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  • Le nuove élite “penseranno” digital, una risposta al Game di Baricco

    Viviamo probabilmente nell'epoca in cui è più facile confrontarsi, prendere coscienza di idee e realtà diverse e migliorarsi

    22 Gennaio 2019

    Lo scorso 11 gennaio “la Repubblica” ha pubblicato un articolo molto interessante di Alessandro Baricco dal titolo E ora le élite si mettano in gioco , a proposito dei temi toccati nel suo ultimo libro, The Game. Lo scrittore torinese torna a riflettere sulle trasformazioni del mondo digitale dopo il suo primo lavoro, I barbari. Nel suo nuovo saggio affronta il tema della rivoluzione digitale, tramutatasi da chiave per riequilibrare un ‘900 intriso di disuguaglianza e ingiustizia, a strumento di demolizione delle “élite”, cioè nel sistema intellettuale-politico-economico che vive nelle nostre società.

    Di cosa parla The Game

    Correnti politiche sovraniste, rifiuto della scienza, semplificazione estrema e crescita di teorie complottiste: approcci che vedono il web al centro di tutto, considerando come molti dei comportamenti descritti fin qui nascano proprio da un uso perlomeno incauto della Rete e delle immense risorse che accoglie. Ecco, nel libro di Baricco si cerca di individuare la trasformazione che ci ha condotto, oggi, a confrontarci con un mondo dove è abolita l’intermediazione, in cui anche le menti più illuminate sono diventate nemiche. Tutto grazie al digital, che ha portato un regime semplificante dove il centro di tutto è diventato un gesto molto simile a un gioco. Le masse, nutrite dalla capacità della Rete di costruire connessioni, hanno imparato a muoversi contro quell’insieme ristretto che le aveva guidate in tutta la storia dell’uomo, perché in esso identificano l’origine di ogni male: le crisi politiche ed economiche, la stagnazione della crescita sociale, l’ingiustizia della mancata ridistribuzione della ricchezza. Rete che, a tendere, è essa stessa diventata strumento a disposizione di un’altra élite, questa volta composta prevalentemente da startupper che con idee semplici e più in linea con lo Zeitgeist hanno costruito imperi: Mark Zuckerberg, Sergei Brinn e Larry Page, Jack Dorsey e tutti coloro oggi si ritrovano al vertice della “piramide digitale”. Questa rivoluzione è inarrestabile, sembra, e non manca molto – sempre secondo l’autore torinese – allo schianto finale. Le masse digitalizzate, infatti, non sono in grado di auto-regolamentarsi, perché incapaci di andare in profondità alle cose, comprendere le complessità e sfruttare la ricchezza della competenza per il bene comune. Per questo, sostiene l’autore, è necessario che le élite lascino spazio a una nuova élite, che con più maturità della precedente possa puntare a una più equa gestione della società e del mondo. Una riflessione, quella di Baricco, certamente affascinante, che chi abita il digitale, lo vive come luogo di lavoro e di scoperta continua, non può non considerare. Possiamo però fermarci, al di là delle riflessioni, a fare dei ragionamenti su quanto proposto in The Game, per fare una proposta “dall’interno”: perché se è vero che il digital ha contribuito a creare il caos a cui assistiamo oggi, allora è nel digital che forse una nuova via può trovarsi. LEGGI ANCHE: Manipolare gusti e opinioni sui social, dopo lo scandalo Cambridge Analytica

