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Instafame all'italiana: per diventare famosi grazie ai social network bisogna essere trash?

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Francesco Gavatorta 

Columnist @Ninja Marketing

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Pubblicato il 30/09/2014

Qualche mese fa, la nostra Elena Silvi Marchini ci parlo nel post Instafame, un documentario sulla celebrità da social network [VIDEO] del fenomeno Shawn Megera, un 15enne apparentemente normalissimo divenuto famoso grazie a Instagram.

81 mila followers sul social network "fotografico" per eccellenza lo hanno portato a diventare soggetto di un documentario intitolato Instafame, che si può trovare su Vimeo, in cui gli autori hanno esplorato il concetto di fama che nasce e si sviluppa nell'ambito delle reti digitali, grazie ai regimi di condivisione che essi permettono.

L'Instafame è fama reale? Quella per intenderci che possono vantare attori da premio oscar, cantautori da leggenda o premi Nobel, oppure un'estensione della Microcelebrità (una definizione è reperibile qui)?

Un fenomeno che anche in Italia sta portando all'attenzione del grande pubblico tanti casi più o meno qualitativamente interessanti, che aprono scenari per certi versi inediti e che possiamo considerare indicatori della trasformazione del gusto del pubblico.

I vip di Torino: le persone "importanti" si raccontano sui social network

Diventare famosi senza particolare meriti e responsabilità, ma solo per il fatto di essere sè stessi. E pazienza se la propria identità viene snaturata diventano macchiettistica e prestandosi alla presa in giro e, talvolta, alle minacce più becere.
Rientra nel caso la pagina di Facebook Vip di Torino con i suoi (particolari) protagonisti.

Uno spazio specifico sul social network più popoloso, dove da diversi mesi, a fase alterne, anonimi web master condividono foto e "schede tecniche" di alcuni gruppi di giovani torinesi, i quali si fregiano di titolo di Vip nonostante la giovane età.


Le reazioni del pubblico, leggendo i commenti, non sono ovviamente entusiastiche come forse i protagonisti della pagina si aspettavano. Eppure, i Vip di Torino hanno continuato per un bel pezzo a postare loro immagini e le loro description, convinti che "+ haters = + fama".

Grazie ai social network questi ragazzi sono diventati veramente "famosi"?
Osservando i numeri che sviluppa una singola foto, si direbbe di sì: un crescendo di notorietà indipendente dal reale motivo della stessa, che dipende da una capacità di emergere rispetto la convenzionalità, che prescinde dalla qualità e sfocia nella notiziabilità.

Una ricerca continua dell'andare oltre gli schemi che genera, è proprio il caso di dirlo, fenomeni altamente indicativi di come, sui social network, non sia vincolante il possesso di un talento preciso e riconosciuto, quanto piuttosto la capacità di distinguersi rispetto agli altri.

Basta condividere contenuti puntando sul tasso di viralità che - la comunicazione odierna ci insegna - contempla altri aspetti, come appunto il saper essere "differenti", offrire modelli stilistici e comportamentali non convenzionali, il riuscire ad affermare la propria unicità andando oltre i canoni estetici e morali.

I social network, stando così le cose, sono l'habitat adatto per chi vuole affermare la propria identità: siano i motivi legati al miglioramento del proprio personal branding o (come vedremo fra poco) a una banale esigenza di lucrare, non importa. Perché la cosa importante è la fama. A costo di diventare simboli di una decadenza non solo valoriale, apparendo come macchiette il cui unico scopo è far ridere, facendosi deridere.

Sui social network c'è posto per tutti: da Gemma del Sud a Bello FiGo

Ricordate Gemma del Sud?

Una ragazza del meridione Italia, che a partire dal 2010 raccolse migliaia e migliaia di visualizzazioni su YouTube grazie a una serie di video, ad esser generosi, difficilmente fruibili. Eppure, cercando su Google, seppur il canale YouTube sia stato presumibilmente chiuso e riaperto, il suo ultimo video risalga a più di nove mesi fa e non ci siano notizie certe su cosa le sia capitato, il suo è ancora un nome che restituisce molti risultati se utilizzato come chiave di ricerca. Addirittura, si possono trovare articoli che propongono sue serate in discoteca a Prato, con tanto di pubblico e di concerto.

Fu uno dei primi esempi di come i social network potessero, grazie alla viralizzazione del contenuto, rendere "famoso" chiunque, a prescindere dalla declinazione positiva o negativa del significato di "fama".

Che cosa spingeva Gemma del Sud a mettersi in gioco così tanto? Una reale consapevolezza del proprio esser personaggio goliardico, o una presunzione di reali capacità canore? E il gioco valeva la candela? Valeva esporsi al pubblico ludibrio?

Un paio di commenti lasciati su uno dei suoi video poteva già lasciar qualche spunto di riflessione interessante:

Un'occasione per tutti? Sicuramente è così, osservando un altro grande fenomeno digitale dei social network italiani: Bello FiGo.

