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  • Mitologia della UX, ovvero cose che devi sapere se vuoi diventare un UX designer

    Falsi miti e leggende metropolitane che distorcono alcune dei tratti fondamentali e delle competenze necessarie per un buon esperto della User Experience

    9 Settembre 2019

    Come accade per ogni nuova figura professionale, in particolare legata alle nuove tecnologie, anche per la quella dello UX si sono diffusi falsi miti, leggende metropolitane che distorcono alcune dei tratti fondamentali e delle competenze necessarie per un buon esperto della User Experience. A chi volesse affacciarsi su questa prospettiva di studio e lavoro, ma anche a chi fa un’altra professione, e con gli UX professionisti deve/dovrà relazionarsi, è diretto questo breve vademecum. Questi ultimi non sono pochi. Sviluppatori, grafici, esperti di marketing e di branding, comunicatori, CEO (non solo di aziende che operano nel digitale) si troveranno infatti, presto o tardi, a dover interagire e collaborare con questo essere tutt’altro che mitologico, ma – anzi – sempre più necessario e diffuso nella società digitale. Mettiamo allora qualche puntino sulle i.

    Per fare lo UX designer non serve una preparazione specifica – FALSO

    Tanto per cominciare, UX non si nasce, ma si diventa. Questa è una figura che può essere il risultato solamente di una formazione trasversale, che parta dalle scienze umane e, passando attraverso la tecnologia digitale, arrivi al design. Lo UX sa di design grafico e di programmazione abbastanza da saper dialogare con le figure professionali corrispondenti. Sa di comunicazione e di branding, perché deve includere nel suo lavoro considerazioni relative ai messaggi che ogni interfaccia trasmette – e collaborare con comunicatori ed esperti di marketing. Deve essere in grado di pianificare le diverse attività nelle varie fasi di un progetto, raccordando le azioni dei vari professionisti coinvolti. Ovviamente non stiamo parlando di un tuttologo, anzi, lo UX ha un ruolo e delle mansioni specifiche in un team di progetto per una interfaccia digitale: quello di veicolo e di intermediazione fra il mondo reale (rappresentato dall’utente) e la tecnologia (il programmatore), e da interprete per colui che si occupa del look & feel dell’interfaccia (il grafico). In sostanza, questo professionista deve possedere competenze in vari ambiti disciplinari, ed è proprio questa sua trasversalità a definirne la specificità.

    Lo UX design ha metodologie specifiche di riferimento – VERO

    Come detto, la professione dello UX non si improvvisa, ma si costruisce attraverso un percorso di formazione trasversale, a cavallo tra le scienze umane e la tecnica, la psicologia cognitiva e l’industrial design, la ricerca sociale, il marketing digitale, la comunicazione in senso lato. Avere una cultura di design è fondamentale per uno UX, perché fondamentale è il cosiddetto “Design thinking” cioè l’approccio progettuale – tipico appunto di coloro che provengono dal mondo del progetto (architetti, designer industriali etc.) – che prevede un focus sulla soluzione piuttosto che sul problema. Si tratta di un modo di procedere per proposte di soluzione che si avvicinano progressivamente a quella ottimale. Il riferimento è senz’altro alle metodologie ed ai principi dello User Centred Design, che – si potrebbe dire – sono “la materia di cui un interaction designer è fatto”; il metodo fornisce le linee guida sulla base delle quali orientarsi e scegliere di caso in caso gli strumenti di indagine, di design e di valutazione più adatti. I momenti fondamentali di ogni progetto di interfaccia sono senza ombra di dubbio quelli definiti dalla metodologia di progettazione iterativa User Centred: l’analisi, la definizione di un concept/prototipo, la sua valutazione e il suo conseguente redesign. Il punto di partenza per progettare un sistema digitale e la sua interfaccia è infatti conoscere chi la utilizzerà, in quali contesti e per quali scopi. Metodi di “etnografia rapida” e di user research ormai consolidati permettono di costruirsi un quadro chiaro ed esaustivo di questi elementi in tempi relativamente brevi. Con le idee chiare su cosa e per chi progettare, si può quindi procedere a definire una o più proposte, anche sotto forma di sketch. Se il progetto lo richiede, si potranno sviluppare prototipi elaborati del sistema, utili nella fase di valutazione con utenti. La valutazione in realtà è una fase trasversale a tutte le altre: un progetto non smette mai di venire valutato in ogni momento della sua creazione, fino al rilascio finale; sia “internamente”, dagli stessi progettisti, che con sessioni formali di valutazione con utenti. La ri-progettazione infine non è un mero processo di correzione di errori, è piuttosto una reinterpretazione, una analisi critica degli esiti delle varie valutazioni, che può portare a cambiamenti anche sostanziali in una interfaccia.

