positiva e i prodotti acquistati soddisfacenti, i consumatori parleranno bene dell’azienda, ne consiglieranno i prodotti a familiari e ad amici, creando il famoso passaparola.

Il legame tra brand e consumatori si forma e si costruisce col tempo diventando così solido e duraturo.

I consumatori vogliono essere visti e compresi dai brand da cui acquistano e si aspettano che tali interazioni si manifestino sui social.

Cosa dovrebbero fare i brand sui social secondo gli utenti

Quasi tutti i brand ormai sono sui social e distinguersi dai propri competitors diventa sempre più difficile, anche su queste piattaforme. Come possono i brand convincere i consumatori a preferire i propri servizi e prodotti rispetto alle altre offerte?

Ecco cosa si aspettano gli utenti sui social da parte di un’azienda:

  • rispondere alle domande del servizio clienti in modo tempestivo;
  • dimostrare di comprendere ciò che i clienti vogliono e quello di cui hanno bisogno;
  • creare contenuti più rilevanti dal punto di vista culturale;
  • realizzare contenuti educativi sul loro prodotto o servizio;
  • interagire di più con il proprio pubblico sui social.

In che modo i marketer utilizzano i dati social

Se l’88% dei marketer concorda sul fatto che la propria strategia social influenzi positivamente i propri profitti, solo il 15% dei marketer utilizza i dati social per misurare il ROI. Il social infatti è ancora trattato come una risorsa di marketing.

Come vengono letti e analizzate queste informazioni?

Il 58% degli specialisti cerca di capire il proprio pubblico di destinazione, mentre il 48% preferisce concentrarsi su contenuti creativi. Molti utilizzano questi dati per analizzare le tendenze, creare campagne di social marketing e promuovere la connessione con i clienti.

Crescere più velocemente grazie ai social media

Il social continuerà ad accelerare la concorrenza in quasi tutti i settori, lasciando ai marchi due opzioni:

  • abbracciare il social e prosperare
  • non fare nulla e rimanere indietro.

Ogni conversazione e interazione sui social fornisce ai brand nuovi dati a cui attingere per rafforzare le relazioni con i clienti, raccontare il proprio prodotto e perseguire nuove opportunità di business.

Con i social, i marchi possono superare le aspettative dei loro clienti di oggi e innovarsi per i clienti di domani.

Reels su Facebook

I Reels arrivano anche su Facebook

A chi non è mai capitato di ritrovarsi inaspettatamente a guardare un Reel su Instagram, e poi un altro e un altro ancora e scoprire nuove tendenze di cui non aveva la minima idea?

C’è chi scopre gli ultimi trend così, in modo semplice e veloce, a partire dal makeup fino alle serie TV più amate del momento. I Reels sono video che durano pochissimo ma che hanno un potenziale enorme se usati nel modo giusto.

Ed ecco che la notizia di poche ore fa non dovrebbe quindi stupirci perché da oggi saranno disponibili i Reels anche su Facebook sia per iOS che per Android in tutto il mondo.

Reels Facebook

Meta lancia Reels su Facebook a livello globale: le funzioni

Gli utenti di Facebook Reels potranno “remixare” i video degli altri, duettare e caricare clip della durata massima di 60 secondi, proprio come con Instagram Reels. Saranno anche in grado di salvare le bozze e, nei prossimi mesi Meta aggiungerà nuovi strumenti di ritaglio video che renderanno più facile per i creators, che pubblicano video live o di lunga durata, testare diversi formati.

Queste funzionalità sono perfette per tutti i content creator, sia che hanno appena iniziato o che abbiano già un ampio seguito, per esprimersi sempre più in modi differenti e far crescere le loro community o comunque raggiungere più persone possibili. Oltre che guadagnarci. 

I Reels su Facebook possono essere animati da musica, audio, effetti e tanto altro. Puoi trovarli nel feed delle notizie o nei gruppi. Quando visualizzi un Reels, puoi facilmente seguire il creator direttamente dal video, mettere mi piace e commentarlo o condividerlo con i tuoi amici.

Più funzionalità per l’editing video

Chi vuole cimentarsi con i Reels di Facebook sarà in grado di accedere a:

  • Remix: crea il tuo reel accanto a un reel esistente e condiviso pubblicamente su Facebook. Quando crei un Remix, puoi creare un reel che include tutto o una parte del reel di un altro creator.
  • Reel di 60 secondi: realizza reel della durata massima di 60 secondi.
  • Bozze: presto sarai in grado di creare un reel e scegliere di “Salvarlo in bozza” sotto al pulsante Salva.
  • Video Clipping: nei prossimi mesi, ci sarà il lancio di strumenti di video clipping che renderanno più facile ai creators che pubblicano video dal vivo o di lunga durata o registrati di testare i diversi formati.

Più modi per guadagnare dai Reels di Facebook

Oltre ad ampliare l’accesso a Reels, Meta sta aggiungendo nuove funzionalità di modifica a Facebook e ampliando le opzioni pubblicitarie. La maggior parte di queste funzionalità è già disponibile su Facebook Reels e su Instagram Reels negli Stati Uniti e in più di 50 Paesi. E infatti Meta sta portando avanti dei test di nuove inserzioni in overlay, come banner e inserzioni con adesivi.

Dal lancio negli Stati Uniti, abbiamo visto creator come Kurt Tocci e il suo gatto Zeus, condividere situazioni comiche, l’autrice e scrittrice Andrea Gibson offrire una lettura delle sue poesie, la coppia nigeriano-americana Ling e Lamb provare nuovi cibi o ancora la ballerina e creator Niana Guerrero lanciare balli di tendenza, come la #ZooChallenge.

La piattaforma sta provando a creare una serie di opportunità per i creators di guadagnare grazie ai Reels. Il programma bonus Reels Play, un investimento di 1 miliardo di dollari, offre ai creators idonei fino a 35.000$ al mese in base alle visualizzazioni dei loro Reels. Questi bonus hanno aiutato creator come Jason the Great a finanziare la creazione di Reels e capire meglio quali tipi di contenuti funzionano su Facebook.

LEGGI ANCHE: È vero che Facebook e Instagram lasceranno l’Europa? Assolutamente no

Nuove funzionalità in arrivo

Sulla base di una lunga esperienza nell’aiutare i creators a guadagnare un reddito significativo grazie a questi servizi di monetizzazione, come le inserzioni in-stream e le Stelle, Meta sta anche testando opzioni di monetizzazione diretta per Facebook Reels in revenue sharing provenienti da inserzioni pubblicitarie e dal supporto dei fan. La società sta espandendo i test delle inserzioni overlay per Facebook Reels a tutti i creator negli Stati Uniti, Canada e Messico, e in altri Paesi a partire dalle prossime settimane.

Inizierà con 2 formati:

  • banner pubblicitari che appaiono come overlay semi-trasparenti nella parte inferiore di Facebook Reel;
  • inserzioni con adesivi, ossia un’immagine statica che sarà posizionata dal creator in qualsiasi punto del suo reel.

Queste inserzioni senza interruzioni permetteranno ai creators di guadagnare una parte delle loro entrate. Entro metà marzo, questi test saranno estesi anche agli utenti di quasi tutti i Paesi dove le inserzioni in-stream sono disponibili.

E ancora…

Un’altra funzione working in progress riguarda i sistemi di controllo dell’idoneità per i brand, tra questi “Liste degli editori”, “Liste degli elementi bloccati”, “Filtri dei contenuti” e “Report di pubblicazione” per inserzioni banner e con adesivi su Facebook Reels. Questo darà agli inserzionisti un maggiore controllo se ritengono che le loro inserzioni compaiano in luoghi che non considerano adatti al loro brand o alla campagna di un creator.

Inoltre, da ottobre dello scorso anno, Meta sta testando inserzioni a tutto schermo e immersive che compaiono tra un Reel e l’altro e che verranno estese ovunque. Le persone potranno commentarle, mettere “mi piace”, visualizzarle, salvarle, condividerle o saltarle.

In conclusione

Sebbene Meta abbia avuto un enorme successo nel clonare le funzionalità di alcuni suoi rivali, come copiare la funzione Storie di Snapchat su Instagram, saprà tener testa a TikTok nel mondo dei video in formato breve?

Lo scopriremo molto presto!

Love brand

Love Brand: come far innamorare le persone del tuo brand

Ci chiediamo spesso cosa i consumatori si aspettino dai brand perché vogliamo capire come andare incontro alle loro esigenze. Ci siamo mai davvero chiesti però cosa invece vogliono le aziende?

