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  • Il viaggio nel rilancio digitale delle Marche, raccontato attraverso le esperienze di una comunità

    Abbiamo provato a guardare più da vicino cosa può significare oggi Digital Transformation per quei territori italiani che hanno conosciuto la parola crisi

    11 Febbraio 2019

    Alle 13.30 di un giovedì pomeriggio Fabriano rimane sonnacchiosa. Sparuti gruppi di ragazzi passeggiano in quello che è il centro cittadino. In una pizzeria al taglio, che serve rigorosamente pietanze realizzate con farine di grano locale, ci sono pochi avventori. Le serrande sono per la maggior parte calate, per la pausa pranzo. Attorno, si intravedono i vicoli di una città che mantiene intatta la sua identità storica, che affonda le radici nel XIII secolo, e che cerca nella normalità di un giorno di metà settimana di riprendere contatto con il proprio futuro. Perché anche in posti come questo, al futuro si continua a pensare e lavorare, nonostante a pochi chilometri i segni terribili dello sciame sismico del 2016/2017 siano ancora ben visibili.

    Fabriano d’inverno. Cartolina.

    La storia economica del territorio e la crisi

    Già, il territorio. Il terremoto non è stata l’unica calamità a colpire, da queste parti. Qualche anno prima era già passato uno di quegli tsunami industriali che già tante volte abbiamo visto abbattersi sul nostro Paese, in cui quei gruppi che trainano l’economia della zona si ritrovano a confrontarsi con crisi difficilmente recuperabili. Oltre al distretto della carta, eccellenza per l’artigianato a dispetto dei grandi marchi che lavoravano nel settore, a guidare la cavalcata da queste parti è stato il settore degli elettrodomestici del gruppo Merloni: Indesit e Ariston i marchi più noti. Dopo la crisi del gruppo con il passaggio all’amministrazione straordinaria (siamo a cavallo del nuovo millennio), la città tocca il fondo, con un tasso di disoccupazione che arriva al 20% e i segni tangibili della desertificazione. A salvare il salvabile arriverà Whirlpool, che acquisterà dai fondatori il pacchetto di maggioranza della società: dal 2015 si è ripartiti, ma Fabriano e il suo tessuto economico ancora,mostrano i segni del disastro, nonostante di eccellenze ce ne siano veramente molte (qualche esempio: la Elica, che produce cappe per cucine; la Clementoni, nota per i giocattoli; la Tontarelli, specializzata in oggettistica di plastica, e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo). Allargando il campo, siamo di fronte a una metafora. Quello che si può vedere a Fabriano riguarda in generale tutta la regione Marche: perla dell’Adriatico e degli Appenini, la zona è costellata di eccellenze naturali e imprenditoriali, che faticano però a emergere con tutte le proprie talentuose peculiarità. Il terremoto, ancora lui, è stato un po’ uno spartiacque: come una grossa pietra che ha soffocato i tentativi di rilancio di un micro-mondo già di suo penalizzato dalla più nota crisi economica di inizio secolo. La sensazione è che anche grandi eventi come il Brand Festival, che si terrà a Jesi dal 29 marzo al 5 aprile, nonostante siano di grande valore vengano vissuti dalla stessa popolazione come dei momenti spot che non riescono a restituire all’esterno quanto questa terra sia meravigliosa e ricca di opportunità.

