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  • Trasparenza e chiarezza sono il nuovo vantaggio competitivo nell’industria pubblicitaria

    Frodi e pratiche commerciali disoneste nell'industria dei media e dell'advertising sono ormai uno sbiadito ricordo e secondo la ricerca tutti ne sono sempre più consapevoli

    12 Giugno 2018

    “L’intera industria pubblicitaria è governata da uno, al massimo due soggetti molto furbi”. Questo afferma Steve King, CEO di Publicis Media pubblicata su Adweek, in merito ad uno studio condotto nel 2016 da Ana (Association of National Advertisers) sulla trasparenza. La ricerca, intitolata “An Indipendent Study of Media Transparency in the U.S Advertising Industry“, evidenziava all’epoca alcune problematiche nelle media agency. LEGGI ANCHE: Da Parole O_Stili arriva un nuovo manifesto per la comunicazione non ostile in azienda

    I risultati della ricerca

    • Numerose pratiche di business poco trasparenti, tra le quali il “cash rebate“, una attività che negli Stati Uniti è passata, per molto tempo, in sordina rispetto all’Europa. Diverse compagnie ad-tech si sono sentite costrette ad accettare contratti con agenzie di media, che richiedevano una parziale restituzione degli investimenti. Hanno dovuto, inoltre, sostenere costi per servizi extra di scarsa necessità (come ricerche e report), al fine di poter entrare nell’elenco dei fornitori da selezionare.
    • Le pratiche non trasparenti riguardavano un ampio range di media, tra cui il digital, il cartaceo, l’out-of-home (ovvero, la classica pubblicità esterna fatta di affissioni).
    • Molti Senior Executives delle media agency erano consapevoli (ed esecutori materiali) di queste pratiche non trasparenti.

    Il comune denominatore che emerge da questa ricerca è quello che le agenzie, fino al 2016, non sono state assolutamente trasparenti e gli advertiser non erano consapevoli realmente della destinazione dei propri investimenti.

    Sono state, quindi, messe in atto frodi e pratiche commerciali disoneste, con venditori ed agenzie che hanno beneficiato di tangenti e “profitti gonfiati”, all’oscuro dei brand.  Ma cosa è cambiato in questi due anni, dopo la pubblicazione della ricerca?

    trasparenza

    La trasparenza come vantaggio competitivo

    La pubblicazione dello studio non ha potuto che sortire effetti negativi, in particolare sui profitti delle media agency (alcuni importanti clienti hanno interrotto i loro acquisti), minando quella già precaria fiducia che gli acquirenti avevano nei loro confronti. Dal 2016 ad oggi, sono stati, tuttavia, fatti enormi progressi. I clienti e i media owner ora vedono la trasparenza come un vantaggio competitivo, così le media agency stesse, nonostante questo riduca i profitti, come ha sottolineato Bob Liodice, CEO di ANA. Il vantaggio competitivo deriva dal fatto che con un pieno controllo su ciò che accade nelle campagne, i brand sono decisamente più in grado di adottare un approccio strategico alle loro pubblicità. Ed i marchi, pienamente coscienti della direzione dei loro investimenti, si sentono più sicuri ed incentivati ad un loro accrescimento. Ora i brand sono più attenti. Molti sono informati sulle pratiche commerciali non trasparenti presenti nell’industria pubblicitaria. Analizzano i termini e le condizioni dei contratti, assicurandosi che non ci siano commissioni nascoste da un linguaggio confuso e chiedono direttamente agli interessati della presenza di sconti ottenuti tramite le campagne. Mentre le agenzie, al fine di preservare la reputazione e lo status del marchio, cercano di dimostrare, molto di più rispetto al passato, trasparenza e chiarezza. La reputazione del brand diventa, quindi, sempre più importante, soprattutto in un contesto all’interno del quale i motori di ricerca rendono più facile ottimizzare la propria visibilità.

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