Cosa desiderano, più di tutto, i brand? Non solo essere scelti rispetto ai propri competitor, ma soprattutto essere ricordati. Potremmo dire che oggi i brand vogliono essere letteralmente amati.

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Che cos’è un Love Brand

Essere un Love Brand significa conquistare il cuore dei consumatori e costruire un rapporto forte e duraturo con ciascuno di essi. Sono molti i marchi che stanno trasformando le loro relazioni con i clienti e riadattando la loro strategia di marketing per ottenere questo ambito status.

Un Love Brand è quindi un marchio che attrae i clienti e li cattura emotivamente, resta nel cuore e nella testa, vi si radica e non se ne va mai. Questi marchi generano un’attrazione così forte nei consumatori che l’acquisizione dei loro prodotti avviene non solo perché sono i preferiti del momento, ma perché le persone che scelgono di affidarsi a quel servizio o acquistare quel prodotto ne sono completamente innamorati.

Perché diventare un Love Brand

In un momento storico di cambiamenti importanti come questo, in cui la dimensione emotiva gioca un ruolo sempre più importante nelle meccaniche di consumo, diventare un Love Brand si sta rivelando uno degli obiettivi primari di molte realtà.

Per rendertene conto ti basta pensare a come è cambiato il tuo rapporto con un’azienda o il modo in cui fai anche il più semplice degli acquisti. Qualche anno fa acquistavamo un prodotto perché era utile, poi perché era il migliore e oggi, invece, perché ci offre un’esperienza unica.

Love Brand

Cosa fa un Love Brand per distinguersi dagli altri?

Più che limitarsi a commercializzare i propri prodotti o servizi, i marchi stanno cercando di raccontare la loro storia e di farlo nel modo più originale possibile.

Affermandosi come love brand, un’azienda può conquistare potenziali clienti attraverso l’empatia e le emozioni. Sembra semplice a dirsi, ma è davvero complicato riuscirci!

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Le attività che scelgono di seguire questa strada devono rispondere in modo profondo e molto mirato alle esigenze dei propri clienti. Essere un Love Brand significa anche essere irresistibili e memorabili. Bisogna comprendere l’asperità emotiva dei clienti in modo che essi non prendano in considerazione nessun’altra alternativa. E perché dovrebbero farlo? Perché sono coinvolti emotivamente dall’azienda, da ciò che vende, ma soprattutto da ciò che rappresenta.

Distinguersi dalla concorrenza

Diventare Love Brand permette prima di tutto di distinguersi dalla concorrenza ed essere più visibili nel proprio settore. Ma al di là della necessità di differenziare il proprio marchio dagli altri, in una società in cui le persone hanno bisogno di distinguersi, d’identificarsi con valori forti, l’obiettivo è diventare un vero e proprio punto di riferimento.

Fidelizzare i clienti

Come in una vera e propria storia d’amore, la relazione tra un cliente e il suo brand deve essere stuzzicante, travolgente, emozionante e, sì, paradossalmente comprendere anche a una certa routine.

Mantenere relazioni reali con i clienti richiede attenzione e sforzi che dimostrino che il brand li ascolti e, soprattutto, li conosca davvero. La fedeltà si basa anche sul prestare particolare attenzione alle loro richieste, alle loro aspettative e alle loro domande.

I Love Brand hanno quindi bisogno di conoscere i loro clienti e di personalizzare le relazioni con essi per garantirsi un successo duraturo.

L’importanza dell’Influencer Marketing 

Un’altra strategia che le aziende dovrebbero tener presente è l‘importanza dell’Influencer Marketing. Gli influencer possono davvero venirci in aiuto per quanto riguarda i rapporti con i clienti.

Coinvolgendoli nella tua strategia digitale non solo stai potenzialmente ottenendo nuovi clienti o una maggiore visibilità, ma hai anche l’opportunità di aumentare un interesse spontaneo per il tuo marchio partendo da un pubblico già esistente e fidelizzato di un influencer. 

La strategia di TERRITORY Influence: le persone al centro

Le campagne di influencer marketing sono quindi essenziali nel processo per diventare un Love Brand grazie alla connessione umana e al senso di comunità che un influencer può scatenare intorno alla tua azienda.

TERRITORY Influence, agenzia d’Influencer Marketing a 360° che opera sul mercato da ben 15 anni, lo sa bene. La strategia che propone alle aziende per diventare Love Brand è proprio quella di (ri)mettere le persone al centro del marketing, offrendo collaborazioni rilevanti con brand-influencer.

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TERRITORY identifica il giusto mix di categorie d’influencer (nano, micro, macro e/o star) sulle sue piattaforme e le propone ai propri clienti. Inoltre mette a servizio tutte le proprie risorse: dalla consulenza alle attività operative, può gestire tutto in modo fluido e senza limitazioni di canale.

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Affidarsi alle persone per distinguersi

Diversi brand riconoscono il potere e la portata degli influencer e non solo dei personaggi più famosi e conosciuti dal grande pubblico.

Anche i micro influencer sono sempre più considerati nella strategia delle aziende per diventare vere e proprie Love Brand, perché sono in grado di aumentare il coinvolgimento grazie a un seguito che risulta spesso anche più coinvolto rispetto a una fanbase di un influencer già famoso.

Con mercati così saturi e una forte concorrenza tra i vari marchi, le persone sono in una posizione di potere con offerte che arrivano loro da tutte le parti. E a causa di questa abbondanza di scelta, si aspettano molto di più in termini di coinvolgimento. Quale brand sceglieresti tra 2 che offrono servizi quasi identici? Naturalmente quello che si è sforzato d’interagire con te in modo significativo e memorabile, senza dubbio!

Le persone amano i marchi che agiscono nel modo più umano e personale possibile. Vogliono un impegno emotivo, un rapporto fatto di lealtà, onestà, affidabilità, longevità e impegno.

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Nike e Adidas nel Metaverso

Nike e Adidas: la sfida si è spostata nel Metaverso

Nel Metaverso c’è una vera e propria corsa a prendersi i propri spazi. A posizionarsi. Sembra un discorso fuori da ogni logica, visto che stiamo parlando di realtà e di spazi potenzialmente infiniti, ma questo è ciò che sta accadendo.

Succede per i terreni in vendita, per le case, per i videogames ed ora anche per due grandi brand: Nike e Adidas. La loro rivalità a livello mondiale dura ormai da decenni e ora si sta spostando nel metaverso.

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Quali sono state le mosse di Nike e Adidas

Il passo decisivo per entrambi i brand è stato fatto sul finire dello scorso anno, quando hanno dato un’accelerata definitiva alla loro entrata nel metaverso. In questo caso è molto interessante capire come lo abbiano fatto. Sono state due strade diverse.

Da una parte abbiamo Adidas che ha deciso di seguire un percorso più guidato dalla comunità e collaborativo con una serie di aziende affermate nello spazio Web 3. Dall’altra parte, Nike, inizialmente ha sposato la piattaforma Roblox e il Web2 per poi cambiare rotta strategica acquisendo la nota azienda di abbigliamento digitale, RTFKT.

Nike e Adidas nel Metaverso

La scelta di Nike

La prima mossa di Nike è stata quella del lancio di Nikeland.

Un mondo virtuale persistente estremamente impressionante con esperienze, mini giochi e abbigliamento.

La prima scelta fatta non è stata di certo rivoluzionaria ma piuttosto basata sulla sicurezza di un terreno già sondato con successo da altri marchi di abbigliamento come Vans e Gucci.

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Nello scorso dicembre, invece, Nike diventa il principale creatore di sneaker virtuali nel metaverso, nonché co-creatore della collezione NFT più scambiata su OpenSea (prima del lancio BAYC di Adidas). Questa seconda strada intrapresa è sicuramente più rischiosa ma mette Nike nella condizione di poter essere un’azienda all’avanguardia e di successo anche nel metaverso.

Bored Ape Yacth Club

Adidas e il suo percorso “virtuale”

Mentre Nike ha dovuto bruscamente virare per cercarsi un posto più d’elitè (ed esporsi comunque a più rischi ma anche a più profitti) Adidas perseguiva su una strada precisa, delineata. Il gigante dell’abbigliamento sportivo ha inizialmente acquistato Bored Ape Yacht Club (BAYC) NFT #8774 nel settembre 2021, qualcosa che qualsiasi individuo (di certo con un patrimonio netto elevato) potrebbe fare.

Migliorando ulteriormente le sue credenziali Web3, Adidas ha acquistato un terreno nel The Sandbox per costruire AdiVerse: pensalo come un rivale decentralizzato di Nikeland.

