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Intervista

Così la violenza si denuncia su Twitter. #QuellaVoltaChe, raccontato da chi l’ha creato

Dopo il caso Asia Argento-Weinstein, molte donne l'hanno usato l'hashtag #QuellaVoltaChe per denunciare le molestie ricevute. Dietro tutto questo tam tam c'è Giulia Blasi

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Isabella Borrelli 

Editor

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Pubblicato il 19/10/2017

Harvey Weinstein è uno dei produttori più importanti nel mondo del cinema che una settimana fa, su the Times è stato pubblicamente denunciato in un'inchiesta sui suoi abusi sessuali, violenze e ricatti a danni di numerose attrici a cui è seguito un approfondimento dell'inchiesta sul New Yorker. A denunciare pubblicamente il colosso sono state tante, tra cui Cara Delevigne, Angelina Jolie, Léa Seydoux, Gwyneth Paltrow e Asia Argento.

LEGGI ANCHE: Come spiegare il caso Asia Argento e il gender gap nel cinema

In Italia la denuncia di Asia Argento è stata accolta con scetticismo e critica da parte di alcuni redattori di quotidiani nazionali, giornalisti e in generale da una non poco ampia fetta della popolazione che ha commentato online.

Di contro ci sono state tante voci a supporto del coraggio di Asia e di un problema piuttosto vasto e preoccupante che in Italia vede, secondo dati Istat, 7 milioni di donne sono state vittime di una forma di abuso. Tra queste voci c'è quella di Giulia Blasi, giornalista e social media manager, che l'ha moltiplicata in una campagna social attraverso l'hashtag #QuellaVoltaChe. L'hashtag ha racconto centinaia di adesioni e dolorosi racconti di violenze e abusi. L'abbiamo intervistata.

Giulia-blasi-quellavoltache-femminismo

Dal tam tam su Twitter è nato un trending topic

Giulia, come nasce #QuellaVoltaChe?
«Ormai sta diventando una origin story tipo fumetto di supereroi: nel pieno del fracasso intorno alla storia di Asia Argento e del trattamento indegno che stava ricevendo, mi viene in mente di lanciare un piccolo progetto di scrittura per raccontare, con un hashtag, tutte le volte che ci siamo sentite molestate, in pericolo, fragili, ricattate. L'obiettivo è mostrare che succede a tutte, e che tutte portano la vergogna per quello che hanno subito, perché socialmente la molestia e lo stupro sono una macchia, e soprattutto è quasi impossibile provare che quando sei sola con un uomo non ci sei per tua volontà, e che non gli hai detto "sì"».

 «Le persone con cui mi confronto abitualmente su Facebook dicono: oh, fico, facciamolo. Alcuni siti mettono a disposizione le redazioni per raccogliere le storie di chi vuole raccontare in forma più o meno anonima. Pensiamo che il tutto si limiterà a qualche tweet e qualche post, una cosa da raccogliere come progetto, gestibile. Asia Argento ci riprende, l'hashtag esplode. Io faccio un post per raccontare la cosa su Medium, in inglese, e in due giorni siamo letteralmente globali».

#quellavoltache un regista/attore italiano tirò fuori il suo pene quando avevo 16 anni nella sue roulotte mentre parlavamo del "personaggio"

— Asia Argento (@AsiaArgento) October 15, 2017

In Italia alcuni giornalisti - anche donne - hanno scritto che Asia Argento con la sua denuncia tardiva rischia di togliere importanza ai "veri" episodi di violenza. Come pensi si collochi questo tipo di ragionamento all'interno della nostra cultura?
«Mi sono molto stancata dei distinguo per cui la violentata deve essere piangente, distrutta e lacero-contusa, se no non è abbastanza violentata. Asia Argento ha parlato quando si è sentita protetta e forte abbastanza per farlo. Peraltro, quello che passa nei media è che lei non ha mai detto niente a nessuno, e invece lei ha messo in scena lo stupro in Scarlet Diva, ne ha parlato con amici, giornalisti, fidanzati. Ronan Farrow non l'ha pescata dal cilindro. Lo sapevano tutti. E comunque nessuno ha fatto niente. Però il processo lo subisce lei».