Lo conoscete? Un ragazzo di Brescia che inizia la sua "carriera" di rapper improvvisato con il nome Gucci Boy, all'incirca nel 2012: cambiò però nome poco tempo dopo, quando la Gucci gli fece causa perché i primi risultati che Google restituiva cercando "Gucci" erano i suoi video, invece che i siti ufficiali (come dichiarò lui stesso in quest'intervista al Giornale di Brescia): un talento suo malgrado nell'arte del SEO, oltre che della trash-music.

Oggi, a 21 anni, grazie a "hit" come Pasta col tonno o Matteo Renzi (SWAG) iTalia Renzi STai Li AscolTare il canale di Figo Verkel raccoglie 65.420 iscritti, mentre su Facebook gli affilati alla fan page sono 109.000 circa. Senza considerare le comparsate in giro per i locali e le collaborazioni con personalità (sic!) del calibro di Andrea Diprè, sono questi risultati la vera manna dal cielo per Belo FiGo, che raccoglie introiti ingenti dalla pubblicità che anticipa i suoi video su YouTube. Una ricchezza garantita dalle 100.ooo views medie di ogni suo video, con punte di un milione con la succitata Pasta con Tonno che ne fanno un vero e proprio fenomeno di costume, digitale e non.

Come nel caso di Gemma del Sud, i contenuti di Belo FiGo non sono certo di qualità: il più delle volte sono brani improvvisati su basi abbozzate, costellate di volgarità e concetti abbastanza discutibili. Eppure, le sue clip musicali attirano il pubblico che abita i social network, portano danaro fresco nelle tasche dell'autore.

Un principio, quello del contenuto che genera valore, mutuato anche da alcuni ragazzi di Milano finiti sulle pagine dei giornali nei giorni scorsi, per alcune candid camera troppo reali: un agguato inscenato in posti particolarmente bui della città a ignari passanti, il White Mask Gang tra la Gente, che ha generato 300 mila iscritti al canale su You Tube The Show, oltre che più di 320 mila views alle varie clip. Gli autori parlano di "esperimento sociale", i maligni accusano invece gli ideatori di aver speculato sulle paure delle persone per aver contenuti ad alto potenziale virale da hostare su YouTube per generare traffico (e danaro).

Gemma del Sud, Belo FiGo, il fenomeno White Mask Gang tra la Gente: personaggi di un immaginario collettivo, che acquistano fama e notorietà dalla condivisione di contenuto e sulla "sfida" alla pubblica moralità. Perché?

Sui social network chi "parla più forte" vince.

Se nel mondo televisivo i format trash hanno garantito per anni un'ottima audience ai programmi più discutibili (e non serve elencare qualche esempio per far tornare alla mente di che genere di programmi parliamo), così sui social network la deriva scandalistica sta prendendo il sopravvento.


Bolle in cui una gestione più "raffinata" del contenuto si rivela virtuosa stanno diventando sempre più rare a favore di una generale deriva che sta portando gli spazi e gli autori più scandalistici a diventare "geneticamente virali".
Esempi come la pagina di Facebook La stessa foto di Toto Cutugno ogni giorno dove ad esser protagonista insieme a un Guru come appunto Toto Cutugno è la ripetitività spinta all'eccesso, si fanno sempre più rari: ancor più curioso è che gli ideatori di spazi simili (come gli ideatori del famigerato @Vendommerda su Twitter, che intervistammo qualche tempo fa nel post Vendommerda, gli antieroi più amati (e odiati) dai twitteri italiani [INTERVISTA]) talvolta preferiscono rimanere nascosti, quindi non diventar "famosi".

La fama diventa la chimera per chi "è pronto a tutto": l'adagio diventa "più creererò qualcosa di lascivo, ridicolo, stupido, volgare, disinibito, più questo potrà essere condiviso e genererà valore"... All'autore. Peccato, visto anche esempi virtuosi che hanno fatto dei social network, in Italia soprattutto, un luogo più bello.

Un caso da citare in questo senso è Gianni Morandi con la sua fan page di Facebook: una sorta di social blog che ha raccolto più di un milione di iscritti, non solo di suoi fan ma di semplici utenti che apprezzano il piglio e la positività dei contenuti proposti dal cantautore bolognese. Gianni Morandi diventa "famoso" per ciò che fa su Facebook, più che affermarsi come cantante già famoso.

La dimostrazione pratica che non sempre il registro trash paga, e che un approccio positivo e incurante della necessità di "parlare più forte" rispetto a vicini più volgari e caciaroni può essere vincente se si punta anche a un target distante dal proprio.

Rimane il dubbio che la via più breve per la celebrità sia quella di "urlare" la propria identità, snaturandola in una forma di macchiettismo poco rispettosa del sè, sia la più giusta. Se così fosse, allora il problema sarebbero gli utenti che abitano i social network, il gusto generale dell'audience, la necessità di contenuti sempre più "non convenzionali", per non dire poco ortodossi.

Voi cosa ne pensate, amici lettori? Stiamo veramente premiando, facendoli diventare "Instafamosi", gli esempi più discutibili che isocial media offrono?

Scritto da

Francesco Gavatorta 

Columnist @Ninja Marketing

Strategist, trainer, giornalista pubblicista. Specializzato in Comunicazione Multimediale e di Massa e Storytelling. Columnist @Ninja Marketing. Trainer @Ninja Academy. Pe… continua

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