Si inizia la giornata affrontando il tema della smart TV, grazie ad un intervento coordinato da Samsung e Cheil Worldwide.
E' sempre più facile porre l'accento sul dominio del web sulle nostre vite, così com'è facile dire che la televisione stia morendo. In realtà, la piattaforma televisiva è viva e vegeta e sta subendo una trasformazione radicale che modificherà strutturalmente le logiche di mercato. Basti pensare agli studi ed alle nuove funzionalità delle smart tv Samsung.
Cos'è la smart tv? Ci sono diverse sfumature di significato e definizioni “concorrenti”: quelle tecnologiche che si concentrano su hardware ed OS, quelle che per analogia si ricollegano a smartphone ed alle web tv. O le definizioni che passano per le interfacce (telecomandi e touch screen di nuova generazione). L'approccio Samsung è diverso perché guarda unicamente ai consumatori. E quindi smart significa poter andare online, installare app, ritrovare sullo schermo televisivo contenuti significativi ed illimitati, un controllo più intelligente, una migliore esperienza di visione.
Ed è precisamente questo il momento cruciale per lo sviluppo e la diffusione delle smart tv, data la contemporaneità di uno shift sia tecnologico (banda larga, DRM, nuovi paradigmi UI) che dei comportamenti di consumo (improntati a controllo, scelta, immediatezza, condivisione e personalizzazione).
Senza mai dimenticare il bisogno latente alla base: le persone quando guardano la tv oggi aggiornano Facebook, scrivono su Twitter e leggono blog. Non vogliono qualcosa di meglio della tv, vogliono semplicemente una tv migliore.
E la Samsung Smart TV combina applicazioni TV native (5 milioni di download effettuati sinora dal loro app store), un web browser, una funzione di ricerca (potenzialmente estendibile ai contenuti presenti su altri device in casa), sistemi personalizzati ed intelligenti di recommendation, funzioni social specialmente per quanto riguarda i media events.
Per immaginare gli sviluppi, adottiamo la logica del what if. Con una semplice webcam integrata al monitor televisivo, le implicazioni per l'advertising sono rilevanti. Posso scattare una foto dei vestiti che indosso ogni giorno ed utilizzare il televisore come guardaroba virtuale; orientare i consumi del food o della musica in base ai suggerimenti dei miei amici. Un brand dell'automotive potrebbe arricchire l'esperienza dei test drive sfruttando l'ambiente confortevole di casa. Si intuisce che in questo modo può nascere un nuovo ecosistema pubblicitario basato su display advertising, app brandizzate, rich media, ad serving & tracking.
A raccontare l'influenza dei social media sulla televisione è anche Piers Morgan, conduttore CNN e volto noto di giudice di America's Got Talent, al seminario Time Warner. Nel periodo di meltdown di Charlie Sheen Morgan riesce a convincerlo a farsi intervistare nel suo talk show serale. Problema: Sheen non si presenta se non 5 minuti prima dell'inizio dello show. Piers scrive un tweet nel giro di pochi secondi per aggiornare i suoi 500.000 follower dell'effettiva presenza di Sheen. Il risultato di ascolto? Notevole, soprattutto se si nota che circa 500,000 persone in più si sono sintonizzate nei minuti che predevedano l'inizio della trasmissione.
E’ il turno poi di Jesse Eisenberg, attore protagonista di The Social Network, ospite MOFILM. Si riflette sul ruolo che può giocare il crowdsourcing nella reale costruzione dei brand del futuro e partendo dal portale ideato dallo stesso Eisenberg (oneupme.com, che sarà rilanciato lunedì), vengono citati alcuni degli spot più riusciti realizzati grazie al contributo di utenti e filmmaker freelance.
The Keeper
by Chris Bailey (http://www.mofilm.com/p/f210fa)
The Pitch
by Marty Stiano (http://www.mofilm.com/std/9521e2)
Occhi aperti sul nuovissimo contest Chevrolet Route 66: lo spot vincitore sarà on air al prossimo Super Bowl.
David Alberts, chief creative officer MOFILM, riflette sulla complementarietà del modello di crowdsourcing nei confronti di quello dell'advertising tradizionale. Per evitare problematiche di PR o deviazioni pericolose dall'essenza del brand, Alberts sottolinea i benefici del curated crowdsourcing: in questo caso, l'azienda verifica gli script prima di passare alla fase produttiva del contest e innesca un processo di feedback continuo con gli utenti.
E' poi la volta di Eric Schmidt, executive chairman Google, di parlare del futuro di Big G in relazione ad internet, innovazione ed immaginazione. Il grande shift in questo caso riguarda l'empowerment rivoluzionario dei consumatori, il cui impatto può muovere mercati, economie, tecnologie ed informazioni come mai prima d'ora. Basti pensare al ruolo che ora internet può giocare nel disciplinare il livello di onestà dei governi nazionali.