I suddetti NFT serviranno come token di accesso per il merchandising virtuale in AdiVerse, quindi i possessori possono equipaggiare i loro avatar Sandbox con un abbigliamento unico. Secondo quanto riportato da The Verge, la risposta è arrivata nella notte italiana tra il 17 e il 18 dicembre 2021, dato che Adidas ha ufficializzato tramite un tweet.

Perché nel metaverso

Il Metaverso è il luogo in cui chiunque può esprimere le proprie idee più originali ed il proprio sé più autentico, in qualunque forma possa assumere” – ha dichiarato il Senior Director of Digital Growth di Adidas, Tareq Nazlawy .

Adidas è nel metaverso e vogliamo capire quale sia la cosa più innovativa da fare in questo spazio e iniziare a coinvolgere la community. Abbiamo intrapreso la nuova era dell’originalità, abbiamo detto fin dall’inizio che se vogliamo essere il brand che rappresenta e aiuta nella diffusione dei valori della Z generation, allora dobbiamo muoverci alla stessa velocità e con lo stesso dinamismo. Questo spirito si fonde perfettamente con i principi di Adidas, dove abbracciamo il limite, apriamo la porta al nuovo e agiamo con ottimismo ribelle”.

(Qui la notizia direttamente sul sito ufficiale Adidas).

Nike e Adidas nel Metaverso
Nike e Adidas nel Metaverso: la sfida è iniziata

Insomma, la sfida nel metaverso è appena iniziata e c’è tutto un mondo ancora da esplorare. I numeri però ci sono già (ogni singolo NFT legato alla collezione Adidas è stato proposto a 0,2 ETH (Ethereum), che attualmente equivale a circa 692 euro) (approfondisci qui l’andamento NFT di Adidas).

Adesso non ci resta che attendere impazienti le prossime mosse. I grandi marchi dell’abbigliamento sportivo stanno investendo con fondi e con idee. Il finire del 2021 è stato pirotecnico e ha indicato la direzione. Ma siamo sicuri che in un mondo così in evoluzione, come lo è il metaverso, i cambi di strategia saranno all’ordine del giorno in questo 2022.

Non ci resta che stare sul pezzo.

Unicef - la sfida di fare Lead Generation e Growth Hacking per il non profit

Unicef: la sfida di fare Lead Generation e Growth Hacking per il non profit

Qual è oggi l’apporto del Digital al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione non profit? Lo abbiamo chiesto a Simon Fedrigo, Head of Individual Giving Marketing e Raccolta Fondi del Comitato Italiano per l’Unicef – Fondazione Onlus.

Unicef Italia è stata una delle organizzazioni protagoniste dell’edizione 2021 della Digital Factory del Master Online in Digital Marketing di Ninja Academy. Il focus del brief, in particolare, è stato su Lead Generation & Growth Hacking. Vediamo insieme come queste attività concorrono alla doppia finalità del Comitato: raccogliere fondi per sostenere i programmi a difesa dei bambini e delle donne e promuovere quanto stabilito dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.

Simon Fedrigo Unicef

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Cosa rappresenta la lead generation per un’organizzazione non profit?

La lead generation nel profit è una delle tecniche fondamentali per avvicinare il prospect alla vendita dei prodotti.

Nella Raccolta Fondi per il non profit e in particolar modo in organizzazioni come la nostra che hanno a disposizione competenze per gestire una molteplicità di canali, una brand awareness rilevante e database consistenti, tradizionalmente si è lavorato di più ad un approccio one-step, tramite appelli diretti alla donazione.

Semplificando, la comunicazione da manuale è sempre stata la richiesta di un contributo per risolvere un problema urgente, veicolata in modo semplice e sintetico, mostrando la soluzione e un impatto misurabile.

Tuttavia, valutando l’efficienza, la logica del two-step è una strada sempre più percorribile grazie ai canali digitali. Petizioni, value exchange, quiz sono strumenti legati alla mission dell’organizzazione, tecniche che consentono di ottenere buoni cost per lead, consentendoci di avviare un percorso di comunicazione con i potenziali donatori che costruisca un percorso di approfondimento, in modo da coinvolgere gradualmente anche le persone più estranee alla causa, le più lontane da noi.

La lead generation ci aiuta a comunicare tematiche, avvicinando le persone alla mission senza chiedere subito una donazione, ma avviandole in un percorso di creazione di valore.

La lead generation è inoltre un potente strumento per raffinare le informazioni di marketing e sviluppare nuove strategie. Profilazione, selezione dei pubblici:  attraverso di essa possiamo raccogliere informazioni utili a definire meglio le caratteristiche delle nostre campagne, raccogliendo pubblico qualificato da convertire in donazioni e attirando e coltivando per il futuro le giovani generazioni che, soprattutto in Italia, oggi hanno una capacità economica inferiore.

unicef screenshot homepage

Source: unicef.it

In che modo si sostanzia il concetto di lead generation in UNICEF Italia, quali sono gli strumenti a cui fate ricorso?

Come già accennato, petizioni, value echange, quiz legati alla mission dell’organizzazione e alle sue iniziative sono tutti ottimi strumenti che consentono di ottenere buoni Cost per lead (CPL) e buoni costi di trasformazione finale dei donatori.

Le petizioni in particolare ci consentono di assolvere non solo alla funzione di raccolta fondi, raccogliendo contatti da convertire in donazioni, ma anche di esporre al pubblico tematiche di interesse sociale, nazionale e internazionale.

Oltre alle petizioni, mirate alla consegna all’istituzione di un certo numero di sottoscrizioni di sostegno ad una richiesta, la nostra esperienza di lead generation si basa su campagne con value exchange e quiz. I lead raccolti attraverso queste diverse tipologie di azioni mostrano differenti livelli di engagement verso il passo finale verso la donazione.

Nel caso dei quiz, ad esempio, abbiamo la forbice più grande tra efficienza nella generazione (alta) ed efficienza nella conversione (bassa, ma dipende), nel caso delle petizioni tendenzialmente avviene il contrario.

A livello di meccaniche utilizziamo molto le Facebook e Instagram Lead Ads, abbiamo anche testato i moduli di Google e LinkedIn. Altra meccanica di lead generation che usiamo molto è l’instant call back, form presente in genere su landing page di donazione con il quale il potenziale donatore, se non convinto dal voler effettuare una donazione online, può chiedere di essere ricontattato telefonicamente per avere informazioni su come aiutarci.

Possiamo gestire questi ricontatti praticamente in tempo reale. I lead che raccogliamo, opportunamente divisi per tipologia di iniziativa e generazione, sono fondamentali per il targeting delle nostre azioni di raccolta dirette con obiettivo di acquisizione dei donatori. E ci permettono di far crescere la nostra house list per il direct mail, canale fondamentale durante le emergenze umanitarie e che riusciamo ad attivare in modo estremamente rapido 7 giorni su 7. Facciamo tantissimo testing su questo canale da molti anni e i frutti cominciano a vedersi.

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Qualche esempio di campagna di lead generation riuscita?

Tra i casi di successo, una petizione che ha chiesto il rinnovo del Piano Nazionale contro la violenza sulle donne, lanciata in occasione dell’8 marzo scorso e prolungata anche oltre, con la raccolta di oltre 42 mila firme presentata al Ministro delle Pari Opportunità.

Tipico esempio di una campagna di advocacy e lead generation. Abbiamo sempre lanciato campagne per l’8 marzo, ma è la prima volta che abbiamo una esplosione di risultati di questo tipo. Da un punto di vista di marketing, questo tipo di iniziative ci aiutano a coinvolgere anche personalità del mondo dello spettacolo, il magico mondo degli influencer, oltre ai nostri tradizionali testimonial e ambasciatori vip (in questo caso ci hanno fornito un aiuto davvero prezioso Serena Rossi, i Pozzolis, Stefano De Martino e Alessia Marcuzzi).

Da parte nostra c’è interesse ad amplificare la reach: noi non investiamo in influencer marketing, coinvolgiamo persone in una causa ed è importantissimo amplificare la visibilità in termini di pro bono. Nell’ultimo anno abbiamo costruito un piano intorno agli influencer, collegandoli alle campagne e cercando di trovare le persone giuste per le cause giuste, che potessero rappresentarle efficacemente.

Stiamo trovando sempre più attenzione e interesse, perché riusciamo a coltivare queste relazioni, sia attraverso l’area Social che Corporate. 

Come si inserisce il Growth Hacking nella vostra strategia di marketing? E come si conciliano gli obiettivi di scaling con il codice etico di una organizzazione senza scopo di lucro?