    Un progetto per il rilancio digitale della regione

    Complessità che si evidenzia dai tentativi che tanti attori della società e delle istituzioni stanno facendo per il rilancio della locale competitività: ad esempio la Fondazione Aristide Merloni, che continua la sua opera di promozione e rilancio della regione con interventi diretti sul tessuto sociale lavorando in particolare sui nuovi modelli professionali. È stato proprio nell’ambito di quest’attività che sono arrivato fino qui. Fabriano infatti è in questi mesi anche la sede di un corso pensato per avviare neolaureati e professionisti alle competenze digital. Il progetto si chiama Digital Support: un percorso di 300 ore di formazione e 300 in azienda, pensato per 30 potenziali nuovi professionisti del digitale. Me lo racconta Luca Marinelli, camminando per i vicoli di una città che potrebbe essere di quelle mete che potremmo vedere ritratte in un articolo con il titolo: “Posti da vedere assolutamente il prossimo anno”. Luca è docente di marketing al Dipartimento di Management all’Università di Ancona, ed è uno dei docenti del progetto (oltre che autore di Ninja.it): «L’idea nasce da un progetto precedente realizzato dagli stessi promotori di Digital Support, sempre pensato dalla Fondazione Aristide Merloni, la Fondazione Marche e il Dipartimento di Management dell’Università Politecnica delle Marche. L’obiettivo era fornire un supporto sui temi del management e del marketing ad una serie di imprese situate nelle aree colpite dal recente sisma (2016). In occasione di quell’iniziativa durata circa un anno, è stato riscontrato che uno dei principali gap da colmare per lo sviluppo di queste realtà aziendali, era legato proprio al digitale; è stato quindi certificato un elevato fabbisogno di risorse e conoscenze di digital marketing da parte delle PMI del territorio. Sulla base di questa evidenza nasce il progetto Digital Support che ha l’obiettivo di creare una nuova classe di professionisti del digital marketing che siano in grado di intervenire nelle piccole e medie imprese». Un percorso dove l’Università svolge un ruolo centrale: «In uno scenario competitivo e mutevole come quello in cui viviamo, l’Università lavora per creare un ponte tra il mondo della conoscenza e il territorio; a tal proposito la progettazione di nuovi corsi e l’introduzione di nuovi insegnamenti sono attività che vengono svolte regolarmente e sono fondamentali per garantire all’Università quel ruolo di punto di riferimento nell’ambito dello sviluppo del territorio di cui fa parte. Progetti di successo ed esempi virtuosi si hanno nel momento in cui i diversi stakeholder scendono in campo e lavorano insieme con una visione comune». E, aggiungo io, facendo squadra i risultati si vedono. Arrivato alla seconda edizione, Digital Support coinvolge un’intera comunità, considerando che come sede viene identificata proprio Fabriano e le sue strutture ricettive, ma va a sviluppare effetti positivi su tutto il contesto regionale: molti partecipanti, ad esempio, arrivano da fuori e per tutta la durata del progetto “vivono” la città e i suoi dintorni. Senza considerare poi la fase di placement cui vengono avviati, con l’attività di tirocinio in molte aziende locali che li porta a essere una risorsa potenziale molto importante. Me lo racconta sempre Luca, ponendo in chiusura un accento su un aspetto non così secondario: «Il progetto si conclude con una fase chiamata “orientamento al placement” nella quale gli allievi vengono ulteriormente seguiti nel percorso di inserimento nel mondo del lavoro. L’esperienza della scorsa edizione ci ha dimostrato che diversi allievi si sono inseriti proprio nelle imprese ospitanti. Va infine precisato che la partecipazione a questo progetto da parte degli allievi è gratuita, Fondazione Aristide Merloni e Fondazione Marche offrono borse di studio a copertura totale». LEGGI ANCHE: Le nuove élite “penseranno” digital, una risposta al Game di Baricco

    L’esperienza del co-working

