Vi ricordate quel telefilm anni '80, i Visitors? Una razza di alieni rettiliani provava a conquistare il mondo mimetizzandosi (egregiamente) tra la gente. Erano indistinguibili tranne per quella caratteristica inquietante di essere verdi dentro. Prima o poi la loro vera natura emergeva sempre, ed erano dolori.
L'analfabeta funzionale è come un Visitors: indistinguibile da una persona “normale”; secondo gli standard odierni fa, senza problemi, tutto quello che la vita di tutti i giorni gli richiede. Si mantiene, si sposta, si relaziona, riesce a parlare, scrivere e a formulare concetti e, manco a dirlo, posta su Facebook. Magari apre perfino una pagina o un gruppo. L'analfabeta funzionale non ha bisogno della badante, né dei tuoi consigli: se la cava benissimo da solo, può perfino prenotare un volo Ryanair senza comprare il trolley extra. Allora cosa c'è che non va? L'analfabeta funzionale non riesce a collocare la realtà che lo circonda, fatica a creare ponti e connessioni, non riesce a mettere in relazione due cose diverse nel tempo e nello spazio per dare vita ad una terza, nuova. In pratica è mancante del processo creativo. Le sue conoscenze si basano su pregressi esperienziali o sulla propria realtà, a cui, di solito, paragona tutto.
Gli analfabeti funzionali costituiscono il 47% della popolazione italiana, quasi una persona su due. Che ci crediate o no è la percentuale più alta di tutto il pianeta. “Abbiamo il mondo che ci meritiamo”, direbbe Nic Pizzolatto.
The end of dreams
Parafrasando Karl Cagan, i sogni sono finiti. Non si parla di geopolitica stavolta, ma pur sempre di equilibri internazionali. “Le speranze del web sono state ormai (quasi?) distrutte dai troll e dall'anonimo disinibito, geneticamente predisposto alla minimizzazione dell’autorità”. Non ha peli sulla lingua Rachele Zinzocchi, brillante web communication manager e social media manager di HG3 Italia, una laurea alla Normale e tante buone idee. Abbiamo già visto nella prima parte di questo speciale su "web e democrazia" come i brand sacrifichino spesso intelligenza e autorevolezza in nome di una libertà di espressione che – di fatto – dà libero sfogo a ignoranza e violenza verbale. Tornando a scomodare Popper, se la libertà è più importante dell'uguaglianza, il livellamento sostanziale finirà per portare ad inevitabili distorsioni: non tenere conto delle differenze (sociali, culturali) di ciascun utente ed interagire con tutti allo stesso modo (con finto garbo ed entusiasmo peloso) diventa un terreno scivoloso per un'azienda. Smarrire la libertà è sempre un rischio, anche quando si tratta della libertà di discriminare chi è potenzialmente dannoso per la propria immagine. L'egualitarismo che ha fallito (anche sul web) è un tema che un professionista della comunicazione non può più permettersi di ignorare.
Continua Rachele: “Siamo tutti uguali: nel senso più anarchico e dispotico. La presunta libertà della rete rischia di farsi caos indistinto: demagogia, totalitarismo. Che siano recensioni a ristoranti o 'crisi social' fatte di proteste e improperi, casi di diffamazione, violenza online, stupri del branco, troppo spesso si finisce nel 'dagli all’untore' sul totem della libertà d’espressione".
Rispondi sempre e sempre più veloce, ci dice Facebook. Perché abbiamo il diritto ad ignorare questo consiglio
Il customer care a tutti i costi si sta trasformando in una rincorsa continua e disperata alla risposta all'ultimo utente. Facebook stesso, per aumentare le dosi di ansia, ha aggiunto una sorta di “certificato di velocità” che donerà alla tua pagina (sotto forma di icona) solo se dimostrerai la capacità di rispondere a tutti, sempre, comunque e nel minor tempo possibile. “Rispondi più velocemente per attivare l'icona”, dice. Solito panico nelle aziende: siamo troppo lenti. La vera domanda è: siamo troppo lenti o troppo sudditi?
Un social customer care che considera tutti uguali e meritevoli di attenzione rischia di far precipitare nella mente dei consumatori la percezione positiva dei prodotti o dei servizi che andiamo a proporre.
“Non solo”, ci spiega Rachele “Rischia anche di bucare la propria mission, di stravolgere tattica e obiettivo ottenendo il contrario. Se il segreto sta nel #SocialCare - in un 'vendere' che 'aiuta', è aiutare, in un 'Sell? Help!' con al centro cuore, responsabilità messi in gioco per il cliente-amico - questo porgere l’altra guancia tradirebbe se stesso se agisse senza discernere con cura a chi porgerla”.