Stiamo lavorando molto sull’approccio del Growth Hacking, non solo sul digital ma per quanto possibile su tutti i canali, è un approccio vincente. Da 4 anni a questa parte abbiamo progressivamente inserito nel team Digital marketing nuovo personale specializzato per gestire la strategia, il delivery e l’analisi dei dati delle campagne online, persone giovani, ma con già tanta esperienza e voglia di fare la differenza per come professionisti nell’ambito del no profit e per l’UNICEF.

Complessivamente abbiamo rifondato la strategia per i nostri principali prodotti di donazione: donazione regolare, donazione singola, lasciti e 5×1000, assumendo sempre più un approccio di campagna always on, avviando processi di miglioramento iterativo, testing continuo, di ottimizzazione del contenuto per i diversi pubblici. Abbiamo ancora molto da lavorare per affinare il processo e integrarlo perfettamente nel nostro planning.

Il Growth Hacking risponde come metodo non solo all’esigenza di avere risultati migliori, ma credo anche in modo specifico al principio che dobbiamo usare con estrema attenzione quella parte di fondi raccolti che possiamo reinvestire nei programmi di raccolta fondi. Ottenere efficienza ed efficacia nella raccolta fondi attraverso un giudizioso utilizzo degli investimenti e garantire uno scaling sostenibile. 

unicef campagna

Cosa significa comunicare i valori di una organizzazione internazionale come Unicef?

La struttura internazionale ha sempre fornito ai Comitati Nazionali linee guida per la comunicazione e sempre di più negli ultimi anni anche contenuti di campagna più strutturati, compresi gli specifici formati creativi.

Le linee guida sono molto precise e mirate alla costruzione di messaggi orientati a preservare la grande storia e il prestigio dell’Agenzia delle Nazioni Unite, una storia basata su credibilità, trasparenza ed efficacia: il tono di voce è positivo e determinato a creare con coraggio cambiamenti concreti per le realtà in cui opera, mirando a costruire un’immagine empatica dell’organizzazione.

L’UNICEF è un’agenzia delle Nazioni Unite e spesso al mondo ONU vengono associati connotati diametralmente opposti rispetto alla piccola organizzazione che sviluppa piccoli progetti a livello locale e che non ha una rete di partnership articolata.

Il nostro lavoro consiste nel conferire un carattere di forte umanità ad un’organizzazione che lavora a livello mondiale, che ha uno staff ampio e dislocato e che ha accumulato una grande esperienza basata sulla precisione dei processi che gestisce globalmente, come logistica, organizzazione finanziaria, delivery degli aiuti nelle situazioni più difficili, dai teatri di guerra alle emergenze umanitarie alle calamità naturali.

Noi dobbiamo tradurre questo lavoro estremamente complesso in messaggi efficaci, semplici e richieste precise, affinché possa essere comprensibile al maggior numero di persone possibile.

Com’è si inserisce l’approccio comunicativo di Unicef Italia nel solco dell’organizzazione internazionale?

Le linee guida internazionali ci lasciano una certa libertà di declinare i contenuti per meglio rispondere al nostro contesto specifico. La mission del Comitato Italiano è la raccolta fondi e la promozione dei diritti dell’infanzia e lo fa attraverso campagne internazionali ma anche campagne che esistono solo in Italia, come ad esempio la campagna per il 5×1000. Possiamo anche decidere se affidarci a contenuti creativi nazionali o a contenuti provenienti dall’head quarter se pensiamo possa funzionare meglio.

Non c’è in UNICEF dal punto di vista della raccolta fondi un approccio così fortemente top down come in altre realtà e questo è un bell’aspetto del nostro lavoro. Non siamo declinatori: possiamo essere creativi, definire la strategia. Svolgiamo periodicamente ricerche di mercato per comprendere i nostri pubblici di riferimento e declinare le nostre comunicazioni in base ai sistemi di valore e alle abitudini di consumo.

Ciò che è sempre più vero è che il nostro lavoro si concentra sul preservare il tono di voce dell’Unicef ma cercare di differenziare il modo di comunicare in base alle audience di riferimento. Rispetto al passato, siamo sempre più attenti, in particolare con il Digital, a offrire un’esperienza diversificata rispetto ai canali di raccolta fondi tradizionali, nel tentativo di attrarre anche audience più giovani rispetto ai Baby Boomer o la GenX, che sono il core della nostra base donatori.

Per ogni prodotto di donazione cerchiamo di usare uno stile adatto all’interlocutore, che sarà diverso se promuoviamo un regalo solidale per San Valentino o il programma sui lasciti testamentari. Altro stile ancora è quello durante le emergenze umanitarie, che è ancora più diretto e orientato a veicolare chiaramente il bisogno e l’urgenza. 

Qual è oggi l’incidenza del Digital nella strategia Unicef Italia? E quanto ha inciso la pandemia sulla modalità delle campagne?

Fino a pochi anni fa molte campagne di raccolta fondi esistevano soltanto mediante affissioni, stampa cartacea, un po’ di TV, direct mail e un piccolo investimento nell’online; oggi molte esistono prevalentemente o esclusivamente online.

Nel giro di pochi anni per noi l’apporto del Digital è passato da poco meno del 5% al 15% in termini di raccolta fondi, con punte 20% nel 2020.

Un anno particolare, perché abbiamo dovuto stoppare alcune campagne field, per noi molto importanti e prioritarie, per esempio il face to face, i dialogatori, che per noi sono uno strumento di raccolta fondi centrale che offre un’ottima profittabilità: nel 2020 ci sono stati due mesi in cui non abbiamo proprio potuto farlo.

Abbiamo fatto degli spostamenti di budget su TV e Digital con ottimi risultati.

Nel 2020 abbiamo più che raddoppiato il risultato del Digital rispetto al 2019 e abbiamo visto che le persone volevano continuare a donare anche in una situazione di emergenza e offrendo loro più stimoli in un canale adatto a farlo la risposta è stata forte.

Abbiamo fatto una campagna per la consegna dei materiali sanitari per la risposta al Covid-19 in Italia, che è andata molto bene, dimostrando al contempo che UNICEF non aiuta solo i paesi a basso e medio reddito, ma è attenta anche ove necessario alle emergenze anche in paesi più ricchi, che normalmente non hanno bisogno dell’intervento di un’organizzazione come la nostra.

Diciamo che il 2020 è stato un outlier nel marketing mix, ma allo stesso tempo ha velocizzato come per molti altri processi già in atto di sviluppo e incremento del canale Digital, che lo confermano al centro delle strategie di crescita per il futuro.

Il Digital oggi è un protagonista del nostro marketing mix e il canale con il più grande potenziale di crescita.

campagna unicef

Quanto conta la presenza sui Social Media nella riuscita delle campagne?

Il Social media marketing per noi è molto importante nell’ambito dei diversi canali a disposizione nel Digital marketing. Google, Facebook e Instagram fanno la parte dei leoni. Tutte le campagne pianificate hanno una componente Social paid, con rare eccezioni, come le emergenze umanitarie di medio livello e purtroppo spesso non grandissimo eco mediatico, dove in genere inviamo solo azioni di direct email ai nostri donatori e lead.

Nell’ambito social utilizziamo soprattutto Facebook e Instagram, ogni tanto anche Twitter e LinkedIn. Parliamo sempre di sponsorizzate, in quanto oggi l’organico come sappiamo ha poco impatto. Abbiamo campagne molto strutturate, che stanno facendo lavorare l’algoritmo da anni, quindi riusciamo ad avere nel tempo efficienze considerevoli.

Quello che è cambiato nel tempo è il fatto di saper dosare attese sui risultati immediati di una campagna con una logica di ottimizzazione nel lungo periodo, prendendo un prodotto di donazione, come ad esempio la donazione regolare o le informazioni sui lasciti testamentari, e far lavorare la campagna con refresh di contenuti e lavoro nel tempo sulle audience. Questo ci ha aiutato ad aumentare l’efficienza, potendo di conseguenza aumentare gradualmente gli investimenti.

Lavoriamo sui pubblici tradizionali: su custom audience, lookalike audiences (LAL) che possano essere alimentate da segmenti sempre più mirati e facciamo continuo scouting di nuove audience.

Ci sono audience collaudate che funzionano molto bene per il no profit, quelle legati ai temi sociali (solidarietà, volontariato, beneficenza, cause internazionali) e altre che usiamo solo per determinate campagne in base al collegamento tra interessi e tematiche specifiche promosse. C’è un lavoro continuo di raffinamento.

Come integrate gli strumenti online e offline?

Il Digital per noi corre a stretto contatto con altri canali, in particolare con la TV. La chiamiamo la “combo”: TV e Digital si rinforzano a vicenda, si pensi alle campagne di Direct Response Television (DRTV) o al nostro show televisivo “Prodigi”, in onda dal 2016 su Rai 1 nel mese di novembre.

