Qualche giorno fa, nella prima parte di questo lungo articolo-riflessione, spiegavo i primi cinque motivi per cui dovreste essere cancellati dai contatti Facebook. Quantomeno dai miei.
Riassumiamo brevemente: uso del nick, commenti insignificanti, foto di gatti, reciproca non-conoscenza (nemmeno surrogata da un blando desiderio di effettuarla), offesa del mio pensiero. Che, a ben pensarci, potrebbe essere un corollario del punto precedente: mi offendete perché non mi conoscete.
Ma in fin dei conti ognuno di questi punti è ascrivibile a queste tre categorie: non mi interessi, ho tempo da perdere, ho poca stima di me - e credo sia importante comunicarvele tutte. Di tutto questo, il punto grave è l'ultimo: credere che a qualcuno tutto questo realmente importi - che, anzi, sia giusto riversarmelo addosso. E allora viene tolta l'amicizia Facebook - ossia tolto un legame che in realtà non sussiste.
Da quando ho scritto il precedente post qualcosa è cambiato. I miei amici son diventati 769. Qualcuno ha commentato "Ahahahahah!". Toby - il mio cane -, in compenso, ha ancora una pagina fan.
Eccoci quindi agli altri cinque punti. Quello che più m'importa è l'ultimo.
6) Mi taggate in continuazione. E a sproposito
(Posto che odio il verbo taggare). Se mettete online una foto in cui compaio sbronzo e mettete il mio nome, ok. Ci sta. Poco elegante ma ci sta.
Se mettete la foto del vostro matrimonio e io ero là, dietro la cofana di capelli della damigella, ma mi si riconosce - in fondo - dalla spalla imbottita, ci sta.
Se addirittura - e qui cominciamo a essere in una fuzzy zone - avete l'ardire di mettere una foto delle elementari in cui compaio assonnato e con l'apparecchio, giusto per farmi dileggiare da tutta la piramide Facebook, da Zucky in giù, ci sta ancora. Sono ancora io, quello (anche se non vorrei).
Ma se mettete un albero di Natale, o la foto del vostro adorato gattino che spunta dall'oblò della lavatrice (vd. punto #3 della prima parte), o un volantino verde a scritte gialle, o una vignetta da voi disegnata, e ci mettete il mio nome, dovrò detaggarmi (brrr…) e farlo al volo, o subire notifiche a ripetizione. O segnalarvi. O alla terza volta che lo fate, cancellarvi dalle mie amicizie. Reali e virtuali.
7) Mi invitate a eventi cui non potrò mai partecipare
Lo vedete dove abito? Bene. C’è scritto. C’è la cartina per raggiungermi, perfino. Lo sanno tutti. Provincia di Mantova, Lombardia. Bassa della bassa. Non è disdicevole a questo punto non invitarmi a un rinfresco della sezione locale del vostro partito per domani sera alle 18.00 con fine alle 18.30, se abitiamo peraltro a 470 km in linea d'aria. Si chiama cortesia.
8 ) Mi mandate i poke, richieste di applicazioni, Farmville
Non so cosa siano i poke. Non voglio nessuna applicazione per scoprire cosa ha fatto la Folliero. Non gioco a FarmVille. Non mi voglio iscrivere al gruppo "Questa carota avrà più fan di Briatore". Non mi invitate.
Ripetetevi, come fosse un mantra: “Se fossimo nella stessa città prenderei cinquecento lire, le metterei nella gettoniera di un videogioco, lo andrei a chiamare al citofono e lo porterei a forza in sala giochi?”. No? E allora non abusate della comodità. Perché la comodità vostra può ben diventare una scocciatura altrui.
9) Non rispettate il vostro lavoro. Né il mio
Se mi vedete libero alla chat non significa che voglia chattare, o che ne abbia il tempo. Forse non ho voglia di disabilitarla ogni volta, o di andare a cercare un tutorial (nota: ho dovuto farlo) per capire come disabilitare perennemente la chat. Se proprio è urgente si dice "Disturbo?" e si attende una risposta. Che può essere sì come no. Così come se tengo acceso il cellulare di notte magari (magari, eh?) è per le emergenze. Non per sentire le vostre lamentele sulla tipa che vi ha lasciato. Anzi, giusto per capirci: ha fatto bene.
10) Semplificate il vostro pensiero per farlo stare in 160 caratteri
Twitter non ha fatto la rivoluzione. La rivoluzione l’hanno fatta gli egiziani, che hanno affidato ciò che stavano facendo a Twitter per creare un canale di informazione diretto e privilegiato.
Né la rivoluzione l'hanno fatta i gruppi social "Occupy Wall Street" (piace a 408.051 persone, al momento) o "Indignados" (piace a 42.135 persone). Ma forse, forse, chi in piazza c'era e ci ha messo fatica, sonno, freddo, paura, lacrime - non chi ha messo il Mi piace a quello e alle All Saints.
Prendere il proprio pensiero e farlo stare nei 160 caratteri standard di Facebook (vincolo ora aggirato, ma la media degli status lì ormai sta) o nei 140 di Twitter non significa né agire né necessariamente pensare, ma - spesso - sgonfiare il proprio pensiero, togliergli profondità possibili, fargli perdere pressione. Scrivere Governo ladro significa sgonfiare la propria indignazione e togliersi la possibilità di andare in piazza. In fin dei conti se Baudelaire avesse avuto Facebook avrebbe scritto Merde, anziché Les fleurs du mal.