    Le élite digitali passeranno, è solo questione di tempo

    Scrive nel suo articolo Baricco, “Staccare la spina alle vecchie élite novecentesche e affidarsi alle intelligenze figlie del Game: farlo con la dovuta eleganza ma con ferocia”. Chi sono le nuove intelligenze figlie del Game? Sopra le indicavamo come la classe dirigente delle aziende che oggi governano indirettamente il nostro quotidiano, da molti indicate come le menti più illuminate di questo primo ventennio di secolo. Certamente, sono loro gli esponenti più nobili delle nuove élite. Eppure, con il tempo, la loro immagine di imprenditori illuminati si è tramutata, diventando presto assimilabile a quella di esponenti di un certo tipo di sfruttamento. Ultimo caso, in ordine di tempi, la #tenyearsachallenge, che in molti osservatori hanno indicato essere non una simpatica modalità di condivisione di contenuto, ma un gigantesco test per le tecnologie di riconoscimento facciale. La paura del Big Brother, (ricordate Cambridge Analytica?) e il mutarsi della percezione del concetto di privacy, hanno minato dalle fondamenta la fiducia che gli utenti nutrivano nei riguardi dei colossi digitali. Tale evidenza emerge da una serie di comportamenti, primo fra tutti il tasso di abbandono dei social. Secondo uno studio riportato lo scorso marzo dal Daily Mail, circa un terzo dei Millenial ha cancellato permanentemente un proprio account dai canali social più noti. Le cause di questo silenzioso movimento in uscita sono molteplici. Necessità di rallentare i ritmi mentali che il web impone, un ritorno al misurarsi con relazioni che rispettino i tempi umani, e non siano inficiate da paranoie generate dal flow social.  Diversi studi hanno registrato infatti una correlazione fra dimensione digitale e malessere psichico: citiamo per comodità quello della Royal Society of Public Health, che parla addirittura del 70% di pazienti in più fra i nati nelle ultime generazioni affetto da patologie come ansia e depressione direttamente correlate ai social. La paura per la dispersione e la mancanza di controllo sui propri dati personali, come ci conferma una ricerca di Edelman, sta facendo il resto. Insomma, l’abuso del digitale 2.0, dopo un periodo di espansione sta cominciando a risultare scomodo. Anche le aziende se ne stanno rendendo conto, con un generale ritorno alle experience multitouch in cui mettere al centro su properties come il punto vendita (dato per spacciato con l’eCommerce) o spazi di approfondimento come il sito e il blog. Customer Experience più morbide e meno schizofreniche, soprattutto più ricche dal punto di vista valoriale, che stanno facendo ritorcere contro agli stessi colossi social la scelta di diventare a tutti gli effetti piattaforme di display advertising (del fenomeno ne ha parlato egregiamente Paolo Iabichino in un’intervista per IlSole24Ore, lo scorso 11 gennaio: l’articolo è riportato anche sul suo spazio Medium). Tutto questo per dire: quelli che sembravano colossi indistruttibili stanno cominciando, lentamente, a mostrare i primi segni di cedimento. Proprio come le élite novecentesche di cui parla Baricco. Quindi: su che basi ricostruire la nuova relazione fra guida e masse? Quale o cosa sarà la nuova élite “figlia del Game”? Probabilmente non loro. LEGGI ANCHE: Metà dei teenager abbandona Facebook per YouTube e Instagram, lo dice uno studio

    Pensare digitale

    Il web ha permesso di prendere consapevolezza, aprendo a nuove possibilità mai avute prima. L’avvento delle nuove tecnologie, poi, sta conducendo l’uomo verso nuovi livelli di analisi e confronto, con problematiche così nuove da aprire scenari che spaziano dall’apocalittico al paradisiaco, a seconda dell’osservatore che procede al commento. Abbiamo cominciato a pensare digitale: questo cosa significa? La blogger e consulente Sahana Chattopadhyay ha elaborato – partendo dal lavoro di Vivienne Benke – un elenco di caratteristiche che connotano il mindset digitale in azienda (un lavoro simile è stato svolto anche in Italia da Emanuele Mangiacotti). Vediamole brevemente insieme.
    • “Abundance is better”: privilegiare l’incontro, la sinergia e la condivisione, costruendo connessioni, senza negarsi nuove possibilità.
    • Mentalità “Growth”: continuare ad alimentare il proprio percorso di crescita, abbandonando progressivamente il Fixed Mindset, cioè la mentalità di chi non riesce/non vuole progredire (per approfondire, lo studio è a cura di Carol Dweck).
    • Approccio Agile: vivere “agilmente”, sfruttando il cambiamento, non fermandosi ai timori del non conosciuto, ponendosi in maniera resiliente.
    • Star bene nell’ambiguità: cioè abituarsi a vivere in uno stato continuo di cambiamento, in cui tutto è un flusso in continuo mutamento.
    • Pensare come un esploratore: essere curiosi rispetto a ogni innovazione, affrontando ogni limite, ignoto e non.
    • Collaborare!: siamo nell’era della collaborazione, è necessario lavorare in gruppo per poter crescere e migliorare.
    • Abbracciare la diversità: andare oltre il limite umano dell’aver timore del diverso, ma accettarlo e interiorizzarlo allo scopo di arricchirsi ulteriormente.

