Illustrare i servizi digitali caratterizzanti l'offerta di una compagnia è sempre complicato. Il rischio è quello di cadere in spiacevoli cliché e limitarsi ad un visualizzazione asettica e discorsiva di quelle che sono le possibilità e le caratteristiche di quel determinato servizio che ci si prefigge di promuovere.
Il risultato? Nella migliore delle ipotesi, fornire un elenco di opzioni possibili che di rado differiscono dai concorrenti (e la banalità e l'omologazione di contenuti rappresentano quanto di peggio ci si possa auspicare sul mercato).
In questo senso Google ha optato per un approccio davvero creativo per auto-celebrarsi e presentare al pubblico la nuova piattaforma Google Play (che ha sostituito l'Android Market).
Lo spot che stiamo per vedere, prodotto dalla società Studio-G, riguarda proprio il nuovo servizio destinato a porsi in concorrenza con iTunes, concentrandosi su un piano narrativo di totale contrasto rispetto alla risorsa che descrive.
Quello che abbiamo appena visto è un video di grande impatto innanzitutto su un piano stilistico formale. Ha una tale risolutezza espressiva da rendersi apprezzabile anche se fosse slegato dalla funzione primaria, cioè quella di mostrare agli utenti cosa sia Google Play. Parafrasando una famosa battuta di Totò, il video è bello a prescindere.
Ma al di là della indubitabile creatività espressiva di questo filmato, quali linee guida possiamo individuare nel decriptarlo?
L'intera architettura dello spot si regge su un'unica matrice : l'inversione di struttura dei contenuti moderni in altri omologhi per funzione ma appartenenti al passato.
In questo modo la nuvola digitale di un possibile account Google Play si trasforma in una valigia, un contenitore digitale (personale) viene illustrato attraverso un contenitore reale altrettanto personale. La scelta della valigia ha poi un secondo livello di lettura, essendo G-Play qualcosa che sussiste nel web ma è fruibile attraverso più dispositivi, era necessario renderlo con un oggetto mobile, qualcosa da portarsi in giro.
Passando dal contenitore ai contenuti, la scelta narrativa non perde coerenza anzi, semmai la rinforza. Abbiamo visto come ogni aspetto del servizio Play venga illustrato attraverso un dispositivo analogo ma figlio delle generazioni precedenti: un file musicale acquistabile attraverso un app viene rappresentato da un carillon a mano, così come uno smartphone da un vecchio telefono a tasti; un e-book da un libro in formato cartaceo e per finire un filmato digitale da un vecchio proiettore ed un videogioco da un cubo di Rubik.
Esporre in questo modo le funzioni di Google Play rende l'idea su quante cose si possano fare nel proprio spazio personale e su quanti e quali dispositivi; l'interagire tra vari strumenti e media viene formalizzato attraverso la connessione fisica di tutti gli oggetti in scena all'interno della valigia.
L'unica pecca (teorica a dir la verità) consiste nel fatto che il solo video, per quanto apprezzabile da un punto di vista visivo, in assenza della voce narrante sarebbe di difficile collocazione in relazione al prodotto della campagna. La valigia ed il suo contenuto non sono Google Play, lo diventano nel momento in cui quella voce ci dice passo per passo cosa possiamo fare attraverso quel servizio.
Questo stretto e necessario rapporto tra audio e video in un certo senso costringe lo spettatore ad un livello d'attenzione piuttosto alto per capire di cosa lo spot stia effettivamente parlando, un peccato che però non esitiamo a definire veniale vista l'originalità d'esposizione ed un così alto coefficiente estetico.
Credits:
Agency: Studio G
Writer/Director: Jonathan Zames
Producer: Yovel Schwartz
Production Company: Studio G
Production Company: Camp Creative
Line Producer: David Dranitzke
Fabrication and Practical Effects: White Room Artifacts
Visual Effects: HOPR
Director of Photography: Adam Santelli
Art Director: Garret Lowe
Motion Control: Camera Control
Product Marketing Manager: Paola Veglio
Music Composition: Headquarters Music
Sound Design and Mix: Sound Lounge