Dal punto di vista marketing sono sfide che si giocano sul filo della progettazione minuziosa senza possibilità di errore: lo show televisivo in particolare dura solo circa tre ore e il Digital deve apportare tutto quello che può attraverso il second screen. Deve essere tutto perfetto, dalla journey e la gestione del traffico sul sito al fatto che le campagne di Search Ads abbiamo il budget giusto e portino nel luogo giusto per arrivare alla conversione della CTA televisiva.

Un altro canale molto collegato al Digital è il telemarketing, che serve da punto nodale di gestione di tutti i nostri processi di interazione programmata con i nostri sostenitori e di donor care, nonché da canale d’elezione per la conversione delle lead generate online.

Quali le principali sfide future di Unicef Italia nel Digital?

La sfida principale è quella tecnologica: garantire qualità e integrazione dei dati tra CRM e piattaforme di marketing automation in maniera più funzionale alle strategie digitali, la tracciabilità, le possibilità di analisi e di implementazione di modelli, la personalizzazione delle customer journey collegate alle diverse audience, l’efficientamento delle transazioni digitali e l’allargamento delle opzioni di donazione.

Recentemente abbiamo adottato, grazie ad un finanziamento internazionale, la Google Marketing Platform: una sfida molto interessante che ci consentirà ad esempio di gestire meglio le audience con Analytics 360 e rendere più agevoli i processi di testing con Optimize. 

Quali consigli dareste ai giovani che si avvicinano al Digital Marketing per il terzo settore per farne una professione?

La raccolta fondi è una professione molto particolare perché acquisisce le tecniche del marketing ma come elemento fondativo ha nel suo DNA le relazioni interpersonali. È una professione basata per vocazione sulla customer/donor centricity: mettere al centro i donatori è determinante per costruire la fiducia su progetti che spesso essi non possono vedere direttamente e non sono prodotti che hanno per il consumatore un valore diretto tangibile. Ma il contributo che possiamo dare a beneficio di tutti nei grandi temi, la cultura, l’ambiente, la sanità, nel migliorare le condizioni di vita delle persone più svantaggiate, nel nostro caso i bambini, è una motivazione professionale che per noi fundraiser non ha pari.

Il fundraiser contribuisce allo sviluppo di una nuova economia basata sulla circolazione della solidarietà e l’investimento per cause diverse dal profitto. Proprio per questo, l’efficienza è un dovere morale, reinvestire al meglio parte dei fondi raccolti in ogni operazione di marketing spinge ad un approccio data-driven con una passione che va oltre ogni descrizione.

L’efficienza sta al cuore del nostro lavoro e c’è tanto bisogno di nuovi professionisti del Digital Marketing per supportare la crescita del terzo settore in un momento in cui la competizione del mercato si fa sempre più accesa. Non è semplice oggi emergere, soprattutto nelle piccole organizzazioni, gli stipendi non sono al livello del settore profit, ma di contro c’è una ricchezza nell’accumulo di esperienze emozionanti.

Si arriva forse spesso in ambienti meno strutturati, ma questo comporta che c’è più possibilità di costruire le cose e dare vita ai propri progetti, per migliorare la propria organizzazione e il ruolo del Digital nel settore. Il terzo settore è una realtà molto viva e collaborativa e ciò rende questo lavoro pieno di stimoli e potenziale per la crescita professionale.

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SEO trend 2022 copertina

SEO Trend 2022: 6 tendenze che non puoi non conoscere quest’anno

Chi si occupa di SEO lo sa bene: gli aggiornamenti che Google apporta al suo algoritmo possono cambiare i fattori di ranking e addirittura vanificare mesi di lavoro svolto per il posizionamento del proprio sito web. Ecco perché essere sempre aggiornati sui SEO Trend 2022 e tutte le novità introdotte in materia di ottimizzazione per i motori di ricerca, è qualcosa di cui ogni SEO specialist non può fare a meno.

Vediamo quali sono le novità che Google ha in serbo per noi nel 2022.

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Trend #1 – Addio BERT, benvenuto MUM

Nel 2019 Google annuncia ufficialmente il rilascio di BERT (Bidirectional Encoder Representations from Transformers), un modello di linguaggio basato su Transformer, l’architettura neurale di Google.

Si tratta di una tecnologia basata su un sistema di machine learning, progettata per apprendere le relazioni contestuali tra le parole. In altre parole, i modelli BERT permettono all’algoritmo di Google di elaborare le parole in relazione a tutte le altre parole di una frase, considerando il contesto in cui la parola è inserita, piuttosto che prendendo in esame le parole nell’ordine in cui sono digitate.

L’introduzione di BERT ha rappresentato un nuovo approccio finalizzato soprattutto all’implementazione degli assistenti vocali: si tratta di un grande passo avanti per la comprensione del linguaggio naturale da parte dell’algoritmo di Google.

Ma BERT era solo l’inizio. Nel 2022 assisteremo ad un ulteriore passo in tal direzione, come annunciato dall’azienda di Montain View in occasione della conferenza Google I/O 2021, durante la quale è stato presentato un nuovo modello per l’interpretazione e l’assistenza ai propri utenti, chiamato Multitask United Model o MUM.

In parole povere, MUM è un modello di intelligenza artificiale in grado di comprendere le intenzioni dell’utente su un piano più profondo e semplificare tutte quelle ricerche complesse, che normalmente richiederebbero l’inserimento di più query di ricerca, prima che venga restituito un risultato pertinente.

Secondo Pandu Nayak, Google Fellow e vicepresidente:

I motori di ricerca di oggi non sono abbastanza sofisticati per rispondere come farebbe un esperto. Ma con una nuova tecnologia chiamata Multitask Unified Model, o MUM, ci stiamo avvicinando per aiutarti con questo tipo di esigenze complesse. Quindi in futuro avrai bisogno di meno ricerche per fare le cose. 

MUM non solo comprende il linguaggio, ma lo genera. È programmato in 75 lingue diverse, per svolgere più task contemporaneamente ed è in grado di sviluppare una comprensione più completa delle informazioni rispetto ai modelli precedenti. 

 

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Si tratta, inoltre, di un modello multimodale, ovvero in grado di elaborare informazioni attraverso testo e immagini; in futuro, le intenzioni di google sarebbero quelle di espandersi anche a modalità come audio e video.

Questo significa che in futuro potremmo fotografare un paio di scarpe a trekking e chidere a Google “ Posso usarle per fare un’escursione sul Monte Fuji?”

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Ad agosto del 2021, MUM era ancora in fase di test; a partire da quest’anno inizierà a funzionare sui motori di ricerca, influenzando i risultati, presumibilmente con un’enfasi ancora più marcata sui segnali di autorità (EAT) e un approccio al contenuto orientato alla risposta.

LEGGI ANCHE: Cos’è Google E-A-T e cosa significa per i tuoi contenuti di qualità 

Trend #2 – LaMDA: ora puoi parlare con Google

Negli ultimi anni, ha assunto sempre maggior rilevanza sul piano SEO, l’ottimizzazione per la ricerca vocale; ora Google compie un ulteriore passo in avanti con una nuova tecnologia orientata al dialogo con l’utente.

In occasione di Google I/O 2021, è stato presentato anche LaMDA (Language Model for Dialogue Applications), che a differenza degli altri modelli linguistici basati su Trasformer, è orientato a cogliere delle sfumature che distinguono la conversazione aperta da altre forme di linguaggio.

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Se MUM è incentrato sull’interpretazione delle intenzioni delle persone dietro le query di ricerca, con LaMDA si vuole instaurare un dialogo con l’utente, restituendo un’esperienza quanto più vicina al linguaggio naturale.

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Oltre alla specificità e alla sensibilità delle risposte di LaMDA, uno degli aspetti su cui si stanno concentrando le attenzioni degli esperti di Google, riguarda la responsabilità sociale, ovvero tutto ciò che di “pericoloso” il sistema è in grado di apprendere.

Come dichiarato da Eli Collins e Zoubin Ghahramani di Google, 

Il linguaggio è uno dei più grandi strumenti dell’umanità, ma come tutti gli strumenti può essere utilizzato in modo improprio. I modelli addestrati sul linguaggio possono propagare tale uso improprio, ad esempio interiorizzando pregiudizi, rispecchiando discorsi di odio o replicando informazioni fuorvianti. E anche quando il linguaggio su cui è stato addestrato viene attentamente controllato, il modello stesso può comunque essere mal utilizzato. La nostra massima priorità, quando creiamo tecnologie come LaMDA, è lavorare per ridurre al minimo tali rischi.

