Micro-influencer, la buzzword del momento (Gamification e Storytelling ringraziano ;-) )! Se ne parla e scrive tanto e spesso bene. Perché in effetti rappresentano una bella cosa.
Nella prospettiva di questo articolo si tratta di persone "normali", i cosiddetti peers: il vicino di casa, l'amico, il collega, che hanno un bacino di contatti non esagerato (teniamo il valore di 5.000, una costante sui social media) ma che vivono esattamente come me e te. Hanno gli stessi problemi, vivono gioie assimilabili alle nostre, possono spendere budget in linea con quello che ci possiamo permettere noi. Qualcosa di ben diverso dall'esercito capitanato da Chiara Ferragni & co., ormai sulla torre d'avorio e quindi irrilevante per il 99% della popolazione. Cito a proposito il blog post di Giovanni Boccia Artieri "Influencer Marketing e l'Etica Necessaria delle (Micro) Celebrity":
Un’adolescente è sufficientemente consapevole che Chiara Ferragni indossa quel paio di scarpe perché un brand gliele ha date o l’ha pagata per farlo. Spesso trova questa cosa cool, anche perché il brand value espande il valore della celebrity stessa. Quello che non sopporta è il rapporto inautentico, quando lo stile di self-presentation suona falso e irrispettoso rispetto alla comunità.
Il Network internazionale di PR Edelman pubblica annualmente il Trust Barometer, uno studio globale e molto ben strutturato che analizza il livello di fiducia delle persone tra loro e con altre entità come organizzazioni, brand, governi. E i risultati, ormai da diversi anni, danno proprio i peers come fonte di maggiore valore per un individuo, per i motivi sopra descritti.
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I Micro-Influencer sono convincenti anche da una prospettiva prettamente quantitativa: durante la scrittura con Francesco Gavatorta del nostro primo libro sul Content Marketing "Digital Content Marketing. Storytelling, Strategia, Engagement" ho infatti avuto modo di studiare alcune leggi come il Numero di Dunbar e la Teoria del Piccolo Mondo, le quali sostanziano quanto scritto. I Micro-Influencer sono "genuini" in quanto parlano e interagiscono con numeri limitati e sostenibili di persone, senza che tale dinamica ne limiti il potenziale di reach.
Micro-influencer e content analytics
Di recente abbiamo già parlato di content analytics, all'interno dell'articolo "Content analytics: stai misurando correttamente la tua strategia di Digital Content Marketing?". Quindi fa piacere tornare a scriverne.
Proprio le analitiche vengono in aiuto per esplorare ulteriormente il valore dei Micro-Influencer. In un recente e interessantissimo articolo di eConsultancy, "Why Marketers are Failing to Track 87% of Their Content Shares" è stato infatti dimostrato con un esperimento della durata di circa 3 mesi e attraverso il tool Amigo che la maggior parte (quasi il 90%!) delle attività di content sharing avviene nascosta rispetto alle piattaforme pubbliche o semi-pubbliche come forum, Facebook, Twitter, blog. Il tradizionale metodo del copia-incolla dell'URL la farebbe infatti da padrone, permettendo agli utenti di condividere grandi quantità di contenuti (via e.mail, WhatsApp, etc.) rimanendo al contempo invisibili agli occhi degli strumenti di social listening. Quindi, dei brand.
Da chi sono condivisi questi contenuti? Dalle persone comuni, dai micro-influencer appunto, che - al contrario degli Influencer - hanno un maggiore focus sul contenuto in sé e lo condividono all'interno delle proprie cerchie sociali personali e professionali (chat WhatsApp, network di Yammer, ...) per farlo leggere. L'interesse guida l'attività di sharing, invece della reputazione sociale o di fattori economici.
Fare strategie digitali ai tempi dei micro-influencers
Non tenere in considerazione tale dato è molto rischioso, in quanto è fondamentale per ottimizzare le strategie e le operations digitali. In particolare, dimostra l'importanza e la necessità di iniziare a conoscere e parlare con tali micro-influencer, invece di spendere tutto il budget PR in celebrities del web.
Un approccio netnografico al tema permette al contrario di entrare in contatto con community e individui specifici, meno palesi in rete ma molto reputati all'interno di specifici spazi digitali, con i quali tessere relazioni che convertono maggiormente limitando il tasso di dispersione delle persone raggiunte in un primo momento ma perse durante il funnel.
Questo vale in particolare per le aziende operative nel marketing B2B, dove la reputazione - derivante dalla competenza su temi verticali e complessi - è un elemento determinante per progettare posizionamenti digitali efficaci.