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  • Cos’è Omegle e perché è (di nuovo) una potenziale minaccia alla sicurezza della Gen Z

    Guardiamo video per scegliere cosa comprare, per informarci, e quindi non è strano che si utilizzino video anche per socializzare

    15 Marzo 2021

    Ci sono social media che esistono da decenni ma che si possono scoprire solo perché esplodono casi interessanti per la cronaca: Omegle rientra perfettamente nella categoria. Non ci sarebbe niente di strano a dire che non lo si conosca: d’altronde, quando nasce Omegle, nel 2008, Facebook sta letteralmente esplodendo e gli utenti del web non hanno un’ampia disponibilità di webcam e smartphone. Anche la sensibilità verso i video è diversa, con YouTube che è più un repository di clip che non una piattaforma adatta ai content creator. Era il 2008, dicevamo: un’epoca fa. Oggi però è il 2021, e nel mentre le abitudini di consumo di contenuto sono cambiate: al centro di tutto c’è il bisogno del visuale, la necessità di fruire contenuti che siano visivamente coinvolgenti. Dovessimo dirlo in un trend, ecco spiegato il continuo crescere di piattaforme video-oriented che tutte le indagini ci confermano essere il modello di riferimento in termini di contenuto. Lo spiega benissimo, in un’infografica, Tech.co.

    Guardiamo video per scegliere cosa comprare, per informarci, e quindi non è strano che si utilizzino video anche per socializzare: d’altronde, nel new-normal post lockdown, l’abitudine è quella di fare una videocall, sia per organizzare una riunione che seguire una lezione. Non c’è nulla di strano, quindi, che “tutto” sia video. In uno scenario come questo, il “ritorno” di Omegle non solo era comprensibile, ma anche prevedibile.

    Che cos’è Omegle e perché siamo tornati a parlarne

    Partiamo del principio, soprattutto se non si conosce Omegle. Immaginate una chat “a roulette”, prendendo spunto dal nome di un social molto simile nato qualche mese dopo. Vi connettete in forma anonima e senza registrazione e potete parlare per iscritto o in video con uno sconosciuto, senza registrare alcunché. Niente di più utile in un contesto come quello odierno, dove il distanziamento sociale è incentivato. Sarebbe tutto naturale, se non fosse che questa piattaforma esiste appunto dal 2008. Se analizziamo il trend di ricerca su Google della keyword “Omegle”, notiamo come l’andamento sia quell’anno abbastanza lineare con una flessione lieve ma costante: la risalita riprende poderosa alla fine del 2019, poco prima del lockdown. In Italia lo scostamento è ancora più evidente. Si calcola che dalla media di circa 30 milioni di visitatori al mese che generava oggi Omegle, grazie anche alla pandemia, abbia più che raddoppiato questo numero, assestandosi sui 65 milioni di utenti/mese. Un hype interessante che però non ha presentato negli anni scorsi alcun tipo di osservazione nelle statistiche e ricerche più citate: le “chat video casuali”, pur già presenti nella dieta digitale dei più giovani, non viene conteggiata e anzi, è stata forse persino ignorata. Perché parliamo di giovani? Perché sono proprio loro a usare Omegle. E, attenzione, già da qualche anno, non solo durante il lockdown. Spulciando su YouTube, infatti, si possono trovare video realizzati anche da trendsetter molto influenti che in maniera molto agevole lavorano su questo canale realizzando contenuti decisamente efficaci. Uno di questi è Favij, lo YouTuber più seguito d’Italia, che nel 2019 proponeva video dove veniva impiegato proprio Omegle. LEGGI ANCHE: Avvertenze per brand su Clubhouse: come usare il nuovo canale senza lasciarsi travolgere In particolare, questo è stato realizzato per sponsorizzare una serie di collezionabili acquistabili in edicola. Al di là dal muovere numeri notevoli (oggi conta 3 milioni di views), mostra una serie di elementi interessanti. Vediamoli insieme. Omegle viene trattato come un comportamento (“Omegle gigante” si dice, quasi fosse una videocall) e osservando ciò che avviene in webcam viene quasi spontaneo pensare che questa modalità relazionale sia abituale per i giovani protagonisti e i meravigliati ospiti. Sempre sul canale di Favij è possibile osservare un’altra clip girata durante la pandemia: anche in questo caso, a essere curiose sono le reazioni dei giovani coinvolti. Per una larga fetta di utenti, insomma, Omegle era già un passatempo interessante da qualche tempo. Fin qui, niente di strano: il punto è che questo social redivivo dopo anni di anonimato per larghe fette di utenti, sia tornato agli onori delle cronache lo scorso febbraio, quando in Inghilterra si è cominciato a parlare di casi di molestie sessuali perpetrate da adulti che, approfittando dell’anonimato e dall’impossibilità di registrare le chattate, provano a interagire con minori. Il caso è diventato di rilevanza pubblica tanto da spingere la BBC a realizzare un’inchiesta che ha coinvolto anche l’Internet Watch Foundation: casi simili a quelli raccontati nel pezzo della BBC sono stati registrati anche in US, India e Mexico, i paesi dove Omegle è più utilizzato, aprendo un dibattito sulla natura di queste modalità d’interazione. L’azienda su questo è intervenuta provando a limitare le ricerche attinenti alla sfera sessuale ma, a parte questo, sembra non poter fare molto di più per limitare il fenomeno (peraltro il founder di Omecle Leif K-Brooks è una figura non proprio social, il che in un’epoca di Social CEO è persino strano). Detto ciò, la bolla è scoppiata e sicuramente il caso comincerà a montare: rimane il fatto che la stampa mainstream si sia accorta dei pericoli che si nascondono dietro una piattaforma digitale almeno un anno dopo che questa è diventata di uso massivo (la ricerca della BBC non è stata l’unica, e anche qui in Italia cominciano ad apparire le prime segnalazioni dei pericoli che si corrono a “parlare con uno sconosciuto”). Un aspetto che ci può interessare, se vogliamo comprendere il digitale non solo come spettatori ma come osservatori critici e operativi di un mondo in continua evoluzione.