    Il digital non ci salverà, lo farà il mindset digitale

    Avere il mindset digitale non è quindi pensare in codice, ma fare proprie le capacità di ottimizzare le risorse e i comportamenti che il web ha insiti in sé. Un esempio su tutti: il gesto della condivisione. Diventato sinonimo di proporre un contenuto, il termine ha perso per molti il significato profondo di condividere a livello valoriale. Non condividiamo più: shariamo. E aumentando il volume di contenuti condivisioni, si è persa l’idea che ciò che diciamo ha un peso, facendo perdere i freni inibitori che regolavano il senso civico. Questo il lato brutto della faccenda. C’è però un lato buono: quando condividiamo qualcosa online apriamo uno spazio d’incontro nuovo, che può portare a determinare un arricchimento reciproco. Io condivido qualcosa, magari in cui non credo, per permettere a chi è in contatto con me di arricchire il proprio bagaglio. Mai si è ragionato così, prima di oggi. Siamo probabilmente nell’epoca in cui è più facile confrontarsi, prendere coscienza di idee e realtà diverse, e perché no: migliorarsi. Per questo, come sostenuto nelle teorie di Chattopadhyay, il mindset digitale è frutto di una rivoluzione prima di tutto mentale e comportamentale, prima che mediale e strumentale. La nuova élite, quindi, probabilmente non nascerà per governare attraverso il digitale, ma secondo quella mentalità. Si approccerà alla realtà non filtrando tutto attraverso un media, o sfruttando tale media per governare, ma portando nei propri comportamenti le doti fondative della Rete. Un modo di essere, più che un insieme di gesti e di meccaniche. Ed è qui, allora, la sfida: la nuova élite potrebbe essere non un gruppo ristretto di ricchi e potenti, di intellettuali, di persone “migliori”, ma l’insieme di umanità che saprà abbracciare i comportamenti digitali e trasformarli in leva trasformativa per la collettività.

    L’élite orizzontale e la Rete come strumento di garanzia

    A quel punto anche i parametri con cui si è misurata l’élite probabilmente cambieranno, premiando non solo la nuda competenza, ma anche la capacità di renderla produttiva. In questo senso, è verso le aziende che possiamo rivolgere la nostra attenzione, spingendoci a pensare che i prossimi riferimenti valoriali vengano edificati proprio in nome del consumo. Oggi infatti sono i brand a detenere il potere di orientare le scelte decisive delle masse: scegliendo cosa decidiamo di mangiare ogni sera o che capi d’abbigliamento indossare che oggi riusciamo concretamente a impattare sul mondo. Ogni consumatore può diventare, insieme al proprio love brand, élite. Probabilmente, si potrà arrivare a costruire storyworld dove le marche, in nome della propria vision, accetteranno di farsi pagare in esperienze e non in moneta, consce del proprio ruolo del mondo (se ne è parlato anche alla scorsa edizione dei Digital Innovation Days). Il potere insomma è in mano a tutti. Protocolli come la blockchain, con alla base un principio di trasparenza e immutabilità che rendono tutti uguali in termini di diritti e doveri, ne sono la dimostrazione più concreta. Una teoria strampalata? Forse. Scrive Baricco nel suo articolo: “Entrare nel Game, senza paura, affinché ogni nostra inclinazione, anche la più personale o fragile, vada a comporre la rotta che sarà del mondo intero”. Non è un po’ l’effetto che tutti i consulenti si aspettano dagli advocate? Non è il desiderio di chi spera di trasformare il proprio cliente in un media che micro-influenzi i suoi simili? Per questo, il pensiero che la prossima élite sarà veramente orizzontale è così accesa. Dimentichiamoci che probabilmente sarà stimolata da un abitudine come il consumo: in fondo, il risultato è quello che conta, no?