Trend #3: – Shopping Graph: Google lancia nuove funzionalità dedicate all’e-commerce

Durante i periodi di lockdown, lo shopping online è stato l’unica opzione per i consumatori, al punto che alla fine del 2020 i risultati finanziari di Amazon e Shopify siano stati un successo oltre le aspettative.

Davanti a un cambiamento così radicale delle abitudini di acquisto online, anche Google sembra voler dedicare un effort maggiore per implementare il suo motore di ricerca dedicato allo shopping.

Di recente è stato annunciato il lancio di Google Shopping Graph, “un modello dinamico potenziato dall’intelligenza artificiale che comprende un insieme in continua evoluzione di prodotti, venditori, marchi, recensioni e, soprattutto, le informazioni sui prodotti e i dati di inventario che riceviamo direttamente da marchi e rivenditori, nonché come tali attributi relazionarsi tra loro.”

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Parallelamente, Google ha ampliato la sua partnership con Shopify, consentendo ai suoi 1,7 milioni di venditori di includere i loro prodotti nell’ecosistema di Google.

Lo scopo è quello di rendere più smart l’esperienza d’acquisto di milioni di utenti che ogni giorno fanno shopping su Google, attraverso i dati raccolti durante le sessioni, e aiutare le persone a trovare facilmente i prodotti che amano, che provengano dallo store online di un grande marchio o dall’e-commerce di un piccolo brand.

A tal proposito, Google ha introdotto nuove funzionalità, come ad esempio la tab Open Cart su Google Chrome, grazie alla quale ora è possibile visualizzare tutti i carrelli lasciati in sospeso in un’unica tab, ogni volta che viene aperta una nuova pagina nel browser.

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Gli utenti avranno anche la possibilità di collegare i propri programmi fedeltà di brand come Sephora al loro account Google, per vedere sempre le migliori opzioni di acquisto su Google​​.

 

 

Trend #4: – Passage Ranking: indicizzare un passaggio e non l’intera pagina

L’arrivo di Passage Ranking è stato annunciato alla fine del 2020 e rilasciato a febbraio 2021, un aggiornamento che permette al motore di ricerca di indicizzare un passaggio preciso del contenuto di una pagina web, anziché l’intera pagina.

Quando le ricerche sono molto specifiche, l’informazione che l’utente sta cercando potrebbe essere difficile da reperire, magari perché inserita all’interno di una pagina web dove l’argomento è trattato in modo più ampio.

Prabhakar Raghavan ha dichiarato: “Di recente abbiamo fatto un passo avanti nella classifica e ora siamo in grado di comprendere meglio la pertinenza di passaggi specifici. Comprendendo i passaggi oltre alla pertinenza della  pagina generale, possiamo trovare le informazioni ago in un pagliaio che stai cercando. Questa tecnologia migliorerà del 7% le query di ricerca in tutte le lingue man mano che verrà implementata a livello globale.”

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Secondo quanto affermato da Prabhakar Raghavan, l’indicizzazione dei passaggi all’interno del testo, una volta implementata in tutte le lingue, arriverà a influenzare circa il 7% delle query di ricerca su scala globale.

Al momento non abbiamo informazioni sufficienti per poter stabilire quali siano le tecniche migliori a livello SEO per l’indicizzazione dei passaggi, dal momento che si tratta di estratti di contenuto estremamente legati al contesto, dunque lontani dalla logica di indicizzazione delle keyword. Gli esperti di Google consigliano di concentrarsi sugli elementi “tradizionali”, vale a dire title e metatag.

Trend #5 – YouTube: ottimizzare i video creando momenti chiave

I contenuti video hanno assunto un ruolo di sempre maggior rilievo all’interno della content strategy, per l’acquisizione di traffico e lead.

Negli ultimi anni, precisamente da quando Google ha incluso i video di Youtube tra i risultati di ricerca restituiti in SERP, i video hanno assunto un’ulteriore rilevanza anche per la SEO.

In occasione di Google I/O, John Mueller di Google ha presentato due nuove tipologie di dati strutturati da utilizzare per far risaltare i video tra i risultati di ricerca Google e farli apparire nella sezione “Video consigliati”: si tratta di Clip Markup e Seek Markup.

CLIP MARKUP

Con la funzione di “marcatura della clip” è possibile indicare manualmente il timestamp per isolare dei momenti chiave all’interno del video e attribuire loro delle etichette.

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SEEK MARKUP

La funzione Seek Markup, non ancora attiva ma presto in arrivo, serve per comunicare a Google la struttura dell’URL in modo che possa automaticamente identificare i momenti chiave all’interno del video. 

Trend #6 – Core Web Vitals: SEO e UX continuano a viaggiare in tandem

Nonostante l’ottimizzazione dei contenuti per parole chiave e la strategia di backlink siano ancora componenti fondamentali di una SEO strategy che si rispetti, oramai non sono più i soli elementi che contano per il posizionamento, ma ci sono altri fattori altrettanto rilevanti.

Con arrivo di Page Experience, l’esperienza di navigazione dell’utente assume una grande importanza agli occhi del motore di ricerca, valutata da Google con delle metriche specifiche conosciute come Core Web Vitals.

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Secondo la definizione data dagli esperti di Google, si tratta di “un insieme di metriche reali basate sull’utente che quantificano gli aspetti chiave dell’esperienza utente. Misurano dimensioni dell’usabilità del Web, come il tempo di caricamento, l’interattività e la stabilità dei contenuti durante il caricamento (in modo da evitare di toccare accidentalmente determinati pulsanti quando vi passano sotto il dito: sappiamo quanto sia fastidioso).”

Gli indicatori dell’esperienza utente sono 3:

Largest Contentful Paint (LCP): valuta le prestazioni del sito in termini di tempi di caricamento delle pagine. Il valore ottimale non dovrebbe superare i 2,5 secondi dall’inizio del caricamento.

First Input Delay (FID): misura le prestazioni in termini di interattività, ovvero di tempi di risposta agli input dati dall’utente, come ad esempio il clic su un link o un pulsante. Il valore ottimale dovrebbe essere inferiore a 100 millisecondi

Cumulative Layout Shift (CLS): misura la stabilità visiva degli elementi della pagina durante il caricamento. Google consiglia un valore inferiore a 0,1.

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I “vitali del web” vengono combinati da Google insieme ad altri fattori, tra cui l’ottimizzazione mobile-first del sito e l’utilizzo del protocollo HTTPS per la navigazione sicura, per determinare il punteggio del sito in termini di “usabilità” e, di conseguenza, il posizionamento.

L’attenzione di Google per l’esperienza utente sarà sempre più preponderante nel 2022 (nonché per gli anni a venire), dunque, per una corretta ottimizzazione del tuo sito web, sarà indispensabile soddisfare i criteri introdotti con i Core Web Vitals.

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ENEL DIGITALIZZAZIONE

Enel: “La nostra sfida? Abilitare un progresso sostenibile con il digitale”

Dalla liberalizzazione del mercato energetico alle tecnologie orientate alla sostenibilità, con Ivan LupelliChapter Unit Leader | Data Management Market Analysis & Segmentazione e Maria Vittoria DestefanisHead of Commercial Communications Planning, esploriamo le principali sfide del Gruppo Enel e la loro declinazione nel Digital Advertising.

Enel è stata partner dell’edizione 2021 della Digital Factory di Ninja Academy e, dopo il successo della collaborazione, la ritroveremo anche nella nuova Factory.

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Quali i principali canali e attività su cui si sviluppa il Digital Advertising di Enel?

(Risponde Maria Vittoria Destefanis)

Maria Vittoria Destefanis, Head of Commercial Communications Planning Enel

I canali attraverso i quali i clienti possono entrare in contatto con noi sono molteplici, sia offline che online. Poiché ogni occasione di contatto, dal punto di vista marketing, si traduce in un’occasione di vendita (ma anche in una occasione di fidelizzazione/caring e riduzione del churn), dobbiamo fare in modo di valorizzare al meglio ogni momento di contatto, assicurando al cliente la migliore experience, che deve essere il più possibile continua e fluida. E questo è ancora più vero per tutto ciò che è digitale, dove è veramente possibile sfruttare appieno le potenzialità del mezzo per gestire il cliente in modo trasversale, affiancandolo in tutti i suoi touch point, su tutti i device e in tutti i punti del funnel, dall’awareness alla conversion al post acquisition.