    Omegle è solo l’ennesima spia di un fenomeno più ampio

    Intendiamoci: qui non si vuole criticare una piattaforma piuttosto che un’altra. Allo stesso tempo, non si sta insinuando che il digitale faccia male ai giovani. Come ogni cosa, però, nulla capita per caso e ogni attività umana non è scollegata dal contesto in cui si verifica: Omegle e i casi di molestie messe in atto da pederasti senza scrupoli aprono solo il vaso di Pandora del passaggio di stato fra generazioni totalmente analogiche (Boomers, Generation X) a ibride (Millenials) fino a totalmente digital (quelle che seguono). Un’indagine promossa dall’Osservatorio Scientifico del Movimento Etico Digitale conferma una tendenza nota: in Italia i bambini e ragazzi compresi fra gli 11 e i 18 anni passano in media 4 ore sui social al giorno, svolgendo attorno al proprio smartphone la maggior parte delle attività che prima erano appannaggio di altri media (la TV, ad esempio) o di altre modalità d’interazione (l’incontrarsi al parco). A far balzare in alto le statistiche ha contribuito come detto la pandemia, anche se il trend prima del marzo 2020 non fa pensare che ci sarebbe stata un’inversione di tendenza nel medio/lungo periodo. È ormai dieci anni almeno che i giovani stanno “digitalizzando” i propri processi, sia per ciò che riguarda la socialità che il consumo di contenuti d’entertainment, e l’abbondanza di soluzioni tecnologiche a disposizione in un periodo di forti limitazione come quello attuale non è stato altro che un ulteriore fattore di accelerazione. Al di là delle problematiche in termini sanitari che questo comporta, una generazione che impara da subito a gestire i propri modelli relazionali attraverso la mediazione di uno strumento tecnologico è rischiosa da gestire, perché chi dovrebbe vigilare rischia di non comprendere subito che cosa stia succedendo. LEGGI ANCHE: Panoramica EdTech: numeri, trend e investimenti nel settore

