A che punto è la scrittura del Manifesto #StopWebViolence, contro la violenza sui social media?
All’email stopwebviolence@ninjamarketing.it ci hanno scritto in molti: a due di voi però abbiamo deciso di dare spazio, proponendo quelle esperienze dirette che servono per trovare rimedi efficaci alla dilagante maleducazione digitale.
Il primo è Ugo, un lettore toscano laureato in psicologia cognitiva, che ci scrive un suo personale suggerimento su come gestire i “Troll”.
“Da anni mi interesso al rapporto tra psicologia e web; ho vissuto tutte le principali tappe dell'era "social", a partire dal famoso MySpace che oggi i giovanissimi forse ignorano del tutto. Mi sono trovato spesso sconcertato da sterili dibattiti, con tanto di insulti gratuiti, che si scatenavano sui social e nei forum per i motivi più sciocchi ( divergenze di gusti musicali, gossip et similia).
Chi sono i famosi "troll" che sembrano provare particolare gusto a svolgere il ruolo del "guastatore online", dedito ad aggredire con critiche più o meno volgari altri utenti o personaggi famosi?
Forse sarebbe opportuno dire "cosa fa di una persona un troll". Sì, perché dubito che esistano davvero persone che sono " troll " 24 ore su 24, malvagi in stile cinematografico privi di empatia e votati alla continua congiura contro il prossimo.
No, credo che dietro i " troll " si nascondano spesso persone fragili, piene di frustrazione, provate magari da una serie di insuccessi esistenziali, desiderose di riscatto e attenzioni.
Nessuna giustificazione per questi maleducati: possiamo essere comprensivi verso un ragazzino alle prime armi sul web, che si lascia fuorviare da certi messaggi, ma i "troll"spesso sono ampiamente maggiorenni.
Il mio intento è solo analizzare il fenomeno per capire che la maleducazione web, di frequente, non è il frutto della cattiveria di menti particolarmente contorte, quanto la conseguenza di un clima distorto che si respira online e può spingere all'esasperazione individui vulnerabili.
Tutto parte, secondo me, da una considerazione. Da quando i social network hanno preso piede stabilmente, molte persone sembrano quasi condurre la propria vita sociale più attraverso i loro alter ego virtuali, che non fuori dalle mura domestiche. Quali conseguenze porta questa tendenza? La qualità della vita viene interpretata in maniera distorta, non più qualitativa ma quantitativa.
Mi spiego meglio.
Se interagendo faccia a faccia con le persone, percepiamo il nostro successo sociale dalle reazioni fisiche dell'altro (sorride, si entusiasma, ci incoraggia o no) e dai nostri stati d'animo, nel mondo social i criteri di valutazione diventano quantitativi. Quanti post pubblico? Quanti "like" ricevo? Quanto vengono commentati i miei post?
Insomma, molte persone sembrano considerare un successo il fatto stesso di aver scatenato un dibattito o ricevere molti commenti, anche se creano un clima negativo, che magari si ritorce contro loro stesse.
Combinando questa tendenza con un'attitudine magari vittimista e frustrata e, fattore determinante, con l'anonimato possibile online ( nickname astratto, foto fasulle etc. ), ecco che prende vita il troll!
L'utente che insulta, impreca e maledice gli altri sui forum o nei social, incontrato a tu per tu nella vita quotidiana risulterebbe forse gentile, timido e in imbarazzo nel muoverci le critiche che, invece, scaglia come frecce avvelenate online. Su Internet, può illudersi di essere importante perché fa semplicemente discutere. Nella vita reale, le reazioni alterate, le espressioni facciali di disappunto del prossimo, l'isolamento sociale in cui cadrebbe lo renderebbero, invece, consapevole dei suoi eccessi, riportandolo a più miti consigli.
Ecco quindi la mia proposta anti web-violence: rispondiamo ai messaggi aggressivi con una fredda, minimale sigla.
Io propongo IGNR, che sta per "Ignored" (ignorato) o "Ignore" (Ignora).
Rispondere per le rime a coloro che gettano benzina sul fuoco potrebbe alimentare il loro errore di valutazione ( "Se scateno discussioni sono importante online" ), incoraggiandoli.
Facciamo invece capire loro che le beghe non ci interessano; siamo persone costruttive, non abbiamo tempo da perdere!
In tal modo, forse, anche gli aggressori virtuali inizieranno a riflettere, colpiti dall'arma per loro più micidiale: l'indifferenza.”.
Ignorare, quindi, è la prima soluzione per arrestare l’emorragia di educazione sui social media.
Un codice di condotta può servire? Ci risponde Dario, un nostro lettore, il quale ci segnala quello della sua community (http://www.avilug.it/doku.php/mailinglist), da accettare prima di iscriversi al servizio di maining list.
Dario ci racconta che il regolamento è stato scritto pensando alle norme etiche di Ubuntu (che trovate qui), che trova un sunto efficace nelle keywords Umanità, Collaborazione, Lavoro, Cooperazione.
Possono diventare, queste, anche le parole chiave del nostro Manifesto? Voi che ne dite?
Scriveteci le vostre opinioni, come al solito, su stopwebviolence@ninjamarketing.it.
Diciamo tutti insieme #StopWebViolence: il Manifesto contro la maleducazione sui social network sta prendendo forma!