Pertanto il Digital Advertising in Enel ormai è pervasivo e ha l’obiettivo di affiancare il cliente, assecondando le sue esigenze a seconda del ciclo di vita nel quale si trova e delle ricerche che svolge. Questo offrendo informazioni relative al brand e offerte nella fase di awareness e consideration (video, formati impattanti, social, drive to store, etc); sfruttando il retargeting per massimizzare le performance nella fase di decisione dell’acquisto (banner display, search) e il cross selling/ upselling/ retention nel post acquisition (dem, sms).

Tutto questo si traduce poi in una ottimizzazione, non solo nella gestione della relazione con i clienti ma anche di budget: mostrare determinati contenuti a coloro che potenzialmente ed effettivamente sono più interessati agli stessi garantisce una minore dispersione di budget e una conseguente ottimizzazione dei costi, ritorno degli investimenti ma soprattutto una maggiore soddisfazione del cliente online che trova le risposte alle sue esigenze.

Come si inseriscono i dati e come vengono utilizzati nella vostra strategia di Advertising?

(Risponde Ivan Lupelli)

Ivan Lupelli, Chapter Unit Leader | Data Management Market Analysis & Segmentazione enel

Abbiamo cominciato a utilizzare i dati proprietari di Enel nel Digital Adv, i cosiddetti first-party data, a fine 2019, da quando abbiamo consolidato il nostro stack tecnologico con l’internalizzazione della Data Management Platform. Questa piattaforma ha rappresentato il vero e proprio abilitatore tecnologico per raggiungere il nostro obiettivo di avere una segmentazione digitale centralizzata e azionabile sui diversi canali (video social display e search) e supportare le attività di Digital Advertising e di personalizzazione della Customer Experience sul nostro portale eCommerce.

Questo anche per garantire coerenza tra quello che il cliente/prospect vede in termini di creatività e il messaggio lato paid media e lato owned media come sito e landing. Come primo passo, abbiamo reso disponibili in piattaforma i dati proprietari provenienti da varie fonti come CRM e Data-Lake, dati provenienti dai canali offline come i negozi fisici, chiamate customer care, preferenze di privacy sino ovviamente ai dati relativi ai comportamenti sulle nostre digital properties per creare una descrizione unica del cliente. Successivamente, abbiamo creato in DMP le varie audience usate nelle campagne digitali always-on di Enel Energia, che quotidianamente sottoponiamo a continui test & learn all’interno della Room Digital ADV & DMP.

Il dato di prima parte è stato fondamentale per raffinare le audience utilizzate per la conversion (segmentazione per remarketing su display/social e persino sulla SEA), ma anche per razionalizzare il prospecting ed evitare di “sparare i nostri messaggi nel mucchio” come si dice. Questo lavorando molto sulla ricerca sul web di audience qualitative ma senza over-segmentare: persone che cercano attivamente contratti di commodity luce/gas o fibra, informate, digitali & tech, ad alto valore potenziale e “fedeli” in prospettiva perché in sintonia con i nostri valori e con la nostra user experience. Il dato di prima parte ha ovviamente supportato le logiche di up-selling cross-selling sui nostri clienti più digitali, mitigando il rischio di esporli a messaggi non interessanti e vantaggiosi per loro.

Le piattaforme di Advertising sanno parecchio sui target, ma ne sanno molto meno di noi sui clienti del settore energia. In sostanza, il dato di prima parte ci ha permesso di ottimizzare media mix, budget spending e ovviamente performance come nessuna piattaforma o algoritmo avrebbe potuto fare in autonomia. Stiamo andando verso uno scenario post cookie di terza parte in cui il dato proprietario per i brand sarà ancor più centrale. Ci stiamo attrezzando sia dal punto di vista tecnologico che strategico all’interno della Room in modo che questa transizione sia una opportunità per fare ancora meglio rispetto a quanto fatto fino ad ora.

Enel si muove sul doppio binario B2C e B2B: quali i principali elementi di differenziazione del messaggio pubblicitario?

(Risponde Ivan Lupelli)

Per il segmento consumer il web è altamente competitivo, una vetrina utilizzata dai trader per spingere le loro offerte di punta con focus su prezzo aggressivo e proposition a sconto. All’interno di questo contesto la nostra strategia B2C sul web è quella di comunicare la facilità della convenienza dell’offerta del nostro prodotto flessibile spinto anche in campagna ATL: una proposition che parla di sconto differenziato in base al mercato di provenienza, con particolare attenzione ai clienti ancora serviti in Maggior Tutela. A questo affianchiamo poi i nostri prodotti innovativi, che sfruttano le potenzialità dei nuovi Smart Meters e si rivolgono alla clientela più esigente e smart, proponendo soluzioni altamente differenzianti: ad esempio con la possibilità di scegliere ogni giorno 3 ore di componente energia gratuita.

Sul web, per il segmento Business, vogliamo essere delle calamite che attraggono con contenuti personalizzati e sorprendenti gli imprenditori e le aziende con bisogni più digitali. Alle piccole e medie imprese comunichiamo in modo semplice e trasparente un abbonamento mensile che permette al cliente di pagare l’energia come la paga Enel. Sul business la parola d’ordine è essere “open” e quindi “aprire” nuove possibilità, nuove modalità per accedere all’energia. Abbiamo voluto veramente centrare realmente e non sulla carta il famoso obiettivo di “mostrare sul web il messaggio giusto al pubblico giusto al momento giusto“ aggiungendo anche “rispettando il cliente/prospect” e “raggiungere i nostri obiettivi di business”.  Questo è stato possibile lavorando su dati e piattaforme in maniera sinergica con le Tribe Consumer e Business del Marketing guidate da Alessio Pasqui e Luca Rainero.

Il green rappresenta oggi un focus centrale nella promozione del brand: quanto fa la differenza?

(Risponde Maria Vittoria Destefanis)

La sostenibilità, oggi, per le aziende, è sicuramente una conditio sine qua non fondamentale per restare nel mercato. La crisi sanitaria ha accelerato un processo di cambiamento già in atto, modificando ulteriormente l’attenzione e la sensibilità delle persone verso i temi ambientali e sociali. Oggi i consumatori sono sempre più disposti ad acquistare prodotti e servizi, anche a un prezzo leggermente più alto, da quelle aziende impegnate nella sostenibilità. Ma si aspettano che queste utilizzino processi a basso impatto ambientale e che lavorino con il sistema sociale complessivo per uno sviluppo sostenibile. Promuovere il green non è più un elemento differenziante della proposta commerciale di un brand come poteva essere qualche anno fa.

Oggi più che mai, la comunicazione legata alla sostenibilità, e non solo nel settore delle utilities, è un’area sovraffollata. Per essere efficaci e fare in modo che la sostenibilità possa essere comunicata in modo coerente e credibile occorre prima di tutto che questa sia radicata, abbracciata e adottata nei comportamenti aziendali. Ecco perché la sostenibilità è un fattore chiave non solo del nostro posizionamento commerciale ma, in senso più ampio, del nostro Purpose di gruppo: Open Power for a brighter future. We empower sustainable progress.

Il nostro piano è Purpose driven: guidato da uno scopo, che è quello di abilitare un progresso sostenibile. Tutto questo rafforza la percezione dei consumatori rispetto al brand. Non a caso, secondo il Ranking BrandZ di Kantar, che considera la sostenibilità come uno dei driver centrali per la valutazione, Enel si classifica al secondo posto tra i brand italiani di maggior valore e primo tra le utilities.

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Quali aspetti del mondo Energia sono più difficili da comunicare e riscontrano maggiori criticità nella ricezione?

(Risponde Maria Vittoria Destefanis)

Il settore nel quale operiamo è molto complesso e fortemente regolamentato. Ciò implica che le nostre comunicazioni non possano mai prescindere dal prevedere sempre anche una parte informativa ed educativa (oltre che adeguata e compliant con la normativa in vigore), questo anche per andare incontro ai nostri valori di vicinanza e trasparenza verso i clienti. Cosa che però spesso contrasta con il desiderata di avere messaggi corti e immediati che siano allo stesso tempo esplicativi e commercialmente accattivanti. La stessa distinzione tra operatori del mercato libero e del servizio di maggiore tutela non sempre è chiara ai consumatori, come anche le voci che compongono la fattura o determinati processi di acquisizione o di switch.Per questo motivo, abbiamo creato una serie di tool finalizzati proprio a rispondere alle domande più frequenti dei consumatori.

Oltre alla classica sezione delle FAQ nel nostro sito, abbiamo ideato “lo Spazio delle risposte”: uno spazio virtuale che risponde a tutte le domande più frequenti sul mondo dell’energia. Nasce attraverso un’analisi SEO dettagliata (più ricerche di mercato) riguardante tutte le tematiche più cercate sui motori di ricerca su: bolletta, mercato libero e servizio di maggior tutela, contratto, servizi Vas (a valore aggiunto) e offerte.