Non avete nessun diritto ad essere ascoltati
L'interpretazione contemporanea del concetto di democrazia sembra sempre più confusa con il diritto di tutti a dire tutto e – novità introdotta dai social – ad essere anche ascoltati, considerati, coccolati. C'è qualcosa che non va.
“Democrazia sarebbe l’agorà ateniese, non un lager o gulag, dove ha ragione chi urla di più”. Spiega Rachele: “Così, se cinque anni fa inneggiavamo all’«Internet for Peace. Nobel 2010 Candidate» sostenendo il Web con Riccardo Luna al Nobel per la Pace, oggi persino Tim Berners-Lee parla di «disgusto». Internet non è «buono in sé». È uno strumento: utilizzabile al meglio, come un martello con cui ben si attacca un chiodo, o illecitamente, se lo do in testa a qualcuno. Perciò occorre imparare a usarlo. E insegnarlo altrettanto bene”.
La libertà negativa o come difendersi dall'aggressione del politicamente corretto
Isaiah Berlin teorizzò il concetto di “libertà negativa” (libertà “da”) contrapposto al concetto rousseauiano di libertà positiva (libertà “di”).
La libertà negativa - utilizzata da Berlin per giustificare il diritto a chiamarsi fuori dall'aggressione alla proprietà da parte dello Stato – può essere chiamata in causa anche nei nostri tempi: quale difesa dall'aggressione del politicamente corretto che educa (arma) “legioni di imbecilli” (Cit. Umberto Eco) all'assalto del web.
Se la libertà positiva è la libertà partecipativa, con tutti i limiti che abbiamo analizzato - causati dal crollo dei punti di riferimento dell'autorevolezza e al dilagare dell'analfabetismo funzionale - la libertà negativa è un argine al regime dell'uguaglianza sostanziale, è il diritto di dire no, è una difesa contro il cyberbullismo che prende di mira le aziende, per il gusto di farlo.
Come abbiamo visto le statistiche ci dicono che quasi un italiano su due è affetto da analfabetismo funzionale, è facile dunque spiegare come tra i commenti sui social si trovino sempre più spesso affermazioni prive di senso logico, incerte nella grammatica e nell'obiettivo, quando va bene semplicemente off topic. Quando va male al limite del cyberbullismo.
“Mai discutere con uno stupido: ti trascina al suo livello e ti batte per esperienza. E ti ruba tempo, energie: da investire invece per assistere chi davvero ha bisogno di te. Ascolta dunque, poi rispondi: chiedi anche scusa se devi. Mai però se hai ragione, se la protesta diviene forza bruta della folla: legittimeresti l’abbattimento di ogni regola. Impara a dire noli me tangere: un 'no' e un 'sì'. No alle risse, a chi accende flame col solo scopo di ferire. Sì a chi sul serio richiede attenzione. Ignora quelli e valorizza questi. Scegli chi fa: non chi distrugge”.
L'utilità col cuore
Come se ne esce? I preziosi suggerimenti di Rachele sposano il nostro concetto di democrazia ponderata. “È quanto esprimo nella mia Top 10 List delle regole del Social Care, di quella 'utilità col cuore' che l’azienda deve avere col network. E che nei suoi ultimi '3 comandamenti' prevede:
1. #SocialEducation: necessaria e non più rinviabile per la costituzione di una nuova educazione, una educazione civica digitale anzitutto in rete e alla rete;
2. #DFTT, Don’t feed the troll: non ti curar dei disturbatori online, ma guarda e passa, investendo le forze dove realmente serve;
3. #StopWebViolence: basta alla violenza online, che in un attimo diventa offline. Un grido composto ma irremovibile, che generi azioni decise e definitive contro il fenomeno, a livello sociale, economico, politico: dal rinnovo dei programmi educativi nelle scuole a ogni aggiornamento necessario sul piano legislativo e giuridico”.
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Oh, no! Gianni!
E alla fine anche Gianni Morandi, zitto zitto, discrimina quando gli altri non lo vedono. Ce lo rivela Giancarlo Magalli (altra social star): i due si sarebbero incontrati casualmente di recente, e il “buono” per antonomasia si sarebbe rifiutato di condividere su Facebook un selfie con il simpatico conduttore TV, che gli italiani avrebbero voluto al Quirinale.
La crisi dell'autorità si riflette anche nelle certezze delle vecchie autorità: Gianni Morandi è davvero così buono o è una fiction? I media tradizionali vengono sempre più spesso contestati per scarsa qualità dell'informazione e delle fonti. Così come il premio Nobel, gli Oscar etc. Quando dobbiamo credere nell'opera di delegittimazione? Perché avviene? Dove si incontrano i nuovi fari dell'autorevolezza nel mare dell'ignoranza? Quali sono le applicazioni pratiche della democrazia ponderata nel mondo che “ci meritiamo”? Ne parleremo nel prossimo speciale.