A fine aprile ha aperto al pubblico la nuova Torre che segna il completamento della sede di Milano della Fondazione Prada, inaugurata a maggio 2015.
Progettata da Rem Koolhaas con Chris van Duijn e Federico Pompignoli dello studio OMA, la Torre è alta 60 metri ed è in cemento bianco strutturale a vista.
La struttura della nuova Torre
Le facciate esterne sono caratterizzate da una successione di superfici di
vetro e cemento, che attribuiscono ai diversi piani un’esposizione alla luce sul lato nord, est o ovest. L’ultima sala espositiva è dotata di luce zenitale, mentre il lato sud presenta una struttura diagonale che la unisce al Deposito, dentro la quale si inserisce un
ascensore panoramico.
Nove piani per offrire una percezione inedita degli ambienti interni attraverso una specifica combinazione di tre parametri spaziali:
pianta, altezza e orientazione.
La metà dei livelli si sviluppa infatti su
base trapezoidale, gli altri su pianta rettangolare.
Un edificio singolare che mette in evidenza il repertorio di differenti condizioni espositive, in coerenza con la
visione architettonica della Fondazione, caratterizzata da una varietà di opere e frammenti.
Come sostiene
Rem Koolhaas, “l’insieme di queste diversità produce un’estrema varietà spaziale all’interno di un volume semplice, in modo che l’interazione tra gli ambienti e i singoli progetti o opere d’arte offra un’infinita serie di possibili configurazioni”.
Il progetto “Atlas”
All’interno dei sei livelli espositivi della Torre è allestito il
progetto “Atlas” nato da un dialogo tra
Miuccia Prada e
Germano Celant. Il titolo sottende la sintesi e l’essenza di tutti i contributi forniti dagli artisti alla collezione della
Fondazione Prada.
Atlas significa costruzione ed esecuzione di un
progetto di ricerca scientifica e di informazione sulle
manifestazioni estetiche della creatività.
Un progetto per mettere in atto
idee e artefatti che tendono ad avere effetti sull’ambiente sociale, un metodo per valorizzare il succedersi di
momenti visivi e plastici, esperienziali e immersivi che vanno ad arricchire il complesso architettonico della Fondazione.
Dopo aver preso l’ascensore panoramico fino al 9° piano, la guida conduce i visitatori ad entrare in un corridoio molto buio. Qui il passamano riporta lentamente nella stanza espositiva, dove una schiera di
enormi funghi velenosi e appariscenti coglie di sorpresa ogni ospite.
L’impatto è notevole. Il
surrealismo che governa questa stanza è in grado di trasportarci in un altra dimensione.
Al 6° piano c’è il nuovissimo ristorante con un bar che riporta diversi elementi dell’installazione di
Carsten Holler “The Double Club”. Sullo stesso piano presenti anche alcune sculture di
Lucio Fontana e un mosaico a pasta di vetro e cemento “Testa di medusa”.
Le pareti riportano delle collezioni di piatti d’artista e una selezione di quadri di
Jeff Koons, Goshka Macuga e John Wesley. Un luogo affascinante che coniuga lusso e contemporaneità, il tutto accompagnato da una vista panoramica sulla città di Milano che toglie il fiato.
Subito sotto al ristorante, al 5° piano, troviamo alcune installazioni di
Pino Pascali una grande puntina da disegno capovolta Meridiana e anche Pelo, un gigante pouf dalle sembianze bizzarre.
Al 4° piano troviamo strane creazioni dal mood post-industriale, come complementi d’arredo andati in fumo, oggetti d’uso comune trasformate in strumenti di tortura.
Qui i visitatori possono ammirare l’installazione
Remains of the Days di
Mona Hatoum: un letto, un tavolo, sedie, sgabelli, cesti, tutte carbonizzate, come uno scenario domestico abbandonato, simbolo di qualcosa che prima esisteva e ora non c’è più.
Poi di colpo, grazie a tre bellissime (e nuove di zecca) Chevrolet Bel Air, i visitatori vengono catapultati negli anni ’50. L’installazione del 3° piano si chiama
Bel Air Trilogy ed è stata realizzata da
Walter De Maria: tre pilastri di acciaio trafiggono l’abitacolo delle auto.
Al 2° piano un enorme mazzo di tulipani in acciaio inossidabile, dell’artista
Jeff Koons, posizionata al centro della stanza rapisce e ammalia ogni passante, grazie ad un
gioco di colori e riflessi.