Anche sui nostri canali social abbiamo uno stream dedicato, “Help”, che comprende diverse rubriche e che funge da aiuto ai clienti su diverse tematiche: abbiamo ad esempio le energy word, una sorta di glossario dell’energia (cosa è il POD/PDR, cosa significa kWh, il PUN etc), le green word, a tema sostenibilità, etc. Quest’anno abbiamo un obiettivo in più: cominciare a veicolare il servizio di Enel non più come commodity ma come fattore abilitante alla transizione sostenibile, come guida del cambiamento.

L’estate scorsa avete lanciato una grande campagna online e offline sulla ripartenza con Saatchi e Saatchi. Che cambiamenti ha portato l’emergenza Covid nella vostra strategia di Advertising e che risposta avete avuto?

(Risponde Maria Vittoria Destefanis)

Da quando è iniziato il periodo dalla pandemia, abbiamo deciso da subito di non bloccare le nostre comunicazioni. Anzi, abbiamo affrontato le diverse fasi, del lockdown prima e della ripartenza poi, con comunicazioni mirate e in linea con il periodo che si stava vivendo. Nel periodo più difficile, abbiamo affrontato una fase di comunicazione in “emergenza”. Era stata istituita una task force, che ha lavorato per mettere in evidenza e comunicare tutte le iniziative concrete che come azienda avevamo messo a disposizione dei clienti. E in TV siamo andati on air ad aprile, durante il picco della crisi, con una campagna che aveva l’obiettivo principale di trasmettere la solidarietà e la vicinanza dell’azienda al paese.

Durante l’estate, abbiamo poi fronteggiato la fase di restart, spostando la comunicazione su temi di positività che i clienti manifestavano e ricercavano, con contenuti focalizzati sulla ripartenza, rilevanti e che proponevano vantaggi concreti. La campagna sulla ripartenza aveva dunque un duplice obiettivo: rendere concreto il supporto dell’azienda con un’offerta che potesse contribuire alla ripartenza del Paese (volutamente indirizzata sia al Consumer che allo Small Business), mettendo a disposizione tre mesi di componente energetica gratuita ed evidenziare come questo supporto avesse anche un valore sostenibile: a livello ambientale ma soprattutto sociale.

La campagna, pur lavorando in coerenza con il posizionamento dell’azienda, voleva raccontare di una nuova energia. Per questo motivo aveva un tono di voce tutto in positivo, senza fare riferimento alle difficoltà vissute. Ci si è focalizzati sul momento in cui tutti ricominciavano a fare quello che facevano sempre, raccontando i piccoli gesti cui eravamo abituati, sia dal punto di vista della “famiglia” che delle imprese. In generale l’emergenza Covid ha determinato una attenzione e un supporto crescente verso il territorio. Abbiamo circa 1.200 negozi su tutto il territorio nazionale e i nostri imprenditori sono quelli che più di tutti hanno sofferto delle restrizioni dettate dall’emergenza. Per questo motivo, nella strategia di Advertising (offline e online) di quest’anno, tutte le campagne che metteremo in piedi quest’anno avranno una declinazione locale.

Quali i principali obiettivi di Digital Advertising per il futuro prossimo e quali canali e attività intendete implementare?

(Risponde Ivan Lupelli)

Come obiettivi abbiamo dei target molto sfidanti in termini di adesioni e cpa sia sul segmento consumer che sul business. Per quanto riguarda canali e attività, il nostro mantra è mantenere un media mix efficiente e performante che ci permetta di raggiungere audience che “risuonino con il nostro brand”. Continueremo sicuramente a sperimentare in maniera continua con approccio few-in few-out riguardo a canali e piattaforme per le campagne always-on, ma non vogliamo neanche provare tutto per la paura di perdere opportunità o perché “ci dobbiamo essere” con il rischio di frammentare messaggi e budget senza impatto significativo sulle performance.

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Illimity bank copertina

Ecco B-ilty: nasce la banca di Illimity per le PMI

Illimity, il gruppo bancario ad alto tasso tecnologico fondato e guidato da Corrado Passera, ha presentato pochi giorni fa una nuova realtà ideata per un innovativo ecosistema di servizi finanziari dedicati alle PMI che hanno un fatturato compreso tra i 2 e i 10 milioni di euro.

Stiamo parlando di B-ilty, una piattaforma bancaria di servizi finanziari e di credito, costruita sulla base dei suggerimenti di centinaia d’imprenditori e pensata proprio per agevolare la quotidianità di questi professionisti. Una piattaforma di ultima generazione, completamente digitale.

B-ilty

Che cos’è B-ilty

B-ilty è una banca che nasce con l’obiettivo di semplificare la vita agli imprenditori grazie a una piattaforma di ultima generazione che unisce competenze specialistiche e tecnologia all’avanguardia. Offre ai clienti tutti quei prodotti e i servizi di una banca completa, con l’immediatezza che solo una user experience evoluta può garantire.

Raccoglie in un unico ecosistema l’operatività bancaria, integrando gli strumenti per supportare la crescita dei clienti con soluzioni che si adeguano alle esigenze della singola azienda e dei singoli settori dell’economia di riferimento.

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I servizi offerti da B-ilty: una banca su abbonamento

La particolarità di B-ilty è la sua speciale formula ad abbonamento per accedere alla piattaforma e a tutti i servizi bancari che sono disponibili in modo illimitato.

L’offerta comprende tutte le più diffuse transazioni bancarie, carte di credito e debito, credito a breve termine, factoring per finanziare il capitale circolante, credito a medio-lungo termine per finanziare gli investimenti, coperture assicurative per tutelare l’imprenditore e l’impresa e molti altri prodotti e servizi forniti direttamente dal Gruppo Illimity o da partner qualificati.

L’abbonamento costa 40 euro al mese con formula try and buy per i primi 3 mesi. In questo modo le PMI interessate potranno provare con calma tutti i servizi e, nel caso, procedere ad abbonarsi successivamente.

Un servizio digitale ma allo stesso tempo fatto da persone

B-ilty è una banca digitale di semplice utilizzo proprio per consentire all’imprenditore, al CFO, e al commercialista, di gestire le finanze dell’azienda quando vuole. Può farlo dal proprio ufficio, senza carta o bisogno di recarsi in filiale, ma soprattutto senza dipendere dagli orari altrui.

Questo però non significa che sia priva del lato umano, tutt’altro. Allo stesso tempo è fatta anche di persone. Ogni cliente avrà a disposizione un Relationship Manager. Ogni azienda infatti avrà uno o 2 responsabili dedicati, in modo da garantire sempre la disponibilità. Inoltre il call center di B-ilty è operativo 24/7.

Dinamicità continua e credito veloce

B-ilty fornisce sia credito a breve che a medio-lungo termine. Gli imprenditori vogliono risposte immediate e chiare, e ogni settore è diverso dall’altro. Ecco perché con un approccio fortemente basato sui dati e le competenze industriali della divisione Growth Credit di Illimity, B-ilty propone un’offerta di credito costruita su una valutazione delle diverse imprese e dei settori specifici in cui operano.

È infatti in grado di analizzare rapidamente decine d’indicatori che si adegueranno progressivamente alle caratteristiche di ogni singolo settore economico e saranno poi condivisi con gli stessi clienti.

Tutti i conti in un unico punto 

Grazie alle funzionalità della PSD2 sulla piattaforma B-ilty possono essere visualizzati il saldo e i movimenti di tutti i conti correnti posseduti di un’azienda anche presso altri intermediari. Inoltre, sempre dalla stessa piattaforma, si possono effettuare anche le operazioni su tutti gli altri conti.

Maggiore collaborazione tra le persone

B-ilty metterà a disposizione dei propri clienti tutte le informazioni che possiede sugli andamenti finanziari sia di ciascuna azienda che del settore di appartenenza. Sarà il capo dell’impresa a decidere quali informazioni condividere e con chi. La piattaforma semplifica la collaborazione sia all’interno dell’azienda sia con il proprio commercialista e altri professionisti esterni

Una realtà fatta apposta per le PMI

B-ilty è una vera e propria rivoluzione nel mondo dei servizi finanziari. È una realtà che nasce e vuole rimanere digitale, quindi di facile accesso e sempre disponibile per i propri clienti. Non importa che ora sia o che giorno della settimana, l’obiettivo di B-ilty è d’impegnarsi ad ascoltare le necessità e i desideri delle PMI, sempre.