    Arriviamo alla sede delle attività formative di quest’anno. Uno spazio nuovo, mi racconta Luca, inserito in uno scenario da favola a metà fra il borgo medievale e il paesino di montagna: un co-working. Non si direbbe che qui possa esserci un’attività di questo tipo, e invece… Si chiama Fhub – Spazio di coworking e innovazione, e si trova al secondo piano di un ex conceria (in via Le Conce, se ci passate): 400 metri quadri nati per favorire l’incontro e il match fra idee e opportunità. Un piccolo capolavoro di unione d’intenti fra mondi diversi. A promuovere la sua nascita, infatti, sono stati l’Assessorato Lavoro, Attività Produttive, Industria, Artigianato, Agricoltura, Politiche Giovanili, Software Libero, Politiche e Fondi Europei, con un partenariato tra Comune di Fabriano, Comune di Cerreto D’Esi, Università di Urbino, ARCI “Il Corto Maltese”, Microclima, Polis-Arte, Pastorale giovanile diocesano, Azione Cattolica Diocesi Fabriano-Matelica, con capofila la provincia di Ancona. Dietro l’ideazione dello stesso, il progetto Fa.Ce The Work. A gestire tutto questo è stata Teodora. Quando le chiedo come si sia arrivati a questo risultato, mi comincia a raccontare: «L’amministrazione comunale crede molto in questo progetto di innovazione per rilanciare le attività produttive, impegnando anche risorse interne nella sua realizzazione. Il loro supporto è stato decisivo per l’apertura e continua tuttora. Personalmente, mi sono immersa in un contesto lavorativo a me nuovo, un salto nel vuoto che mi ha portato ad affrontare difficoltà, ma che mi sta dando anche tante soddisfazioni. La difficoltà maggiore è far passare un concetto di modalità lavorativa fuori dagli schemi ai quali siamo abituati: uno progetto innovativo per il nostro territorio». Già, innovativo per il territorio e anche per le persone che agiscono dietro le quinte. Teodora si potrebbe definire un “cervello di ritorno”, dato che seguendo un buon lavoro nel settore delle risorse umane ha fatto il giro d’Italia, passando da Gorizia, Milano e Roma. Poi è tornata qui, a casa sua, e la prima cosa che colpisce è una frase che sa essere decisamente glocal: «Niente è più emozionante che andare a lavorare a piedi, dopo tanti chilometri». Ok, ma perché hai scelto di tornare, Teodora? «Sono nata a Fabriano 30 anni fa e sono emigrata prima per l’università e per cogliere opportunità lavorative poi. Ho deciso di tornare per mettere a disposizione del mio territorio le competenze acquisite, contribuendo al suo rilancio. Mi sono messa in gioco in prima persona credendo in questo progetto. “Andare, imparare e tornare” Penso che questa scelta personale mi farà crescere molto». Lo spazio è sito al secondo piano di uno stabile che vedrà presto una riqualificazione totale. Totalmente ristrutturato con gusto, a farla da padrone è quel senso di nuovo che si mescola alla sensazione di entrare in un tempo antico, tipico dei luoghi che nascono dai processi di rigenerazione urbana. Abbondanza di legno, mattoni a vista e dalle finestre lo scorcio del castello che svetta su Fabriano. «Fhub è pensato come un luogo in cui far circolare saperi e stimolare innovazione sociale attraverso la contaminazione tra lavoro materiale e immateriale. È uno spazio dove si condividono e valorizzano le competenze multidisciplinari di freelance, professionisti e imprese, facendo diventare il coworking un centro di progettazione innovativo e punto di riferimento per aziende e artigiani del territorio. Siamo un concentrato di potenzialità, con tante nuove idee, energia e competenze che vogliamo spendere per il nostro territorio». Che tipo di startup e di aziende possono lavorare qui? «Lo spazio di 400 mq ospita una community collaborativa e multiskill, che promuove le competenze dei professionisti a sostegno dell’innovazione sociale e tecnologica del nostro territorio. La community che si è creata fin da subito conta 2 smartworker, 3 freelance e 3 componenti di una startup. Stiamo inoltre ospitando 30 ragazzi impegnati in un percorso formativo professionalizzante di alto livello sul marketing digitale. Questi numeri possono solo aumentare, visto l’aumento di richieste registrato in breve tempo». LEGGI ANCHE: Digital Transformation: 3 tecnologie che dovresti adottare per la tua PMI