    Le “migrazioni anagrafiche” alla base delle logiche sociali sul web

    Si prenda ClubHouse: un social network apparentemente molto innovativo (anche se app simili erano nate già un decennio fa), ma che dal punto di vista funzionale molti under 18 avevano già scoperto e digerito altrove (i gamer ad esempio da tempo usano Discord per sviluppare meccaniche d’utilizzo simili). I più giovani sono sempre gli “innovatori” che si collocano all’inizio della curva nel modello di adozione dell’innovazione di Rogers. È sempre stato così nella società consumistica, dalla moda alla musica, dai passatempi meno rilevanti alla cucina. Quello che cambia è la forbice di tempo che porta una novità a essere scoperta dagli early adopter e adottata poi dalla maggioranza innovatrice: quella si sta però allargando, creando situazioni come quelle osservate su Omegle. Chi dovrebbe vigilare sta arrivando sempre più tardi. In breve funziona così: i più giovani scoprono un canale, lo abitano, lo usano, diventa di tendenza. Quello spazio comincia a essere contaminato, la generazione che li precede (i Millenials in prevalenza) sbarcano su quel canale perché incuriositi, i più giovani emigrano. Talvolta, nell’interregno che c’è e che corrisponde al massimo splendore di quella piattaforma, si generano situazioni distorte e criminogene (e le storie raccontate prima rispetto a Omegle sono esemplari). La GenZ, e a maggior ragione la Generazione Alpha, sono le prime che vivranno l’intera esistenza in un mondo totalmente connesso: sono loro che dimostrano come il digitale sarà sempre più vissuto con fenomeni di colonizzazione, dove popoli non coagulati su base etnica ma anagrafica si sposteranno alla ricerca di nuovi mondi da abitare. Un po’ come successo con TikTok, oggi social del momento ma abitato dai ragazzi fin dal lontano 2016, quando ancora si chiamava musical.ly. Questo perché? Ovvio: per la separazione generazionale, la voglia di vivere senza limiti, il tutto però in un sistema che, proprio perché senza regole, propone modelli di vita che mal si adattano con la necessità, ad esempio, di un adolescente di scoprire la propria sessualità, una modalità di relazione sana con il partner e con gli altri, il rispetto per sé e per chi ci circonda. Queste continue migrazioni avvengono in una fase della vita dove la scarsità d’esperienza può portare a non avere limiti nella fruizione di contenuti e relazioni, e conseguentemente a generare derive difficili da gestire (si pensi all’annoso problema della dipendenza da pornografia in cui sono caduti molti under 18). Se i Millenials compongono la generazione di transizione, i GenZer sono i primi esseri umani a doversi confrontare con un sistema completamente digital. Le loro scelte possono dirci molto di cosa possa capitare quando la pervasività del web diventa totalizzante. I social media in particolare sono lo specchio di questa evoluzione, per una generazione che cresce immersa in contesti che alimentano il digital narcisism e possono scatenare effetti collaterali anche molto gravi (anche se altri studi non limitano la responsabilità solo ai social media ma una concatenazione di fattori) tanto da far sviluppare fenomeni collettivi di rifiuto. È questo continuo migrare che dovrebbe farci riflettere, perché in un sistema accelerata come quello odierno, dove le trasformazioni sono veloci e difficili da controllare fenomeni come quelli osservati su Omegle risultano esser sempre più difficili da prevedere. È evidente che comprendere questi movimenti demografici più che di pubblico diventa centrale per costruire una consapevolezza maggiore per sviluppare un equilibrio sano nella vita delle persone più giovani. Una scelta di campo che farà bene alla società, ma che probabilmente aiuterebbe anche le aziende a capire come muoversi verso i consumatori di domani, certamente più consapevoli delle proprie possibilità ma diversi nei comportamenti rispetto a chi li ha preceduti.

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