Tutti i numeri di #QuellaVoltaChe

Ad ora l'hashtag #QuellaVoltaChe ha generato una reach di quasi 2 milioni di utenti. Quando avete pensato di lanciare la campagna pensavate di riscuotere così tanto successo?
«All'ultimo conteggio erano più di 14.000, ma probabilmente ora sono di più. Assolutamente no. Lo dicevo: pensavo sarebbe stata una cosa molto più piccola».

Il flusso di coscienza collettiva di #quellavoltache è davvero straziante, commovente, doloroso, verissimo. Lo sappiamo proprio tutte. — Annalisa Corrado (@A_LisaCorrado) October 15, 2017

#MeToo

In questi giorni è esploso a livello globale l'hashtag #MeToo con un intento simile. Perché non hai aderito?
«Non è assolutamente un'opposizione, anzi. Ogni hashtag è valido e ha la sua funzione nel raccontare un grido globale, ma ogni Paese sta facendo le cose a modo suo e io ho scelto di concentrarmi su quello che succede qui, pur dando visibilità anche a quello che succedeva fuori».

Non è la prima volta che usi (con successo) i social per prendere posizioni forti su tematiche femministe (l'articolo su Medium in proposito del Fertility Day che ha fatto il giro di mezzo mondo arrivando alla BBC, ndg). Ritieni che la comunicazione digitale abbia una responsabilità in più sulle tematiche sociali?
«No, io non credo. Sono io che nasco incendiaria e invece di morire pompiera, a occhio, mi sto evolvendo in Daenerys Targaryen. Comunque: ognuno usa gli strumenti come crede, e io personalmente credo nel valore della parola e nella responsabilità di ognuno di parlare solo quando sa di cosa parla e usare le parole nel modo più costruttivo possibile. Sempre personalmente, io mi esprimo meglio in forma scritta. Per cui è naturale per me far confluire i miei momenti di ribellione in messaggi che possano arrivare più in là possibile. Altre persone usano altre forme. E sono sempre stata femminista, fino da ragazzina, per quanto in maniera più debole e meno strutturata».

#quellavoltache per salvarmi dalle botte e dalle minacce mi rivolsi alla polizia e mi dissero di tornare a casa che i litigi sono normali.

— Nadia Nunzi (@NadiaNunzi) October 14, 2017

"Tutte le donne hanno subito almeno una molestia"

La violenza sulle donne viene spesso taciuta e sminuita. Tu dici una cosa molto forte, e cioè che il 100% delle donne ha subito una molestia. È davvero così?
«Fatti solo una domanda: tu conosci anche solo una donna, una sola, a cui qualcuno non abbia fatto una battuta a doppio senso sessuale in un contesto lavorativo, solo per metterla in imbarazzo? Che non sia mai stata fatta oggetto di richiami per strada, mani allungate in autobus, che non si sia sentita a disagio a tornare a casa la sera da sola, che non si sia sentita dire "copriti"? È tutto parte dello stesso problema. Poi c'è chi sceglie di riconoscerlo e chi no».

Pensi che i social abbiano un ruolo in tutto ciò? Si fa troppo, o troppo poco?
«Credo che gli strumenti, come dicevo sopra, rispondano all'uso che se ne fa. Ma né Facebook né Twitter fanno abbastanza per fare in modo che le loro utenti siano tutelate. Se io scrivo "frocio" su Facebook per ironizzare sull'omofobia, mi bloccano l'account per tre giorni. Se qualcuno mi dà della grandissima puttana che deve morire male, il suo commento rispetta gli standard della comunità. La violenza verbale contro le donne è normalizzata in società, e di conseguenza sui social».

Conoscerai il fenomeno dei gruppi chiusi al cui interno uomini condividono foto personali di amiche, fidanzate, mogli e compagne per commentare in branco quello che farebbero loro. E la privacy è l'ultimo dei problemi...
«Sì, e al di là del lavoro culturale che bisogna fare con pazienza per smantellare questi fenomeni, Facebook deve intervenire, ma anche e soprattutto l'autorità giudiziaria, rapidamente e con forza. Se servono leggi speciali che permettano di agire d'urgenza, forse è il caso di farle. È a rischio l'integrità fisica e mentale delle persone».

Scritto da

Isabella Borrelli 

Editor

Digital strategist, attivista per la parità di genere e LGBT+. Sono esperta a livello agonistico nel riempire i carrelli dello shopping online e nella gestione strategica del… continua

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