    La più importante risorsa per uno UX designer è la creatività – FALSO

    La creatività viene spesso sopravvalutata, e la figura dello UX designer associata a quella di un artista creativo, che propone “opere” del proprio ingegno, esercizi di stile. Diversamente invece, chi progetta interfacce digitali trova soluzioni sulla base di competenze, di un metodo strutturato e dell’interpretazione delle necessità degli utenti. È un mediatore, un interprete, un esperto, un ricercatore. Che aggiunge certamente il proprio punto di vista e la propria sensibilità, ma secondo competenze e conoscenze acquisite. Questa falsa credenza va a braccetto con altre due grossolane semplificazioni, ancora molto frequenti, soprattutto fra le aziende che cercano UX da assumere, pretendendo dai candidati skill poco centrate sul profilo.

    Lo UX designer è anche uno UI designer – FALSO

    E lo UX designer di solito è un nerd – FALSO Lo User Experience designer, lo dice la parola stessa, è chi si occupa di progettare (o tentare di farlo!) le caratteristiche dell’esperienza che gli utenti avranno nell’usare un determinato strumento/servizio digitale. Non è quindi un art director o un graphic designer – che si occupa di definire il mood visuale del progetto – né il programmatore informatico che svilupperà il codice che sorregge il sistema stesso. Non è escluso che possa avere nozioni più o meno approfondite in uno o entrambi i sopra-citati ambiti professionali, ma questi non costituiscono le skills definitorie del profilo, né le sue mansioni principali.

    Lo UX designer lavora in autonomia – FALSO

    Come è stato detto poco sopra, lo UX designer deve necessariamente avere competenze di comunicazione, marketing, branding… questo non significa che egli si sostituirà alle specifiche figure professionali che si occupano di queste materie, ma che sarà in grado di dialogare con loro. E in effetti dovrà farlo, in particolare nelle fasi di un progetto in cui è necessario stabilire gli obiettivi strategici dello strumento che si sta progettando. Si è detto anche che lo UX – in quanto figura professionale con una precisa collocazione – non è un grafico (uno UI designer), né un informatico, un programmatore. Tuttavia, analogamente a quanto detto per il branding, egli non potrà ignorare questi aspetti. Lo User Experience designer deve infatti tenere presenti nelle sue riflessioni gli aspetti di look&feel che l’interfaccia di front end assumerà, e che influiranno non poco sull’esperienza finale che l’utente avrà del sistema. Per fare questo, dovrà lavorare fianco a fianco con i visual designer, in modo da individuare insieme a loro il visual mood più adatto per ogni progetto. Dall’altro lato, uno UX designer non deve e non può progettare “a ruota libera” dei sistemi e delle interfacce innovative, senza tenere presenti le possibilità ed i vincoli presentati dalle tecnologie esistenti o prescelte per il progetto in corso. Un altro stretto collaboratore dello UX, è quindi il programmatore, l’IT che sarà colui che darà risposte sulla fattibilità o meno delle varie proposte dello UX, sia in termini di archidettura informativa, che di features, funzionalità e modelli interattivi. Lo UX, infine, rappresenta un elemento importante e di raccordo in un team più vasto, composto da –appunto – esperti di comunicazione e branding, visual designers, informatici, analisti, copywriters (esperti di contenuto), project manager e altre figure che via via saranno necessarie e specifiche di ciascun progetto in particolare.

    Lo UX designer mette in primo piano le esigenze dell’utente rispetto a quelle di business – FALSO

    Che va di pari passo con: L’utente ha sempre ragione – FALSO Si potrebbe – erroneamente – pensare che lo UX designer, in quanto esperto di User Research, e in quanto fedele ai principi dello User Centred Design, abbia la tendenza dare in ultima analisi all’utente la facoltà di decidere le caratteristiche di un prodotto digitale. Beh, possiamo dire che sì, in un dato senso l’utente ha sempre ragione: nel senso che lui e solo lui conosce realmente le proprie esigenze, i propri gusti, le proprie abitudini di utilizzo relativamente ad una determinata tecnologia. Ma l’utente non è uno UX designer! Pertanto non è in grado di scegliere quali caratteristiche, funzioni, modalità interattive un prodotto digitale dovrà avere. Queste dovranno essere infatti il migliore compromesso possibile fra i bisogni e i gusti dell’utente da un lato, e gli obiettivi strategici e di business del committente dall’altro. La competenza dello UX (quella di cui abbiamo detto poco fa) costituisce il valore aggiunto, quello che gli consentirà di scegliere la tecnologia più adatta fra quelle disponibili e di proporre le modalità interattive, i tools, i modelli di navigazione più adeguati al progetto in corso. Questo è il motivo per cui, per ottenere un buon prodotto digitale, non basta “ascoltare gli utenti” e di certo non è corretto lasciare ai committenti tutte le decisioni. Per ottenere un buon prodotto digitale, infatti, non si può fare a meno di uno UX! Questo articolo è stato scritto da Maria Cristina Caratozzolo e Jacopo Pasquini – UX Boutique