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  • Perché il vero problema della SIAE non sono i fake dei dipendenti né Soundreef

    «Come spiegherei la guerra tra SIAE e Soundreef a mia madre, o alla zia anziana», l'editoriale del direttore Aldo Pecora

    16 Febbraio 2018

    Da piccoli ci hanno insegnato che quando hai qualcosa di tuo a cui tieni devi custodirla. I soldi, per esempio, si nascondevano sotto il materasso, oppure li si affidava a qualcuno che potesse custodirli. Caso scolastico: le banche. Ovviamente all’inizio ce n’erano poche, ed erano le stesse che “stampavano” le banconote che poi custodivano per noi. Ed era possibile riprendere in ogni momento i nostri soldi, o perché ci servivano o (con l’affermarsi del libero mercato) per affidarli a un’altra banca, più affidabile, più economica o anche banalmente più vicina. Comunque parliamo di un nostro bene, i soldi, che noi sceglievamo di affidare ad un altro soggetto. Siamo stati abituati così dai nostri genitori, che lo hanno imparato loro volta dai nostri nonni, e così salendo di generazione in generazione, di secolo in secolo. Poi i tempi sono cambiati, e anche le banche. Oggi mettiamo i nostri soldi lì, e non sappiamo se quando decideremo di riprenderli ci saranno ancora tutti. Cinquant’anni fa per versare o prendere contanti o per effettuare un bonifico dal nostro conto dovevamo uscire di casa, andare in banca, fare la fila, eccetera. Poi hanno inventato le carte bancomat. E poi ancora l’home banking. E poi i pagamenti digitali. Ma le banche, seppur con meno filiali, continuano, da secoli, a custodire i nostri soldi.

    Davide D'Atri (CEO Soundreef)
    Davide D’Atri, CEO Soundreef

    I fatti

    Ho scelto non a caso l’esempio a me più vicino, occupandomi di fintech, per introdurre quello che a tutti gli effetti potremmo definire il nostro scoop di oggi. Perché a me non interessa dire chi ha ragione o torto tra SIAE e Soundreef: da cittadino ho il diritto alla mia opinione, da giornalista e direttore ho il dovere di stare dalla parte dei fatti. È un fatto che dietro alcuni autori degli attacchi alla startup fondata dal romano Davide D’Atri vi sia un indirizzo di posta elettronica direttamente riconducibile alla SIAE, ed è un fatto che tra gli hater di Twitter alcuni profili siano riconducibili a un identico numero di cellulare. Così come è vero che la segnalazione iniziale, l’input che ha dato il via e ci ha proposto “verificate questa cosa” sia arrivato da un dipendente di Soundreef, che evidentemente aveva tutto l’interesse affinché questa imbeccata diventasse una notizia. Abbiamo verificato le fonti, fatto le nostre verifiche, incrociato i dati. Chiamatelo pure fact checking, se in epoca di fake news vi fa comodo. Per noi si tratta semplicemente di aver fatto il nostro lavoro.

    Di cosa stiamo discutendo, da anni

    Ma il nostro è un lavoro tanto di informazione quanto di formazione. Formazione e direi anche educazione di un pubblico che non possiamo e non dobbiamo dare per scontato. Penso alle nostre mamme, o alla zia anziana. Cito spesso Spiderman, quando dice che da un grande potere derivano grandi responsabilità. Ecco, dal grande potere dell’informazione, una delle responsabilità è proprio la missione educativa, che chi divulga temi come quelli del digitale dovrebbe tenere sempre con sé, come un santino. E qui ritorno all’esempio delle banche cui affidiamo la custodia dei nostri soldi. Da sempre, o meglio, quanto meno da poco dopo l’Unità d’Italia, tra i tanti monopoli italiani imposti prima dai monarchi, poi dai regimi e poi mantenuti dai governi parlamentari c’è quello del diritto d’autore, delle royalty, eccetera. Noi, scrittori, autori, musicisti, eccetera, scegliamo di affidare la tutela di un nostro bene, in questo caso opera dell’ingegno, a un soggetto terzo: la SIAE. Questa è una società dello Stato, quindi pubblica, quindi nostra, che custodisce quel nostro bene immateriale. Immateriale perché non sono soldi, non è una casa o un’automobile, ma un brano musicale, un soggetto cinematografico, eccetera. Comunque un qualcosa che, se utilizzato, deve essere remunerato al suo legittimo autore-creatore. Il brano che viene eseguito, il film che passa in sala o che viene messo su dvd e allegato al nostro quotidiano, eccetera. Parliamo comunque di un bene nostro, e come quando di banca ce n’era una sola ma poi tante, noi nel 2018 dovremmo essere liberi di scegliere se farlo custodire alla SIAE, o a Soundreef, a vattelappesca o anche a noi stessi. Prima era impossibile, oggi inizia a cambiare qualcosa, e presto dovrà per forza cambiare. Ecco, è così che spiegherei la guerra tra SIAE e Soundreef a mia madre, o alla zia anziana. Non sta a me entrare nel merito di chi ha torto o chi ha ragione. Io posso solo spiegare.
    Filippo Sugar (Presidente SIAE)
    Filippo Sugar, Presidente SIAE

    Il futuro è di tutti, se sappiamo usarlo

    La SIAE non è più quella di venti o trent’anni fa. E se da un lato sarebbe consigliabile un po’ di prudenza in più ad alcuni arrembanti dirigenti e dipendenti, quando si muovono sul web, dall’altro sotto la gestione di Filippo Sugar la stessa SIAE ha fatto dei passi in avanti notevoli e degni di nota sul digitale. Ricordo, ad esempio, quando una decina d’anni fa per depositare un soggetto sono dovuto andare dall’altra parte di Roma, e perderci una giornata intera. Oggi si può fare tutto online, per dire. Perché gli algoritmi, gli strumenti digitali e Internet non sono patrimonio esclusivo delle startup o delle grandi società tecnologiche. Sono patrimonio di tutti. Se sappiamo usarli.

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