Questo articolo è stato scritto da Erik Fiorello e Marco Sorrentino, Digital Content Marketer.
Testimonianza di un classico martedì mattina.
ore 8.00: sveglia (sì, è bello abitare a Milano e andare al lavoro in bici)
ore 8.15: doccia
ore 8.30: caffè, spremuta, smartphone, Facebook, video
ore 9.15: ufficio, secondo caffè, due chiacchiere con i colleghi
ore 9.30: mail, mail, ppt, Facebook, video, meeting
Ore 13.00: Facebook, video, Youtube, video, Corriere.it, video
Ore 13.15: Pausa pranzo. Check su Twitter (nessun nuovo follower ☹ ), sguardo ad Instagram (solo un nuovo like ☹), video, video ed ancora video.
Penso sia chiaro, stiamo entrando (o forse, sarebbe meglio dire che ci siamo già entrati da un pezzo ma solo ora tutti se ne stanno accorgendo) nell’era della video strategy.
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Se pensiamo a piattaforme di diffusione video, YouTube è sicuramente il primo nome che viene in mente alle persone comuni. In effetti: ha oltre un miliardo di utenti, ogni minuto vengono caricate circa 300 ore di video, è localizzato in 75 Paesi e disponibile in 61 lingue diverse. È un figlio di Google del resto, un predestinato potremmo dire.
Da qualche mese però qualcosa sta cambiando.
Youtuber/creator e brand stanno incominciando (o a nostro modesto avviso dovrebbero incominciare almeno a pensarci) a creare contenuti video dedicati per ogni piattaforma sociale di condivisione. Tralasciando le minori, al momento Facebook è sicuramente il social da sfruttare.
Infatti attualmente la reach video del social network di Mark Zuckerberg sembra notevolmente maggiore rispetto a quella di un tradizionale post. Quindi, in pratica? In pratica al momento l’algoritmo di Facebook, che decide per noi cosa vedere nel newsfeed, sembra privilegiare i contenuti video (ovviamente direttamente caricati su Facebook).
Aziende che possiedono fan page e youtuber che hanno basato il loro business sul numero di visualizzazioni se ne stanno accorgendo.
Il giusto compromesso: l’integrazione
Considerando le caratteristiche delle due principali piattaforme possiamo elaborare diverse tipologie di video da creare in modo esclusivo.
Nello specifico, per catalogarle, possiamo partire dai tre tradizionali obiettivi che troviamo quotidianamente nei brief di brand e clienti vari:
- Awareness
- Engagement
- Conversion
1. Awareness
Nasce in un momento preciso dell’anno, periodo scelto in base alle necessità del cliente, come ad esempio la stagionalità delle vendite o un particolare evento al quale ci si vuole legare. A seconda del taglio del video possiamo sperare di raggiungere l’audience a target con una percentuale variabile di adv a supporto (il video è virale o istituzionale?).
Piattaforma: variabile rispetto alla percentuale di spesa media a supporto. Un video più virale esprime il suo meglio se caricato su Facebook, viceversa se istituzionale su YouTube.
2. Engagement
Una volta creata una fanbase serve ingaggiarla, sono ormai anni che Facebook ce lo insegna. Per garantire una elevata reach servono elevate interazioni (o elevati investimenti a supporto...). Per questo vanno creati dei video ad hoc, a contenuto seriale, magari in grado di sfruttare appieno i nuovi influencer, sia "Youtubers" che tutte le "Community".
Piattaforma: Facebook.
3. Conversion
Ok, forse il termine conversion è un po’ esagerato, ma si sa che in termini di conversioni vs mezzo digitale il SEA, alla fine, vince sempre. Quello che spesso si dimentica è che YouTube è il secondo motore di ricerca al mondo! Questo motivo da solo vale la creazione di una linea di video a sè stante.
Piattaforma: YouTube.
Una videostrategy completa dovrebbe prevedere la produzione di tutte e tre le tipologie di video, tenendo conto quindi di creatività, investimenti e scelta del canale più adatto.
Sicuramente però se YouTube è già estremamente conosciuto e apprezzato dai brand, ora l’attenzione deve essere spostata anche (e soprattutto) su Facebook. Il successo o meno della strategia si baserà sulla qualità dei contenuti e sulla capacità di cogliere il “giusto momento” per la pubblicazione. Una cosa è sicura: se ci si limita a pubblicare gli spot tv sui social, né awareness, né engagement, né conversion potranno avere risultati soddisfacenti.