    Viaggio, andata e ritorno, grazie alla Digital Transformation

    In effetti, durante il mio giro credo di averli visti, alcuni “ospiti” del Fhub. Sono tre ragazzi alle prese con una call, in inglese. Intuisco che stiano parlando di un’attività digital, in cui il web recita un ruolo centrale. Quando la call finisce, mi intrattengo a parlare con uno dei tre, Leonardo, facendomi raccontare un po’ della loro attività. Con un accento che mescola in maniera affascinante il marchigiano e un inglese perfetto, comincia a raccontarmi cosa fanno lì: «La Study Abroad Association si occupa di Viaggi, Istruzione e Cultural Immersion, cioè scoperta delle culture locali, in varie parti del mondo». È un’azienda che fa base negli States. Come siete arrivati qui, gli chiedo. E qui comincia la parte bella, quella dove il melting-pot diventa ricchezza, occasione, opportunità: «Nasce tutto da una storia di amicizia e viaggi che risale a più di 15 anni fa, quando Christian Alyea da Oklahoma City atterra a Matelica e resta per due settimane a casa dei nostri nonni. Infatti, Alessio Mazzolini, attualmente Shareholder della società, decise di fare un viaggio studio in America per migliorare il suo inglese. Il perché scelse l’Oklahoma è tuttora un interrogativo. Una volta là conobbe Christian Alyea, divennero amici e lo convinse a visitare il Paese della dolce vita. A parte l’ospitalità marchigiana, Christian scoprì una cosa ben più preziosa: la voglia di viaggiare, conoscere nuove persone e culture, e apprendere tutto quello che fino a quel momento aveva solo letto nei libri. Insomma, fare del mondo la propria aula e di uno zaino il suo banco. Una delle persone che Christian incontrò nelle Marche fui io, che 15 anni dopo sono diventato il co-fondatore della Study Abroad Association. Questa storia racconta in piccolo la missione della nostra compagnia. Se non fosse per quel viaggio iniziale di Alessio, per lo shock culturale subito da Christian e chiaramente per l’ospitalità dei nostri nonni marchigiani, oggi non saremmo qua. Questa per noi è stata un’opportunità che vorremmo offrire a più persone possibile».
    Christian e Leonardo, in una foto di repertorio.
    Il centro di tutta la storia è stata quindi Matelica, che dista da noi pochi chilometri e, certamente, non sembra avere fra gli obiettivi quello di diventare un centro della globalizzazione. Eppure, il profilo che si respira è questo, sentendo anche le storie personali dei founder di Study Abroad Association. Continua a raccontarmi Leonardo: «Christian, prima di trasferirsi in Europa, guidava pullman dall’aeroporto al centro città di Oklahoma City, faceva l’istruttore di barche a vela e organizzava campi estivi in Slovacchia. Negli ultimi 10 anni ha lavorato nella sua azienda, l’Oklahoma Study Abroad, grazie alla quale ha regalato a molti studenti il sogno di viaggiare e studiare all’estero. Alessio ha vissuto per molti anni fuori dall’Italia, tra Brasile, Portogallo, Slovacchia, Regno Unito, Spagna e ora Italia (Marche). Dopo gli studi di International Business, completati in Slovacchia alla Bratislava University si è trasferito a Londra, dove ha approfondito le sue conoscenze con varie esperienze in startup. Prima di tornare in Italia, Alessio ha lavorato a Barcelona nella logistica internazionale. Io mi sono laureato in Marketing e International Business alla London Metropolitan University e mi sono occupato di startup, viaggi e social impact. Prima di intraprendere il percorso imprenditoriale lavoravo per Expedia negli uffici di Londra. Un volta lasciata la corporate-life, prima ho fatto un viaggio in solitaria di 8 mesi per il sud-est asiatico. Poi, circa 3 anni fa, ci siamo riuniti per creare la Study Abroad Association (per studenti) e Life Break Adventures (per chiunque voglia far viaggi di avventura in gruppo)». Riuniti a Matelica. Un po’ come un centro che richiama il mondo e le sue esperienze, là dove non si sospetta che ci sia ricchezza. Ma d’altronde, quando chiedo a Leonardo se intende rimanere qui, se crede in un modello di sviluppo sostenibile per questa città e questa regione, lui mi risponde così: «Diciamo che io sono una persona positiva di base. Quindi ci credo. Per molti anni, quando tornavo, vedevo sempre poche iniziative o cambiamenti. Di recente, sarà che frequento spesso l’FHUB, ma vedo molte più iniziative anche a livello regionale per accedere a fondi sia europei che nazionali. Le Marche non hanno un buon punteggio per quanto riguarda l’abilità di ottenere fondi economici a livello europeo. Per questa ragione vedo spazio per un modello di sviluppo e miglioramento territoriale. Vedo gente con molta voglia di fare, quindi con le linee guida e le risorse giuste si potranno sicuramente creare nuove opportunità concrete. La creatività e la voglia di fare in questa regione non manca, basta solo un modello concreto di sviluppo che aiuti giovani imprenditori locali a mettere in pratica le proprie passioni e idee. Per il resto non ci fermiamo e andiamo avanti. Come disse Jovanotti al concerto di RisorgiMarche: “quando vi cercano di spegnere l’entusiasmo non permetteteglielo, è un trucco, le vostre risorse sono pazzesche!”». LEGGI ANCHE: Il piano di Google e Confindustria per lo sviluppo digitale delle PMI italiane Idee. Fondi. Creatività. Come quella che ha portato una giovane a far nascere da un’ex conceria un co-working, oppure ha stimolato la fantasia di tre ragazzi a creare un network per viaggiare e studiare, mettendo come base non un luogo ma un modello, che ha il proprio centro le Marche e l’Oklahoma, casa e il resto del mondo che si uniscono per far risorgere una città, e con lei una provincia e una regione. Non è forse questo fare innovazione? Prendere i principi della Digital Transformation e applicarli a un modello imprenditoriale, che funga da driver per la trasformazione economica e sociale? È quello su cui rifletto con Luca, mentre andiamo via dopo la nostra giornata vissuta nell’ambito di Digital Support: «Così come tante altre regioni italiane, le Marche sono una terra ricca di eccellenze produttive, ma anche turistiche e culturali. Il digitale rappresenta senza dubbio un veicolo per “raccontare” al mondo intero queste eccellenze. È opportuno però guardare al digitale non solo dal punto di vista del marketing, bensì con una visione molto più ampia che oggi viene definita “Digital Transformation”.  In quest’ottica, anche le realtà meno marketing oriented possono trarre enormi benefici facendo entrare un po’ di “cultura digitale” all’interno di ambiti come progettazione, processi produttivi, supply chain e logistica».

    Un augurio

    La pausa pranzo di questo giovedì qualsiasi, in una settimana qualsiasi di gennaio, è ormai ampiamente giunta al termine. Mentre riparto una leggera pioggia batte, e ormai è quasi buio. Il pensiero lascia lo spazio alla speranza che questa sia solo la quiete prima del grande scatenarsi delle potenzialità che una terra unica nasconde a chi non sa guardare. Lo meriterebbero i ragazzi che sono tornati a Fabriano per rilanciare casa propria. Lo meriterebbero questa città e questa regione, che hanno sempre sviluppato valore e che ancora possono restituirne in quantità.