Il segreto sta nel riconoscere ed accettare il datamining delle nostre vite: generiamo enormi quantità di informazioni online sulle nostre attività quotidiane e, col nostro permesso, far utilizzare questi dati alla tecnologia può contribuire a migliorare la nostra vita. Come spiegato da Coca Cola ieri, anche in Google esiste il modello 70-20-10, secondo il quale il 70% delle risorse è dedicato al core business, il 20% alle attività collegate ed il 10% alle idee pure e senza vincoli.
Schmidt riflette poi sulla rivoluzione che sta per bussare alle nostre porte con forza: le valute digitali ed i pagamenti via mobile. Immaginiamo un cellulare che sappia e ricordi le mie preferenze di brand a tal punto da avvisarmi per strada che, se entro nel negozio alla mia sinistra ora, posso acquistare una t-shirt della mia marca preferita col 20% di sconto. Entro, chiedendo di comprare la maglietta (ad un commesso che probabilmente è stato avvisato sempre via mobile del potenziale acquisto) e semplicemente con un tap del cellulare sulla cassa, la maglietta è mia. Stiamo parlando di un mercato da un triliardo di dollari almeno, se applicato sulla vasta scala del retail, ad esempio, che coinvolge produttori di cellulari, Google Wallet, servizi cloud, accordi con le carte di credito e chi crea il location based advertising.
Quanto può valere, economicamente, un annuncio che ti suggerisce di andare a sinistra verso la tua maglietta preferita?
Per finire, Schmidt elargisce il consiglio più prezioso che abbia mai ricevuto: provare a dire sempre sì, perché il potere del sì è sottovalutato. E' attraverso il sì che la nostra vita evolve.
R/GA porta avanti un concetto interessante, nello spiegare le prospettive per il prossimo decennio pubblicitario. Se nel ventesimo secolo ha imperato l'integrazione orizzontale (cioè, come Coca Cola, il tentativo di dominare un'intera categoria merceologica) o verticale (come Exxon Valdez ed il suo controllo sulla filiera e sulla supply chain) oggi occorre concentarsi sugli ecosistemi di valore e sull'integrazione funzionale, resa possibile attraverso la tecnologia.
Si guardi ad Apple, che ha legato funzionalmente tra loro prodotti diversi come iTunes, iPod, Music Store, iPad, App store e ora la cloud: prodotti concettualmente e tecnologicamente uniti nei quali il consumatore ottiene valore aggiunto se li utilizza in maniera integrata ed in stato di flusso.
Apple ma anche Amazon (Kindle, Audible, web services) e Google (Blogger, Youtube, Docs, Android). E' l'era dei networked media, terreno fertile per l'integrazione funzionale pena la mercificazione di brand e prodotti; era in cui i brand saranno sempre più definiti dalla mission e non dalla stretta appartenenza ad una categoria merceologica.
Le campagne da segnalare all'interno del seminario condotto da Leo Burnett si basano sul concetto di idee che migliorano col passare del tempo. E sono New York writes itself (brillante progetto di storytelling territoriale)
e il font sviluppato per l'anniversario della nascita di Gandhi, che ha permesso alla nuova generazione indiana di guardare il mondo attraverso le sue lenti.
I brand che migliorano col tempo sono quelli che evolvono il proprio linguaggio e lo fanno dimostrando di saper agire e di agire in base ad uno scopo. Il resto è solo rumore e, secondo Mark Tutssel (Chief Creative Officer Leo Burnett Worldwide) Facebook, Youtube ed Old Spice sono dei brand “noisy”.
I brand umani? Coca Cola, Canon, Nike, le Olimpiadi; brand che in media guadagnano il doppio di visitatori unici e Twitter follower, otto volte le mention positive, dieci volte il numero di fan su facebook, 33 volte il numero di video online e 44 volte il numero di foto su social media rispetto ai brand rumorosi. Per approfondire la capacità dei brand di parlare non alle persone, ma con loro: alphabetoftoday.com
Tra le novità presentate da Facebook, nella persona di Carolyn Everson (VP Global Marketing Solutions), vi sono campagne come che permettono di “incendiare il social graph” e di massimizzare il media landscape disponibile per gli inserzionisti. Sfruttare in pieno cioè le potenzialità di condivisione della piattaforma: la campagna per il Samsung Galaxy e l'app JetBlue GoPlaces. Ma anche Nike Write the Future, nata precisamente con l'obiettivo di riunire davanti alla tv padre e figlio: il padre apprezza lo spot e il figlio risponde “sì, ma l'ho già visto e condiviso coi miei amici stamattina su Facebook”.
Presto ci abitueremo agli sponsored comments all'interno delle sponsored stories.
Un'intuizione nata dalla collaborazione con Leo Burnett, che a sua volta ha innescato la scintilla per la creazione del Facebook Client Council: un consiglio composto da una dozzina di inserzionisti Facebook che, con Zuckerberg, lavoreranno per trasformare in maniera creativa il business sul più popolare social network.